La catena imperialista, l’anello debole e la catena di comando globalista

apr 2nd, 2012 | Di | Categoria: Contributi

di Eugenio Orso

In questo scritto si affronta la delicata questione della “catena di comando globalista”, attiva nella parte occidentale e settentrionale del mondo con forti influenze geopolitiche, nonché rilevanti proiezioni di potenza altrove.

 

Le delocalizzazioni industriali di lavoro e know-how che spostano gli assi dello sviluppo economico, il sorgere della potenza economica e commerciale dei cosiddetti paesi “emergenti”, con la Cina neocapitalistica in prima fila, le controriforme riplebeizzanti per vasti strati della popolazione in occidente, la supremazia della finanza e le guerre contro i cosiddetti stati-canaglia dipendono dall’affermazione, dal consolidamento e dall’espansione di questa nuova catena di comando.

 

 

Il passato: l’Imperialismo di Lenin e lo Stato imperialista delle multinazionali delle Brigate Rosse.

 

Per affrontare una prima volta la questione, e prima di mettere in rilievo la strutturazione e i punti di debolezza, o “anelli deboli”, della nuova catena di potere e di comando della classe globale, si rende indispensabile una breve premessa dal rilievo storico e teorico che ci riporta, inevitabilmente, all’epoca e all’opera del grande teorico e pratico rivoluzionario Vladimir Lenin.

 

E’ arcinoto che fu proprio Lenin ad elaborare il concetto di imperialismo, quale evoluzione (e per qualche verso importante, quale sostituto) del concetto di capitalismo, ed è altrettanto noto che fu lui ad individuare nella Russia zarista l’anello debole della catena imperialista prima della Rivoluzione d’Ottobre.

 

Nelle dimensioni culturali, economiche e sociali della fine dell’ottocento e dei primi del novecento in cui il grande teorico rivoluzionario si muoveva, l’imperialismo, per la sua natura economica, era il risultato della concentrazione dei capitali, cioè della formazione del grande capitale monopolistico originato dall’affermazione della “libera concorrenza” capitalistica, e come scrisse Lenin nel saggio popolare del 1916, dal titolo L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, «Già questo solo fatto basta a determinare la posizione storica dell’imperialismo, giacché il monopolio, nato sul terreno della libera concorrenza, e propriamente appunto dalla libera concorrenza, è il passaggio dall’ordinamento capitalista a un più elevato ordinamento sociale ed economico.»

 

Concentrazione della produzione e nascenti monopoli, il nuovo ruolo assunto dalle banche, anche loro, in buona misura, tendenti all’assetto monopolistico, capitale finanziario e affermazione dell’oligarchia finanziaria rappresentavano, secondo Lenin, elementi importanti e costitutivi dell’imperialismo che avrebbero segnato la sua era.

 

Il salto concettuale operato da Lenin, cioè il passaggio dal capitalismo all’imperialismo quali entità qualitativamente diverse, ebbe un grande riflesso per buona parte del novecento.

 

Nei decenni successivi, la lotta anticapitalista ed antimperialista, in molti casi armata – che il grande Lenin non avrebbe potuto accusare di empiriocriticismo – ha mantenuto, nei suoi fondamenti, le solide argomentazioni leniniste, e non a caso, alla fine degli anni settanta, le Brigate Rosse con la celebre Risoluzione della Direzione Strategica del febbraio 1978 (anno del sequestro e dell’esecuzione di Aldo Moro), nella prima parte della stessa teorizzavano l’imperialismo delle multinazionali, la guerra imperialista sulla base del principio che l’imperialismo significava guerra, ed infine lo Stato imperialista delle Multinazionali in cui si rivelava, fino in fondo, il carattere antagonistico della lotta di classe.

 

Lasciando la parola ai brigatisti, si apprende che: «Fascismo e socialdemocrazia sono state forme politiche oscillanti che il potere della borghesia ha assunto nella fase del capitalismo monopolistico nazionale. Possiamo aggiungere ancora, semplificando al massimo, che fascismo e socialdemocrazia si sono, nella storia, reciprocamente esclusi. Nello stato imperialista invece, la sostanza di queste forme politiche coesiste, dando luogo ad un “regime” originale che perciò non è fascista né socialdemocratico, ma rappresenta un superamento dialettico di entrambe.»

 

In tale contesto, delineato dalla Direzione Strategica brigatista, da un punto di vista geopolitico l’Italia era ridotta ad anello debole della catena da spezzare, “culo di sacco”, pattumiera d’Europa, destinata a pagare con lavoro super-sfruttato e disoccupazione proletaria i costi della crisi sistemica, ed è evidente, in questa analisi, il diretto riferimento alle categorie leniniane di “catena imperialistica” ed “anello debole”, del resto ben esplicitate dalle BR nella Risoluzione.

 

Secondo i rivoluzionari di Curcio e Moretti «lo Stato imperialista è una sintesi delle forme molteplici che assume l’iniziativa storica della borghesia imperialista, un concentrato esclusivo dei suoi bisogni, e lo strumento essenziale del suo dominio in tutti i campi.»

 

Lo Stato imperialista delle multinazionali non rappresentava un’assoluta novità storica, ma un semplice aggiornamento, un “release” più avanzato e non certo un superamento, della teoria leniniana dell’imperialismo, che non si voleva abbandonare, ma soltanto adattare ai tempi nuovi.

 

Le vecchie BR, però, non avevano compreso come i tempi stessero rapidamente cambiando e con loro la direzione di marcia della storia, e che in quegli anni critici il capitale iniziava a “mutar di forma e struttura”, nasceva una nuova classe dominante culturalmente diversa dalla precedente (per restare in tema, dalla vecchia borghesia imperialista), e mancava poco al vero e proprio avvio dei grandi processi di globalizzazione economico-finanziaria che avrebbero segnato la fine del novecento e l’inizio del ventunesimo secolo.

 

In modo tale che tutti noi, oggi, ci troviamo di fronte alla “catena di comando globalista” e non più alla vecchia catena imperialista di leniniana memoria, ormai arrugginita e consegnata alle analisi degli storici.

 

Così come non ci troviamo più di fronte ad un imperialismo classico cresciuto all’interno dell’”involucro” di uno stato nazionale dotato di sovranità assoluta, in termini politici e monetari, ma di una sorta di “Imperialismo finanziario privato” che non riconosce i confini nazionali e non ha più bisogno dell’”involucro” statuale per consolidarsi ed espandersi.

 

Tutto ciò riveste un’importanza cruciale nelle analisi del sistema di potere vigente, dei suoi punti di forza e di debolezza, ed investe la dibattuta questione neocapitalistica della “governance” (come la chiamano Lor Signori, utilizzando un’espressione di diretta derivazione aziendalistica) sia a livello globale sia a livello degli stati nazionali sottomessi.

 

 

 

Il presente: la catena di potere e di comando globalista.

 

Aristocrazia globale e sub-dominanti nazionali e sopranazionali costituiscono, per noi, i sostituti della vecchia Borghesia imperialista nemica di Lenin e dei bolscevichi, all’inizio del novecento, e dei brigatisti rossi negli anni settanta.

 

L’”Imperialismo finanziario globale”, come lo chiamo io, è il sostituto del vecchio Imperialismo novecentesco, fino alla variante SIM (Stato imperialista delle multinazionali) che i brigatisti hanno creduto di osservare e che intendevano combattere.

 

Possiamo agevolmente osservare, oggi, la devastazione che seminano con le loro azioni le sub-oligarchie nazionali, siano esse politiche (Napolitano), tecnico-politiche (Monti, Fornero, Passera), manageriali finanziario-produttive (Marchionne, Marcegaglia), o con diversa “specializzazione” ed altri compiti, perché la loro azione incide in modo diretto e “visibile” sul nostro quotidiano, sul nostro reddito, sul nostro lavoro.

 

Un po’ più arduo, data la maggior distanza che ci separa da loro, è cogliere gli effetti delle azioni dei sub-dominanti incaricati della direzione degli organismi sopranazionali, siano essi monetari e finanziari (Draghi in BCE, Largarde per il FMI) o

 di altra natura e con altri compiti (Van Rompuy per il Consiglio dell’Unione europea).

Ancora più arduo è comprendere in che modo nuocciono alle società umane e ai popoli i membri di quella che ho chiamato l’Aristocrazia globale, cioè coloro che fanno parte dello strato più alto, strategico-decisionale, e rappresentano il vertice della classe globale neodominante (Strategic Global class).

Una distanza “siderale” sembra dividere l’Aristocrazia globale da noi, e molte cortine fumogene abilmente stese ci impediscono di vederla, di poter cogliere anche soltanto l’essenziale del suo disegno strategico, di poter prevenire i suoi continui attacchi ai popoli e alle nazioni.

La capacità di mimesi, di nascondimento della Strategic Global class, incaricata al più alto livello della decisione strategico-politica, sono molto superiori a quelle espresse dalla vecchia Borghesia imperialista.

E’ chiaro che in tali condizioni l’”anello debole” della “catena di comando globalista” si deve cercare a livello gerarchico inferiore, scendendo verso obiettivi di maggior prossimità, quali sono i sub-dominanti sopranazionali e soprattutto nazionali, che sono sacrificabili e più facilmente sostituibili dei veri “aristocratici”, ed è evidente la maggior vulnerabilità e raggiungibilità, in particolare, delle sub-oligarchie nazionali, che diventeranno il primo obiettivo di una futura azione rivoluzionaria, fin tanto che non vi sarà l’unificazione delle lotte oltre i confini nazionali.

Fra i due gruppi sub-oligarchici c’è, inoltre, una certa “mobilità” verso l’alto e verso il basso, se è vero che Romano Prodi, economista, manager pubblico, politico nazionale è diventato per un periodo commissario europeo e poi è “rientrato” nella dimensione nazionale, mentre Mario Monti, commissario europeo, è stato “chiamato” (da chi è facile immaginarlo) a guidare l’Italia in un momento difficile, e Mario Draghi, alla guida di Bankitalia dopo l’era Fazio è recentemente asceso ai vertici della BCE.

Questa “mobilità sociale”, questo interscambio che esiste fra i sub-oligarchi nella dimensione sopranazionale e in quella nazionale, è invece più difficile verificarlo per quanto riguarda le ascese verso l’alto da una posizione di sub-dominanza, tal che George Soros, il grande delinquente che ha rovinato interi paesi, difficilmente potrà essere sostituito da un Draghi o da una Lagarde.

Possiamo concludere (ed è sufficiente per gli scopi che qui ci si propone) che mentre l’Aristocrazia globale è “invisibile”, lontana e completamente separata dai dominati-pauper, protetta da cortine fumogene che si vorrebbero impenetrabili, i sottostanti due livelli gerarchici del potere globalista sono visibili.

La trasmissione degli ordini, delle direttive, da tradurre in politiche nazionali, in leggi degli stati, in manovre finanziarie dei governi, passa attraverso il secondo livello sub-oligarchico, nella dimensione sopranazionale, per raggiungere il terzo livello nella dimensione nazionale.

Monti, Napolitano, e tanto più Fornero – con Passera, Cancellieri, Di Paola, ancor più in basso l’osceno e arrogante giovinastro Martone, sono il secondo livello di potere visibile, come già chiarito, e sottostanno alle direttive che arrivano dall’esterno, ad esempio da Draghi e Lagarde, riguardanti le politiche strategiche da tradurre in decreti o disegni di legge dello stato, e infine, da applicare concretamente.

L’autoinibizione di comportamenti, pensieri ed azioni che vanno contro gli interessi dell’Aristocrazia globale, e quindi contro la stabilità del sistema di potere vigente, è una caratteristica che accomuna il primo e il secondo livello visibili della “catena di comando globalista”.

Così, gli stati nazionali affidati alle sub-oligarchie globaliste, parte integrante del sistema di potere stabilitosi nel cosiddetto mondo occidentale e particolarmente in Europa, per quel che più ci interessa, sono l’anello più basso della “catena di trasmissione” delle direttive globaliste che devono essere recepite e trasformate opportunamente in leggi nazionali e locali.

La sequenza gerarchica Aristocrazia globale – Organismi sopranazionali – Stati nazionali è facilmente verificabile se solo si pensa a ciò che è successo in Italia dopo l’invio della lettera BCE (Draghi e Trichet) del 5 agosto 2011, in cui erano contenute, nei tre punti in cui la lettera si divideva, le direttive strategiche riguardanti materie in prevalenza economico-finanziarie, da recepire e tradurre in norme dello stato italiano e in legge finanziaria.

La scarsa volontà dimostrata dal governo Berlusconi di adempiere i suoi doveri nei confronti dell’Aristocrazia globale, ha portato alla rapida rimozione dello stesso, all’altrettanto rapida occupazione del paese, realizzata senza l’uso dei tradizionali strumenti militari (la NATO), e alla nomina di Monti alla presidenza del consiglio dei ministri, il tutto con la fattiva ed importante complicità del presidente della repubblica Giorgio Napolitano (il quale, se opportunamente interrogato, non potrebbe che confermare).

Ho scritto delle cose ovvie, la cui comprensione dovrebbe essere alla portata di tutti, e che probabilmente ho già scritto in passato, ma mi rendo conto che repetita iuvant, soprattutto considerando che una parte significativa della popolazione italiana è “narcotizzata”, “distratta” dai media, se non idiotizzata, ed è sempre meno dotata degli strumenti culturali minimi necessari per poter comprendere la situazione.

Mi sono scordato di accennare in precedenza alle particolari istituzioni finanziarie private di cui si serve l’Aristocrazia globalista per la Creazione del Valore azionario, finanziario e borsistico.

Lo faccio ora.

Grandi banche d’affari e investimento e agenzie di rating (Goldman Sachs, tanto per essere scontati, BlackRock, Morgan Stanley, Ficht, Standard & Poor’s, e via elencando a caso) sono strumenti utilizzati per creare valore, “laboratori di ricerca” per testare e diffondere nuovi prodotti finanziari, da rilasciare (come gas venefici) in grandi quantità sui mercati, ma anche per acquisire ulteriore potere mentre si crea valore architettando ricatti, come quello finora riuscito del rating combinato con l’”esplosione” del debito degli stati (si abbassa il rating dei titoli del debito pubblico, degli enti locali delle banche, come avvertimento agli stati perché si sottomettano completamente) ed impostando piani d’attacco speculativi su vasta scala (si attaccano gli stati oppressi dal debito con la scusa dell’abbassamento rating).

Gli ultimi bastioni dell’autonomia politica e della sovranità dei vecchi stati nazionali, già imbrigliati dalla UEM, dalla BCE con euro, Uruguay Round e OMC, Maastricht, Trattato di Lisbona ed altri trattati-capestro sono caduti, in Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, e la lista dei paesi occupati, degli organismi statuali diminuiti nelle loro competenze, privi di reale autonomia, è destinata ad allungarsi, in assenza di reazioni.

Volendo visualizzare in forma di organigramma (funzionale) la catena di comando globalista, schematizzando e riducendo il più possibile la complessità, astraendo dalle possibili segmentazioni orizzontali di ciascun livello, la stessa si può rappresentare come segue:

 

 

                           Aristocrazia globale _____________ grandi entità finanziarie private

                           (decisione strategica)                                    (in posizione di staff)

                                              I

                  Organi della mondializzazione (secondo livello/ primo livello visibile)

                  Sub-dominanti sopranazionali

                                              I

                   Stati nazionali sottomessi (terzo livello/ secondo livello visibile)

                   Sub-dominanti nazionali

 

 

Questa è l’organizzazione del potere nell’era dell’”Imperialismo finanziario privato”.

I primi livelli hanno il supporto delle grandi entità finanziarie private, come ho chiarito, ma al secondo livello gerarchico, oltre agli organi della mondializzazione economica, finanziaria, monetaria e politica (FMI, BM, BCE, UEM/ UE, eccetera) vi sono anche quelli militari, rappresentati dalla NATO e dotati di armamento non convenzionale.

Arsenali convenzionali e non convenzionali importanti sono presenti al terzo livello, e fra questi quello degli Stati Uniti d’America spicca per la sua pericolosità.

Non si tratta dell’impero di Negri e Hardt, non è più l’imperialismo descritto da Lenin, non è il trust mondiale ultracapitalista vagheggiato da Kautsky, non esprime esclusivamente la potenza della finanza e della concentrazione monopolistica dei capitali.

E’ un nuovo assetto di potere mondiale – che potrà cambiare in seguito alla rapida ascesa degli “emergenti” BRICS, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, e delle neonate élite globaliste di quei paesi che “sgomitano” già da qualche tempo per avere un posto al sole come i loro pari classe occidentali, ma che per ora regge le sorti riproduttive del nuovo modo storico di produzione sociale che ho chiamato, non senza qualche buona ragione, Nuovo Capitalismo Finanziarizzato del terzo millennio, diverso strutturalmente dal capitalismo del secondo millennio.

 

 

 

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2 commenti
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  1. Bisogna sapere con chi si ha a che fare,scriveva Marx nel 1853,ovvero bisogna conoscere il nemico per poterlo combattere.Mi sembra che la magistrale descrizione del Nuovo Capitalismo Finanziarizzato del terzo millennio fatta in questo scritto sia un grande contributo a conoscere il nostro nemico,il nemico dei lavoratori nell’epoca attuale.Penso anche che la cassetta degli attrezzi debba piu’ che mai comprendere ,per forgiare una teoria per l’azione,il pensiero di Lenin,quanto mai ostile,d’altronde,a ogni dogmatismo e schematismo meccanicistico.Vi e’ anche da dire che le contraddizioni analizzate da Lenin ,nella struttura,persistono,non sussistendo l’esistenza di imperi ipotizzati dal pensiero kautskiano-negriano ,ma l’esistenza di un multipolarismo con ineguale sviluppo imperialistico.Il che fare presuppone trovare la breccia ,la faglia ove agire,.La teoria delle BR sul SIM aveva validita’ ma era viziata,secondo me,da una mancanza di analisi sulla natura sociale di Stati quali L’URSS e la Cina,sul fatto che la teoria leninista ,senza una organizzazione mondiale del proletariato e delle sue avanguardie,e’ monca .

  2. Risposta a Mirco Panizzi

    Ringrazio per l’espressione “magistrale descrizione” che hai usato in relazione al mio modesto saggio breve (che non è che un estratto, “un frammento di studi più vasti”, per dirla con Marcel Mauss …).
    L’Imperialismo, come sappiamo, non è metastorico (c’è anche chi potrebbe arrivare a credere questo!), come non è il fascismo, come non è la socialdemocrazia (molto più difficile considerarla metastorica!), eccetera.
    Lenin è un teorico e pratico rivoluzionario del suo tempo, e in questo devono essere inquadrate le sue teorie e le sue analisi concrete della situazione concreta per poterle comprendere a fondo.
    Le BR sono un’organizzazione antagonista appartenuta agli anni settanta e ottanta, figlia del fallimento del Sessantotto, e già quasi un “fantasma” negli anni novanta neocapitalsitici.
    Si può partire da Lenin, certo, ed anzi si deve (visto che è stato l’unico teorico rivoluzionario, o quasi, che ha avuto successo), ma si deve andare oltre Lenin perché la Forma-Capitale (se vogliamo usare una volta tanto questa espressione) oggi è strutturalmente diversa da quella del capitalismo del secondo millennio.
    Non stiamo vivendo un semplice cambio di fase capitalistica (come quella storica dal capitalismo borghese proprietario, ad esempio, a quello manageriale), ma un vero e proprio “cambio di Evo”, il passaggio tormentato a un nuovo modo storico di produzione sociale.
    Oggi c’è una nuova catena di potere e di comando con la quale “confrontarsi”, e temo che sia più resistente, più difficile da spezzare di quella imperialista osservata da Lenin.
    In merito ho presentato addirittura un abbozzo di organigramma, non senza una punta di amara ironia, constatando l’avvenuta “aziendalizzazione” di tutto.
    Sarà così?
    Io lo credo e forse fra non molto ne avrò la conferma.

    Saluti

    Eugenio Orso

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