Verso una definizione condivisa di comunitarismo Il comunitarismo come etica e come politica

set 23rd, 2011 | Di | Categoria: Teoria e critica

di Costanzo Preve

1. È possibile arrivare ad avere una definizione condivisa di comunitarismo? No, è assolutamente impossibile. È possibile ovviamente proporre alcuni elementi credibili per una sua definizione generica, ma è im

possibile pensare di poter giungere ad un’unica definizione condivisa. E la ragione di questa impossibilità è molto semplice. Comunque lo si intenda, il comunitarismo è una unità di teoria e di pratica (e più esattamente di teoria comunitaria e di pratica solidaristica), e le unità di teoria e di pratica non possono essere definite. Soltanto la teoria, o per ripetizione pleonastica la “teoria teorica” può essere definita con categorie e concetti teorici. Se un “ismo” connota un’unità concreta di teoria e di pratica, questo “ismo” non può essere definito per principio, perché soltanto le forme storiche e sociali concrete della sua messa in pratica hanno in realtà un valore formativo.

Si tratta di un fatto semplice ed intuitivo. E tuttavia è bene averlo sempre ben presente. Hegel aveva ragione quando scrisse che è inutile definire teoricamente il nuoto prima di nuotare. Da un punto di vista astratto, il comunitarismo è soltanto l’astratto contrario polare dell’individualismo e del collettivismo, che in quanto opposti in correlazione essenziale non fanno che rovesciarsi continuamente l’uno nell’altro. Concretamente, soltanto la pratica comunitaria può alla lunga mostrare la sua superiorità rispetto alle pratiche individualistiche e collettivistiche. in realtà un valore normativo.

2. Le definizioni che cercherò di dare in questo capitolo sono pertanto del tutto formali ed astratte. Per sgombrare il terreno da alcuni possibili equivoci inizierà prima dal rapporto fra relativismo ed universalismo, e cioè fra usi particolari e possibilità di una norma universalismo, e cioè fra usi particolari e possibilità di una norma universale di comportamento estendibile in via di principio all’intera umanità, pensata come se fosse un solo soggetto unitario. Passerà poi a discutere una teoria dell’individuo, perché senza una teoria dell’individuo non ci può neppure essere comunitarismo, se non in forme regressive. Terminerò infine con una discussione sul comunitarismo come etica e come politica. E tuttavia. Questo non potrà che restare inevitabilmente astratto, se non è pensato in modo contrastivo all’individualismo ed al collettivismo.

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2 commenti
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  1. Il nostro lavoro è lungo, ma porterà i suoi frutti.

  2. Gent.mo professore Preve, belle parole e dette bene, sì, sì…ma ciò che conta è il concetto espresso.
    Ad esempio: il concetto di RAPPORTO.
    I) Per il filosofo: “il comunitarismo è la teoria e la pratica di un RAPPORTO fra l’individualità/particolarità/
    singolarità dell’essere umano in carne ed ossa e l’universalità intesa come il genere umano”.
    Tale rapporto è una mediazione dialettica chiamata comunità ed è ben diversa dal rapporto diretto -immediato- che si concretizza nella mistica, nell’intenzione morale soggettiva ò nell’affettività, aggiungo io.
    II) Per l’antifilosofo: il RAPPORTO è l’insieme delle operazioni che svolgo per passare da un termine all’altro del rapporto stesso. Exempli causa: se dico ‘Costanzo e Carlo’, dopo aver detto Costanzo passo a Carlo tenendo presente con l’attenzione Costanzo, mentre se dicessi ‘Costanzo o Carlo’, dopo aver detto Costanzo passerei a Carlo lasciando cadere sempre con l’attenzione Costanzo.Dunque ‘e’/'o’,che sono due correlatori nella linguistica operativa, fungono da rapporto. Si evince che i rapporti non si colgono ma sono posti, svolgendo determinate operazioni, descrivibili ed analizzabili come qualsivoglia operazione.
    Occorre sempre tenere presente che affinchè ci sia un RAPPORTO è necessario avere i due termini del rapporto, ne consegue che mancando un termine del rapporto alla nostra cognizione il rapporto è impossibile. Hegel si era illuso, filosofando, di aver superato l’aporia avendo concepito il RAPPORTO come un farsi ed essere altro -ratio fiendi et ratio essendi- e al suo seguito lo steso Marx.
    Pure Ella, caro professore non se la cava bene poichè se il I termine del RAPPORTO -il singolo uomo concreto- è cognito, è il II termine del RAPPORTO – il genere umano- a restare incognito essendo pensato come il risultato del processo storico. Ora noi sappiamo che il risultato è lo stesso processo storico assunto dalla fine, ossia nel suo compimento. Dunque il genere umano non è un dato dell’esistenza, bensì è presente in una filosofia della storia, in una attesa messianica , per una razionalità utopica, ossia è un sogno ad occhi aperti. Grazie della Sua attenzione. Carlo Ghiringhelli

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