Gli intrighi di palazzo, il potere reale, la piazza

dic 16th, 2010 | Di | Categoria: Primo Piano

 

di Antonio Catalano

La giornata di martedì 14 dicembre va bene analizzata per poter arrivare ad una sintesi valutativa utile per le indicazioni politiche che ne possono scaturire.

La fiducia, Berlusconi l’ha ottenuta. Tre miseri voti, ma sufficienti per dare la fiducia. Che siano traditori o venduti poco interessa all’analisi politica, che non può basarsi su parametri di valore di questo tipo. Se poi vogliamo biasimare i biasimevoli onorevoli che sul filo del rasoio cedono il proprio voto allora dobbiamo essere più seri e severi – a rischio di essere equivocati dai soliti cretini – e ricordare come nei momenti “opportuni” i cambi di casacca ci sono sempre stati nella vita del Parlamento italiano. Specialmente da quando la Politica si esprime sul terreno della diretta dipendenza da logiche non politiche.

Il vero sconfitto è il signor Fini e i suoi pre/post/pre-fascisti futuristi, sui quali in molti – nazionali, ma soprattutto internazionali – avevano puntato, semplicemente perché considerato più affidabile dai cosiddetti poteri forti che altro non sono che l’espressione diretta delle concentrazioni economico-finanziarie alle quali tutti si inchinano: i cosiddetti “Mercati”, espressione metafisica dietro la quale si nasconde l’onnipotenza trascendente del dio – non religioso – capitalismo. Il Sole 24 ore titola una sua pagina: “I mercati tifano per un esecutivo più forte”. Cioè un governo stabile e forte capace di dare stabilità su un periodo di medio-lungo termine, per realizzare quelle famose (e antipopolari) riforme strutturali e rilanciare la crescita. I Mercati attendono i risultati del vertice dei capi di stato e di governo a Bruxelles all’Ecofin (Consiglio Economia e Finanza del Consiglio dell’Unione europea) straordinario. Ma nonostante il Financial Times consideri buona la notizia di una mancata  crisi al buio i Mercati per voce della banca internazionale Barclays (la banca dall’ “anima inglese”) in una nota inviata ai suoi investitori sentenzia così: «Sebbene Berlusconi abbia vinto il voto di fiducia, l’instabilità politica è destinata a permanere in Italia. Senza l’appoggio dei finiani moderati nell’attività governativa, Berlusconi continuerà a soffrire per l’assenza di una maggioranza stabile alla camera». Un’altra voce dei Mercati, Bnp Paribas (“la banca per un mondo che cambia”, “leader europeo nei servizi finanziari di portata mondiale”) riferisce che «il governo si è indebolito… l’abilità del governo di varare leggi ne è uscita altrettanto indebolita». Passando ad un’altra voce del Mercato, diamo la parola al duo Newton-Santovetti della giapponese Nomura Research che afferma l’importanza della stabilità politica in Italia «prerequisito fondamentale della crescita economica». Concludiamo questa carrellata di voci del Mercato, con la nostrana presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, la quale auspica una «maggioranza significativa» e quindi «un allargamento della maggioranza» per fare le famose riforme che solo un governo forte e stabile può prendere perché si tratta appunto di «decisioni anche impopolare e complesse».

Insomma, i Mercati premono per il Governo delle tre emme: Marchionne, Montezemolo, Marcegaglia. Sarebbe utile ed interessante spingere l’analisi all’individuazione dei soggetti politici che propendono per questa soluzione.

Il Palazzo deve, ora, riprendere l’opera di tessitura e, spuntata la lancia futurista, considerare alla svelta nuove ipotesi. L’immarcescibile ex democristiano doroteo Casini è sempre lì pronto ad esercitare il suo potere di interdizione, in attesa di poter vendere cara la sua pelle (altro che traditori!). Nella cosiddetta opposizione, D’Alema, che ritiene essere la politica una «scienza semplice, basta ragionare», lascia balenare l’ipotesi della inevitabilità del ricorso alle elezioni, «lo sbocco più logico», ma senza aver prima rinunciato allo spiraglio di un esecutivo di transizione, «la prospettiva di un’alleanza con Fini e Casini resta in piedi, il voto a Montecitorio non la esclude».

Al di là di tutti i magheggi possibili non sembra evitabile il ricorso alle elezioni, anche se ognuno ci vorrebbe arrivare con i migliori margini di manovra a sé favorevoli. Resta il  fatto che la presunta opposizione di sinistra, dopo aver sbraitato per anni ed anni contro Berlusconi e il berlusconismo, non è stata capace di ipotizzare se un non un governo tecnico di unità nazionale, con la paura che se la fa sotto di poter registrare un’altra sconfitta elettorale. Il vero “paradosso democratico” al quale abbiamo assistito è che si rimprovera Berlusconi di aver instaurato un regime semi-tirannico ma poi si teme come il diavolo l’acquasanta il ricorso alle urne. Sia detto per inciso, il sottoscritto non nutre nessuna fiducia in questo tipo di parlamentarismo, espressione “democratica” della voce del “padrone”, veri cambiamenti strutturali dovranno passare necessariamente per altri luoghi, ma questi luoghi non potranno esprimersi coerentemente contro le politiche affamatrici, devastatrici, disgregatrici, belliciste, se non pesantemente condizionati (e qui il condizionamento è fortemente auspicabile) da programmi politici anticapatilisti e comunisti… ma questo per ora è un discorso da rimandare.

Veniamo ora a quanto accaduto in piazza. Grande manifestazione (non solo a Roma, ma principalmente a Roma) sfociata in scontri con le varie “forze dell’ordine” preposte alla tutela dei luoghi sacri istituzionali. Era da tempo che in Italia non si assisteva a momenti di tensione come questi, eravamo abituati negli ultimi anni a commentare epiloghi violenti di eventi calcistici, (che solo i fessi pensano che riguardi il solo calcio). C’è chi a tutti i costi vuole individuare analogie col passato ricordando il Settantasette, allora c’erano i violenti autonomi oggi invece gli anarco-insurrezionalisti black bloc. Ma proviamo ad andare oltre. Se accadono cose simili in Grecia e in Inghilterra, per rimanere alla vicina attualità, vuol dire che qualcosa sta succedendo, i black bloc non c’entrano nulla, lasciamo quest’argomento ai disonesti o, al massimo, ai superficiali. Accade che le certezze vagheggiate nei “magnifici” anni Ottanta si sono rivelate per quello che erano, pura ideologia al servizio della restaurazione capitalistica diretta da centrali internazionali quali il FMI, il WTO, la Banca Mondiale, le grandi artefici della globalizzazione contrabbandata per necessità divina alla quale devotamente sottomettersi. Si sono distrutti gli stati sociali figli della fase precedente, e i sistemi di tutela a difesa dei lavoratori e delle classi popolari. Bisognava farla finita con le garanzie: basta con la fissa del posto fisso e garantito! urlavano i pennivendoli e sicofanti di turno. L’eco di queste parole veniva ripreso da tutti gli asserviti alle logiche sistemiche del capitalismo rampante e dai comunisti delusi/disillusi/pentiti e le nuove generazioni erano così educate all’ideologia del “chi vuole può”, del chi “rampa” ce la può fare, insomma della concorrenza sfrenata fra gli individui parcellizzati e atomizzati. La lotta al “parassitismo” diventava l’esca avvelenata a cui purtroppo molti hanno abboccato per virtù o necessità. Flessibilizzazione totale della vita sociale (oltre che del lavoro) e precarietà come nuovo sistema di vita contrabbandato come condivisione della modernità. San Precario diventava l’unico santo cui potersi rivolgere. L’ubriacatura è andata avanti per tanto troppo tempo finché non si è scoperto che questa società fluida e fantasmagorica era nuda come il famoso re, e così il senso di frustrazione un po’ alla volta prendeva il sopravvento, alimentato dal brutto presentimento di non avere un futuro migliore dei propri genitori dinanzi a sé. Oggi solo la pubblicità è rimasta a raccontare questa favola, ma la realtà è un’altra: vita sempre più dura e difficile, lavoro – quando c’è – penoso e sottopagato, isolamento in una società atomizzante. Si poteva mai pretendere che questa nuova generazione continuasse a fare i girotondi e si comportassero alla mulino bianco? Eh no, cari difensori dell’esistente! Il mondo gira diversamente, e quando non gira per il verso giusto fa girare veramente. Fuori da ogni ipocrisia e dissimulato stupore. Una volta si gridava nelle piazze: «C’est ne que un debut continuon le combat!», «Non è che l’inizio continuiamo a combattere!».

Ma per continuare a combattere con le giuste armi bisogna che si faccia un po’ di chiarezza, senza lisciare il pelo a nessuno. Giusto scendere in piazza contro i tagli all’università e alla scuola, (ricordiamoci sempre, però, che la logica aziendalistica nel sistema istruttivo l’ha introdotta la sinistra sin dai tempi del ministro Luigi Berlinguer), anche se in piazza c’erano anche lavoratori della Fiom oltre che una folta delegazione dei terremotati dell’Aquila e dei movimenti napoletani contro le discariche. Nel suo insieme la piazza ha mostrato forte dipendenza da certo “antiberlusconismo” di sistema (che quando ha governato ci ha dispensato scellerate politiche liberiste di svendita del patrimonio pubblico, attacco alle pensioni, privatizzazioni, oltre che guerra), che in questa piazza vedeva un suo alleato (salvo poi dissociarsi ex post dalla violenza);  non a caso la piazza si è accesa quando è giunta notizia del superamento per soli tre voti dello scoglio della fiducia. A precisazione contro i soliti imbecilli e quelli in malafede: il sottoscritto ritiene essere il governo Berlusconi un governo pesantemente antipopolare, è giusto che cada anzi precipiti; ma questo è bene che accada solo sotto le sferzate della protesta sociale e delle lotte che da essa si sviluppano, non per intrighi di palazzo e per giunta per i forti condizionamenti internazionali che ritengono non più affidabile questa compagine governativa (e non per questione di escort, sesso, e bordellame vario). Questione di lana caprina? Altro che! È questa la pre-condizione di ogni condizione, la vera riserva di valore per i futuri movimenti che, inevitabilmente, riguarderanno ben più consistenti settori sociali. Si tratta dell’autonomia politica che può darsi solo a condizione che sia fuori da ogni condizionamento di frazioni politiche interne al Palazzo. Solo così si potrà evitare di cadere dalla padella alla brace… e di bracieri in attesa di essere riempiti ce ne sono tanti.

Per ultimo passiamo al tema della violenza. Nella storia mai c’è stato rinnovamento sociale, non parliamo di rivoluzioni, che non sia passato per le forche caudine dello scontro sociale anche violento. La violenza è nei rapporti sociali che questo sistema capitalistico determina, è nell’annullamento di ogni forma di garanzia e protezione delle fasce più “deboli”, è nei morti sul lavoro e via continuando. Perché scandalizzarsi se ogni tanto un po’ di questa violenza ritorna al mittente, anche se in forma e ad intensità infinitamente più lievi? Ma perché questa forza abbia efficacia e sia al servizio di veri e profondi percorsi di liberazione è necessario che coltivi quell’autonomia politica di cui prima si scriveva; altrimenti, tutto si riduce a discutere di black bloc e di vetrine di negozi assicurati. Ed è un rimanere imprigionati nella conformista e perbenista distinzione fra buoni e cattivi. Film già visti e di cui francamente non se ne sente la mancanza. Conclusione provvisoria sul tema: il terreno dello scontro fisico è un necessario complemento del passaggio da una fase di illusioni pacifiste ad un’altra di consapevolezza della posta in gioco. Saperle dare ma anche sapersele prendere. Mai, però, lamentarsi della durezza delle forze dell’ordine, denunciarne l’uso politico e servile allo stato capitalista sì. Negli anni Settanta c’erano tanti “rivoluzionari” che propagandavano e vivevano lo scontro con gli apparati repressivi dello “Stato borghese”, salvo poi lamentarsi delle conseguenze repressive e ricorrere democraticisticamente ai vari padrini politici inseriti nelle istituzioni. Lasciamo stare.

La giornata di martedì 14 dicembre (due giorni dopo la ricorrenza della strage capitalistica di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, in cui morirono diciassette persone) è stata una giornata illuminante sotto tutti i punti di vista. Capire quel che accade, affilare le armi della critica, nella consapevolezza che il passaggio alla critica delle armi sarà decisa dalla durezza dello scontro sociale che sempre più chiaramente ci metterà nella condizione di individuare gli oppressori e i rispettivi servitori.

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9 commenti
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  1. Perplessità:

    a) “restaurazione capitalistica”. Quando mai il capitalismo è stato “restaurato”? Capisco cosa vuoi dire, ma la cosiddetta “globalizzazione” è una risposta alla crisi e la crisi è dovuta ai meccanismi di accumulazione, che prima funzionavano e ora, in Occidente, non funzionano più. Ma sempre meccanismi di accumuilazione capitalistica erano, anche se c’era un compromesso sociale (che non è una novità nella storia del capitalismo, basta pensare a Bismark nell’800 o all’India dopo l’indipendenza, se non ci si vuole fermare alla solita Europa del dopoguerra).

    b) Piazza Fontana “strage capitalistica”? Ci sarebbe da discutere sul termine – che per me è inesatto e ritengo tutta la frase è solamente evocativa. Piazza Fontana fu una strage che doveva permettere al socialista da sempre, antifascista, scampato alla fucilazione e padre della patria Giuseppe Saragat di proclamare lo stato d’emergenza per meglio reprimere le rivolte operaie e studentesche. Piano che fu sventato dal democristiano doroteo Mariano Rumor.
    Entrambi amici degli USA, entrambi anticomunisti e sostenitori del sistema capitalistico.
    Strategie (e timori) differenti: il destro Rumor era più democratico del sinistro Saragat.

  2. Hai fatto bene a mettere in evidenza la non correttezza dell’espressione restaurazione. Infatti, la mia, è stata una forzatura, ben sapendo che di nessuna restaurazione si tratta, bensì di quel processo che porta al superamento degli assetti precedenti costruiti in fase “affluente”.
    Anche la qualificazione di capitalista per la strage del 12 dicembre 1969 è stata volutamente una forzatura, nata dall’intenzione di mettere in evidenza la strutturale e interna logica di sistema che genera questa strategia. Avrei potuto scrivere strage di Stato, ma questa formula, che pure per tanti anni ho usato insieme a tantissimi compagni, non mi convince più, in quando la trovo un po’ generica e “deresponsabilizzante”. Se proprio vogliamo essere più precisi, penso che la strage di piazza Fontana, come tutta la strategia stragista, nasca negli ambienti filoatlantici.

  3. Condivido l’intero articolo. Mi lascia invece alcuni dubbi la parte relativa alla violenza.

    La violenza, senza dubbio, è insita nelle relazioni capitalistiche e quella dell’apparato poliziesco è l’ultima ruota del carro di una violenza che inizia dai rapporti di sfruttamento, dalla competizione sociale, dall’esclusione, dall’emarginazione, dall’isolamento e dalla dissoluzione nichilistica sistemica.

    Per rovesciare un ordine costituito spesso, purtroppo, la violenza è necessaria, alla faccia di tutti i pacifismi e teorie oniriche della non violenza del tutto strumentali allo status quo. E spesso è necessaria la violenza anche per ottenere semplici conquiste sociali, diritti, garanzie, una vita migliore sul piano materiale e non. La violenza dunque è sempre stata e sempre sarà parte integrante dello scontro sociale, sia quello rivoluzionario (intermodale) che quello rivendicativo (comunque sacrosanto e legittimo).

    Il punto però è che la violenza deve essere sempre e comunque subordinata strettamente ad una strategia politica. La violenza é un semplice mezzo da usare con parsimonia, intelligenza e selettività, nel momento opportuno e nelle “giuste” proporzioni”. La violenza non può mai essere un fine, né uno sfogo, né un atteggiamento, né una modalità esistenziale o di costume, né soprattutto un’estetica interna al circuito dello spettacolo.

    Nel caso in cui la violenza è puro spettacolo nichilistico di costume (qual è stata parte della violenza ridicola dei fatti di Roma del 14 Dicembre), deve essere condannata. Non moralisticamente, ma POLITICAMENTE, come forma nichilistica interna al gioco dello spettacolo capitalistico.

    Alcuni episodi degli scontri di Roma (dal pestaggio del poliziotto, alle macchine e i cassonetti in fiamme, gesti totalmente inutili, spettacolari e interni al circuito della guerriglia estetica) fanno parte della violenza nichilistica politicamente esecrabile (POLITICAMENTE, ripeto, non moralisticamente). La tensione sociale naturalmente é altissima, ed è normale e giusto che sia alta. In questo senso sono vergognosi tutti quegli interventi di tipo moralistico che impongono al discorso politico il prerequisito della condanna generica della violenza “tout court”. Dio ce ne liberi e scampi.
    Tuttavia è politicamente necessario che la tensione non diventi occasione di liberazioni di sfoghi di tipo puramente nichilistico ed antisociale.

    Per me il punto di distinzione è questo.

  4. Sono assolutamente d’accordo con l’intervento di Lorenzo. Inoltre, bisogna considerare a chi è giovato, chi ha tratto benefici da questa violenza? Il cosiddetto “Movimento”, una prospettiva rivoluzionaria in questo Paese, quand’anche una critica consapevole e non retorica a questo governo? No, tutto il contrario. Dopo le violenze folkloristiche del 14 dicembre si è assistito invece soltanto allo squallido spettacolo di una rappresentazione in cui da una parte ci stavano i buoni (le istituzioni, il parlamento, gli apparati repressivi) e dall’altro i cattivi (i violenti e i “vandali”) e che ha fatto sì che il ministro La Russa si potesse permettere, quasi indisturbato, di aggredire verbalmente uno studente.
    Ripeto: a chi è giovato? Che risultato ha ottenuto?
    La violenza, in momenti rivoluzionari e sotto una precisa direzione politica, è purtroppo necessaria. Ma in questo modo diventa una fotocopia degli scontri da stadio(anche le pratiche sono le stesse con l’incendio delle macchine della polizia, tra l’altro messe lì proprio come valvola di sfogo e per l’individuazione dei soggetti da arrestare) che non può portare a nulla se non l’aumento della repressione.

  5. Rispondo a Lorenzo (ma a nche a Rodolfo). La parte finale dell’articolo sulla violenza ribadisce che la violenza nella storia vi è sempre stata, ed ha accompagnato tutti i passaggi fondamentali; rispondo così a quelli che pensano di liquidare la questione in modo moralistico. Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro, ma evidentemente non è così. Scrivevo che “perché questa forza abbia efficacia e sia al servizio di veri e profondi percorsi di liberazione è necessario che coltivi quell’autonomia politica”. QUESTO E’ IL PUNTO NODALE DELLA QUESTIONE. Per essere chiari: ritengo che ciò ha caratterizzato lo “spirito” della piazza è la mancanza di autonomia politica dallo schieramento che pensava di sfiduciare Berlusconi nel Palazzo utilizzando la sfiducia della piazza. Gli “scontri” che ci sono stati sono figli di una concezione autorefenziale e infantile che si riduce a considerare le forze dell’ordine la controparte per eccellenza… anche quando queste hanno dimostrato (come nel caso di martedì) che non c’era intenzione di rispondere “per le rime”.

  6. Direi che ci siamo intesi!

  7. Credo che quest’articolo debba essere distribuito fra quella meravigliosa gioventù che il 22 dicembre ha dato una lezione di civiltà a tutto il paese.

  8. Credo che quest’atricolo debba essere distribuito alla meravigliosa giuventù che il 22 dicembre ha dato una lezione di civiltà e maturità a tutto il Paese. Hanno fatto il primo importante passo la non violenza come arma di scontro sociale. Cominciano a percepire la realtà per quello che è ma la giovane età, il fatto di non conocsere la realtà del mondo del lavoro, la relatà dei “palazzi”, l’asservimento della società al padrone e, soprattutto, la flasa istruzone del regime borghese che sta in piedi sulla produzione e cirolazione di denaro nero, gli impedisce di comprendere appieno la complessa realtà in cui troviamo. Questo articolo potrebbe dargli un interessante strumento soprattutto verso l’autonomia politica dal partitismo tutto asservito al potere.

  9. Grazie Mariano. Per quello che puoi cerca di dare il tuo contributo alla diffusione dell’articolo.
    Antonio

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