Le minoranze etniche del Kosovo

lug 26th, 2011 | Di | Categoria: Resistenze

di Antonella Ricciardi

Nell’attuale momento storico, che ha visto da tempo, oramai, essere stata attuata l’indipendenza del Kossovo, dopo una guerra condotta dalla NATO, almeno sulla carta, in nome della libertà dei popoli e della loro protezione da violenze, il silenzio sui crimini e la pulizia etnica ai danni delle locali minoranze è, se possibile, ancora più assordante. Sono almeno 300.000, infatti, i profughi, zingari e serbi soprattutto, cacciati da quella terra dai militanti kosovari-albanesi. Questo, in nome di un Kosovo etnicamente monolitico (proprio il progetto che veniva contestato ai serbi), spesso sotto l’occhio indifferente o addirittura compiacente della NATO, guidata dai militari americani. Delle violenze contro la minoranza serba si è parlato, comunque, relativamente un po’ di più che di quelle verso altri gruppi locali: ai danni delle popolazioni serbe si sono registrati, in effetti, numerosi assassinii, stupri, incendi di case e monasteri cristiani-ortodossi… Un altro gruppo esposto a rischio è quello dei kosovari di etnia gorana: si tratta di genti molti affini ai serbi (la lingua madre dei gorani, detti anche goranci, è addirittura il serbo-croato), ma con leggere differenze che li distinguono da questi ultimi; inoltre, gli slavi gorani sono di religione musulmana. Anche i kosovari di etnia croata e confessione cattolica di Jajevo sono stati costretti a scappare, mentre i kosovari di etnia turca, una piccola comunità discendente dei dominatori ottomani, hanno sofferto diversi morti per i bombardamenti americani, durante il conflitto del 1999, e versano tuttora in condizioni drammatiche. Non molto noto è anche ciò che è avvenuto ai danni della minoranza di zingari che risiede in quei luoghi: si tratta di alcune centinaia di migliaia di persone, distinte fondamentalmente (ma non solo) nei due gruppi dei rom (cristiani e musulmani) e degli ashkali, detti anche hashkari, prevalentemente islamici. Gli zingari rom parlano tuttora l’antico idioma zingaro, cioè la loro versione del romanish, detto anche romanì, lingua indoeuropea  del gruppo indoario (non slavo), e vicina a quelle indiane…anche se una parte dei rom, quelli cergari, che sono  cristiani-ortodossi, parlano il serbo-croato al pari del romanish; i rom musulmani, inoltre, vengono detti khorakanè o xoraxanè, cioè “cantori del Corano”. Gli zingari ashkali sono albanesizzati nel linguaggio, in grado di parlare quale prima lingua l’albanese; discendono forse da un gruppo zigano che un tempo abitava ad Ashkelon, in Palestina, secondo quanto potrebbe indicare il loro nome, e sono forse stati, in passato, in parte commisti coi turchi o gli egiziani che si trasferirono nel Kosovo in epoca ottomana. Queste popolazioni zingare, all’epoca della Jugoslavia, erano meglio integrate che in molti altri posti d’Europa, dove spesso vivevano in povertà e di espedienti: tra gli zingari locali, invece, l’artigianato dei metalli, ad esempio, era giunto ad essere un fiore all’occhiello; spesso non erano nomadi ma abitavano in propri villaggi e quartieri. Attualmente, molti di loro, che un tempo erano almeno il 10% della popolazione del Kosovo (e, poichè certamente ve ne erano di non registrati in quanto tali nelle statistiche, il loro numero reale si aggirava attorno alle 450.000 persone circa) sono stati cacciati indiscriminatamente dall’UCK, il “partito-armato” dei militanti indipendentisti kosovari-albanesi, anche per sospetti mai provati di collaborazione con le milizie serbe. Purtroppo, si calcola che ci siano stati anche omicidi: sono circa 100, infatti, i rom morti per tali motivi, mentre si sono verificati anche casi di donne violentate, a volte davanti ai mariti ed ai suoceri, per maggiore spregio. Dei circa 22.000 rom che vivevano a Pristina, inoltre, ne sono potuti rimanere solo una cinquantina.  Sia i serbi che i kosovari-albanesi, in effetti, ci tenevano ad avere i gruppi zingari dalla propria parte. Ultimamente, alcuni zigani che avevano cercato di tornare a Pristina hanno subito delle intimidazioni, durante una delle quali è rimasta ferita una bambina di dodici anni. Altre vittime la comunità rom li aveva avuti sotto i bombardamenti americani, che avevano ucciso, inoltre, circa 5000 serbi. Gli zingari, comunque, sono sì un popolo senza un proprio Stato, ma hanno un proprio Parlamento simbolico, che già nel dicembre 2005 aveva espresso l’intenzione di chiedere al comando americano della N.A.T.O. ed ai suoi alleati un risarcimento per i danni di guerra, perché nei loro confronti era stato perpetrato un genocidio e per pretendere dalle Nazioni Unite e dalle Corti Internazionali che ne fossero trovati i colpevoli. … A questo proposito, è particolarmente significativo anche quanto aveva dichiarato il cosiddetto “re”  degli zingari  Raiko Djuric, (in realtà, con un ruolo di guida nel loro Parlamento simbolico, che nei fatti è un Congresso mondiale di queste popolazioni): “Nella federazione jugoslava abbiamo avuto anche un ministro zingaro, Drakisha Svetkovic, e ora siamo solo profughi o ospiti. Se i serbi cacciati dal Kosovo sono cittadini di serie B,  nella Serbia dilaniata dalla crisi economica, senza lavoro e prospettive, dove la vita è cara come in Europa, noi zingari [provenienti dal Kosovo, n.d.R.] semplicemente non esistiamo [ultimamente, però, molti profughi zingari dal Kosovo sono stati ospitati in Serbia, n.d.R.]. Così vaghiamo qui, in Macedonia, in Italia, soprattutto a Milano; molti, 46.000, sono arrivati in Germania perché anche quando c’era l’embargo rimaneva il canale aperto con l’Ungheria. Da lì era facile entrare in Germania”. [Cfr. Il Manifesto dell'8 dicembre 2005, articolo di Tommaso Di Francesco]. E ancora, ecco altri estratti significativi dallo stesso pezzo: “vicino Lipljan, una frazione di 50-60 case di rom, qualche zingaro ashkali è rimasto. [...]  E le vostre case? Chiedo a tutti quelli che ormai riempiono la baracca: «Sono arrivati gli albanesi e le case sono state bruciate – rispondono quasi in coro – tutte bruciate. Come possiamo tornare senza protezione e senza le nostre case? Eravamo minacciati ogni giorno, facevano il segno del coltello che taglia il collo. Perché non ce lo vengono a chiedere a noi che pensiamo dell’indipendenza?». «Noi siamo la prova di quanto sarebbe ingiusta l’indipendenza di una sola etnia – risponde Raghib – ma se torno trovo
il coltello, è la democrazia del coltello. Vogliono vivere soli, che vivano da soli. Che torno a fare e che mondo è questo?»”. E ancora, riportando la testimonianza raccolta della giornalista tedesca Marina Achenbach a proposito dei profughi rom riparati in Macedonia, anche attraverso le parole di Nezdet Mustafa, rom e uomo politico della Macedonia, che ha studiato Filosofia e Scienze Politiche all’Università, e con ruolo guida in un importante quartiere rom della capitale macedone Skopje, Shuto Orizari (di solito abbreviato in Shutka):  “Nezdet Mustafa critica con forza le istituzioni internazionali: «L’Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati si è comportato in maniera assolutamente negligente verso i rom. Guardate cosa succede adesso nel campo profughi di Stenkovac: è un campo di concentramento! I rom non possono uscire. I giornalisti hanno problemi a entrare. Si tratta di una  precisa direttiva dell’ACNUR. Io credo che sia anche una violazione delle loro stesse regole. E credo che la documentazione che stiamo preparando porterà  a un processo in tribunale contro l’ACNUR. Abbiamo documenti che dimostrano che non hanno fatto il loro dovere correttamente». [...] La figlia della famiglia fuggita da Lipljan [...] offre una conclusione inattesa: «Un nostro vicino, uno Shiptar, un albanese, è venuto da noi, fino a  Skopje, per chiederci di tornare. Ma la notte non avrebbe potuto proteggerci, non poteva garantire la nostra incolumità. Allora gli abbiamo detto: “Non veniamo. Perchè ci chiami se poi qualcuno là ci ucciderà ?” Si è messo a piangere ed è tornato indietro>>.”    Fu sotto lo Stato jugoslavo (associato ai loro occhi ai serbi) che  i rom, per la prima volta, ebbero pieni diritti, poterono imparare dei mestieri e migliorare la propria istruzione.  Eppure, l’allarme per i cambiamenti avvenuti in seguito, e riguardo, quindi, la discriminazione ed altre ingiustizie perpetrate ai danni delle minoranze, era già stato lanciato da tempo…Ecco, ad esempio, le parole di un comunicato di Amnesty International già datato (risale al 29 aprile 2003), ma che descrive una situazione ancora non del tutto inattuale: “Le quotidiane intimidazioni subite da serbi, bosniaci, gorani, rom, ashkali ed egiziani limitano la loro libertà  di movimento. Il timore di avventurarsi fuori dalle enclavi monoetniche rafforza la percezione di prigionia e di esclusione e nega alle minoranze il godimento dei fondamentali diritti umani”,  e ancora: “L’impossibilità  di avere accesso a cure mediche adeguate ha determinato un aumento dei tassi di mortalità  e delle malattie all’interno dei gruppi minoritari. In alcune zone, questi non hanno accesso alle medicine di base”. Quelli che vengono chiamati “egiziani” nel testo sono in realtà un altro gruppo di zingari, soprannominati, appunto, “egiziani”, perchè secondo le proprie storie tramandate di generazione in generazione, forse leggendarie, avrebbero risieduto a lungo in Egitto prima di stabilirsi nel Kosovo; alcuni li considerano di origine ashkala, e pensano che l’averli fatti considerare distinti dagli altri sia stata una mossa dello Stato jugoslavo per favorire l’immagine di un Kosovo più aperto dal punto di vista dell’integrazione tra le etnie. Gli zigani soprannominati “egiziani” sono di religione musulmana, e sanno parlare quale prima lingua l’albanese, come gli ashkali. Ancora a proposito di queste minoranze, nei fatti prigioniere a casa propria, quando non rifugiatesi fuori dal Kosovo, è molto importante tenere presente il dato statistico che, a causa delle discriminazioni attualmente in atto, si calcola che fino al 90% dei serbi e dei rom sia disoccupato; del resto, già nel giugno del 1999 tutti i serbi erano stati licenziati dai servizi pubblici e dagli impieghi statali. Riguardo di nuovo i rom, invece, nessuna loro comunità, che fosse più vicina ai serbi o ai kosovari-albanesi, si è potuta sottrarre agli sforzi dell’UCK di creare un Kosovo etnicamente omogeneo. I reati ai danni delle minoranze raramente vengono puniti ed impediti da molti militari della N.A.T.O. (uno dei quali, americano, fu addirittura colpevole di un crimine particolarmente spregevole: uccise, infatti, una ragazzina kosovara-albanese, dopo averla violentata), incontrando tuttora poco rilievo sui mass media. Nel 1999, dunque, paventando principi di autodeterminazione dei popoli e di protezione da discriminazioni a sfondo etnico (che in teoria sono naturalmente condivisibili, ma che in questo caso non sono stati applicati in modo equo), la N.A.T.O., sotto comando statunitense, bombardava la Serbia, il Montenegro all’epoca non ancora indipendente, e le postazioni serbe in Kosovo (ma a volte uccidendo in realtà civili, anche kosovari-albanesi, e comunque civili di tutte le etnie di quelle contrade)…Quegli stessi comandi americani, in teoria in terra balcanica per aiutare un piccolo popolo oppresso, attualmente non muovono un dito, purtroppo, per migliorare la triste condizione dei profughi zingari, serbi e  kosovari di etnie diverse da quella albanese: a riprova del fatto che non siano stati realmente principi umanitari e di autodeterminazione a muovere l’amministrazione Clinton e quelle successive americane in quelle terre, ma che piuttosto i vari governi americani cerchino di approfittare della tragedia dello scontro tra popoli per installarsi in pianta stabile in quel Paese. Si tratta di una strategia che non deve meravigliare, dato che il governo statunitense, storicamente, ha spesso cercato di prosperare sulle sventure altrui…è poco noto ma tristemente vero, ad esempio, che addirittura in occasione dello tsunami che nel 2004 si era abbattuto su molti Paesi dell’Oceano Indiano, pensando alla  ricostruzione affidata in molti casi a ditte americane, Condoleeza Rice avesse dichiarato, con nettissima spregiudicatezza: “Lo tsunami si è dimostrato una meravigliosa occasione dalla quale gli Stati Uniti hanno tratto enormi benefici” [cfr. il mensile Orion del marzo 2005, pag. 50].
 

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