La propagazione del caos

mar 23rd, 2011 | Di | Categoria: Politica Internazionale

di Piero Pagliani

(pubblicato anche su Megachip)

1. Alla fine di un recente articolo ricordavo una famosa copertina della rivista “Micromega” in cui sulla stessa moto erano rappresentati a mo’ di teddy boys Berlusconi, Gheddafi e Putin. E commentavo che ormai i primi due stavano andando verso il tramonto politico, farsesco il primo, drammatico il secondo, mentre bisognava ancora sistemare il terzo. Ma avvertivo che non c’era da preoccuparsi: sicuramente presto qualcosa sarebbe successo anche in Russia. Dopo un paio di giorni qualcosa è successo, cioè una grave crisi istituzionale tra il primo ministro Vladimir Putin, decisamente contrario all’intervento militare in Libia, e il presidente della Federazione Russa, Dmitrij Medvedev, che ha censurato le critiche alla risoluzione dell’ONU del suo premier.
Proprio ieri però il ministro della Difesa russo, Anatoly Serdyukov, ha chiesto un immediato cessate il fuoco e l’avvio di negoziati politici scontrandosi col suo omonimo statunitense.

In Russia è quindi in corso un braccio di ferro tra filoccidentali, rappresentati da Medvedev, e i propugnatori del policentrismo, rappresentati da Putin, che secondo quanto riporta Giulietto Chiesa ha probabilmente dalla sua parte la stragrande maggioranza dei Russi.

2- La crisi libica è diventata dunque una pietra di paragone e di confronto in tutti i Paesi e in tutte le organizzazioni sovranazionali. Forse più ancora che l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Ed è questo il punto che vogliamo analizzare.

Possiamo anche partire dalla copertina di “Micromega”. Non credo che sia un caso che in essa fossero rappresentati tre personaggi che per una ragione o per l’altra non erano graditi a settori molto importanti e influenti dello schieramento Occidentale. Questi democratici e progressisti italiani sono ormai ben strutturati come dépendance del Partito Democratico statunitense, proprio mentre, al contrario, la sinistra statunitense sbeffeggia il suo presidente premio Nobel per la Pace dicendo “Say no to war … unless a Democrat is president”. La posizione netta del PD e quella ondivaga di Vendola sono coerenti conseguenze di questo milieu politico, non sono sviste. Come non sono sviste le continue votazioni bipartisan dei crediti di guerra per la nostra missione in Afghanistan. E oramai anche nella sinistra cosiddetta “antagonista” si fa fatica a trovare articoli non influenzati da questa deriva. Onore al merito a quei pochi che tengono ancora la barra a dritta.

Gli attacchi veementi a Berlusconi sono quasi cessati dopo che gli USA hanno chiesto a tutti di far momentaneamente quadrato attorno al governo per gestire la guerra in Libia, di cui il nostro Paese è parte in causa fin sopra i capelli.

Berlusconi raccoglie per ora un peloso e instabile lasciapassare solo per aver fatto la figura del Giuda, in senso non figurato: dal baciamano ai bombardamenti nel giro di un nonnulla. E per aver smentito la sua politica estera ed energetica degli ultimi anni, sconfitta dalla sua inanità politica sottolineata per contrappasso da un insopprimibile priapismo.

3. I mandanti delle campagne antiberlusconiane dell’Economist e del Financial Times – accolti come liberatori dal cosiddetto “Popolo Viola” (montatura mediatica, versione italica delle famigerate rivoluzioni colorate, come ormai è evidente) – assieme ad una Francia ormai degaullizzata grazie al marito di Carla Bruni, hanno colto l’occasione per ritornare alla grande nel Sud del Mediterraneo dal quale erano stati scacciati politicamente in malo modo nel 1956 dagli Stati Uniti e in seguito, parzialmente, da una intraprendenza italiana che data dai tempi del compianto Mattei, con alti e bassi.

Gli USA di Obama, non si capisce se sono stati presi in contropiede, ovvero sono stati anticipati nei loro piani di scardinamento col grimaldello di una porta dell’Africa che faceva un po’ troppa resistenza, oppure se stanno tirando le fila. Il dubbio è dovuto non solo al protagonismo forsennato della Francia, ma anche alla sostanza della risoluzione 1973 che permette a chiunque del giro “giusto”, da solo o in compagnia, di fare quel diavolo che vuole di ogni altra nazione sovrana che invece da questo giro è tagliata fuori.

In altre parole, non più interventi coordinati da una potenza dominante, ma interventi personalizzati, per ora ammessi solo per i membri di quella che Samir Amin chiama la “Triplice”: USA, Europa e Giappone (il quale però ora ha immense ferite da leccarsi).

In altre parole assistiamo ad una sorta di codifica della competizione interimperialistica all’interno stesso di aggressioni imperialistiche. L’attuale contendere NATO sì, NATO no, ha questo significato.

4. La potenza finora dominante, gli USA, dovrà mettere ordine in questo caos se vuole che i suoi piani di rilancio come unica superpotenza e come centro coordinatore di un nuovo ciclo sistemico di accumulazione del capitale (se mai fosse possibile), sintetizzati nel nome del famoso think-tank “Project for a New American Century”, non vengano intralciati, eventualmente anche da uno scontro serio tra i Paesi di peso della UE.

In questo l’Italia si rivela essere il ventre molle del quadro europeo, esattamente come la Francia si sta rivelando essere un prepotente scudiero che avanza pretese ed onori in modo assertivo. Una degenerazione dell’originario gaullismo. Vedremo dalle sue mosse future se ad esempio ha deciso di allearsi con Israele o con qualche altra potenza non secondaria per proseguire nel suo forcing nei confronti sia degli USA sia della UE. Perché un alleato deve avercelo per non perdere in partenza.

Nel frattempo un principio di caos sembra aver già raggiunto la Russia.

Ovverosia, il caos si sta propagando.

Non c’è da stupirsi: il caos è il fenomeno tipico generato dalle crisi sistemiche, come è quella che stiamo attraversando.

Ma il caos paradossalmente può permettere squarci di chiarezza.

L’attuale amalgama conflittuale tra ex-fascisti, ex-comunisti, neo democristiani, neo socialisti, berlusconiani, cattolici di sinistra e cattolici di destra permette ormai di capire abbastanza bene con chi stare e con chi non stare, includendo in questa verifica anche i signori del “vorrei-ma-non-posso”, i teorici di un colpo al cerchio e di uno alla botte.

Non è assolutamente esagerato oggi ricordare che gli ex anti-interventisti di sinistra convertitisi all’interventismo nella Grande Guerra finirono per fondare il Fascismo.

Non è esagerato e non c’è da scherzare. La guerra in Libia forse finirà anche prima di quella in Iraq (per altro mai finita). Ma se si guarda la sequenza di guerre che ha accompagnato la fine dell’Unione Sovietica e la si combina con la crisi, per nulla conclusa, finanziaria ed economica che stiamo attraversando, non occorre essere un teorico delle crisi sistemiche per capire che qualcosa di drammatico sta succedendo da alcuni decenni e non è destinato a finire né domani né dopodomani.

Allo scoppio della Guerra del Golfo nel 1990 tutti dissero che sarebbe stata l’ultima guerra prima del nuovo ordine mondiale. Lo abbiamo visto. Quindi prepariamoci a tempi lunghi e riflettiamo, ma alla svelta, sulle scelte da fare.

Su “Il Giornale” di qualche giorno fa, Alessandro Sallusti, un giornalista che non ha mai avuto molti peli sulla lingua, ci ricordava che la nostra partecipazione alla guerra contro la Libia è “una scelta necessaria per mantenere il nostro ruolo in Europa [...]. Non possiamo lasciare che Sarkozy e soci mettano mano da soli sulla Libia, sui nostri interessi economici e sulle nostre strategie politiche”.

Il 26 maggio 1940 Benito Mussolini dichiarava: “In settembre tutto sarà finito, ed io ho bisogno di qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo della pace”.

Nel marzo 2011 qualcuno da destra ancora grida Eia, eia eia e qualcuno da sinistra gli risponde Alalà.

E’ la Storia stessa unita alla nostra coscienza che ci impone di cambiare drasticamente pagina e di non accettare più questo gioco di specchi.

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