Terzigno: alcune questioni

nov 19th, 2010 | Di | Categoria: Contributi

di Michele Castaldo

Di ritorno dalla manifestazione di Terzino di sabato 30 ottobre contro l’apertura di una nuova discarica e la chiusura di quella di Sari, vien da riflettere alcune questioni:

a)     Una mobilitazione  proletaria, cioè di lavoratori e lavoratrici.

b)    Una coordinazione di più comuni.

c)     Un coinvolgimento di tematiche ed obiettivi impensabili fino ad alcuni anni fa.

d)    Lo stato, uno stato di un paese imperialista, che è costretto ad arretrare.

e)     Un arretramento che predispone ad un ingigantirsi della questione rifiuti.

f)     Con il tricolore contro il tricolore.

g)    Rosari e manganelli.

h)     Quale il soggetto che s’avanza.

i)      Vecchio e nuovo proletariato.

Diecimila i manifestanti, forse più, forse meno, non è questo l’aspetto più importante, ma i fattori che sottostanno a questo tipo di mobilitazione ci danno una sorta di anticipazione del modo di delinearsi dello scontro in alcune aree come quella napoletana o del sud d’Italia. Non si tratta di una “presa di coscienza”, come in molti si affannano a sostenere, ma del punto di arrivo di un certo modo di funzionare di un Sistema Sociale che nell’area vesuviana, a Napoli, nel sud dell’Italia, in un anello debole dell’Europa, comincia a manifestarsi quale follicolo purulento di un corpo in putrefazione.

Le arroganti – quanto obbligate – dichiarazioni degli organi di governo non hanno minimamente scalfito la volontà di lotta degli abitanti della zona giunti ad un punto di esasperazione senza precedenza. “Useremo la forza” era stato il grido di battaglia di Berlusconi e di Maroni. Hanno dovuto fare vergognosamente retromarcia. La lotta paga.

Certo, si sposta su Giugliano, il tentativo di smaltire i rifiuti “in pochi giorni” parola dell’onnipotente Silvio Berlusconi ed invece si riapre un altro fronte di lotta, il governo è costretto ad arretrare e la questione va assumendo i caratteri di una catastrofe.

a)     Una mobilitazione di lavoratori e lavoratrici. Casalinghe e operaie di ogni età, una mobilitazione popolare, non con la caratterizzazione di rivendicazioni salariali, normative e cosi via, ma una lotta per la salute, per il riappropriarsi del territorio ritenuto a giusta ragione proprio, cioè della comunità popolare, dei più deboli, in una parola dei proletari di quelli che di proprio hanno la famiglia e pochissime altre cose. E’ il nuovo e moderno proletariato della metropoli imperialista che il Sistema del Capitale spinge sempre più in un degrado complessivo della sua condizione sia di vita lavorativa che sociale ed extralavorativa. Basta e avanza per capire che siamo di fronte a fenomeni sociali completamente diversi dall’epoca del nascente capitalismo o dal suo poderoso sviluppo. Un nuovo e ben più potente proletariato posto nella condizione di dover affrontare tutte insieme le questioni, indipendentemente da quel che individualmente pensano le singole persone. I pensieri individuali sono privi di gambe, le necessità dei fattori oggettivi determinati danno gambe vere ai “pensieri” reali.

b)    Una coordinazione di proletari di più comuni. Ovvero l’essere trascinati ad un impegno congiunto contro un fenomeno devastante del territorio, è uno straordinario passo in avanti rispetto al senso del minimo sforzo individuale regnante nelle singole persone. Il Sistema del Capitale fa e disfa, oggi, a differenza degli anni addietro spinge un’intera area geografica – quella alle falde del Vesuvio – a insorgere insieme per la difesa della salute e del proprio territorio. E’ la base della rivoluzione Comunista, nel senso di un’intera Comunità che si allarma e si allerta, uno straordinario fattore di proiezione verso un futuro non necessariamente barbaro.

c)     Un coinvolgimento di tematiche ed obiettivi impensabili fino ad alcuni anni fa. Eravamo abituati a vedere lottare singole comunità di province come Pianura, Acerra, Giugliano ecc.  isolate da tutto il resto del comprensorio ed innanzitutto isolate dalla metropoli della città di Napoli. A Terzigno c’è un salto di qualità, c’è una polarizzazione gravitazionale di più comuni dell’area con delegazioni che arrivano dai comuni più lontani, di fiammelle accese a tener viva e desta la necessità di una lotta comune contro l’invadenza dell’immondizia e con essa della malasalute. E’ un primo importantissimo passo, ma il senso di marcia è quello giusto.

d)    Lo stato, uno stato di un paese imperialista, che è costretto ad arretrare. Diciamocela tutta, pochi credevano – in modo particolare a sinistra – nella capacità di tenuta delle masse a Terzigno, perché si ha poca fiducia delle masse, perché si ritiene che queste debbano essere tenute con una cavezza e indirizzate con calma e democrazia in una lotta non violenta verso ….la sconfitta. Ed invece le masse hanno tenuto, si sono scontrate,  più volte e ripetutamente, con le forze di polizia, subendo e sapendo anche reagire, come sanno reagire le masse, alla loro maniera, istintivamente e “disordinatamente”, perché la violenza “ordinata” e “organizzata” è dello stato, che ha avuto tutto il tempo di organizzarsi, non può essere delle masse, specie se queste si sono abituate ad un  lunghissimo periodo di sonnolenza. Così che il loro risvegliarsi, il loro agire d’istinto anche rispetto all’uso di una necessitata autodifesa, mena scompiglio fra le forze politiche di destra, sinistra e centro e fra le istituzioni, fino ad arrivare ad un atto di vera e propria resa da parte del Primo Ministro e presidente del Consiglio Berlusconi che a mezzogiorno di sabato è costretto a indire una conferenza stampa e fare marcia indietro su tutta la linea: non si aprirà una nuova discarica, si lavorerà per chiudere quella esistente

e)     Un arretramento che predispone ad un ingigantirsi della questione rifiuti. Si tratta però di una ritirata di un governo – e innanzitutto di una classe, la borghesia – che è allo sbando, perché si stanno inceppando tutti quei meccanismi di funzionamento del Sistema del Capitale, la cui questione dei rifiuti ne rappresenta solo l’aspetto più appariscente. Se il Capitale e chi per lui arretra a Terzigno, si indirizza a Giugliano e qui provoca la rivolta di una popolazione già avvilita ed esasperata per le montagne di rifiuti ricoperti che marciscono producendo un inquinamento del suolo e del sottosuolo senza pari, il segno tangibile di un decadimento senza via d’uscita in quanto Sistema. Insomma è il principio della fine. Quanto durerà?  E’ una domanda alla quale da più parti timidamente si incomincia a calcolare.

f)     Con il tricolore, contro il tricolore. Si tratta di un cosiddetto ossimoro solo per i puristi idealisti incapaci di comprendere la dialettica della materia. Durante le settimane che avevano visto la popolazione di Terzigno scontrarsi con la polizia, più di una volta le immagini televisive si soffermavano su donne e uomini che con il tricolore andavano incontro alle forze dell’ “ordine”. Non sappiamo quanti e chi dei manifestanti di Terzigno avessero votato per il Pdl, di sicuro ce n’erano e forse in tanti. Tutto si spiega, perché con la stagnazione sociale le persone, i cittadini si rifugiano nell’isolamento della propria famiglia, del proprio nucleo gretto e stretto dell’ambito consanguineo cercando la soluzione individuale nel tentativo di una scalata rampante verso l’ “alto”. Ad un certo punto la molla capitalistica preme a tal punto da spingere le masse, nel caso specifico di Terzigno, a non sopportare più un degrado della propria condizione e si pone in azione. Con il tricolore? Si, come a dire: l’Italia siamo noi, il territorio è nostro, non di voi mascalzoni al governo. Cosa ci sarebbe di strano in tutto ciò? Decifriamo meglio questo aspetto. Il funzionario di polizia che dirige le operazioni di repressione indica ai suoi uomini di caricare i manifestanti indossando il tricolore. Prima di lui il sindaco, precedentemente eletto dai dimostranti, governa la cittadina in nome del tricolore. Le masse, si scontrano con la polizia inneggiando il tricolore. Che strano paese è questo? Che razza è questa massa umana che alza lo stesso vessillo di chi la reprime? Semplice la risposta che solo una impostazione materialista può fornire: ci sono due modi di intendere il tricolore: da un lato lo stato con le sue istituzioni e le sue strutture repressive, di contro le masse in lotta con le proprie azioni. Il tricolore assume un significato per gli uni, per i repressori,  e il suo opposto,  per i repressi. Certo, chi si aspetta che le masse scendano in piazza con la bandiera rossa con su i simboli della falce e del martello e magari cantando l’Internazionale, rimane deluso e ne trae le conclusioni stupide ed aberranti che manca il partito e dunque le masse sono destinate inesorabilmente alla sconfitta. Certuni dovrebbero però spiegare come mai e perché in altri frangenti storici quel partito da loro tanto agognato c’era, ma la sconfitta arrivò uguale. Ma fa parte di altra discussione non sempre proficua visti gli interlocutori.

g)    Rosari e manganelli. Certo, c’erano anche donne che pregavano e mostravano rosari e icone sacre alle truci facce dei poliziotti appena nascoste dalla visiera del casco. Ma quello che va capito sono due cose: la prima è che le masse si muovono trascinandosi dietro abitudini, costumi e culture sedimentate in secoli di storia; la seconda cosa invece è che le masse non depongono i rosari e le immagini sacre per terra per ostacolare i poliziotti, ma mettono il proprio corpo a fare forza attiva contro i poliziotti. Chi dovesse guardare alle icone sacre ed ai rosari, rimovendo il fatto che esse sono rette da persone fisiche, cioè da una forza d’urto, commetterebbe errore grave e purtroppo nell’ambito della sinistra anche “estrema” si guarda con occhi ideologici ed idealisti e si traggono conclusioni sbagliate ritenendo prive di contenuti mobilitazioni che altrimenti interpretano e sono il segno tangibile di un movimento antisistema che marcia, ovvero la rivoluzione in cammino. D’altra parte, i Comunisti la storia la analizzano a partire dallo scontro fra forze diverse, che esprimono interessi diversi e contrapposti e nello specifico di Terzigno e zone limitrofe si scontrano la forza di un Sistema che ha imboccato il percorso che lo porterà alla sua dissoluzione, e la forza dell’antisistema che comincia a imboccare un proprio percorso di ricostruzione di valori, necessariamente diversi e contrapposti. Altrimenti detto: i fattori materiali determinati decompongono l’unitarietà preesistente. Il tricolore da ‘uno’ si divide tra due contendenti diversi e contrapposti; la chiesa cattolica da fattore di sopimento sociale e di agguerrito potere finanziario a scala mondiale si divide, da uno si divide in tre contendenti: potere finanziario-ecclesiatico, potere statuale, cioè ramificazione del personale politico e istituzionale nello stato, e masse cattoliche che innalzano rosari e icone sacre ma lottano contro la “loro”  stessa chiesa.  Insomma quelli che manifestano a Terzigno sono una cosa (sempre res è la questione) completamente diversa da quelli che vanno in piazza S. Pietro a Roma per ricever la benedizione ‘Urbi et orbi’, pur avendo nelle mani gli stessi oggetti sacri od anche addirittura se si dovesse trattare delle stesse persone fisiche: a S. Pietro è il Sistema che stancamente si trascina, a Terzigno è l’Antisistema che emerge.

h)     Quale il soggetto che s’avanza. Non ci vuole molto per capire che dalla compressione della molla capitalistica s’avanza un nuovo e potente soggetto storico destinato a svolgere un ruolo sempre più di primo piano. Si tratta di un aggregato sociale che viene spinto alla lotta non da fattori di categorie strettamente legate alle produzioni capitalistiche e dunque per rivendicazioni salariali o normative, cioè di miglioramento di nuclei di lavoratori, ma da un’azione di vera e propria ribellione orizzontale, territoriale, che affascia più categorie sociali, delle classi proletarie che vedono nel degrado del territorio il proprio degrado, un identificare la propria vita con quella del proprio territorio. Altrimenti detto: la condizione ambientale del territorio è la condizione del ‘nostro ambiente’ di vita, la sua distruzione è la nostra distruzione contro cui siamo obbligati a lottare.  Questo nuovo soggetto è destinato non a ridursi ma ad estendersi pur se all’immediato la lotta è rifluita perché in un modo o in un altro sono state recepite le richieste delle popolazioni locali e lo stato è stato costretto ad arretrare. Il punto in questione è che la produzione capitalistica produce sempre maggiori rifiuti e sempre meno smaltibili e dunque la degradazione del territorio piuttosto che ridursi, è destinata sempre di più ad aumentare, intensivamente ed estensivamente, ed il modo di affrontare il problema da parte del Sistema del Capitale con le sue obbligate leggi, va sempre di più nel senso di proporre rimedi peggiori dei mali. Di riflesso, abbiamo non un cumulo di coscienze individuali aggregate, ma una insofferenza di masse proletarie poste nella necessità di ribellarsi. Altrimenti detto: il vero soggetto è ancora una volta il Sistema del Capitale che pone le masse nella condizione di agire quale riflesso-agente ed in questo modo le tramuta da oggetto passivo a soggetto attivo. E dunque  prende corpo quel concetto “Il proletariato si costituisce in classe e si dà in partito politico”., e con esso la coscienza di “classe”.

i)      Vecchio e nuovo proletariato. Proviamo a fare un piccolo raffronto con due fotogrammi a distanza di 100 anni: febbraio 1917 febbraio 2017. Ieri, donne  dinanzi ai forni per il pane, sciopero dei lavoratori tessili, sciopero dei metallurgici, diserzione di soldati contadini dal fronte. Oggi, donne che si scontrano con la polizia per difendere il proprio territorio, il loro ambiente, la propria vita, i propri figli e con esse lavoratori, disoccupati, giovani precari, impiegati, immigrati.  Certo, non siamo ancora all’insurrezione, ci mancherebbe, ma quello di cui bisogna prendere atto è che il nuovo e moderno proletariato, questa nebulosa ancora informe che s’avanza è costretto a porre obiettivi di gran lunga più in avanti ad un Sistema che non è in grado di darle. Il vero punto in questione è questo.

Rischio di rivolta sudista?

Non bisogna sottrarsi ad un’ultima – non per ordine di importanza – questione e cioè se alcune vertenze popolari nel sud dell’Italia come quella dei rifiuti o dei disoccupati, possa sfociare in una vera e propria rivolta contro “il nord d’Italia”. Si tratta di una questione sulla quale al momento circola molta confusione tutta però all’interno delle classi borghesi del sud, compreso qualche vecchio pataccaro pennivendolo al soldo di settori reazionari e fascisti in Calabria che gli fa da editore.

Distinguiamo allora: un conto è il personale politico dei partiti istituzionali di centrodestra che in funzione antileghista del nord si organizzano al sud cercando di rappresentare settori  economici della peggiore feccia imprenditoriale, camorristico-mafiosa e burocratico-statalista. Altra cosa sono le vertenze popolari, sociali  portate avanti da operai, proletari in genere, disoccupati, casalinghe e cosi via. Le due cose non vanno confuse, perché non hanno – allo stato attuale – un comune terreno di interesse al punto da confluire in un unitario movimento “per il Sud”.

A Pianura come a Terzigno, ad Acerra come a Giugliano, sia i partiti di centro destra che di centrosinistra sono stati conniventi con i governi centrali di Prodi prima e di Berlusconi poi. Eppure erano stati votati dai cittadini di questi comuni. Poi tanto ad Acerra, quanto a Terzigno, a Pianura, a Giugliano e cosi via le masse sono scese in lotta contro quegli  amministratori che loro stessi avevano eletti. Ancora una volta siamo alla dialettica della materia: sul piano individuale il cittadino sceglie un partito ed elegge un personaggio, poi deve scendere in piazza contro il termovalorizzatore o la riapertura di una seconda discarica e lotta contro chi ha eletto.

Il punto in questione è se a questo punto della crisi esistono margini – economici, è sempre questa la questione, intorno a cui tutto ruota – di attrazione da parte di settori delle classi burocratico-capitalistiche-camorristiche capaci di attrarre settori importanti di masse lavoratrici in funzione antileghista oppure queste masse proletarie nel tentativo di sottrarsi a un degrado complessivo della propria vita, decidono di scendere in campo a viso aperto rivoltandosi contro il capitalistico nord “italiano” .

Chi dovesse rievocare la disgregazione della ex Yugoslavia come scenario possibile per l’Italia ed il sud dell’Italia in particolare, commetterebbe più di un grossolano errore perché la storia non si ripete mai uguale a sé stessa. Non per ragioni ‘culturali’ come in tanti si affrettano a rassicurarsi, ma perché il contesto economico dell’89/90 era diverso per qualità e quantità all’attuale: in Yugo oltre all’azione esterna dell’imperialismo c’erano ragioni “interne” cioè il rampantismo della borghesia tanto slovena quanto croata di legarsi al carro di una ripresa economica svincolandosi dai costi di uno stato unitario che del welfare  e faceva la sua ragion d’essere, ed un proletariato che illudendosi aveva abboccato all’amo.  Grosso modo quello che successivamente ha propinato la Lega per settori produttivi del ceto medio industriale dell’Italia settentrionale senza arrivare alle estreme conseguenze della secessione armata ed alla guerra fratricida. La paccottiglia della propaganda populista contro “Roma ladrona” per un verso o i conati razzisti contro gli immigrati non sono andati oltre l’elettoralismo, anzi ad onor del vero va detto che nonostante i mille e più tentativi di organizzare “il popolo” in maniera militante, guardie padane, parlamenti del nord, ronde e quant’altro, non si è andati oltre  …l’opinione, l’idea, il pensiero, ovvero il nulla. Un conto è deporre una scheda in un’urna, ben altro è attivizzarsi in maniera militante.

Niente si può escludere in assoluto, ma allo stato delle cose e per come si vanno delineando gli scenari fra le classi, ci sembra di poter escludere rivolte di stampo populiste di natura piccolo borghese antinord, dirette da personaggi alla Lombardo,  Mastella, Ciccio Franco  e cosi via.  Più  probabile che per l’immediato futuro assisteremo a lotte più complessive seppure sporadiche disarticolate, in tutte le regioni a prevalenza nel Sud, ma sparse in tutto il territorio italiano. Ma l’Italia, come ben sappiamo non è fuori dall’Europa o dal mondo, non è su Marte. Dunque….  .

Certo, la lotta dei disoccupati, tanto per stare ad un settore caldo fra quelli proletari, non potrà ripetersi allo stesso modo degli ultimi 30 anni. I disoccupati, a Napoli e nel Sud saranno chiamati sempre di più e per ondate a lotte il cui livello di scontro richiederà ben altro che la sola organizzazione per liste vicine a partiti o gruppi politici.  Se un’insieme di lotte proletarie, di disoccupati, contro le discariche, contro la devastazione del territorio, contro l’impoverimento e la precarietà,contro la mancanza di abitazioni, contro l’immiserimento degli immigrati e cosi via dovesse trovare un flusso unificante dal Sud contro lo stato centrale tendente al nord, assumendo i connotati di una vera e propria rivolta, non sarebbe affatto un rischio, ma un salutare risvolto con cui il resto del proletariato del nord sarebbe chiamato a confrontarsi. E’ nell’ordine delle probabilità.

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2 commenti
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  1. A me il dettaglio che i terzigni fossero addobbati col tricolore e mostrassero icone votive non turba affatto, anzi. Mazzini non avrebbe avuto dubbi. Questo è un buon segno, un grande segno, un segno fantastico.

  2. Ecco il business della contestazione, dei contrari a tutto, che in Italia vogliono l’immobilismo assoluto. Ogni iniziativa sarà sempre ostacolata e rallentata dalle vostre proteste insensate e ideologiche, e questo ci renderà deboli come paese, cosa che del resto voi volete. Anche a sinistra si stanno stufando di voi, come dimostrano le parole del video qui sotto, con il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca (PD) che ve le canta chiare e tonde:

    http://www.youtube.com/watch?v=j6hENm3SWPk

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