I 6 stadi dell’umanitarismo bombardatore

set 1st, 2011 | Di | Categoria: Politica Internazionale

di Rodolfo Monacelli

(da Megachip)

Abbiamo assistito per mesi all’attacco imperialista nei confronti della Libia e del suo legittimo governo. Non certo una novità, poiché è uno scenario che – da almeno vent’anni a questa parte – è l’elemento costitutivo della politica estera degli Stati Uniti e dei paesi della NATO. La novità di questo conflitto è costituita dalla forma dell’utilizzazione dei media per la giustificazione del conflitto.  Di per sé neanche questa sarebbe una novità perché  ha inizio dalla prima guerra del Golfo di Bush padre contro l’Iraq. È facile obiettare che l’utilizzazione degli strumenti di comunicazione per la giustificazione o l’appoggio a un conflitto militare sia una pratica largamente adottata da quando esistono i media e le guerre.  Qui parliamo però di una cosa profondamente diversa. Non è generica propaganda di guerra ma un’azione più sofisticata, un parallelo moralistico di religione dei diritti umani e umanitarismo bombardatore.

Non sembri esagerato tutto ciò. È semplicemente quel che in questi vent’anni è avvenuto. Un sistema mediatico-moralistico che procede a sei stadi, quasi come una caccia al tesoro, che cercheremo brevemente di esporre.

1° stadio: Creazione del caso.

Avete mai sentito parlare nel 2011 dello Yemen? O dell’Arabia Saudita? Nulla o forse poco. Perché lì i diritti umani sono rispettati? Perché esiste un Parlamento? Perché esiste una Costituzione?

No, semplicemente perché non è stato creato l’evento. Fateci caso. E fate caso anche al fatto che in tutti questi eventi siano “scoppi improvvisi” di emergenze umanitarie.

Come mai, si potrebbe chiedere ai giornalisti del mainstream (e non solo), non ve ne siete accorti prima?

Come mai improvvisamente fate inchieste su un Paese specifico, sui suoi problemi, e in maniera quasi magica in contemporanea su tutti i vostri giornali?

2° stadio: Appelli per l’emergenza umanitaria.Walter Veltroni

Creata la notizia e sensibilizzata l’opinione pubblica ecco che entrano in campo i movimenti “pacifisti” in salsa americana (i Radicali) o di sinistra ma che rispondono alla stessa logica.

Prendendo per buone tutte le notizie che ci sono state comunicate, parlano di “emergenze umanitarie” e di “soluzioni politiche” per casi che, la maggior parte delle volte, non esistono o che sono largamente minoritari.

3° stadio: Creazione delle rivoluzioni colorate.

Ecco che la “soluzione politica” viene avviata, anche se non è certo come speravano (o fingevano di sperare?) i pacifisti de noantri.

Quelle piccole rivolte, quelle minoritarie proteste, quelle normali rivalse di personaggi esautorati dal governo sono esasperate attraverso l’intelligence, finanziate e sostenute. E così, una piccola protesta che poteva essere risolta politicamente diventa una “rivoluzione” (colorata ovviamente) sostenuta da un punto di vista economico e logistico dall’impero.

4° stadio: Reazione dei governi.

All’interno di queste rivolte poi, anche in questo caso miracolosamente, si aggregano tagliagole e terroristi che iniziano a praticare atti di sangue con la naturale reazione dei governi.

Le reazioni possono essere brutali e autoritarie o anche di normale resistenza a un attacco terroristico interno (iniziamo a chiamare le cose con il loro nome).Al Quaeda Libia

Tornano in campo i media mainstream e i pacifisti da una parte sola che denunciano la repressione e richiedono soluzioni politiche per salvaguardare la difesa delle popolazioni.


5° stadio: Intervento dell’Onu e della Nato.

Ecco che, a questo punto, sotto pressione dell’opinione pubblica internazionale e, ovviamente (concetti così moralmente edificanti vanno sempre ripresi e ribaditi), per la difesa del popolo minacciato di genocidio esce una risoluzione dell’Onu e un conseguente intervento militare (Onu o Nato la differenza è poca come dimostra il caso della Serbia o della Libia).

Naturalmente non verrà mai chiamato “guerra” ma “intervento umanitario”, ed è attraverso questa ipocrisia a cui bene si adattano le anime belle della sinistra occidentale che paesi come l’Italia hanno la possibilità di partecipare attivamente a queste missioni militari pur avendo all’interno dei loro riferimenti costituzionali e di diritto internazionale il “rifiuto della guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali” e l’”Autodeterminazione dei Popoli”.

6° stadio: Cacciata del dittatore e ristabilimento della democrazia.

Ecco che, in finale, vi è un rovesciamento (che oseremmo definire “dialettico”) dell’operazione iniziale che inizialmente era difendere la popolazione dalla brutalità del novello Hitler di turno.Impiccagione di saddam Hussein

Quale fosse l’obiettivo iniziale tutti se lo sono dimenticati e nessuno lo ricorda. Il dittatore, dunque, viene ucciso o processato (grazie a quel vero e proprio strumento giuridico dell’Impero che è il Tribunale dell’Aja) e viene ristabilita la democrazia con le bombe, eliminata ogni sovranità economica e politica al Paese aggredito e inserito il paese “non allineato” all’interno del colonialismo e del dispositivo dell’impero.

Prima di rivoltarsi contro questa logica rivoltante, frutto d’ipocrisia e con un’evidente copertura a sinistra, bisogna essere consapevoli di questo sistema di comunicazione e occorre cercare di smascherarlo, informare più persone possibili per cercare di ribellarsi.

Prima di tutto questo, è necessario però lottare contro una logica che può essere assorbita da tutti noi. E questo si può fare innanzitutto distinguendo gli schieramenti delle forze in campo nel momento in cui soffia il vento della guerra e si rivelano i nemici, andando fin dove si spinge il blocco costituito non soltanto dall’Imperialismo. Anzi, forse la parte più pericolosa è costituita da quello che, per usare un gergo militare per rimanere nel tema, viene definito “fuoco amico”. Le anime belle, insomma, la cui parola d’ordine, per citare Hegel, è quella di “non sporcarsi le mani con i mali del mondo”. Prima o poi, però, il male arriva e allora le anime belle si trasformano nelle anime più brutte del mondo, non riconoscendo più le mani sporche dell’aggressore che si stringono sull’aggredito.

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