Il baratro delle politiche economiche europee e il caos politico italiano

lug 16th, 2010 | Di | Categoria: Primo Piano

della Redazione

E’ di ieri mattina la notizia dell’approvazione al senato della cosiddetta “manovra finanziaria”,  ovvero quell’insieme di misure varate dal governo italiano con il proclamato obiettivo di fronteggiare la crisi e risanare i conti pubblici.

In tutta Europa diversi governi hanno adottato simili ricette di carattere fortemente restrittivo, basate sulla riduzione della spesa pubblica, tagli degli stipendi della pubblica amministrazione, ridimensionamento ulteriore dei sistemi pensionistici. L’obiettivo proclamato, ovvero il riequilibrio del deficit e del debito pubblico è in piena sintonia con il consueto approccio neo-liberista, per nulla scalfito nella sua persistente e distruttutiva attuazione dalla crisi economica in atto. L’obiettivo reale, mascherato da supposte esigenze contabili imprescindibili, va letto all’interno delle relazioni di potere capitalistiche.

Da un lato si ha un’accelerazione di politiche antipopolari contro il lavoro, in continuità con gli attacchi dell’ultimo ventennio. Nel settore pubblico politiche di questo tipo hanno il duplice scopo di liberare risorse dello Stato da riorientare alla tutela dei profitti capitalistici (o per fini assistenziali di emergenza) e di dismettere settori economici statali a vantaggio della penetrazione del capitale finanziario (come nel caso del sistema pensionsitico e sanitario). Il taglio delle tredecisime, degli scatti di anzianità, il ridimensionamento degli investimenti pubblici,  il taglio dei finanziamenti alle Regioni (che indirettamente significa riduzione dei serivizi, in primis mercificazione della sanità pubblica) sono interventi draconiani resi possibili dalla “scusa” della crisi in atto.

Da un altro lato si palesa il tentativo di uscire dalla crisi tramite l’austerità finanziaria, secondo precetti pre-keynesiani per cui la riduzione dei salari e la riduzione della spesa pubblica rilancerebbero occupazione e investimenti privati, laddove furono proprio gli effettti perversi delle iniziali politiche restrittive a prolungare drammaticamente la crisi economica del 29 che fu poi parzialmente frenata (salvo prolungarsi in sordina fino alla crisi della II guerra mondiale) proprio tramite politiche della domanda e di stretto controllo della finanza.

D’altro canto nella vulgata dominante le ragioni della crisi vengono sempre attribuite, oltre agli “eccessi finanziari” dovuti all’ “avidità contingente di supposti banchieri fuori controllo”, anche alla presunta insostenibilità dei conti pubblici per colpa di Stati spreconi e poco rigorosi. E così la crisi greca, le cui ragioni risiedono nei profondi squilibri internazionali e interni all’UE, viene attribuita all’eccessivo debito pubblico contratto da uno Stato lassista. Di qui l’esigenza di politiche di contenimento della spesa che oltre a colpire gravemente i settori sociali più deboli non fanno altro che rendere più profonda la recessione tramite la caduta di una già ridotta domanda interna.

Gli squilibri interni all’Unione Europea, con la Germania che attua una sistematica politica di avanzo commerciale a danno dei paesi europei “periferici” di cui detiene cosipicue porzioni di debito pubblico, vanno lette all’interno di una struttura di potere internazionale in cui il dominio statunitense, pur in progressiva crisi, riesce ancora a dettare legge. Una legge che si manifesta attraverso il neo-liberismo che impone la disgregazione dell’economie nazionali e macro-regionali tramite l’apertura selvaggia dei mercati, le delocalizzazioni produttive, la concorrenza al ribasso su diritti salariali e sociali. La cosiddetta integrazione economica europea altro non è stato che un enorme laboratorio reale di tali ricette. All’interno di questo laboratorio distruttivo orientato alla regressione economica e sociale del continente a vantaggio di esigue oligarchie, si distinguono poi le diverse formazioni capitalistiche nazionali che lungi dal perseguire un interesse europeo (al momento inesistente) giocano ruoli di sub-dominio regionale a sua volta soggiacente al dominio principale USA. Non è un caso che all’interno delle misure restrittive del governo tedesco non appare alcun taglio alla voce “ricerca e sviluppo” che anzi viene rafforzata,  mentre nei paesi mediterranei le risorse per la ricerca, già limitate, vengono ulteriormente ridimensionate. Si tratta di una vera e propria “divisione europea del lavoro”, guidata dagli interessi tedeschi, orientata a fare delle periferie europee aree de-industrializzate da usare come  mercati per l’acquisto delle proprie merci e come riserva di manodopera a basso costo.

Mentre il governo italiano vara misure restrittive draconiane, gli economisti liberisti seguono il coro del governatore della Banca d’Italia Draghi che vorrebbe che il governo facesse di più per i tagli intervenendo nuovamente sulle pensioni, sugli “sprechi”, sulla sanità etc etc…L’insistenza continua per l’allungamento dell’età pensionistica e la revisione dei coefficienti di trasformazione, vere ossessioni del dibattito politico dell’ultimo ventennio, va letta all’interno di una politica economica concepita dagli anni 90 in poi come semplice rapina dell’economia pubblica e saccheggio dello Stato in assenza di qualsivoglia politica industriale nazionale. A seguito della privatizzazione di interi settori un tempo orientati allo sviluppo economico e sociale del paese (banche pubbliche, IRI), ed in seguito alla sottoscrizione del trattato di Maastricht, lo Stato ha scientemente rinunciato a disporre di fonti finanziarie di intervento. Gli istituti pubblici “carichi di denaro” rimasti in piedi sono quelli previdenziali, in attivo da vent’anni alla faccia delle false statistiche sui presunti passivi INPS sciorinate tramite vere e proprie campagne terroristiche finalizzate a privatizzare anche la previdenza. Oggi, in assenza di altri strumenti (di cui ci si è scientemente privati) si fa cassa rubando i soldi dei contribuenti all’INPS e lo si fa con la scusa dell’aumento della vita media e la conseguente necessità di aumentare l’età pensionabile (idea che nel sistema contributivo no ha alcun fondamento, quand’anche contabile, di lungo periodo).

Saccheggio sistematico degli istituti previdenziali; ridimensionamento della sanità, della scuola e dell’università pubblica; attacco ai salari dei lavoratori del pubblico impiego che fa seguito all’attacco reiterato al contratto di lavoro nazionale nel settore privato (accordo sindacati-confindustria-governo di Gennaio 2010, vicenda Alitalia, vicenda Pomigliano). In questo contesto le parti politiche italiane si scontrano duramente sullo sfondo di vicende giudiziarie che travolgono uno dopo l’altro personaggi interni o vicini al governo. Nella generale condivisione della gestione della politica economica (ritenuta persino troppo poco drastica dagli oltranzisti liberisti di destra e di sinistra), le forze politiche, pur simulando di tanto in tanto tiepidi malcontenti per gli eccessivi interventi anti-sociali, si scontrano in verità sulla base di questioni relative alla cosiddetta legalità, parola d’ordine assai ambigua che (senza assolutamente negare l’esistenza diffusa e fin troppo evidente di forme palesi di gravissima corruzione),  nasconde scontri di potere ai vertici ben più ampi.

La recente cena tra i cui invitati figuravano Berlusconi, Draghi, Casini e Bertone mostra la dinamicità delle pressioni e dell’ intreccio di interessi interni e internazionali. Che la gestione politica berlusconiana sia da tempo invisa a centri di potere dominanti è cosa chiara, testimoniata dagli squallidi tentativi di spallata occorsi negli ultimi due anni (in un intreccio di vicende puttanesche e giudiziarie dai contorni torbidi tirate fuori ad hoc). Non certo perché Berlusconi e i suoi (solo parte dei suoi, visto il ruolo di opposizione interna dei finiani) pratichino politiche popolari che si scontrano con gli interessi del capitale in generale, bensì per il ruolo eccentrico e non sempre controllabile assunto da una figura come Berlusconi, capace di curare per propri fini specifici, interessi capitalistici non sempre combacianti con la volontà di suddetti centri di potere. Lo scontro si gioca all’interno (ad esempio vicenda Berlusconi-DeBenedetti) e all’esterno (si ricordi lo scorso anno i tentativi di avvicinamento alla Russia e alla Libia, presto bacchettati da Obama, così come le dichiarazioni distensive  sull’Iran e si ricordi il rapidissimo dietro-front del volubile e ricattabile Berlusconi dopo le sue visite negli Stati Uniti e in Israele; oppure si vedano ancora le vicende relative a Finmeccanica al cui smantellamento puntano da anni gli Stati Uniti).

L’opposizione sociale più genuina alle politiche antipopolari condivise da governo e opposizioni (che nulla ha a che vedere con l’opposizione “giudiziaria” cui tanta sinistra spesso si accoda cecamente, dei partiti che perseguono interessi parimenti oligarchici)  é sempre più isolata da potenziali referenti politici.

In più tale opposizione soffre spesso, pur con alcune eccezioni, di due limiti importanti: 1- la tendenza a farsi risucchiare a “sinistra” da forze politiche che oggi ne rivendicano la causa a fini puramente strumentali; 2- la tendenza a non cogliere gli aspetti strutturali e istituzionali che incombono come pietre inamovibili dietro le politiche anti-popolari e di classe. Si grida (e con profondissima ragione) contro l’attacco al salario e ai diritti dei lavoratori, contro le delocalizzazioni delle imprese, contro i tagli allo Stato sociale, ma raramente si mette sotto accusa l’assetto istituzionale che permette (dipingendolo come necessario)  il perseguimento di politiche fortemente classiste ed anti-popolari o comunque rende impossibile il perseguimento di politiche di piena occupazione, di sviluppo e crescita salariale. Tale assetto istituzionale è il frutto della somma di vincoli europei e internazionali, (libertà di movimento dei capitali, perdita della sovranità monetaria e fiscale, creazione di un’area di libero scambio totale intra europea senza armonizzazione fiscale, abbattimento o restrizione dei dazi doganali verso i paesi extra-europei con manodopera a bassissimo costo), vincoli a loro volta frutto di rapporti di forza politici.

Se non si attaccano politicamente in maniera esplicita i presupposti che fanno da cornice alle politiche contro il lavoro, cui si aggiungono le politiche imperialistiche di spoliazione dei popoli (e conseguente emigrazione degli stessi usata come arma di ricatto contro il lavoro nazionale) si rischia di gridare nel deserto e persino di essere facilmente riassorbiti nei contorni di una critica debole, proprio perché privata di prospettive di efficacia.

Nei prossimi giorni la manovra economica antipopolare passerà con ogni probabilità alla camera. Il rischio politico del governo Berlusconi è stato superato già al senato (dove i numeri del governo sono più esigui). Probabilmente, ancora una volta, le diverse cordate capitalistiche che fanno riferimento alle forze politiche dominanti hanno trovato nuovi accordi (la cena tra i potenti suddetti ne è la prova superficiale). Nuovi scontri interni sono tuttavia prevedibili per i prossimi mesi, scontri che non possono essere letti al di fuori di una visione complessiva dei rapporti capitalistici nazionali e internazionali e alla luce della fase di trapasso dall’unipolarismo statunitense al multipolarismo delle potenze emergenti.

Pur con un occhio sempre vigile alle contraddizione orizzontali che il capitalismo crea e ricrea, specie nelle fasi di trapasso, contraddizioni da cui è sempre possibile trarre importantissimi benefici di contesto, è bene rimanere ben piantati nei contenuti sociali ed emancipativi di una proposta politica che nel caos ideologico di questi anni dovrà riuscire a fare breccia (con modalità e linguaggi idonei) nei settori popolari che subiscono le conseguenze materiali di un capitalismo sempre più intollerante verso ogni mediazione politico-sociale.

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2 commenti
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  2. Un bel giorno ci sveglioeremo e ci accorgeremo impercettibilmente di essere entrati nella società comunista,al bimbo di 10 anni non puoi imporre regole e comportamenti di un 25enne,così ha fatto il comunismo fino ad ora,la sua colpa:avere troppo anticipato!!!!Questo non si fa e quest’altro no!! Il 25enne non h abisogno di imposizioni!

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