Contro l’interventismo “umanitario” bombardatore. Fuori l’Italia dalla guerra, no alle ingerenze imperialiste. Solidarietà alla Libia

mar 22nd, 2011 | Di | Categoria: Primo Piano

Comunicato del laboratorio politico Comunismo e Comunità

Da ormai quattro giorni persiste l’attacco aereo contro la Libia ed i bombardamenti hanno già prodotto decine di morti e distrutto importanti infrastrutture del paese. L’aggressione, di pieno carattere neocoloniale e imperialistico, è stata avallata da un’opportunistica e ambigua risoluzione del consiglio di sicurezza dell’ONU approvata dalla maggioranza dei membri con l’astensione di Russia, Cina, India, Brasile e Germania. Tale risoluzione, partendo dalla declamata esigenza di creare una zona di interdizione aerea sui cieli libici, sta avallando di fatto (anche se formalmente non li prevede) i bombardamenti condotti dalla coalizione delle potenze imperialistiche “volenterose”: Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti in primis con l’ausilio di altri paesi, tra cui l’Italia, che ha concesso le proprie basi militari ed inviato suoi aerei da combattimento.

Ancora una volta, con la scusa grottesca dell’intervento umanitario, i paesi occidentali violano militarmente un paese sovrano. La scusa questa volta è stata una ribellione di gruppi dissidenti interni alla Libia da sempre ostili a Gheddafi, circoscritti peraltro alla regione della Cirenaica. Una ribellione almeno in parte foraggiata fin dal principio con armi, denaro e appoggio logistico dagli stessi paesi oggi in prima fila nel lanciare bombe sulla Libia. Questa ribellione armata, che ha ovviamente anche le sue componenti endogene, è stata tuttavia presentata falsamente come rivolta popolare generalizzata, alla stregua delle rivolte popolari avvenute in Tunisia ed Egitto. Per giorni i media al fine di preparare l’opinione pubblica ad accettare la soluzione “inevitabile” dell’intervento armato hanno insistentemente descritto uno uno scenario inesistente: quello cioé di una massa inerme rivoltosa e di un regime spietato che bombarda la folla e il suo stesso popolo. Fonti numerose, analogamente a quanto accadde in Jugoslavia, hanno poi smentito molte delle immagini e dei racconti ad alto impatto emotivo che venivano riportati.

Lo scenario reale interno, va detto, non é di immediata e semplice comprensione e probabilmente sarà conoscibile pienamente quando gli eventi prenderanno una direzione più chiara.  Tuttavia a grandi linee si può dire che vi sia stata ed è in corso una ribellione armata  relativamente ristretta e territorialmente limitata, di cui non è affatto chiara la composizione sociale e che non ha mai esplicitato con chiarezza quali siano i suoi obiettivi politici (salvo il generico rovesciamento di Gheddafi) e i suoi riferimenti (salvo esporre a più riprese la bandiera della Libia monarchica e filo-coloniale del Re Idris, rievocando così il passato di avamposto dell’imperialismo). A tale ribellione armata il governo libico ha reagito duramente (se la reazione sia stata più o meno sproporzionata o totalmente fuori misura e criminale è assai difficile saperlo) . E’ cosa certa, tuttavia, che alle armi si è risposto con le armi e che, come sarebbe avvenuto in qualsiasi altro paese del mondo, un esercito armato ha risposto ad una ribellione armata. Negli ultimi giorni degli scontri tra truppe governative e ribelli, l’esercito aveva recuperato gran parte del territorio libico finito sotto il controllo dei rivoltosi e la situazione sembrava volgere al termine (vi era stata anche una proposta governativa di cessate il fuoco e amnistia generale per i ribelli). Nel frattempo i paesi sudamericani dell’ALBA avevano proposto una soluzione diplomatica di mediazione congiunta di tutti i paesi per favorire il cessate il fuoco.

Le potenze interventiste, consce del rischio di una situazione che andava normalizzandosi poco a poco), avevano fretta di entrare in scena, determinare per vie dirette la caduta del governo libico (evidentemente fallita tramite la ribellione) e spartirsi le ingenti risorse energetiche del paese strappandole prima di tutto ai libici e in secondo battuta alle potenze concorrenti (tra cui l’Italia) che usufruivano di contratti in loco. E così in fretta e furia, facendo leva sulla cosiddetta “legalità internazionale” si sono adoperati per scatenare quella che si configura contemporaneamente come una guerra di aggressione neo-coloniale e una guerra “mondiale” tra blocchi geopolitici e tra potenze, dove da un lato vi sono gli Stati Uniti e i loro accoliti francesi e inglesi (dove i francesi guidati dal cinico Sarkozy, ormai padre consolidato dell’occidentalismo di regime, appaiono come i più determinati ad assumere un ruolo di spicco); dall’altro vi sono altri paesi emersi come potenze sempre più insofferenti verso la volontà di egemonia (ormai solo politico-militare, non più economica) del blocco occidentale. In proposito va sottolineata l’apparente stranezza del mancato veto posto da Russia e Cina che dall’alto del loro ruolo, avrebbero potuto bloccare la risoluzione ONU. Probabilmente, alla luce delle nette dichiarazioni di indignazione dei due paesi all’indomani dell’attacco si è trattato di un atteggiamento guidato dalla paura che la guerra sarebbe stata ugualmente scatenata, ma sotto l’egida NATO (quindi totalmente fuori dal loro controllo). Da sottolineare lo scontro interno (di cui da tempo vi erano segni premonitori di difficile interpretazione) manifestatosi in Russia tra Putin (cha ha usato parole coraggiose e chiarissime) e Medvedev (che le ha ufficialmente respinte e ridotte a opinione personale del presidente).

L’Italia si trova a giocare la parte più paradossale, imperialistica e insieme servile verso nazioni terze, in quanto paese legato da propri interessi consolidati con la Libia nonché da un trattato di amicizia e reciproco rispetto sovrano, avvenuto con tanto di risarcimento dei crimini coloniali. Il nostro paese si è lasciato vilmente trascinare nella criminale avventura bellica fondamentalmente per due ragioni: 1- ha subito pesantissime pressioni esterne poiché le sue basi mediterranee erano la condizione per un comodo attacco non basato soltanto sul dispiegamento di portaerei in mare; 2- ha ceduto vigliaccamente alle pressioni non solo per paura di ritorsioni, ma anche per sperare di ottenere le briciole della spartizione coloniale della Libia posto che probabilmente la guerra sarebbe stata scatenata ugualmente. Un atteggiamento dunque della peggior specie: prepotente, imperialista e servile.

Il governo (con l’eccezione delle Lega) e l’opposizione (quest’ultima con maggior convinzione e protervia umanitaria), (fatta salva l’IdV) hanno votato a favore del coinvolgimento del paese nell’attacco. Di rilievo la posizione quasi fanatica espressa più volte dal nostro presidente della Repubblica prodigo nel ribadire l’importanza dell’intervento umanitario, legandolo tra l’altro sciaguratamente alla celebrazione dell’unità d’Italia, scatenando quella nazionalizzazione imperialistica delle masse (oggi umanitaristica, ieri razzista, ma ugualmente suprematista) che è il vero scivolamento ed effetto collaterale principale verso cui precipita il senso di appartenenza nazionale (di per sé elemento di forza e solidarismo) quando egemonizzato da forze sistemiche.

Il governo ha mostrato e mostra tutt’ora un evidente imbarazzo nella gestione della vicenda, proprio perché stretto tra i due fuochi dei suoi stessi interessi energetici e geopolitici e della paura di emergenza immigrati di vaste proporzioni, da un lato, e delle pressioni ricevute dalle potenze protagoniste dell’attacco nonché dalla volontà di spartirsi le briciole del paese neo-colonizzato, da un altro lato. Di qui le posizioni di attuale prudenza che però, malgrado le spinte leghiste, non si traducono al momento in nessuna significativa scelta di ripensamento almeno neutralista (come ad esempio ha fatto la Germania fin dall’inizio, naturalmente per proprio interesse).

Siamo di fronte ad un vasto tentativo  di riposizionamento strategico delle grandi potenze, in primis degli Stati Uniti (il cui ruolo è in apparenza mascherato dal protagonismo anglo-francese) che tramite le continue aggressioni belliche, le rivoluzioni colorate e le pesanti ingerenze negli affari delle nazioni sovrane tentano di mantenere la propria egemonia nel mondo arginando la forza e l’influenza delle nuove potenze emerse. Come in tutte le fasi di declino, lo scontro interimperialistico diventa diretto ed acceso e chi ne fa le spese sono i popoli e gli Stati che assumono posizioni scomode di autonomia decisionale magari optando per strategie geopolitiche indipendenti.

La Libia di Gheddafi, nel 2003, a seguito dell’invasione dell’Iraq fece scelte in chiave di “riappacificazione” con l’occidente e sottomissione ai voleri nord-americani ed Europei, in buona parte proprio per evitare di finire sotto i colpi assassini delle bombe umanitarie. Le privatizzazioni (parziali) e le liberalizzazioni dell’economia libica evidentemente non sono bastati per accontentare l’imperialismo USA e le scelte geostrategiche di Gheddafi favorevoli alla formazione di un accenno di asse geopolitico inedito (Italia, Russia, in parte la stessa Germania) gli sono costate care.

Inoltre l’Africa, come il MedioOriente e l’Asia centrale è un continente che fa gola alle potenze imperialiste (tra i paesi europei spicca la Francia che ha sempre mantenuto il suo legame post-coloniale), sia come “discarica” delle scorie radioattive, sia come sorgente di rifornimento energetico ed infine come asse geografico di scontro con l’espansione commerciale cinese.

Non possiamo che denunciare con fermezza l’ennesima guerra “umanitaria” devastatrice ribadendo il principio di sovranità degli Stati e dei popoli manipolato ancora una volta dalle Nazioni Unite tramite un vero e proprio colpo interno delle nazioni occidentali.

I problemi interni alla Libia sono e restano problemi della Libia, nei confronti dei quali l’unica ragionevole soluzione è quella di una mediazione diplomatica promossa da tutti i paesi di concerto al solo fine di evitare spargimenti di sangue da una parte e dall’altra (senza ingerenza alcuna nelle scelte politiche sovrane del popolo libico). Ma questo non è naturalmente l’obiettivo dei paesi che hanno scatenato la guerra, dal momento che mentre scriviamo la popolazione del Bahrein è sotto occupazione militare saudita e subisce i colpi della repressione del proprio governo; analoga repressione governativa avviene nello Yemen; la Costa d’Avorio è insanguinata da una nuova guerra civile, i palestinesi subiscono la quotidiana repressione dei corpi di sicurezza israeliani e  rimangono imprigionati in uno Stato occupato senza sovranità. La sicurezza e la tutela dei civili privati di diritti e libertà non è evidentemente la preoccupazione delle potenze imperialiste.

La posizione da assumere in queste ore non può essere ambigua.  Slogan opportunistici “né Gheddafi, né la guerra” non possono trovare spazio. I giudizi per certi versi anche negativi sul governo Gheddafi e le dinamiche, senz’altro complesse, interne al paese libico fanno parte di tutt’altro piano del discorso che non può essere confuso con le urgenze attuali. Se lo si fa si cade nella confusione interpretativa finendo per legittimare indirettamente l’ottica suprematista e la protervia interventista dei paesi occidentali.

Quello che oggi dobbiamo reclamare con urgenza qui in Italia é:

1-l’immediato ritiro dell’Italia dalla guerra d’aggressione.

2-la chiusura di tutte le basi militari alle forze armate aeree straniere.

3-l’assunzione esplicita da parte dell’Italia di una politica autonoma e sovrana di contrarietà all’aggressione militare e di riabilitazione del trattato di non aggressione e non ingerenza italico-libico.

Esprimiamo inoltre un messaggio di esplicita solidarietà alla Libia aggredita, rivendicandone il diritto naturale alla resistenza contro gli occupanti.

Ci sentiamo vicini a tutti quei comunicati che sono stati diffusi in questi giorni i cui contenuti e le cui priorità si accostano a quelle qui espresse. Ribadiamo inoltre la necessità di un coordinamento il più ampio e trasversale possibile di tutte le forze contrarie alla guerra e favorevoli all’assunzione da parte dell’Italia di una politica autonoma di pace.

La redazione

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19 commenti
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  1. L’assemblea cittadina riunitasi ieri sera presso la Casa dei diritti di via Giolitti a Roma ha deliberato una manifestazione cittadina contro l’aggressione alla Libia per martedì 29 marzo che sarà preceduta in questi giorni da iniziative di protesta presso sedi di partiti ambasciate ministeri e Quirinale. L’assemblea ha espresso l’auspicio che si vada in tempi breve ad una manifestazione nazionale da – sarebbe auspicabile – tenersi a Napoli in quanto sede del comando operativo Nato ubicato a Capodichino.

  2. Ottimo! Forse non riusciremo a far cambiare le sorti del conflitto, ma è necessario far sentire la nostra voce di dissenso!

  3. Ottimo, ma utilizziamo anche questa, “26 MARZO 2011 h.14.00 – ROMA, pz. della Repubblica manifestazione PER L’ACQUA BENE COMUNE e NO AL NUCLEARE

  4. Potre condividere quasi tutta l’analisi. Trovo però due “rospi” che non so ingoiare:
    1) È troppo sbrigativo il giudizio dato sulla «ribellione dei gruppi dissidenti interni alla Libia». Proprio perché si sa poco, e lo dite anche voi («Lo scenario reale interno, va detto, non é di immediata e semplice comprensione e probabilmente sarà conoscibile pienamente quando gli eventi prenderanno una direzione più chiara»), non si capisce perché cediate più facilmente all’interpretazione ostile. Date cioè facilmente credito ad alcuni dati non del tutto certi («Una ribellione almeno in parte foraggiata fin dal principio con armi, denaro e appoggio logistico dagli stessi paesi oggi in prima fila nel lanciare bombe sulla Libia») anche se forse plausibili ( ma in che misura c’è stato questo appoggio? È l’elemento determinante? Come fanno se non nelle mitologie i rivoltosi (di quasiasi epoca o parte del mondo) ad essere belli, duri e puri al 100%? Anche la nostra resistenza al fascismo non fu «almeno in parte foraggiata» dagli alleati?). Oppure agite solo reattivamente alla propaganda ad essi favorevole: siccome questa ribellione armata « è stata tuttavia presentata falsamente come rivolta popolare generalizzata, alla stregua delle rivolte popolari avvenute in Tunisia ed Egitto» ( ma anche in quei casi era/è tutt’oro quello che luccicava?), voi siete spinti a dire il contrario. Direi almeno: calma e gesso;
    2. È pregiudiziale e non argomentato il rifiuto dello slogan (sintetico come tutti gli slogan) “né con Gheddafi, né la guerra”. Perché sarebbe opportunistico e non può (deve) «trovare spazio»? È uno slogan che viene facilmente in mente a chi non digerisce Gheddafi (come minimo quello degli ultimi tempi) né – da pacifista o da antimperialista – la guerra. E non vuole pensare solo in termini puramente geopolitici, cioè regolarsi solo sulle mosse delle grandi e medie potenze, scegliendo tra esse il “male minore”. Non capisco perché una pista d’analisi di questo tipo voi la scartiate a priori, affermando che farebbe parte di «tutt’altro piano del discorso» (quale?) o dovrebbe essere accantonata, date le «urgenze attuali» (quali?) o legittimerebbe «indirettamente l’ottica suprematista e la protervia interventista dei paesi occidentali». A me non pare. Non mi pare che qualsiasi presa di posizione si possa prendere oggi in Italia da parte di minoranze ancora pensanti debba essere presa “urgentemente” come se potesse pesare nei giochi reali delle potenze che si combattono o sul torpore di massa dovuto alla massiccia propaganda al servizio degli “umanitarismi” bombardatori. Né vedo perché lo slogan suddetto «indirettamente» li agevolerebbe. Se siete in grado di spiegarmelo, sono disposto anche a cambiare idea.

  5. Obiezioni interessanti e sensatissime, cui provo a risponderti:

    1- La situazione interna, come è stato specificato, non è di immediata interpretazione. Tuttavia alcuni elementi fanno riflettere e permettono di prendere una (almeno provvisoria e sicuramente prudente) posizione al riguardo. In primis il movimento è geograficamente limitato ad un’area del paese storicamente ostile a Gheddafi, la Cirenaica. Questo di per sé è un fattore che non lascia pensare ad una ribellione a carattere popolare diffusa. Si potrebbe però obiettare che potrebbe trattarsi di una genuina ribellione pur sempre popolare quand’anche localizzata. Ebbene qui emergono altre obiezioni. I ribelli erano armati fin dal principio, anche massicciamente e appare quanto meno strano che una rivolta popolare inizi come rivolta armata senza una fase propedeutica prolungata di manifestazioni di piazza. Viene il forte sospetto che i rivoltosi siano stati organizzati dall’esterno (ciò non toglie che abbiano “le loro ragioni”, ma deve fra riflettere sul loro ruolo puramente strumentale e il loro totale asservimento, se così fosse, agli interessi stranieri).
    Inoltre vi è un ultimo elemento importantissimo. I rivoltosi non hanno al momento mai espresso un “programma” benché minimo di carattere politico e dei riferimenti. Non si capisce assolutamente che posizioni abbiano e le ragioni della loro ribellione armata, poiché tali ragioni non sono state espresse mai (e si sono limitate al generico abbattimento del dittatore). Questo vuoto simbolico e politico (colmato solo dall’inquietante presenza costante della bandiera della Libia monarchico filo-britannica) non lascia ben pensare circa il carattare genuino e popolare che la ribellione potrebbe avere in linea teorica.
    Infine l’ultimo elemento è lo scorrere degli eventi ex-post che rende la lettura meno difficile di quanto potesse esserlo prima dell’attacco. Il fatto che, almeno ufficialmente, parte dei ribelli stiano accettando senza colpo ferire l’intervento straniero dimostrerebbe la totale subalternità degli stessi alla volontà di potenza neo-coloniale. Questo è un punto decisivo che non ha nulla a che vedere con la complessità e la non purezza di una rivolta. E’ chiaro che le rivolte e le rivoluzioni non sono mai state e mai saranno pure. Lenin prese i soldi dai prussiani; la resistenza antifascista e, soprattutto, antitedesca in quel frangente scese a patti (non tutta per la verità) con gli invasori angloamericani; e di esempi se ne possono fare a decine. Tuttavia accettare un intervento armato straniero da parte di potenze coloniali per liberarsi di un proprio governo (che comunque sia resta legittimo, per quanto possa non piacere e gode di un favore relativamente ampio del popolo libico) è un’aberrazione concettuale che può avere due cause: o una totale subalternità politica “ingenua” e suicida a forze esterne; oppure una reale compromissione d’interessi con queste ultime. In entrambi i casi qualcosa di non difendibile.
    Naturalmente la natura esatta della ribellione sarà molto più chiara con il trascorrere dei giorni e soprattutto con il trascorrere dell’aggressione neo-coloniale. Sarà più chiaro soprattutto se è vero che i ribelli stanno accettando felicemente l’intervento imperialista oppure se parte di essi (come tra l’altro sembrava alla vigilia) sono ostili a tale intervento e rifiutano le ingerenze (e magari sono solo oscurati dalle televisioni e dalle notizie).

    2- Per quanto riguarda il secondo punto la risposta è più immediata. Gli slogan “né….né” sono una costante che si ripete dall’aggressione alla Serbia nell’ormai lontano 1999. 12 anni di “né …né” da parte di una sinistra più concentrata sul problema dei cosiddetti “dittatori” genericamente intesi che sulla violenza, arroganza e criminalità dell’imperialismo.
    I piani del discorso qui sono, molto sinteticamente due:
    Nel momento in cui un paese sovrano in tempo di pace (quindi non in caso di guerre mondiali o guerre giò in atto avviate) viene aggredito a suon di bombe non ci può essere ambiguità nello schierarsi. Nel 99,9% dei casi ci si deve schierare con il paese aggredito e bombardato anche se il suo governo ci fa ribrezzo. Ho lasciato uno 0,01 % aperto perché le cose cambiano quando la sovranità di un paese è lesa non da parte di interessi imperialistici, ma (e i casi sono rarissimi) nell’ambito di operazioni di solidarietà internazionale (che tra l’altro seguono, e questo è un punto importante, ad altre invasioni). Il caso emblematico è l’intervento cubano in Angola a seguito dell’invasione dello Stato criminale sudafricano in appoggio all’UNITA. Ma si tratta di intervento non imperialistico e soprattutto avvenuto a seguito di una violazione della sovranità già avvenuta da parte di altri. Casi più complessi possono essere quelli dell’invasione dell’Unione Sovietica in Ungheria (a mio avviso quest’ultimo in buona parte esecrabile), in Afghanistan e dell’intervento sempre dell’URSS in Spagna durante la guerra civile. Complessi perché si è di fronte ad interessi in certa misura di carattere parzialmente imperiale, ma completamente diversi da quelli dell’imperialismo capitalistico. Inoltre, nel caso dell’Afghanistan, si trattò di intervento a seguito di altra chiara ingerenza esterna da parte dei guerriglieri sostenuti dalla CIA (interventi 6 mesi prima dell’ingresso delle truppe sovietiche) e sulla base di un trattato di reciproco soccorso tra governo legittimo dell’Afghanistan socialista e URSS. SItuazione dunque molto molto difficile da giudicare e dirimere.
    Ma tolte queste eccezioni (che appartengono tra l’altro ad un altro mondo che oggi non c’è più, quella della guerra fredda e dell’equilibrio di potere tra due blocchi eterogenei), in linea generale non può esservi ambiguità in caso di attacco imperialistico contro qualsiasi paese. Va difeso senza se e senza ma il paese attaccato e, indirettamente, il suo legittimo governo (che piaccia o meno). Difeso non nel senso di appoggiato moralmente e politicamente tout court, ma sul piano tattico della contingenza.
    Se invece si comincia a tentennare lanciano slogan né..né si sta in una certa misura relativizzando il torto degli aggressori sminuendolo con una presunta immoralità dell’aggredito. Il torto degli aggressori, in caso di aggressione in tempo di pace, è invece totalmente indipendente dal giudizio politico e morale dell’aggredito. Per questa semplice ragione lo slogan né..né è uno slogan opportunistico che ha la funzione di tenere pulita l’anima di chi lo usa. Ma è una pulizia pericolosa che si infanga subito nel momento in cui assume le sembianze apparenti (magari anche oltre le intenzioni) di un’equidistanza tra le parti non tollerabile.

  6. Gentile Lorenzo Dorazio,
    grazie della risposta. Dico però:
    1. non si vede perché lo slogan “né…né” sia opportunistico o tentennante o magari equidistante. Dice un doppio NO, non un mezzo no o un mezzo sì. Dice: No alla guerra; e quindi no all’aggressione di un paese sovrano a suon di bombe. E dice: No a Gheddafi. Non perché in questo momento reprime gli insorti, che facendosi aiutare da Usa e Europei mirano al suo abbattimento e sui quali sospendo il giudizio per mancanza di dati sicuri. (Ma se risultassero meno “asserviti allo straniero” di quello che ci appaiono e producessero un programma antimperialista, dovremmo sostenerli, no?). Dice No a Gheddafi, perché, anche prima di questa crisi (guerra civile manovrata del tutto o solo in parte dagli “interventisti”) la sua politica interna ed estera (lasciando dunque fuori ogni discorso morale) era inaccettabile per una parte almeno del popolo libico e per i migranti di passaggio per la Libia e priettati verso il “sogno europeo”. E quindi perché, come ha scritto Sandro Mezzadra, egli « ha imprigionato migliaia di oppositori, ne ha fatto strage, ha aperto – su mandato e con finanziamenti italiani – i campi di concentramento dove uomini e donne provenienti dall’Africa subahriana sono stati percossi e uccisi, stuprati e umiliati». Non si capisce perché la difesa «sul piano tattico della contingenza» di un paese attaccato e anche del suo legittimo governo (e, dunque, nel caso della Libia, di Gheddafi) debba comportare il silenzio sulla politica repressiva che egli ha fatto fino al momento in cui è stato aggredito. In teoria posso difendere un prepotente dall’aggressione di uno più prepotente di lui. Ma perché devo dimenticare o sorvolare sul fatto che sto difendendo un prepotente e non un giusto? Mi si potrà rispondere: «perché di giusti non ce ne sono e non ce ne saranno mai; e tu dovrai scegliere sempre fra appoggiare un prepotente piccolo (Gheddafi) contro un prepotente grande ( Obama, Sarkozy, ecc.) o viceversa. Non puoi prendere due piccioni con un NO. Questo significa rinunciare per sempre a quello che B. Brecht chiamava la “tentazione del bene” e io, per quel che conto, ancora non ce la faccio.
    2. Posso invece concordare con te sul fatto che molti guardano solo ai “dittatori” e non ai “dittatori plus”, cioè agli imperialisti veri e propri. Ma costoro non usano lo slogan “né…né”. Sono per la guerra mascherata da intervento “umanitario”. Posso dubitare piuttosto (e sono il primo a farlo) sull’efficacia dello slogan “né..né”. Ma questo, mi concederai, vale anche per lo slogan da voi adottato « Contro l’interventismo “umanitario” bombardatore. Fuori l’Italia dalla guerra, no alle ingerenze imperialiste. Solidarietà alla Libia». Entrambi purtroppo sono slogan di minoranze. Mica da buttar via, eh! Entrambi si sottraggono alla presa dello slogan dominante dei “volenterosi” o dei “liberatori” (««Far finire una guerra che già c’è»). Non vedo, dunque, la superiorità teorica o la maggiore efficacia propagandistica del vostro slogan rispetto a quello di chi dice “né..né”. E aspetto ancora di essere convinto.

  7. Caro Ennio,
    ho letto con attenzione le critiche che hai sollevato. Potremmo produrre un dossier molto preciso su ciò che è stata ed è attualmente la Libia di Gheddafi, di quanto si sia allontanata dai propositi del Libro Verde, ma penso che questo non sia il momento per questa analisi, perché la contingenza degli avvenimenti ci porta ad una scelta chiara. Su tutti i leader dei Paesi non propriamente allineati si potrebbe dire qualcosa (Saddam, Gheddafi, ma anche Chavez, etc.), ma gli eventi ci impongono di schierarci al fianco dei popoli aggrediti dalle bombe, ieri come oggi, perché è sacrosanto il diritto di resistenza, sia ben chiaro.
    La tentazione del bene è una bella prospettiva etica, ma, se vogliamo fare politica ovvero produrre anche analisi politiche e non solo sociologiche e moralistiche, dobbiamo sporcarci le mani nella realtà. Per questo io sono convinto che il “né…né” oggi sia un’equidistanza troppo lontana dal diritto di resistenza.

    Qui non si tratta di convincere te o altri. Noi abbiamo espresso una posizione politica molto forte, rispetto ad altre tentennanti o equidistanti. Può non piacere, ma è politica, non filosofia.

    Un abbraccio forte

  8. Gli slogan “nè…nè”, dal funesto “nè aderire nè sabotare” al patetico “nè con lo Stato nè con le BR” portano male, malissimo; e soprattutto mancano di riconoscere e trarre le conseguenze dal fatto, certo antipatico, che quando in caso di scontro armato, le uniche posizioni politiche coerenti e fruttuose sono a favore dell’uno e contro l’altro fronte. La scelta di non schierarsi, se non è una scelta personale di ragionata legitima difesa in attesa che passi la nottata, o di altrettanto ragionata attesa di vedere chi vince per accodarsi, è una scelta politicamente sbagliata per il semplice motivo che così ti metti contro sia gli uni, sia gli altri, e nel migliore dei casi non servi a niente. Se non ricordo male dai lontani anni del liceo, un legislatore greco prescriveva che in caso di guerra civile, chi non si schierasse nè con l’una, nè con l’altra parte, fosse trattato da traditore, vulgo messo a morte. Ecco, magari è un po’ drastico, ma coglie il punto della questione.
    E’ vero che le prese di posizione politiche in questa materia, quando siano assunte da forze minuscole, non sortiscono alcun effetto; ma se non si vuole dar aria ai denti e basta, bisognerebbe prenderle considerandone gli effetti reali, qualora venissero effettivamente adottate. In questo caso, per esempio, se il governo italiano seguisse la proposta nè … nè, che accadrebbe? Intervento militare, azzeramento manu militari degli scontri, destituzione di Gheddafi, disarmo dei rivoltosi, dopo di che? Seminari sulla repubblica di Platone? Soviet? Costituente? Ma dai…

  9. Io non ho letto questo commento, perché è davvero faticoso. Ti invito, Rino, a scrivere in maniera leggibile, senza utilizzare i caratteri cubitali, perché in questo modo il tuo intervento è davvero stancante. Mi spiace, ti leggerò se avrai modo di sistemare il tuo intervento.

  10. @ Riccardo Di Vito

    Se le parole da me usate:

    « non si vede perché lo slogan “né…né” sia opportunistico o tentennante o magari equidistante. Dice un doppio NO, non un mezzo no o un mezzo sì. Dice: No alla guerra; e quindi no all’aggressione di un paese sovrano a suon di bombe. E dice: No a Gheddafi. Non perché in questo momento reprime gli insorti, che facendosi aiutare da Usa e Europei mirano al suo abbattimento e sui quali sospendo il giudizio per mancanza di dati sicuri. (Ma se risultassero meno “asserviti allo straniero” di quello che ci appaiono e producessero un programma antimperialista, dovremmo sostenerli, no?). Dice No a Gheddafi, perché, anche prima di questa crisi (guerra civile manovrata del tutto o solo in parte dagli “interventisti”) la sua politica interna ed estera (lasciando dunque fuori ogni discorso morale) era inaccettabile per una parte almeno del popolo libico e per i migranti di passaggio per la Libia e proiettati verso il “sogno europeo”.»

    hanno un significato preciso, non ideologico, legato all’attualità («la contingenza degli avvenimenti»), perché non indicherebbero «una scelta chiara» o uno che le scrive non si schiera «al fianco dei popoli aggrediti dalle bombe» o non riconosce «il diritto di resistenza» o continua ad essere accusato di «equidistanza» o di essere “tentennante”?
    Con il termine brechtiano di «tentazione del bene» s’intendeva una volta proprio il ‘comunismo’, termine che è nella testata di questo sito.
    « Qui non si tratta di convincere te o altri»? E allora perché si discute? perché si fa politica?

    @ Roberto Buffagni

    « così ti metti contro sia gli uni, sia gli altri, e nel migliore dei casi non servi a niente»? «bisognerebbe prenderle [le prese di posizione politiche] considerandone gli effetti reali, qualora venissero effettivamente adottate»? «per esempio, se il governo italiano seguisse la proposta né … né, che accadrebbe?»…
    Verrebbero ridotti i rischi che una guerra (impari in questo caso: l’esercito di Gheddafi non può vincere la NATO a meno che tu non creda nei miracoli…) comporta. Che è poi, se non erro, quello che alla fine del vostro comunicato reclamate o no?

  11. Rino, il tuo commento è in effetti davvero lungo e di difficile leggibilità. Se riuscissi a dargli una forma diversa (caratteri piccoli e frasi meno spezzate), potrebbe essere meno “indigesto”. In ogni caso mi sembra di capire che uno degli aspetti fondamentali che cerchi di cogliere sia la contraddizione tra imperialismo Nord-americano e imperialismo UE. Onestamente non sarei del tutto d’accordo con la centralità di questa prima distinzione. Quello che a me sembra evidente è senz’altro uno scontro interimperialistico, i cui blocchi sono però più trasversali. Un primo scontro principale mi sembra quello in atto tra blocchi geopolitici che vedono al momento Francia e G.B. legate alla strategia USA, da una parte, e la Germania ben più vicina alle posizioni russe. L’Italia in termini di suoi interessi consolidati si troverebbe in questo secondo blocco teorico, ma di fatto tentenna e si è lasciata trascinare per conto terzi in una guerra che è contro i suoi stessi interessi capitalistici e imprenditoriali (di qui la posizione di forte incertezza nel governo e il ruolo invece esplicitamente asservito a interessi stranieri assunto dall’opposizione PD).
    Dopodiche in seconda battuta vi è senz’altro anche lo scontro che tu evocavi, ovvero tra imperialismo USA (probabilmente assai vicino a quello britannico) e regurgiti di potenza francesi. Ad un primo sguardo mi sembrerebbero questi i due piani di scontro interimperialistico.

    Condivido, invece, nella sostanza l’intervento di Roberto Buffagni.

    In risposta invece ad Ennio: a mio avviso per capire la pericolosità e ambiguità della posizione né…né basta pensare che esiste un ordine di priorità di tipo logico e politico. Ammettiamo che Gheddafi non ci piaccia affatto per tutte le cose (in buona parte giuste) che tu hai sottolineato (anche se su questo poi dirò qualcosa). Ebbene al momento vi è una guerra imperialista contro il popolo e lo Stato sovrano di Libia. Altro che scissione tra popolo e Stato come racconta la propaganda di guerra che (come ieri il Corsera) che afferma che i diritti dei popoli vengono prima della sovranità degli Stati.
    A questo punto c’è da prendere una posizione netta precisamente su tale aggressione. E la posizione netta é: con la Libia, il suo popolo e il suo Stato e dunque anche con il suo governo (che fino a prova contraria è il governo del presidente Gheddafi, forte tra l’altro di un ampio consenso popolare).
    Una volta presa questa posizione su QUESTA questione principale, si può senza alcun problema specificare che Gheddafi non piace, che ha commesso crimini tremendi e che il suo popolo ha tutto il diritto di ribellarsi autonomamente per cambiare il suo governo e il suo futuro.
    Tutto questo è lecito.
    Ciò che è invece pericoloso è fondere in un’unica frase quelle che sono due questioni politiche che si collocano su piani logici e di priorità decisamente diversi.

    Detto questo, una brevissima nota su Gheddafi. Gheddafi sicuramente non è un sincero democratico ed ha esercitato negli anni il suo potere anche con le cattive macchiandosi di crimini e privazioni di libertà (la questione dei migranti ad esempio, la cui massima responsabilità è per Europea non certo di Gheddafi). Alcune vicende andrebbero sicuramente verificate e studiate meglio (come la presunta uccisione nel 1996 di 1200 prigionieri…). Dal 2003 in poi Gheddafi si è tra l’altro avvicinato molto all’occidente (probabilmente per evitare di far finire il suo paese sotto un tappeto di bombe, di uranio impoverito e fosforo bianco). Ha effettuato ampie privatizzazioni e liberalizzazioni dell’economia che di certo non hanno fatto bene al popolo libico.
    Detto questo, però, è errato ridurre Gheddafi ad un satrapo criminale, poiché nell’arco dei suoi 40 anni di governo nel contesto nord-africano e medio-orientale egli ha rappresentato ben altro. La sua rivoluzione del 1969 ha ridato dignità sociale ed economica alla Libia ridotta a zimbello degli USA e della Gran Bretagna. Ha fatto si che i proventi delle risorse energetiche restassero in mano ai libici, ha moralizzato una società allo sbando ed ha trovato anche un precario equilibrio tra clan e tribù trascendendo i poteri particolari in nome di una difficile unità nazionale. Tutto questo ha fatto di lui un capo di Stato popolare per lunghi anni, al di là dei metodi spesso brutali usati per la repressione del dissenso (ma in tale campo il più pulito ha la rogna in tutto il pianeta). Certo il Gheddafi di oggi è assai diverso da quello di 40 anni fa. Tuttavia non si è mai svenduto completamente (come altri pupazzi in mano all’occidente) all’imperialismo e, ad esempio, i contatti petroliferi continuavano oggi ad essere ancora relativamente favorevoli allo Stato libico (al contrario di altri paesi totalmente asserviti). Il can can antigheddafiano fatto proprio dagli italiani progressisti in queste ore è per lo più dovuto alle manie antiberlusconiane quasi-estetiche (il problema principale sembra che sia il baciamano del premier e le amazzoni dell’istrionico rais), poiché non sembra che lo stesso sdegno verso Gheddafi lo si mostri per altri centinaia di capi di Stato repressivi e criminali con cui il nostro paese e i paesi europei fanno lauti affari.
    Insomma nel discorso di critica al né…né (posto che le coordinate che ho tracciato al riguardo hanno carattere generale) ci metterei anche in aggiunta un giudizio ponderato e cauto sui 40 anni del governo Gheddafi (non certo riducibile ad un’esperienza criminale-repressiva)

  12. @ Lorenzo Dorato
    Scusa, ma io ho parlato di«scissione tra popolo e stato come racconta la propaganda di guerra»? Sto forse facendo propaganda a favore dell’intervento Nato- Sarkozy-Frattini? Se ho scritto: «NO alla guerra», che significa: No all’intervento Nato- Sarkozy-Frattini e ho scritto: «No a Gheddafi», perché la mia posizione non sarebbe «netta» o «precisa»? Perché devo giurare prima su una sorta di dogma formale : sono « con la Libia, il suo popolo e il suo Stato e dunque anche con il suo governo (che fino a prova contraria è il governo del presidente Gheddafi, forte tra l’altro di un ampio consenso popolare)» e poi posso permettermi di «specificare che Gheddafi non mi piace» etc., invece di dire – subito, pubblicamente – NO e NO? Perché confonderei (“fonderei” dici tu) « in un’unica frase quelle che sono due questioni politiche che si collocano su piani logici e di priorità decisamente diversi»?
    Tu individui una sola «questione principale». In essa è previsto subito e, malgrado un po’ di riserve, l’appoggio al governo di Gheddafi e in un dopo indeterminato la valutazione del conflitto – reale? presunto? – tra Gheddafi e il suo popolo. (Sei, per fare un paragone storico, come i resistenti del PCI togliattiano che lottavano contro il nazifascismo e rimandavano a dopo la liberazione dell’Italia (la patria) la soluzione del conflitto di classe).
    Io individuo due questioni della medesima importanza e da affrontare contemporaneamente. Tu, invece, stabilisci (non capisco in realtà in base a quali analisi o ragioni…) che una è principale e l’altra è secondaria.
    Provo a scavare le tue ragioni. Penso di poter dire che nella tua visione prevale una lettura geopolitica: quello che davvero conta è lo scontro tra gli Stati, tra Stato o Stati aggressori e Stato o Stati aggrediti; quanto avviene nella società libica, i suoi conflitti interni insomma, viene dopo; e chi tenta di tenerne conto e si schiera contro Gheddafi (valutando negativamente almeno il periodo involutivo degli ultimi decenni), sta “per forza” ( e questo per me è indimostrato, è un pregiudizio…) dalla parte degli ambigui insorti, che combattono Gheddafi e (anche questo non è automatico…) dalla parte dei loro sponsor imperialisti, che li sostengono e li manovrano. Faccio notare che, così, dai per acquisito e definitivo il giudizio sugli insorti, contraddicendo l’ apparente cautela del tuo primo intervento, quando, pur portando informazioni o facendo ipotesi tutte ostili o sospettose verso gli insorti, hai esordito dicendo: « La situazione interna, come è stato specificato, non è di immediata interpretazione».
    Nella mia, la cautela su cosa sappiamo della situazione interna libica, sugli insorti, sulle manovre di servizi segreti, diplomazie, ecc. è più forte. Ma è chiaro però il rifiuto della guerra Nato- Sarkozy-Frattini ed altrettanto chiaro il giudizio politico ( non moralistico: io non ho parlato di “satrapo”, anzi ho specificato: « lasciando dunque fuori ogni discorso morale» su Gheddafi) negativo sull’ultima fase (documentabile, non fondata dunque su illazioni o pregiudizi) del suo governo (qui sono sulle posizione dello storico Angelo Del Boca). E c’è l’esigenza (politica, non moralistica) di non staccare l’analisi dei conflitti statuali da quella dei conflitti sociali.
    Resta, come ho già detto, il fatto che le nostre sono posizioni di minoranze e tutto sommato concordi sul rifiuto dell’aggressione Nato- Sarkozy-Frattini. Se poi mi vuoi o mi volete liquidare con le solite etichette predisposte dalla storia una volta gloriosa ma spesso penosa da cui veniamo ( ambiguo, equidistante, opportunista, confusionario, ecc.), io tolgo subito il disturbo. Io voglio ragionare, non avere a tutti i costi ragione.

  13. Questo interessante articolo di Giulio Bonali sul Campo Antimerialista dice cose simili a quelle sostenute da Lorenzo:

    http://www.campoantimperialista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1462:qualcosa-non-quadra&catid=66:libia-cat&Itemid=78

    L’articolo è in risposta a un pezzo di Pasquinelli, che purtroppo mi sembra un po’ in difficoltà sulla direzione da seguire:

    http://www.campoantimperialista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1458:chi-farnetica-qui&catid=66:libia-cat&Itemid=78

    Sono d’accordo sul fatto che prima di utilizzare lo slogan “né…né” si dovrebbe analizzare a fondo la figura di Gheddafi, la natura del suo governo e la sua storia.
    La Libia di Gheddafi non è certo un paese socialista né democratico, e ultimamente ha perso (o è stata costretta a perdere) la maggior parte dei suoi tratti anti-imperialistici che aveva assunto nel 69. D’altra parte, non si può mettere Gheddafi sullo stesso piano degli altri signori del Medio Oriente, altrimenti, se Gheddafi fosse ormai null’altro che un burattino dell’Occidente, circondato dalla sua cerchia di fedeli corrotti, al pari di Mubarak e Ben Alì, da dove sarebbe nata la necessità di intervenire militarmente? (come giustamente si domanda Bonali, in modo più articolato del mio).

    Il punto di vista di Pasquinelli è un chiaro esempio di come opporsi in questo momento al regime di Gheddafi sia controproducente, nel senso che porta a indebolire fortemente una posizione anti-imperialista intransigente. Leggendo l’articolo di Pasquinelli, infatti, si è tanto presi dalla critica al regime di Gheddafi (sicuramente corretta), si ridimensiona a tal punto la possibilità di ingerenze occidentali nella generazione della rivolta, che quasi ci si chiede “ma sarà che l’invasione della Nato era veramente umanitaria?”. Oltretutto Pasquinelli fa questo discorso: è stato giusto appoggiare la rivolta finché non è intervenuta la coalizione occidentale, ora che stiamo bombardando ci opponiamo all’intervento, ma prima non aveva senso parlare dell’intervento, era più importante denunciare i crimini di Gheddafi. Questo ragionamento equivale a fingere che l’intervento non sia stato preparato mediaticamente da settimane, e che quindi criticare Gheddafi non fosse di fatto un supporto alla campagna interventista. Un chiaro esempio di quello che significa pensare di vivere in un mondo ideale. Peccato che sono gli stessi discorsi che fanno nei collettivi universitari.
    C’è poi da aggiungere che Pasquinelli non valuta per niente la veridicità delle fonti, ma dice apertamente di dare pieno credito agli inviati in Libia, (dopo la conferenza di ieri mi fa ridere questa cosa). Io lo ripeto di continuo: in Egitto abbiamo visto immagini di manifestazioni oceaniche, in Libia non si è visto praticamente niente.

    Vorrei aggiungere un’ulteriore appunto sulla questione del “né…né”: mettere sullo stesso piano l’opposizione all’intervento imperialista e quella al regime di Gheddafi significa dare le stesse responsabilità a un paese del terzo mondo come la Libia e ai paesi che dominano il pianeta, come se avessero le stesse libertà di azione. In questo senso, è molto importante capire quanto Gheddafi si sia aperto all’Occidente e al capitalismo per sua scelta politica oppure perchè vi si è sentito in qualche modo costretto dall’accerchiamento, dalla paura di fare la fine dell’Iraq. Anche per quanto riguarda i campi di concentramento di immigrati, la maggiore responsabilità di quei crimini è di Gheddafi o della democraticissima Unione Europea? A chi conviene di più che Gheddafi regoli il flusso di immigrati? Siamo certi che lui non lo faccia solo perché in qualche modo è l’unica scelta per lui, l’unico modo per venire a patti con l’occidente?
    Non si può giudicare Gheddafi come se fosse un leader di un paese avanzato, di un paese libero e indipendente. A volte si tende a parlare della mancanza di democrazia nei paesi meno sviluppati come una loro colpa, come se non fossero stati sfruttati dal colonialismo fino a pochi decenni fa (penso ad esempio all’Iran, di fatto indipendente dal ’79) e come se oggi il neo-colonialismo ammantato di democrazia non impedisse effettivamente la nascita di democrazie realmente indipendenti.
    Parlare di Gheddafi senza considerarlo per quello che è, ossia il leader di un paese che ha provato ad opporsi al neocolonialismo e che vive sotto la costante minaccia dell’Occidente, sarebbe come guardare la situazione di Cuba senza considerare l’embargo di cinquant’anni a cui è soggetta, senza considerare la necessità che ha di difendersi dalle sirene del mondo esterno, dall’isolamento e dal bombardamento mediatico.

    Per tutto questo, è normale che in Libia non ci sia una democrazia, è normale che Gheddafi non sia un campione di moralità, ma è anche normale che il suo popolo, in situazioni come questa, si stringa intorno a lui, nella speranza che sappia ancora fare la voce grossa contro i cani dell’imperialismo.

  14. Nell’ultima frase parlo del popolo, ma ovviamente non si conoscono ancora bene le percentuali di chi è dalla parte di Gheddafi e chi no. L’unica indicazione che abbiamo è che effettivamente il rais aveva ripreso il controllo di quasi tutto il territorio prima dell’intervento della coalizione occidentale.

  15. @ Ennio Abate: non schierarsi dalla parte di Gheddafi, oggi, corrisponde a non schierarsi dalla parte della Libia e della resistenza libica, secondo me, qui sta il punto. Io non voglio convincerti, perché mi sembra che tu abbia le idee molto chiare.

  16. Caro Ennio,
    nessuno vuole liquidare le tue posizioni con etichette. Ci mancherebbe! Siamo qui per discutere e confrontarci. Io mi riferivo ai rischi della posizione né…né in una fase come questa. Non mi riferivo a quello che tu pensi. Do per assunto che siamo sulla stessa linea d’onda sui fondamentali che concernono gli eventi in corso. Nessun fraintendimento su questo.
    Non faccio certo parte di coloro (che anzi non sopporto) che incasellano tra le fila del nemico colui che semplicemente dissente su determinati dettagli.
    Capisco benissimo l’importanza di tenere conto dei conflitti sociali insieme alle questioni cosiddette geopolitiche (che poi come vedrai non si tratta di geopolitica dura e pura, poiché stiamo denunciano un’aggressione imperialistica, quindi da denunciare anche semplicemente su un piano politico di base).
    D’altro canto il tentativo di questo sito è proprio quello di tenere insieme i due piani senza scinderli.

    La critica al “né…né” è solo una critica delle tempistiche e dell’opportunità di dare contro a Gheddafi (sentendosi persino obbligati di manifestare la propria avversione politica esplicitamente in forma preventiva) mentre la Libia viene massacrata dagli imperialisti. Tutto qua. Se un articolo sulla guerra in Libia contenesse al suo interno valutazioni negative ed argomentate su Gheddafi non mi scandalizzarei affatto, anzi. Trovo però errato esporre nello slogan tale avversione. Ne faccio una questione di priorità politica, non certo di trascuratezza dei problemi interni alla Libia (che tra l’altro non sono affatto semplici da dirimere). Il mio giudizio negativo sul “né….né” sarebbe già più sfumato qualora ci trovassimo di fronte ad una situazione molto chiara circa la situazione interna del paese in ballo (per ipotesi: un governo chiaramente antipopolare, totalmente antisociale oltre che repressivo, e una rivolta a connotati antimperialisti e sociali) Ma si tratta di un esempio assurdo perché un paese del genere non sarebbe bombardato dalla Francia con ogni probabilità. Al contrario si manderebbero gli squadroni della morte a reprimere la rivolta.. oppure, come in parte è accaduto Egitto e Tunisia si favorirebbe un cambiamento guidato e il dittatore pupazzo ormai ha fatto il suo tempo.

    In ogni caso è un piacere e un arricchimento reciproco discutere di questa questione. Ogni posizione ed ogni sfumatura è del tutto legittima.

    Lorenzo Dorato

  17. CONTRIBUTI
    Ennio Abate
    Scrivere al presente 8:

    Marzo 1821 – Marzo 2011

    «Fra un secolo si immaginerà che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva sulla nuova costituzione repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri, di cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato un popolo di morti, di quei morti che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovanetti partigiani »
    (da un discorso di Pietro Calamandrei all’Assemblea Costituente nel 1947)

    Cancella, o Marcella
    la Libia, stantio pane nostro quotidiano televisivo.
    Le facce belle di uomini e bambine
    ridevano per noi (ma anche di noi)
    nell’attimo delle foto di allora.
    Poi nelle notti tremarono, urlarono
    disfatte tra le macerie.

    [«L'ultimo è il W-80 3, utilizzato,
    a quanto pare, anche come carico
    per i moderni bombardieri B-52.
    A tutt'oggi, fonti statunitensi militari
    e scientifiche, calcolano la sua potenza
    di esplosione intorno ai 200 kt.»]

    «Li lasciamo tutti ammazzare?», chiedesti
    ansiosa. «Nulla per loro possiamo più fare»,
    ti risposi. Perché eravamo già tutti morti.

    « Finché permettiamo alla guerra
    (che è sempre cosa molto diversa
    dalla resistenza) di tracciare
    il solco tra il giusto e l’ingiusto,
    siamo già tutti morti.
    Siamo cadaveri che pontificano.
    Che danzano sui teschi di tutti
    gli insorti che verranno».

    Luca ebbe ragione a scrivercelo
    in quel lontano, amaro, marzo 2011.

    “Volenterosi” bombardammo Tripoli
    e tornammo popolo dei morti semper
    presdellarep in testa, benedicente:
    «Non siamo entrati in guerra.
    Siamo impegnati in un operazione
    autorizzata dal Consiglio di sicurezza
    dell’Onu».

    Erano 150 anni esatti dal primo
    albeggiante nostro Risorgimento,
    ricordi?

    *
    Marcella è Marcella Corsi di Roma.
    Luca è Luca Ferrieri di Milano.

  18. Secondo me è assolutamente possibile, e direi doveroso, unire la difesa della Libia contro l’attacco imperialistico insieme ad una critica radicale contro il governo (soprattutto degli ultimi anni) di Gheddafi.
    E’ giusto difendere in questo momento la Libia ma non bisogna, per una mal digerita real politik, appoggiare un dittatore che negli ultimi anni, oltre ad aver governato il suo popolo con metodi brutali e negatore dei diritti civili e di qualunque opposizione politica (anche interna), è stato il principale interlocutore di quella zona degli interessi occidentali, e in particolare le principali aziende petrolifere mondiali: l’italianaEni, l’australiana Omv, la spagnola Repsol, laBp britannica, l’olandese RoyalDutchShell, la norvegese StatOil e la russa Gazprom. Si tratta, dunque, secondo la bella definizione di Loretta Napoleoni una “epurazione di un membro della Banda Bassotti”. Questo, ovviamente, non vuol dire in nessun modo appoggiare una rivolta “purché sia” ma comprendere come si debba appoggiare la Libia e non un membro o l’altro della Banda Bassotti(nonostante uno sia ovviamente più debole e forse anche meno brutale dell’altro). A mio parere, tra l’altro, la differenza tra Abate, di cui condivido gran parte delle cose scritte, e Lorenzo Dorato è in gran parte terminologica. Il problema, secondo me, non è tanto il merito della questione: essere contro la guerra in Libia e dare un giudizio totalmente negativo del quarantennio di Gheddafi, ma sullo slogan che da anni è stato utilizzato per appoggiare le potenze occidentali e ripulirsi al tempo stesso la coscienza.

    Solo un appunto finale alla discussione: qui non si trattta se discutere di filosofia o di politica. La filosofia, infatti, come tutte le scienze sociali ed umane, prende sempre posizioni anche più radicalmente di una mera posizione che si vorrebbe pragmatica, e non si limita ad un mero dibattito accademico ma ha SEMPRE conseguenze politiche.

  19. [...] iii Si legge sul sito «Comunismo e Comunità» in due commenti in dialogo con Lorenzo Dorazio in appendice al post intitolato: Contro l’interventismo “umanitario” bombardatore. Fuori l’Italia dalla guerra, no alle ingerenze imperialiste. Solidarietà alla Libia : http://www.comunismoecomunita.org/?p=2274#comment-1320 [...]

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