Ratzinger o Fra Dolcino?

nov 12th, 2011 | Di | Categoria: Recensioni

Riceviamo e pubblichiamo

di Roberto Sidoli, Massimo Leoni, Daniele Burgio.

Prefazione

Gesù di Nazareth, il “primo socialista”.

Le comunità politico-religiose degli esseni e di Qumran, basate entrambe su un modo di vita e produzione collettivistico.

Amos e Isaia, profeti “rossi” dell’Antico Testamento.

Fra Dolcino e T. Muntzer, rivoluzionari comunisti e cristiani.

Le organizzazioni “eretiche” cristiane, dagli eroici marcioniti agli anabattisti rivoluzionari della Comune di Munster, con la loro scelta di campo allo stesso tempo comunista e religiosa.
I cristiani per il socialismo, il cristiano-marxista Chavez. Boff e la teologia della liberazione, il socialismo indigeno di Evo Morales, ecc.

Pratiche plurimillenarie e proteiformi, concrete ed innegabili, su cui il materialismo storico “classico” si è confrontato e rapportato solo di sfuggita e con un certo imbarazzo, mentre invece richiedono sia un processo accurato di analisi che un criterio generale d’interpretazione e di comprensione, in grado di spiegare perché – a determinate condizioni – la religione si sia potuta e si possa tuttora trasformare in positiva, liberatoria e sovversiva “anfetamina dei popoli”.
Anche Engels, nella sua notevole opera “La guerra dei contadini in Germania”, riconobbe che l’azione del religioso, credente cristiano e rivoluzionario Thomas Muntzer era ispirato da principi- guida che come minimo si avvicinavano al comunismo, ma purtroppo da tale fatto innegabile, indiscutibile e testardo non derivò le necessarie conseguenze teoriche.
Risulta ormai necessario modificare una parte consistente dell’ormai consolidata analisi marxista sulla pratica religiosa, presa nella globalità: del resto “il vero è l’intero”, rilevava Hegel nella sua geniale “Fenomenologia dello Spirito”.[1]
Riteniamo ancora valido il nucleo fondamentale della valutazione espressa dal marxismo “classico” sia rispetto alla genesi della religione, da intendersi come il prodotto dell’azione umana (l’uomo ha creato le divinità, e non viceversa), che soprattutto per quanto riguarda la funzione concreta di “oppio dei popoli” svolta via via dalla religione in una sua particolare versione, quella fornita dagli apparati ecclesiastici collegati strettamente al potere politico e agli organi statali, a partire dalla teocrazia sumera (3700 a.C.) fino ad arrivare all’attuale gerarchia vaticana.
Ma il nucleo non è tutto e già nell’introduzione alla sua “Critica della filosofia del diritto di Hegel” Marx scrisse giustamente che “l’uomo crea la religione e non la religione l’uomo”, rilevando anche che la religione “è l’oppio dei popoli”, aggiunse anche che essa rappresenta “l’espressione della miseria effettiva e la protesta contro questa miseria effettiva”, e cioè il “sospiro della creatura oppressa”.
Oppio dei popoli, e allo stesso tempo “protesta contro la miseria”: una polarità di opposti molto interessante, ma poco studiata e compresa.
Della tradizionale concezione materialista rispetto alla religione molto bisogna conservare, a nostro avviso, ma quasi altrettanto bisogna modificare: per tanto si propongono quattordici tesi generali su questo tema, che formano l’ossatura fondamentale di questo libro.

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  1. Indubbiamente gli autori hanno letto molto. Un lavoro notevole.
    Tuttavia io penso che, per quanto si voglia preferire Fra’ Dolcino a Ratzinger per ragioni politiche, si debba anche ammettere, ad un primo esame, che il secondo è quello dei due veramente competente in teologia.

    Recentemente il prof. Preve ha affermato che filosofia e religione si occupano entrambe di (se non sbaglio verbo) “conservare” la struttura logico-ontologica della realtà. E con ciò vorrei sottolineare la possibilità filosofica di un riferirsi ad ampio spettro con il solo uso del termine “religione”.

    Però se è in oggetto il cristianesimo (la cui realtà religiosa è evidente ma fondata in termini di essenza e non di forma) è la teologia ad essere la disciplina che nell’economia cultuale si occupa della suddetta “conservazione”.

    In questo senso, faccio notare che se, ad esempio, Paul Tillich viene citato dagli autori per il suo lavoro sul “socialismo religioso”, viene anche trascurata, data l’impostazione, la sua “teologica sistematica” che è ancora delle più moderne disponibili.

    In pratica servirebbero interlocutori teologici, in primo luogo per non identificare la teologia cristiana e le istituzioni cristiane solo perché le seconde si autogiustificano per mezzo della prima.
    In secondo luogo perché sono le istituzioni che permettono l’accessibilità alla economia cultuale con tutti gli sviluppi del caso, compreso Fra’ Dolcino.

    Questo può cominciare anche riferendosi al merito non strettamente “politico-comunitario” degli autori teologici che si preferiscono.

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