Trotzkismo, populismo, mitologia progressista dell’unanimità delle masse, “primavera araba 2011″, Libia 2011, Siria 2011

set 17th, 2011 | Di | Categoria: Dibattito Politico

Risposta al senatore Franco Turigliatto

di Costanzo Preve

1. Ad un mio breve saggio critico intitolato “Considerazioni sulla guerra di Libia e sulla cosiddetta primavera araba” il senatore Franco Turigliatto ha non solo gentilmen

te risposto, ma è anche entrato nel merito di alcuni mie rilievi pesantemente critici. Lo ringrazio e rispondo, perché ritengo che quanto ho da dire, giusto o sbagliato che sia, sia di interesse generale e vada oltre le nostre due modeste persone.

2. Per iniziare espongo le linee generali della mia risposta a Turigliatto. In primo luogo esporrò concisamente la mia opinione teorica negativa sul trotzkismo, che non tocca assolutamente l’alta figura morale di molti trotzkisti, a partire dallo stesso Trotzski, ma che concerne esclusivamente le errate basi teoriche del trotzkismo stesso, che stanno ovviamente alla base poi di giudizi come quelli sulla Libia 2011 e sulla Siria 2011.

In secondo luogo, usando il metodo genetico-dialettico di Marx, andrò alla radice di questo errore, che mi pare di individuare in una concezione mitica dell’unità metastorica del popolo rivoluzionario, concezione mitica dipendente in ultima istanza dalla mitologia borghese del progresso.

In terzo luogo, farò la mia ipotesi, largamente rivedibile se è il caso, sulla natura generale della cosiddetta “primavera araba” del 2011.

In quarto luogo, per finire, arriverò finalmente a contestare il giudizio sulle “rivoluzioni” (per me controrivoluzioni totali, Vandee e non Comuni di Parigi) della Libia 2011 e della Siria 2011. Comincerò da lontano, ma così facendo arriverò meglio al traguardo, senza lasciare equivoci pregressi.

3.  Ci sono tabù difficili da sfidare. Così come rifiuto di inserirmi in dicotomie che ritengo del tutto insufficienti nello stesso modo rifiuto la dicotomia secca trotzkismo/stalinismo. Negli anni Trenta probabilmente dovevi essere l’uno o l’altro, ma nel 2011 non più. Ho già ampiamente “esternato”altrove il mio bilancio storico-teorico del trotzkismo (Cfr. Costanzo Preve, Storia critica del marxismo, La Città del Sole, Napoli, 2007).

4. Il trotzkismo è una metafisica parallela, ed in quanto parallela alla storia reale non ha mai con essa nessun punto di tangenza, perché si pone sempre nei confronti della “storia storica”, cioè quella veramente svoltasi, come il “grillo parlante” di Pinocchio, rinfacciandole sempre di non essere come dovrebbe essere. Filosoficamente parlando, quanto di meno hegeliano e di più kantiano si possa immaginare, in quanto regno del “dover essere” (sollen).

La radice della critica trotzkista alla burocrazia sta a mio avviso nella critica anarchica di Bakunin a Marx. Bakunin vede nello “stato operaio” un potenziale statalismo totalitario soffocante, cui opporre l’autogestione economica e l’autogoverno politico operaio senza alcuna mediazione statuale. Trotzki non lo riprende certamente tale e quale, perché si colloca all’interno delle correnti di sinistra della II Internazionale (1889-1914), che devono tutte necessariamente accettare la premessa della partecipazione proletaria al sistema politico.

Trascuro qui per ragioni di spazio le premesse della critica alla burocrazia (Kautsky, Robert Michels, Rosa Luxemburg, eccetera). In tutte queste versioni la burocrazia è vista come una “escrescenza patologica”, facilitata dall’arretratezza e soprattutto dal basso livello delle forze produttive. Davanti ad un negozio semivuoto si fa la coda, per regolare la coda ci vuole una guardia armata, e la guardia armata si serve per prima. Questo è il “paradigma” semplificato del trotzkismo. Esso suggerisce implicitamente la soluzione economicistica per cui in condizioni di sviluppo e di abbondanza delle forze produttive, la guardia armata diventa inutile.

Si tratta di un errore teorico profondo, che presuppone una concezione economica “finita” fondata sul Bisogno. Ma il capitalismo non si fonda sul progressivo esaudimento dei Bisogni, ma sulla produzione illimitata dei Desideri. Con una terminologia mutuata dalla Scienza della Logica di Hegel, il Bisogno fa parte della Logica dell’Essere in generale (la produzione e il consumo in generale), ma il Desiderio fa parte della Logica dell’Essenza, che è una negazione determinata dalla semplice Logica dell’Essere (si pensi al comunismo di Negri e Hardt, ricavato concettualmente dall’antropologia del desiderio di Deleuze).

Il succo del discorso è che non ci sarà mai un momento in cui lo sviluppo delle forze produttive renderà possibile l’estinzione dello Stato (tesi marxiana utopistica da me non condivisa) e renderà superflua la mediazione detta “burocratica”. Questo non significa affatto la fine del comunismo e l’accettazione del capitalismo come gabbia d’acciaio (Max Weber) e come dispositivo tecnico intrascendibile (Martin Heidegger). Significa però la presa d’atto scandalosa del fatto che la classe salariata, operaia e proletaria non è e non sarà mai una classe strategicamente rivoluzionaria (nel mio linguaggio, inter-modale), che bisogna allargare la base sociale della rivoluzione anticapitalistica, con tutte le telluriche conseguenze del caso.

5. Vorrei proporre un’immagine plastica per chiarire che cosa penso del trotzkismo. Immaginiamoci un bellissimo palazzo, la cui vista è però impedita da apparecchiature, strutture di sostegno, puntelli e ponteggi. Il suo contemplatore estetico, munito magari di una buona guida turistica (metaforicamente, un compendio di pensiero marxista), chiederà di togliere la fastidiosa struttura di sostegno, con i suoi antiestetici ponteggi e puntelli, per poter finalmente vedere il palazzo nella sua interezza. Bene, la struttura di sostegno viene tolta, ed immediatamente il palazzo crolla. Era infatti la struttura antiestetica di sostegno che lo teneva su, non certo le fondamenta e i muri maestri.

Chiunque abbia assistito alla fine dell’URSS nel 1991 e dei paesi fantocci dell’Europa Orientale sa benissimo che è avvenuto questo. Rimossa la burocrazia (in linguaggio trotzkista, lo stato operaio degenerato) l’intero baraccone è crollato, trasformando milioni di persone in mendicanti, esercito industriale di riserva, prostitute se donne giovani e/o badanti se donne di mezza età e anziane. Se ne sono accorti tutti, tranne i trotzkisti occupati a prendersela con il burocrate Fidel Castro (Dio lo conservi!) e con il bonapartista Chavez (Dio lo conservi!).

6. Da dove viene questa metafisica parallela che non ha ancora capito che senza strutture di sostegno l’intero bel palazzo crollerà, e che ha auspicato per quasi ottant’anni che la struttura di sostegno venisse rimossa, per poi ottenere la dittatura mafiosa di Majalovsky, Porkovsky, Ladrovsky, Farabuttin, eccetera? Cerchiamo la risposta.

7.  La cosa peggiore, già sconsigliata da Palmiro Togliatti, sta nel credere alle proprie stesse menzogne. Se la rivoluzionarietà della classe operaia, salariata e proletaria fosse un semplice mito di mobilitazione alla Georges Sorel non ci sarebbe niente di male. Un mito di mobilitazione, o in linguaggio kantiano una precondizione trascendentale alla mobilitazione (come la prospettiva di Lukacs o l’utopia di Bloch) non deve essere vero o falso, ma semplicemente funzionale al rovesciamento del capitalismo. Se invece ci si “crede” veramente, diventa esattamente come il fissismo in biologia o la teoria tolemaica in astronomia. Diventa un impedimento per la rivoluzione scientifica, per il riorientamento gestaltico e per il mutamento di paradigma

8. Credo che all’origine di tutte queste storie ci sia l’assorbimento non critico dell’ideologia borghese del progresso. Secondo questa ideologia la storia è come un grande veicolo che può andare avanti o indietro. Il popolo, guidato dagli intellettuali – prima illuministi, poi marxisti, e cioè positivisti di sinistra – è il soggetto portatore del progresso, purché si allei con lo sviluppo delle forze produttive e con il pensiero scientifico, contro la superstizione religiosa, l’idealismo e la metafisica. Il proletariato, vittima della estorsione del plusvalore, è semplicemente l’avanguardia del popolo. Il popolo nel 1789 è unito contro il re di Francia. Il popolo russo nel 1917 è unito contro lo zar. Il popolo spagnolo nel 1936 è unito contro Franco.  Lo stesso avviene per le “masse” libiche e siriane nel 2011, che sono idealmente unite contro i dittatori reazionari Gheddafi e Assad, prima che la NATO gli “scippi” il loro assoluto diritto alla rivolta.

Ovviamente, il popolo francese nel 1789, il popolo russo nel 1917 ed il popolo spagnolo nel 1936 non erano affatto uniti, ma spaccati in due in una percentuale che secondo i luoghi e i gruppi sociali andava dal 10 al 60%.

Le masse hanno sempre diritto alla rivoluzione? Non lo nego. Ma le masse nella Vandea del 1793 e nella Napoli del 1799 erano masse reazionarie. Per quale mistero di Allah e Maometto non potrebbero esserlo anche le masse musulmane (con una semplice spruzzata, ma solo una spruzzata, di laici confusionari autonominatisi “marxisti”) della Libia e della Siria 2011, cui sono certamente contrapposte altre “masse” sostenitrici di Gheddafi e di Assad? Perché, non sono masse anche queste?

9. A differenza dei “sinistri” confusionari, vittime dei loro stessi miti, gli imperialisti sanno perfettamente che le masse sono divise, e sanno che il loro intervento può soltanto effettuarsi sfruttando questa divisione. Negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, al tempo delle rivoluzioni arabe nazionaliste (nasserismo egiziano, gheddafismo libico, Baath siriano e iracheno, eccetera) sarebbe stato quasi impossibile un intervento, anche grazie al benefico riequilibrio geopolitico-militare dello “stato operaio burocratico degenerato” sovietico: la definizione non è la mia, è quella del trotzkismo ortodosso, che rifiutò sempre la teoria rivale del capitalismo burocratico di stato, Mandel contro Cliff, eccetera.

Bisogna quindi chiedersi in modo spregiudicato il perché queste rivoluzioni nazionali e laiche arabe si sono indebolite negli ultimi decenni, permettendo così l’intervento imperialista, impossibile senza preventiva spaccatura interna delle “masse”.

10. Per usare una terminologia concettuale proposta da Antonio Gramsci, mezzo secolo fa le rivoluzioni nazionaliste arabe furono realizzate da un “blocco storico” di piccola borghesia, operai e contadini in cui era “egemone” la piccola borghesia nazionalista modernizzatrice (ingegneri e medici in primo luogo).

Qualcosa del genere era già avvenuta quaranta anni prima nella Turchia di Mustafà Kemal Ataturk, in cui dopo la cacciata e lo sterminio di armeni e di greci, ed in assenza di una vera e propria borghesia imprenditrice turca autonoma, lo stato-partito kemalista aveva dovuto supplire nella sua funzione di decollo (take off) modernizzatrice. In Turchia dopo il 1945 questo aveva potuto svilupparsi nel quadro di un’alleanza occidentalista con la NATO e con gli USA, perché la Turchia dopo il 1922 si era già liberata delle cavallette imperialiste francesi e inglesi. I paesi arabi erano invece stati divisi dall’infame accordo Sykes-Picot e dall’ancora più infame Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917, e non potevano sviluppare le loro rivoluzioni nazionali in modo occidentalistico, ma furono costretti ad allearsi con l’URSS contro gli USA, al di fuori delle monarchie petrolifere del Golfo.

Ragioni di spazio mi impediscono di entrare nei dettagli, ed arrivo subito al dunque. Dopo la fine catastrofica dell’URSS nel 1991, la cui prima conseguenza fu la guerra del Golfo del 1991 con conseguente embargo assassino verso i civili e i malati, fu assolutamente chiaro che i regimi nazionalisti dovettero “riconvertirsi” in senso occidentalistico per non essere distrutti. Di qui, ad esempio, la svolta occidentalista e liberista di Gheddafi nell’ultimo decennio, che non poteva però farlo “perdonare” perché sia gli imperialisti che gli elefanti hanno entrambi la memoria lunga.

Nel frattempo, si stavano autonomizzando vere e proprie borghesie sunnite – del modello dell’islamismo moderato di Erdogan in Turchia con corrispondente linea “neo-ottomana” in politica estera -  che sempre meno sopportavano di essere politicamente subordinate ai regimi politici, nel frattempo ampiamente corrotti, formatisi mezzo secolo prima (Ben Alì in Tunisia, Mubarak in Egitto, Saleh in Yemen, Gheddafi in Libia, eccetera). Ormai questa borghesia imprenditoriale sunnita voleva e poteva volare con le proprie ali, attraverso il binomio Fratelli Musulmani all’interno – Occidentalismo USA e NATO all’esterno. Non c’è affatto contraddizione fra i due termini.

11.  Chi ha creduto che il cosiddetto “Islam Politico” fosse strutturalmente e strategicamente anti-occidentale si deve ricredere. Osama Bin Laden è stato poco più di un “incidente di percorso”, non l’inizio di un ciclo rivoluzionario musulmano anti-occidentale.  Questo incidente di percorso è stato certo importante (11 settembre 2001, eccetera), ma hanno avuto ragione analisti come Gilles Kepel a profetizzarne l’esaurimento. Ha avuto ancora più ragione l’orientalista Maxime Rodinson, nel suo capolavoro Islam e Capitalismo, nel chiarire che l’Islam è perfettamente compatibile con il capitalismo, sia pure con un capitalismo maggiormente comunitario e meno selvaggio e individualistico di quello cristiano, prevalentemente protestante, che ha però ormai egemonizzato anche quello cattolico e ortodosso. Almeno per i musulmani l’elemosina è obbligatoria, e non facoltativa come per i cialtroni “compassionevoli” e falsi cristiani.

Ebbene, la Primavera Araba, spogliata del folklore dei rubinetti d’oro della moglie parrucchiera di Ben Alì e del capro espiatorio Mubarak portato in tribunale in barella, è stato proprio questo. E in questo quadro bisogna ovviamente inquadrare la Libia e la Siria 2011.

12. Facciamo un passo indietro di venti anni (2011-1991) e avremo forse la chiave per capire le cosiddette “primavere arabe”. Nel quinquennio 1987-1991 si disgregò in URSS e in Europa Orientale il sistema degli stati socialisti che i trotzkisti avevano sempre connotato come stati operai a degenerazione burocratica, rifiutando però nello stesso tempo di connotarli come sistemi capitalisti (Bordiga, Bettelheim, La Grassa, eccetera). Riprendendo liberamente una definizione di Jameson, li connoterei non certo come società di transizione al comunismo (su quelle basi non si sarebbe comunque potuto “transire” da nessuna parte), ma come grandi esperimenti storici di ingegneria sociale autoritaria ed egualitaria sotto cupola geodesica protetta: la cupola era la burocrazia politico-partitica, cioè la struttura di sostegno senza la quale sarebbe crollato l’intero edificio, data la totale incapacità di autogoverno politico e di autogestione economica diretti della loro base sociale e di classe, la classe operaia e proletaria.

Questo non significa – lo si noti bene – che il comunismo sarà per sempre impossibile. Sarà forse possibile, ma con una diversa base sociale più allargata. La prossima volta, perché ci sarà molto probabilmente ma non sicuramente una prossima volta, bisognerà riprovarci con una diversa base filosofica, sociologica, scientifica e politica.

Ho conservato, e ogni tanto rileggo, la rivista in lingua francese “Inprecorr” del Segretariato Unitario della Quarta Internazionale (quella cui, salvo errore, appartiene il senatore Turigliatto) del quinquennio 1987-1991. Per esprimermi in modo educato, non avevano capito niente, E non avevano capito niente perché il loro codice interpretativo non poteva permettergli di capire niente. Esaltavano le lotte contro la burocrazia, dalla Germania Est ai paesi baltici, appoggiavano persino Eltsin contro Gorbaciov, se la prendevano con i “conservatori” inneggiando alle “masse” che volevano certamente più democrazia e più socialismo, e nel frattempo contribuivano alla distruzione della struttura che teneva ancora insieme il palazzo del tarlato baraccone.

13. Il fatto è che nella storia non avvengono solo rivoluzioni, ma anche controrivoluzioni. La gente in piazza non è sempre tautologicamente rivoluzionaria. In Vandea nel 1793 non lo era. In URSS nel 1991 si attuò una maestosa controrivoluzione di massa dei ceti medi sovietici cresciuti nel socialismo e largamente “infiltrati” nello stesso partito comunista, che alla fine non restaurarono neppure il vecchio capitalismo “civilizzato” borghese-zarista (quello che sognava Solgenitsin), ma instaurarono il regno di baroni ladri e di oligarchi spietati. Nel frattempo i trotzkisti continuavano a prendersela con la burocrazia e a vederla dovunque, insieme con lo stalinismo, il burocratismo e il “campismo”.

14. In prima approssimazione e scusandomi per l’improprietà terminologica, il 2011 ha visto nei paesi arabi un intreccio dialettico, ancora in svolgimento, di rivoluzione e di controrivoluzione. In Tunisia e in Egitto ha prevalso l’elemento rivoluzionario, in Libia e in Siria l’elemento controrivoluzionario. L’amalgama fra i quattro paesi, e lo stesso appoggio indiretto all’interventismo imperialistico USA-NATO, è frutto di confusione e di semplificazione, oltre che di subordinazione culturale ormai ventennale al modello del Dittatore Sanguinario, che nel mio primo intervento sulla Libia ho fatto risalire a una degradazione occidentalistica dell’immaginario antifascista della seconda guerra mondiale. La banda dei quattro dittatori (Ben Alì, Mubarak, Gheddafi, Assad) ha sostituito la capacità di comprensione della complessità del fenomeno inteso come intreccio di elementi rivoluzionari e di elementi controrivoluzionari.

La Tunisia ha visto un modello di rivolta popolare, sostanzialmente imbrigliata dalle strutture trasformistiche del vecchio regime, che come al solito hanno “scaricato” il capro espiatorio. Il pullulare di gruppi marxisti e comunisti è indiscutibile, e molto simpatico e positivo, ma credo che alla fine ci sarà un assestamento al potere di un’alleanza di islamismo moderato occidentalistico e di laicismo di tipo turco. Chi parla di “rivoluzione tunisina” dovrebbe usare un simile termine impegnativo con maggiore sobrietà.

L’Egitto ovviamente è il caso più importante. E’ stato assolutamente giusto appoggiare i gruppi rivoluzionari di sinistra, e Sinistra Critica ha fatto benissimo a farlo. Non vorrei ci fossero dubbi in proposito. E’ probabile che alla fine ci sarà un assestamento del potere tra i Fratelli Musulmani e l’esercito, con il capro espiatorio Mubarak in barella, e il fiorire di un capitalismo di tipo turco alla Erdogan. Non è un caso che gli USA non siano troppo preoccupati. Vorrà dire ben qualcosa, no?

In Libia sfido i “sinistri” a trovare con il lanternino un loro equivalente gruppettaro tipo Egitto e Tunisia. Non ce ne sono. Ci sono soltanto controrivoluzionari razzisti linciatori di africani, e per farli vincere i bombardamenti NATO sono stati decisivi. Quella di Libia è stata una guerra coloniale classica, e soltanto la coazione parossistica a vedere dovunque “masse” in rivolta ha potuto ingenerare simili equivoci. Ma chi pensa questo non ha bisogno di Marx e di Lenin e comunque neppure di Trotzki, perché gli basta e avanza L’uomo in Rivolta di Albert Camus (fra parentesi, sostenitore dell’Algeria francese).

In Siria spero ardentemente che il governo Assad non cada, e possa gestire in modo non catastrofico (un po’ come Deng Xiao Ping in Cina dopo il 1976) delle necessarie riforme politiche. Sarebbe lunghissimo spiegare il perché, e non lo faccio per semplici ragioni di spazio. In breve, lo considero di gran lunga il meno peggio, mentre il peggio sarebbe l’alleanza tra Fratelli Musulmani siriani e politici occidentalisti.

15. Il discorso sarebbe appena iniziato, e lo chiudo qui per ragioni di opportunità. Mi sono formato nell’estrema sinistra, sono diventato prima eretico e poi infine apostata. Turigliatto non è certo tenuto a rispondermi. Lo stimo molto per avere osato votare contro i crediti di guerra, finendo espulso dal partito in cui il fantoccio Bertinotti saltabeccava nei salotti romani vaticinando che la parola “comunismo” era diventata “indicibile”.

E allora perché scrivere questa risposta, mi si chiederà legittimamente. E’ semplice. Io scrivo prima di tutto per i miei affezionati lettori e per me stesso, se Montaigne e Rousseau la hanno fatto, potrò ben farlo anch’io. Dal momento che sono rimasto comunista nel senso di Marx, al di là di quanto può dire il gossip malevolo e settario, sento il bisogno di capire il perché della incredibile decadenza del pensiero marxista e comunista nell’Italia degli ultimi vent’anni, del suo degrado in anti-berlusconismo, in fiancheggiamento del PCI-PDS-DS-PD e della sua adozione della teologia dei diritti umani e della demonizzazione dei sanguinari dittatori.

Semplicemente, l’oggettivo fiancheggiamento ai bombardamenti NATO (ma era già avvenuto nel 1999 al tempo della guerra di D’Alema contro la Jugoslavia) da parte di una estrema sinistra senza idee, è una tragedia storica. Altro discorso è da fare per l’agente americano Giorgio Napolitano che non ha tradito nulla e nessuno, ma ha solo plasticamente incarnato la natura trasformistico-metamorfica del PCI-PDS-DS-PD.

Torino, 11 settembre 2011

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3 commenti
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  1. Precisazioni su Trotsky e la sua lotta al populismo (a seguito di un articolo di Costanzo Preve)

    A seguito di un articolo di Costanzo Preve in risposta a Franco Turigliatto vorrei chiarire due questioni importanti: lo Stato operaio, e il rapporto marxismo populismo in Trotsky. Ribadisco che la posizione dei neo-trotskisti è vergognosa, il mio pieno appoggio alla resistenza libica, e la piena denuncia del gioco dell’imperialismo in Nord Africa; cose fondamentali prima di fare queste brevi considerazioni.

    1. Già Lenin nel 1921 ebbe modo di dire che lo Stato operaio russo è in realtà, da una parte, uno Stato operaio e contadino, e dall’altra, uno ”stato operaio con distorsioni burocratiche”. Le ragioni di ciò, cosa su cui batterà Trotsky, erano strettamente correlate all’isolamento in cui si trovò l’Urss a seguito della sconfitta della rivoluzione tedesca – tesi ora discutibile, ma che ai quei tempi era Vangelo.

    In uno scritto del 1937, ”Stalinismo e bolscevismo”, il costruttore dell’Armata Rossa fa riferimento all’undicesimo congresso del Partito bolscevico (marzo 1922) e dice:

    ”All’undicesimo congresso del partito, nel marzo 1922, Lenin parlò dell’appoggio offerto alla Russia sovietica al tempo della NEP da parte di alcuni politici borghesi, particolarmente dal professore liberale Ustrialov. “Io sono per il sostegno del potere sovietico in Russia” disse Ustrialov – per quanto egli fosse un Cadetto, un borghese, un sostenitore dell’intervento – “perché esso ha imboccato la strada che lo riporterà ad essere un ordinario stato borghese”. Lenin preferiva la cinica voce del nemico ai “mielosi nonsense comunistici”. Sobriamente e con severità egli avvertì il partito del pericolo in cui si stava incorrendo: “Dobbiamo dire francamente che le cose di cui Ustrialov parla sono possibili. La storia conosce ogni sorta di metamorfosi. L’appoggiarsi alla fermezza delle convinzioni, alla lealtà e ad altre splendide qualità morali, in politica non è nient’altro che un serio atteggiamento. Sono poche le persone dotate di tali qualità morali, ma le grandi questioni politiche sono decise dalle grandi masse, e queste, se i pochi non soddisfano le loro esigenze, possono ad un certo momento trattarli in modo non troppo educato”. In una parola, il partito non è l’unico fattore dello sviluppo e, in una larga prospettiva storica, non è quello decisivo”.

    Citazione lunga ma ne valeva la pena. La transizione al socialismo, come emerge dai testi dell’Internazionale (con Lenin vivo) era un processo complesso, pieno di contraddizioni, e Lenin stesso ammonisce sulla possibilità di instaurare inconsciamente il capitalismo. La ”teoria della burocrazia”, è stata una risposta, forse affrettata (o addirittura emotiva), di Trotsky (e in parte anche di Lenin) davanti questi problemi.

    Voglio fare riferimento ad un’altra tappa importante (o almeno per me importante) nella produzione teorica di Trotsky. Nel 1933 Lev Davidovic, in polemica con Otto Maschi detto Lucien Laurat (uno dei fondatori del Partito comunista austriaco), respinse non solo il concetto di burocrazia come nuova classe dominante, ma definì il concetto di ”totalitarismo” una pericolosa arma dell’anticomunismo. Cosa non da poco dato che l’idea dello Stato totalitario precede la Arendt e trova le migliori teorizzazioni in molti ”comunisti antistalinisti”: Hilferding, Souvarine, Victor Serge. In questo Trotsky, che difenderà fino alla fine l’Urss (si veda ”In difesa del marxismo”) in quanto ”patria socialista” darà una prova di grande morale rivoluzionaria, e, per dirla tutta, bene fecero teorici trotskisti come Mandel a respingere la teoria del capitalismo di stato.

    2. Arriviamo al secondo aspetto emerso dalla discussione: il rapporto marxismo-populismo. Qui Trotsky, dato il suo operato come capo dell’Armata Rossa e il suo lavoro teorico, avrebbe letteralmente sbranato vivi i suoi tristi epigoni.

    E’ necessario riprendere una sua lettera su Kronstadt:

    ”Essi citano i proclami degli insorti come si citano le sacre scritture. Inoltre lamentano il fatto che io non prenda in considerazione i «documenti », cioè il vangelo secondo Machno e altri apostoli. Prendere «in considerazione» i documenti non significa prenderli per buoni. Marx ha detto che è impossibile giudicare partiti o persone per ciò che dicono di se stessi. Le caratteristiche di un partito emergono assai più dalla sua composizione sociale, dal suo passato, dai suoi rapporti con le varie classi e con i vari strati sociali, piuttosto che dalle sue dichiarazioni orali e scritte, specialmente durante un momento critico come una guerra civile” (Leon Trotsky, La questione di Kronstadt, gennaio 1938).

    In effetti lo slogan ”tutti i popoli hanno diritto alle loro rivoluzioni” ha fatto danni immensi, mentre la storia è piena di rivolte reazionarie, dalla Vandea a Kronstadt, fino a Solidarnosc.

    Quindi se è vero che Lev Davidovic a conti fatti pone le basi per questa ”demonizzazione” della burocrazia (burocrati cattivi contro popolo buono), dall’altra parte fu in prima fila nel reprimere il populismo russo, spiegando molto bene come nei ceti medi, spesso va maturando un accentuato spirito contro-rivoluzionario.

    In queste parole – che ora riporto – c’è una critica preventiva alle degenerazioni di molti suoi tristi epigoni, che ieri esaltavano Solidarnosc ed ora gridano dietro i monarchici tagliagole di Bengasi:

    ”Solo una persona superficiale può vedere nelle bande di Machno o nella rivolta di Kronštadt una lotta fra i principi astratti dell’anarchismo e il «socialismo di Stato». In realtà questi movimenti rappresentavano convulsioni della piccola borghesia contadina, che desiderava ovviamente di liberarsi dal capitale, ma che nello stesso tempo non intendeva subordinarsi alla dittatura del proletariato. La piccola borghesia non sa che cosa vuole in realtà e non può saperlo proprio per la sua collocazione sociale. Ecco perché è assai pronta a cadere nella confusione delle proprie rivendicazioni e delle proprie speranze, ora sotto la bandiera anarchica, ora sotto quella populista, ora semplicemente con i «Verdi». Contrapponendosi al proletariato essa cercò, levando tutte queste bandiere, di far tornare indietro la ruota della rivoluzione”.

    Che dire? Povero Trotsky, ha seminato draghi e poi ha raccolto pulcini.

    Stefano Zecchinelli

  2. Pubblicata su FB da Gabriele Repaci

    Cher Costanzo,

    bonjour

    Tu sais que j’admire ton comportement et partage largement tes analyses,

    entre autre ta superbe discussion des marxismes historique (ton livre récents).

    Néanmoins je joins le commentaire qui suit concernant ton papier sur la

    Libye.

    COMMENTAIRE:

    Très juste condamnation de l’intervention de l’Otan en Libye. Nous nous

    rejoignons totalement sur ce point. Dans 1991 j’avais écrit : je condamne

    l’avance toute intervention des puissances impérialistes (US, Otan)

    dans les affaires du monde du Sud, quel que soit le motif invoque , fut

    il “humanitaire”. Car ces puissances n’interviennent que pour promouvoir

    les intérêts des monopoles impérialistes, et jamais pour une autre

    cause, m me s’ils invoquent la défense des droits humanitaires,

    réellement viol se par les régimes accuses. J’avais condamne l’avance

    leur intervention en Irak, en Afghanistan ou ailleurs. J’ai condamne des

    le premier jour leur intervention en Libye. Cela tant, il n’est pas

    nécessaire de faire de leurs victimes des héros de l’anti impérialisme.

    Cela n’est pas toujours le cas. Saddam Hussein, dictateur anti

    communiste odieux, avait propos ses services l’impérialisme US et

    conduit cet effet une guerre criminelle et stupide contre l’Iran.

    Kaddafi n’est pas le héro de l’anti impérialisme que Preve décrit. En

    accord avec les services britanniques il avait livre les dirigeants

    communistes soudanais son “ami”, l’odieux Noumeiri. Mais Kaddafi tait

    un individu instable qui pouvait tenir successivement les discours les

    plus violents et contradictoires. Dans le monde arabe on le sait. Il

    fallait le rappeler. J’ai écrit que les seuls objectifs des puissances

    occidentales en Libye sont : le p trole, l’eau et la base militaire. Que

    ces objectifs n’ont rien voir avec la démocratie ou la protection des

    civils (j’ai rappel que l’Otan soutient le criminel Abdeljelil la

    t te du nouveau “gouvernement”).

    Fraternellement

    Samir Amin

    Samir Amin è nato al Cairo nel 1931. Dirige il Forum du Tiers Monde a Dakar ed è presidente del Forum Mondiale delle Alternative. Ha insegnato in varie università ed è stato consigliere economico di alcuni paesi africani. Presso le Edizioni Punto Rosso sono stati pubblicati: La gestione capitalistica della crisi (1995), Le sfide della mondializzazione (1996), Le fiabe del capitale (1997, in co-edizione con La meridiana), Il sistema mondiale del secondo Novecento. Un itinerario intellettuale (1997), Fermare la Nato (1999), Il capitalismo del nuovo millennio (2001), Oltre il capitalismo senile. Per un XXI secolo non americano (2002), Il mondo arabo (2004, con Ali El Kenz), Per un mondo multipolare (2006), Altermondialista. Delegittimare il capitalismo. Ricostruire la speranza. Per la Quinta Internazionale (2007, con François Houtart), La crisi. Uscire dalla crisi del capitalismo o uscire dal capitalismo in crisi? (2009).

  3. Per chi non comprende il francese faccio un po’ il sunto. Secondo Samir Amin Preve sbaglia ha definire Gheddafi un eroe antimperialista. Come Saddam Hussein, che condusse una guerra per conto dell’imperialismo americano contro l’Iran, anche Gheddafi sostiene Amin ha consegnato i comunisti al suo amico il dittatore Jaafar Nimeiry. Quindi secondo Samir Amin l’intervento armato della NATO in Libia va condannato come anche i tagliagole ribelli, ma non bisogna dare patenti di antimperialista a chi non le merita.

    Gabriele Repaci

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