“In definitiva, il problema del debito è solo un problema politico”

ott 25th, 2011 | Di | Categoria: Politica Internazionale

“In definitiva, il problema del debito è solo un problema politico”

Christina Laskaridis της Χριστίνας Λασκαρίδη

Μετάφρασμένο από τον/την Curzio Bettio

George Katrougalos è un giurista costituzionalista e di diritto internazionale, professore associato di diritto pubblico all’Università Democrito di Tracia, presidente del Dipartimento di amministrazione della società, mediatore e arbitro dell’organizzazione greca per i servizi di arbitrato e mediazione (O.ME.D). G. Katrougalos è membro fondatore dell’Iniziativa greca per una Commissione internazionale di Revisione del debito pubblico.

Qui vi è anche il video dell’intervista:    video intervista

Christina Laskaridis: Partiamo con la legittimità dello stesso salvataggio finanziario. Qual è il quadro giuridico che àncora il salvataggio finanziario della Grecia tra il governo greco e la Troika (la Comunità Europea, la Banca Comune Europea e il Fondo Monetario Internazionale FMI)? E questo vale anche per i salvataggi futuri? Qual è la necessità di un trattato internazionale tra la BCE, i paesi dell’Euro-zona e la Grecia, e in che cosa questo differisce dal quadro giuridico che interessa la porzione del prestito erogato dal FMI?

George Katrougal  :  Vi è una doppia base giuridica per quanto riguarda il piano di salvataggio greco. Abbiamo, come al solito, un accordo stand-by con il FMI, un accordo a scadenza prefissata, che secondo il FMI non ha il carattere di un trattato internazionale. Il FMI non vuole che i suoi accordi assumano il carattere di trattato internazionale, in modo da sfuggire alla giurisdizione di tribunali internazionali, nazionali, nonché all’obbligo di ratifica da parte dei governi nazionali.  Allora, il processo di formazione di un accordo legale tra un paese e il FMI inizia nel momento in cui il paese che vuole un prestito indirizza una lettera di intenti al FMI in cui descrive le misure che intende adottare al fine di conformarsi a tutte le condizioni che il FMI vuole imporre.

È solo nominalmente che questa lettera è una lettera specifica di un governo al FMI, visto che se si va a leggere tutti i simili accordi stand-by e le lettere di intenti, dal caso Argentina alla Grecia, si vede che esiste una comunanza di obiettivi e politiche. E la ragione è molto semplice; non sono i governi stessi che stanno scrivendo queste lettere, queste lettere sono in realtà dettate e imposte dal FMI.

Per quanto riguarda il salvataggio e il prestito che la Grecia ha ricevuto dagli altri paesi della Zona Euro, è stato necessario un trattato internazionale perché il diritto primario europeo non prevede nulla riguardo a un salvataggio finanziario di un paese.

Al contrario, ci sono alcune clausole del Trattato di Maastricht, che formalmente non consentono ad un paese di essere salvato utilizzando risorse europee. Quindi, un accordo speciale doveva essere stipulato in modo che, prima di tutto, i limiti del diritto europeo potessero essere superati, e in secondo luogo potessero essere imposti obblighi concreti alla politica economica della Grecia in una direzione neoliberista.

Devo aggiungere che questo accordo avrebbe dovuto essere ratificato dal Parlamento greco, dato che noi Greci per questo dobbiamo sottostare ad un obbligo costituzionale molto concreto, ma nonostante questo obbligo, anche se il governo greco ha presentato l’accordo al Parlamento, l’accordo non è mai arrivato alla necessaria ratifica. Quindi, questo è il primo segnale di incostituzionalità formale, ma molto concreto, rispetto al salvataggio della Grecia.

Sarebbe questo medesimo trattato che verrà applicato per il nuovo pacchetto di salvataggio?

Molto probabilmente, dovremo valutare un secondo trattato, comunque dai contenuti del tutto simili. Questo diverrà necessario, in primo luogo per avere delle disposizioni di legge per il nuovo prestito, e in secondo luogo per i nuovi obblighi (ad esempio, clausole collaterali) che la Grecia molto probabilmente sarà costretta ad affrontare.

Lei potrebbe forse spiegare perché non hanno portato il trattato in Parlamento per una votazione, mentre allo stesso tempo sono riusciti a manovrare per portare al voto i pacchetti normativi sull’austerità?

Il Memorandum era un programma politico che doveva essere imposto ai parlamentari del PASOK (Movimento Socialista Panellenico). La ragione per cui il trattato non è stato presentato al Parlamento per essere ratificato è che questo accordo contiene alcune clausole esorbitanti per quanto riguarda la sovranità nazionale, che renderebbero impossibile per un numero significativo di parlamentari votarle.

Per esempio, vi è una clausola veramente unica nella storia dei trattati internazionali, una rinuncia all’immunità per motivi di sovranità nazionale. Abbiamo molti esempi di clausole di esonero di immunità in diversi trattati, ma non ho ancora visto rinunce di clausole di immunità direttamente associate alla sovranità nazionale. Così un parlamentare, che avrebbe votato in favore di questo trattato, avrebbe votato contro la sovranità nazionale del proprio paese, qualcosa di inaccettabile anche per i parlamentari che appartengono al partito di governo.

Come potrebbe riassumere l’impatto del trattato sulla sovranità nazionale?

Prima di tutto c’è il problema molto serio che riguarda la mancanza di rispetto della Costituzione, nella misura in cui il trattato non è mai stato ratificato. Ma questo è solo l’aspetto formale del problema. La cosa più sostanziale è che un paese che rinuncia alla sua sovranità cessa di essere un paese indipendente, sia politicamente che per quanto riguarda il futuro del regime politico del paese. È in gioco la sua legittimità, e questo è risultato evidente in questi ultimi mesi, quando la grande maggioranza della popolazione greca non ha accettato la continuità del governo in questi termini.

Data la situazione in cui si trova ora la Grecia, come considera la mancata ratifica del trattato in relazione ai pacchetti normativi sull’austerità che devono passare? Per certo, il ruolo di una Costituzione non è forse quello di assicurare che i decreti parlamentari non possono ignorare gli obblighi costituzionali? Che cosa significa tutto questo per il diritto costituzionale?

Esattamente. L’intero processo di globalizzazione economica mira a indebolire la possibilità per gli elettorati nazionali di influenzare le politiche economiche dei loro paesi. In situazioni normali, questo non è così ovvio. Ad esempio, abbiamo trattati internazionali con l’Organizzazione Mondiale del Commercio o la normativa dell’Unione Europea, per cui in situazioni normali non è così evidente che la sovranità nazionale viene limitata. Si potrebbe anche arguire che è limitata, ma è limitata per ragioni di un qualche bene superiore, per esempio per il miglioramento del commercio internazionale.

Al contrario, quando ci si trova in presenza di una situazione di crisi, come quella in Grecia, è più evidente che le decisioni assunte non sono per il profitto e nell’interesse del popolo, ma nell’interesse dei creditori e per i centri economici esterni a tali paesi in crisi. E questo non è solo un problema che concerne i fondamenti della sovranità o della legittimità costituzionale, diventa un problema sul terreno dei principi democratici.

In tutte le democrazie, anche in quelle puramente formali, in ultima analisi le decisioni politiche devono essere presentati come assunte e attuate in favore del popolo.

Lei vede una via d’uscita da questa crisi per la Grecia, e in quale modo può avvenire questo? E la situazione attuale non è in contrasto con altri trattati internazionali che la Grecia potrebbe avere ratificato?

Per prima cosa risponderò alla seconda domanda, visto che l’argomento interessa questioni giuridiche, e poi darò il mio parere circa la via d’uscita.

Un primo problema è che in Grecia non esiste una Corte costituzionale, e anche se abbiamo cercato di adire alla Corte suprema amministrativa (che, in qualche modo, svolge un ruolo simile a quello di una Corte costituzionale), non siamo riusciti a far ritirare le clausole incostituzionali: prima di tutto perché per molte di queste clausole il tribunale amministrativo non ha giurisdizione.

Questo è il caso, ad esempio, della mancata ratifica di questo trattato. D’altra parte ci sono altri fori, per esempio, il Comitato della Carta sociale europea, l’Organizzazione internazionale del Lavoro OIL, che offrono una possibilità legale per contestare queste politiche.

Abbiamo discusso con molti sindacati prima di adire a questi forum per dimostrare che le politiche del governo sono contraddittorie con i diritti garantiti dagli specifici strumenti internazionali (la Carta sociale europea, i trattati OIL, ecc.)

E finora ci siamo riusciti. Abbiamo appena ricevuto la prima decisione del Comitato della Carta sociale europea in merito alla ammissibilità delle nostre istanze. A settembre avremo la discussione in merito. E sebbene il governo abbia cercato di dimostrare che in tempi di crisi anche la ricevibilità delle istanze come quelle che abbiamo presentato non sia accettabile, abbiamo almeno superato questo primo ostacolo e questi ricorsi verranno discussi nella loro sostanza.

Ora, veniamo alla questione più importante, qual è la via d’uscita: noi giuristi stiamo cercando di trovare soluzioni giuridiche al problema, perché questa è la nostra professione. Ma la crisi non è una questione legale, non è neppure principalmente una questione economica, è soprattutto una questione politica.

La questione investe le importanti decisioni politiche che stanno per essere prese in merito alla distribuzione della ricchezza. E devo confessare che all’inizio della crisi ero molto pessimista sul futuro, perché un clima di paura regnava in Grecia, un clima che il governo ha cercato di coltivare; secondo il governo non esisteva altra alternativa, altra scelta che sottomettersi a ciò che i nostri creditori richiedevano; e che, come un paese che non può sostenersi, dobbiamo sopportare e obbedire alle loro richieste.

Ma per fortuna, negli ultimi due o tre mesi, abbiamo visto il sorgere di un movimento politico molto genuino e di massa, un movimento indipendente che è sfuggito a questa trappola della paura e ha cercato di reinventare soluzioni democratiche, che stanno per essere proposte dal popolo, e non da potenze straniere o dai nostri creditori.

Si tratta ancora di un movimento amorfo e soprattutto che non vuole assumere caratterizzazioni, per esempio, non vuole l’attuazione di politiche che siano antidemocratiche e sterili. Ma sono molto ottimista per il fatto che non si tratta solo di un movimento di resistenza, ma di un movimento che sta producendo alternative politiche ed economiche concrete su queste problematiche.

Inoltre, spero che avremo un movimento paneuropeo, perché i problemi sono simili, soprattutto nei paesi del sud, ma in realtà, in tutta l’Unione Europea. Come ha affermato lo storico primo ministro britannico del 19 ° secolo, Benjamin Disraeli, in ogni nazione ci sono due nazioni, i poveri e i ricchi, e i loro interessi non sono mai gli stessi. Così, noi abbiamo una comunanza di problemi, e noi, che non siamo i ricchi, abbiamo l’interesse molto importante di acquisire una piattaforma comune e politiche comuni contro questo assalto neoliberista ai nostri diritti.

Quindi, per quanto riguarda l’attacco neoliberista contro i paesi europei, proprio la scorsa settimana è avvenuto il summit europeo dove si sta ancora disperatamente cercando una soluzione in ambito Unione Europea; cosa ne pensa dei risultati di quella riunione?

Sicuramente si è trovata davvero una soluzione, ma una soluzione per le banche e per i creditori! Questo vertice è riuscito a garantire a tutti i creditori che il debito sarà rimborsato, se naturalmente verranno attuate queste decisioni. E ha concesso al sistema economico della Grecia appena una dilazione dell’esecuzione di fallimento, perché la situazione non è cambiata, e tutto ciò che abbiamo acquisito dalla relativa riduzione del tasso di interesse lo stiamo per pagare con il prolungamento del debito e con tutte le misure gravi che ci verranno imposte a partire da settembre.

Per quanto riguarda la disponibilità di informazioni per l’opinione pubblica, c’è qualcosa che può legalmente far arretrare il popolo greco nella sua ricerca di informazioni sui contratti di debito?

Questo sarebbe davvero problematico se non avessimo membri del Parlamento partecipi della nostra iniziativa, che possono richiedere vari documenti al governo, se le procedure costituzionalmente lo prevedono, visto che noi potremmo avere accesso solo ai documenti già pubblicati in Gazzetta Ufficiale.

La maggior parte dei prestiti e delle intese sono accordi formali simili tra loro, e non è molto facile per qualcuno leggere tra le righe e scoprire se si tratta di un debito “odioso”, illegale, o completamente legittimo.

Questo è uno dei problemi che concernono l’applicazione della dottrina del “debito odioso” in Grecia, così come negli altri paesi sviluppati di Europa. Le clausole non sono così esorbitanti come quelle che vengono imposte ai paesi in via di sviluppo, dove a volte è così evidente a occhio nudo che una clausola è tanto irragionevole che non può essere considerata legittima.

Nei casi di prestiti alla Grecia, a prima vista tutto sembra “ok”, e si deve scavare molto per trovare problemi di legittimità, o per portare alla luce le modalità di trasferimento di denaro pubblico al settore privato.

Vi è proprio la necessità di disporre di parlamentari per cercare queste informazioni, per potere poi confrontarle ed analizzarle, o siamo in presenza di una situazione molto diversa dalla normativa sulla libertà di informazioni, per esempio, nel Regno Unito?

Esiste una legislazione, come l’Information Act, che obbliga tutti gli enti pubblici a dare informazioni relative ai documenti a loro disposizione, ma ci sono eccezioni gravi ad acquisire la documentazione, ad esempio, le informazioni riguardanti l’interesse nazionale. Quindi, ci sono scappatoie che permettono a qualcuno che desidera nascondere di riuscire a farlo.

Se uno di questi trattati internazionali e convenzioni favorevoli alla Grecia dovesse avere buon esito presso un tribunale per i diritti dell’uomo o in un altro equivalente, si potranno vedere imporsi favorevolmente risoluzioni del debito a livello europeo?

Prima di tutto, la globalizzazione non è un movimento uniforme, assistiamo a tendenze della globalizzazione che sono neoliberiste, ma abbiamo aspetti della globalizzazione che riguardano i protagonisti nel settore dei diritti umani che cercano di agire a livello globale.

Naturalmente, abbiamo dei movimenti popolari, ma disponiamo anche di alcuni fori giurisdizionali, per esempio, le due Convenzioni delle Nazioni Unite in materia di tutela dei diritti civili e sociali o la Carta sociale del Consiglio di Europa. Quindi, ci sono strumenti giuridici che possono essere utili a livello internazionale.

Tuttavia, la questione importante è come costruire un movimento politico globale, che si opponga come avversario potente alla dominazione politica ed economica neoliberista. Penso che tutto ciò che facciamo in questa direzione vada ad aiutare tutti, non solo la gente di Grecia, ma tutti gli altri popoli che possono trovarsi in futuro dalla stessa parte e nelle medesime condizioni.

Dato che questo del debito è un problema europeo, e il movimento contro le misure di austerità è anche paneuropeo, sono curiosa di sapere se altri paesi che pur hanno Costituzioni diverse possono comunque prendere qualche indicazione dall’esempio della Grecia. Una domanda sul Regno Unito: quali sarebbero le implicazioni per paesi come la Gran Bretagna se cercassero di esercitare modalità incostituzionali come base per una revisione contabile del debito, data la diversa natura dello Stato e del complesso delle norme giuridiche, e in cosa altro potrebbe consistere questa base?

Il problema di base costituzionale per la Gran Bretagna sarebbe la limitazione della sovranità del Parlamento, messo di fronte a tali politiche. Perché queste non sono politiche che vengono decise a livello nazionale, ma sono decise in forum, come ad esempio il WTO, il FMI, o per alcune competenze importanti l’Unione Europea, in cui il legislatore nazionale, il Parlamento, non ha affatto alcuna influenza.

In ultima analisi, il problema del debito è un problema politico, il problema di fondo è se noi viviamo una reale attuazione del principio democratico.

Tutte queste decisioni economiche sono prese dai rappresentanti del popolo, e sono a favore e nell’interesse del popolo? Questa è la questione politica fondamentale, che ha anche importanti implicazioni costituzionali.

Oltre l’aspetto democratico del problema, vi è anche l’aspetto relativo ai diritti umani. Per fortuna esiste tutta una serie di prese di posizioni conclusive a livello europeo, come ad esempio le deliberazioni della Corte costituzionale di Lettonia, della Corte costituzionale della Romania o della Corte costituzionale di Ungheria, che hanno riscontrato che le politiche del FMI sono state almeno in parte incostituzionali a causa del loro conflitto con i diritti umani, soprattutto con i diritti umani sociali. Penso che questo costituisca il terreno comune nella cultura giuridica europea, che noi non solo godiamo di diritti politici e civili, ma anche di diritti sociali, ed io ho una grande speranza nella possibilità di utilizzare i diritti sociali come una sorta di grimaldello contro questo attacco neoliberista.

Quale potrebbe essere la fase successiva dopo il riconoscimento di incostituzionalità? Come si dovrebbe andare oltre?

Il problema è che in Grecia non abbiamo una Corte costituzionale. Quindi, il nostro prossimo passo sarà quello di affrontare la Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo, se la decisione della Corte suprema è, come sembra da informazioni di stampa, non favorevole alle nostre posizioni. Quindi il prossimo round avverrà sull’arena europea.

Va bene. Un’ultima domanda. Alcune parole di consiglio ad altri paesi europei che si trovano anch’essi sotto la scure di programmi di austerità? Nulla per quanto riguarda la revisione del debito?

Non mi piace usare la parola “consiglio”, perché anche noi abbiamo preso profitto dall’esperienza di altri paesi, in particolare dai paesi dell’America Latina e di altre parti del terzo mondo, ma abbiamo cercato di mettere in pratica questa loro esperienza, per esempio la dottrina delle verifiche del debito, con le nostre specificità.

Quello che raccomando, e non consiglio (dato che io non sono in una posizione di consigliare nessuno), è di cercare di trovare un nostro terreno comune, di trovare ciò che abbiamo in comune, quello che possiamo imparare dalle nostre esperienze, e cercare di costruire un fronte comune, poiché i nostri avversari hanno un fronte comune molto forte e solido. Hanno il Club di Parigi, il Club di Londra, hanno il Fondo Monetario Internazionale e tutte le altre istituzioni del consenso di Washington. Noi non abbiamo nulla di simile e dobbiamo cercare di costruire qualcosa di simile.

La ringrazio.


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