Rossobrunismo, destra, sinistra e orientamento anticapitalistico. Qualche chiarimento definitivo in risposta al recente articolo di Daniele Maffione

apr 24th, 2012 | Di | Categoria: Teoria e critica

Di recente è apparso un articolo sul sito dei giovani comunisti titolato “Il nostro antifascismo: un programma d’azione”, a firma di Daniele Maffione. Una parte abbastanza cospicua di questo articolo è dedicata al fenomeno rossobruno e tra i tacciati di rossobrunismo è citato il sito comunismoecomunita. Per questa ragione, per quanto lo si sia fatto anche in altre occasioni, troviamo importante dare una ferma risposta alle solite calunnie infondate e totalmente prive di spessore argomentativo.

Come tutti gli articoli apparsi negli ultimi anni che tentano di analizzare il cosiddetto fenomeno del rossobrunismo (almeno quelli che fin’ora ci è capitato di leggere in giro per la rete) l’articolo di Maffione pecca di gravissima superficialità analitica toccando a più riprese la menzogna. La superficialità estrema l’articolo la tocca nel momento in cui pretende di descrivere realtà fortemente eterogenee immettendole in un unico calderone concettuale: il fantomatico rossobrunismo. La ragione di questa superficialità è evidente e sta nell’esigenza, senz’altro rassicurante, ma di certo niente affatto costruttiva, di incasellare dei pensieri e degli approcci politici e filosofico-politici all’interno del proprio mondo concettuale schematico e formalistico. In questo mondo schematico esistono una sinistra e una destra eterne descritte come mondi valoriali generici senza più una cura sostanziale dell’aspetto contenutistico. I concetti diventano pura forma e pertanto, allontanata e distrutta la sostanza, è possibile assumere alcune parole d’ordine come “cose di destra” o “cose di sinistra”. Chi sono i rossobruni a questo punto, in base a questo schema formalistico? Coloro che vorrebbero introdurre “cose di destra” nell’universo simbolico e culturale della sinistra.

Non vi è spazio alcuno, entro questo schema formalistico, per serie riflessioni teoriche, sui paradigmi effettivi di riferimento, sulla libera discussione dei temi più incerti e spinosi, sul senso vero e profondo dei termini e delle questioni affrontate. La forma prevale sulla sostanza.

Ma veniamo al lavoro teorico del nostro sito-laboratorio, legato a e non certo “latore” di (come afferma Maffione) alcune idee di Costanzo Preve.

Il sito comunismo e comunità, anzitutto, non è il sito di Preve, ma è un sito di discussione politica e filosofica cui concorrono persone diverse, molto spesso in accordo, in altri casi in disaccordo con Preve e tra di loro. Di Preve si condivide pienamente, da parte di tutti, il nocciolo dell’analisi filosofica fondamentale (lettura del pensiero di Marx, ricostruzione della storia della filosofia occidentale, peculiare critica del capitalismo etc etc), mentre c’è accordo o disaccordo (secondo i casi e i temi) su determinati punti specifici di carattere più immediatamente politico. Ne sia esempio la recente presa di posizione di Preve sulle elezioni francesi (avvenuta in totale indipendenza dal nostro lavoro collettivo) che ha suscitato da parte di noi tutti una presa di posizione contraria inequivocabile (a breve uscirà uno scritto nel merito).

Il progetto politico-culturale di “Comunismo e Comunità”

Le idee comuni che traghettano il progetto del laboratorio sono chiaramente espresse nel nostro “chi siamo” e nei numerosi articoli teorici inseriti nel sito. E’ nei contenuti espressi da tutti i contributi del sito che si situa l’identità del progetto e delle sue idee guida.

Il nostro progetto, come ben chiaro a tutti i nostri attenti lettori, si propone di ricostruire le impalcature di un paradigma anticapitalistico oggi gravemente corroso da debolezze a nostro avviso palesi che lo rendono depotenziato nella sua forza trasformatrice. Abbiamo sempre cercato su questo il massimo dialogo con tutte le realtà e da comunisti, lo abbiamo fatto a partire dal variegato mondo comunista, spesso incapace di ascoltare campane che non filino dritte per una strada predeterminata e già scritta.

E invece, questo tentativo, che in qualunque consesso civile, sarebbe, se non ascoltato e apprezzato, quanto meno rispettato, viene, entro le fila della sinistra italiana vilipeso e offeso appena se ne ha l’occasione. Evidentemente la rassicurante schematizzazione del mondo in idee formalistiche e in recenti chiusi fa dormire sonni tranquilli e perciò si preferisce bollare l’eretico come un infiltrato, un mestatore: in una parola “un rossobruno”.

Ma il gossip e la calunnia hanno vita breve, mentre il lavoro teorico, la fatica elaborativa e la forza delle idee espresse resta. Il nostro laboratorio politico-culturale pone a sé stesso e fuori da sé, all’esterno, da tempo, importanti questioni teoriche e politiche e lavora attorno a temi che dovrebbero interessare qualunque anticapitalista  e comunista sincero. Gli assi dell’analisi che proponiamo sono: la rielaborazione delle geniali intuizioni di Marx in una chiave specifica a partire dalla messa in discussione di una certa visione dominante del marxismo novecentesco deterministica, meccanicistica ed economicistica; l’elaborazione di una pensiero filosofico forte che, a partire da una concezione aristotelica della natura umana, sappia coniugare i nessi tra persona e comunità, particolare ed universale; la messa in discussione non già della lettura classista dei rapporti di produzione, ma della propulsione rivoluzionaria della classe in sé intesa come concetto formale di mero rapporto esteriore con i mezzi di produzione; messa in discussione del paradigma teorico ed “esistenziale” di tipo individualistico che si è imposto, specie nel post-1968, come filosofia teorica e della prassi nel variegato mondo della sinistra di opposizione; critica della deriva “dissolutoria” della sinistra moderna, ripiegata nelle battaglie di nicchia per i diritti individuali e chiusa in una variante sinistrorsa del liberalismo politico e di costume; critica radicale dell’abbandono da parte delle sinistre del cuore della questione sociale, del lavoro, dell’alienazione, e dei danni antropologici della conflittualità generata dal capitalismo; tentativo di elaborazione di una teoria del soggetto rivoluzionario non deterministica, ma allo stesso tempo legata alla imperitura lezione di Marx per cui i rapporti di produzione rimangono un elemento centrale nella definizione della conflittualità sociale; analisi della politica internazionale tramite la centralità della categoria di imperialismo e la consapevolezza di una chiara gerarchia imperialistica cui si associa l’esistenza di un “nemico principale” e di “nemici secondari”.

Questi sono i temi che il nostro sito da anni tratta, cerca di divulgare, condividere e discutere. Evidentemente per qualcuno, i temi succitati hanno misteriosamente delle tinte rossobrune.

Ed invece per noi sono temi centrali per poter anche solo permettersi di riproporre l’idea di comunismo su impalcature solide.

Ci dichiariamo convintamente comunisti (in che senso e con quale direzione sono i contenuti del sito a mostrarlo), ma non ci interessano le autocertificazioni di principio. Potremmo stare ore a disquisire sul vero comunismo, sul tradimento del comunismo, sul senso, da parte di partiti, gruppi e giornali, che hanno da anni abbandonato la prospettiva comunista per abbracciare una prospettiva liberale “di sinistra”, di definirsi ancora tali, ma non ci interessa. Le autocertificazioni, come detto, valgono poco. Ci rimettiamo quindi ai contenuti e alla sostanza delle idee e delle proposte. Discutiamo quelle che non ci convincono e portiamo avanti (ognuno con la propria specificità e personalità) quelle che ci sembrano più corrette. E su questo vorremmo che si discutesse.

Ma purtroppo, la discussione pare non interessare i più e si preferisce il gioco dell’elenco di categorie astratte depotenziate d’ogni significato analitico.

Considerazioni sul cosiddetto rossobrunismo

Visto che l’incasellamento in categorie generiche pare, per molti, essere il piano di ragionamento prescelto, proviamo allora ad entrare nel merito. E lo facciamo partendo dalla categoria passe part tout per eccellenza, quella da Maffione utilizzata per portare un attacco a variegate realtà disomogenee ed in cui siamo finiti anche noi: la categoria di rossobrunismo, di cui, per ipotesi, accettiamo l’esistenza in quanto categoria analitica ammissibile.

Il rossobrunismo lo si potrebbe intendere come il tentativo di coniugare temi propri della destra più o meno sociale (in tutte le sue varianti, fascismo incluso) e temi propri della sinistra sociale. Ci riferiamo a destra e sinistra “sociali”, perché è sul terreno del sociale e non certo su quello dei diritti civili o delle libertà individuali che il presunto rossobrunismo tenterebbe di trovare delle sintesi. Ebbene, non si può certo negare che tale tentativo esista. Per certi versi esso è insito nel dna di una certa destra europea che nel novecento ha tentato, con modalità molto variegate ed esperimenti molteplici, di avanzare una propria soluzione della questione sociale posta dai rapporti di produzione capitalistici all’interno di un universo conservatore e tradizionalista. Niente di nuovo insomma. La peculiarità del rossobrunismo sarebbe allora quella di spingersi in maniera più audace verso “sinistra”, cioè verso gli orizzonti di critica sociale del capitalismo propri della sinistra rivoluzionaria del novecento. Che questi tentativi siano esistiti ed esistano è indubbio. Un’indagine seria sulla loro natura sarebbe anche molto interessante e richiederebbe un approfondimento specifico che implicherebbe un’analisi della complessa e contraddittoria tensione tra conservazione, progresso, autoritarismo, libertarismo, individualismo e collettivismo, dissoluzione sociale ed organicismo, che hanno profondamente segnato la storia europea negli ultimi due secoli dando origine ad imponenti ideologie di massa e spaventosi movimenti e sommovimenti sociali di liberazione e di reazione. Ma non è questa la sede per un’analisi siffatta.

Vogliamo accontentarci di definire rossobruni questi tentativi di sintesi provenienti dal mondo della destra sociale? Facciamolo pure. Rossobruni siano.

Il problema allora sorge dopo. E sorge dal fatto che questa categoria diviene, nelle analisi diffidenti e a tratti paranoiche di alcuni commentatori di sinistra, un lasciapassare per incasellare ogni tentativo di messa in discussione della sinistra stessa, della sua deriva attuale, della sua filosofia d’ispirazione. E questo è un giochetto che non può funzionare.

Lo sforzo di comprensione del mondo e della realtà impone il rigore e la massima attenzione per i contenuti che la realtà e le variegate interpretazioni della realtà esprimono, La tecnica dell’incasellamento formale è una tecnica buona per i processi e per la calunnia, ma poco ha a che vedere con il libero dibattito che punta alla ricerca della verità.

Ma cerchiamo di svolgere il ruolo dell’avvocato del diavolo. Si potrebbe sostenere, a difesa della tesi dell’equivalenza tra la nostra elaborazione e il cosiddetto rossobrunismo, che il sito comunismo e comunità e le analisi dei suoi collaboratori spesso hanno esplicitamente affermato l’obsolescenza della centralità delle categorie di destra e sinistra e che questa è una prova schiacciante di rossobrunismo.

Approfittiamo di queste righe per ribadire un concetto della massima importanza.

 

Considerazioni sull’obsolescenza della categoria descrittiva e orientativa destra-sinistra

La nostra dichiarazione di obsolescenza delle categorie destra-sinistra per un proficuo orientamento politico anticapitalistico, come affermato molte volte, non è in alcun modo il tentativo di sintesi tra i due estremi, ma è al contrario la professione di una loro totale e grottesca insufficienza descrittiva. Non si tratta di un fatto puramente teorico ed astratto, ma è il frutto del trionfo assoluto del liberalismo come pratica e come ideologia dominante a 360° nelle società europee e del suo indiscutibile ruolo incontrastato nella difesa culturale (e copertura ideologica) della sostanza materiale dei rapporti di produzione capitalistici.

Ma cerchiamo di essere più precisi. Individuiamo, entro la questione, un piano materiale ed un piano ideale, che si ricongiungono poi dando unità al ragionamento.

Dal punto di vista materiale, è semplicemente accaduto che il 90% della sedicente sinistra non è più in alcun modo una forza sociale occupata nella difesa dei lavoratori, dei ceti più deboli e più in generale di tutti coloro che, sul piano materiale, non hanno nulla da guadagnare dal sistema capitalistico. Il 90% della sedicente sinistra è apertamente schierata (in maniera più o meno intensa e provocatoria) contro i lavoratori, per la libera impresa, per il capitalismo liberista più antisociale, per la spoliazione delle risorse pubbliche etc etc Si potrebbe sostenere che non si tratti di vera sinistra, ma di destra mascherata di sinistra. Ma questo significherebbe dare alla parola sinistra (che è storicamente determinata, contenutisticamente debole per definizione e come tale variabile in funzione dei tempi) un senso eterno che per definizione non può avere. Il concetto di sinistra è, in quanto termine relativo interno ad una dicotomia bipolare, (assai più dei termini facenti capo a sistematizzazioni ideologiche coerenti, come comunismo, socialismo, liberalismo, fascismo etc etc) il lasciapassare più comodo e ampio per inserire concezioni del mondo assai variegate ed estremamente generiche. Ciò non toglie ovviamente che sia possibile ricostruire un significato storico di massima della sinistra concretamente esistita nell’ultimo secolo.

E qui veniamo al lato ideale della questione, forse, per certi versi, ancora più importante. Se si accetta la tesi (questa sì previana e non solo previana) per cui la radice ideale della sinistra occidentale è l’unificazione di una critica culturale (di tipo libertario) alla cultura e all’ipocrisia borghese e di una critica sociale delle disuguaglianze e dell’alienazione capitalistica, si può allora intendere il ragionamento che segue: se l’identità tra classe dominante e conservatorismo culturale (ancorché a carattere liberale) viene meno e la classe dominante attuale non è in alcun modo portatrice di valori “tradizionali” (autoritarismo, conservatorismo, valori religiosi di tipo moralistico etc etc), ma è portatrice del puro nichilismo capitalistico privato di appigli morali “forti” di tipo tradizionale, è evidente che uno dei due moventi costituzionali della sinistra novecentesca viene meno. Rimarrebbe l’altro, quello più solido e strutturale (la critica alle disuguaglianze sociali e all’alienazione capitalistica) che da solo però non definisce, a nostro avviso, il concetto di “sinistra” tout court per come storicamente si è sempre intesa, ma definisce piuttosto una posizione anticapitalistica radicale che può poi essere corredata da visioni del mondo non per forza coincidenti in diversi ambiti della vita sociale (dalla visione dei rapporti personali, dei diritti, fino alla stessa impostazione filosofica di fondo). Negli ultimi venti o trenta anni è accaduto che la stragrande maggioranza della “fu sinistra” si è riciclata in soggetto di gestione del dominio capitalistico in versione progressista, perché il potere capitalistico non è più culturalmente conservatore, ed anzi, cavalca volentieri la dissoluzione sociale e l’individualismo di costume come leve per rompere gli ultimi argini alla propria penetrazione economica e simbolica; la sedicente sinistra radicale, contestualmente, nella sua stragrande maggioranza, ha accelerato, proprio quando i caratteri del mondo capitalistico si sono ormai post-modernizzati e le classi dominanti non sono più portatrici di una cultura conservatrice (bensì puramente nichilista), il suo lato “libertario”, antiautoritario e antiborghese (in senso culturale), mentre ha mantenuto un nocciolo duro di critica sociale sempre più depotenziato ed esso stesso soggetto a debolezze specifiche (che fanno però parte di un  diverso tema).
E’ chiaro che diventa molto difficile, alla luce di questa evoluzione, orientarsi nel mondo secondo la dicotomia calcificata destra-sinistra. Lo si può continuare a fare soltanto a certe condizioni: 1- se si attribuisce ai due termini un valore metafisico ultra-temporale 2- se si privano i termini di qualsiasi connotazione culturale e si identificano soltanto alla luce di forze materiali, rimuovendo quindi, dalla forma storica concretamente assunta dal concetto di sinistra, uno dei due elementi costitutivi: la critica libertaria antiborghese e antiautoritaria;  3- se allo stesso tempo si giudica del tutto priva di realtà effettiva l’autodichiarazione delle attuali forze dominanti nel loro schieramento di campo, considerando quindi “di destra” tutte le forze politiche dalla rifondazione più bertinottiana, passando per Vendola, il Pd fino alla destra di Storace. In questo caso destra equivarrebbe a “difesa del potere costituito”; mentre sinistra equivarrebbe a “opposizione al potere costituito”.

Tuttavia queste tre ipotesi ci sembrano insostenibili. Assai più calzante con la realtà è semmai il ravvisare un forte avvicinamento sia ideologico sia materiale di tutte le forze sistemiche. L’avvicinamento ideologico è avvenuto, non certo tramite una convergenza verso il concetto eterno di destra, ma tramite una convergenza (“da destra” e “da sinistra”) verso l’ideologia liberale (versione neo-liberale) che, per sua stessa natura, ha un volto di “destra” e un volto di “sinistra” del tutto compatibili con il proprio nucleo fondamentale. L’avvicinamento materiale di tutte le forze politiche, contestualmente, è avvenuto tramite l’aver abbracciato posizione politiche del tutto favorevoli alle classi dominanti, allo sfruttamento e l’annichilimento del lavoro in tutte le sue forme e alla distruzione della democrazia tramite l’adesione totale alla tecnocrazia sovranazionale.

Se questo è il quadro, è evidente che, mentre la contraddizione materiale tra classi-ceti dominanti e classi-ceti subalterne non muta (e la sua declinazione può essere semmai discussa entro ragionamenti senz’altro importanti circa l’importanza relativa del concetto di classe in sé, di ceto, di censo, di sfruttamento etc etc); la contraddizione principale ideologica, invece, non potrà che assumere forme peculiari. Essa non può essere sintetizzata dalla principale ed eterna opposizione tra destra e sinistra, ma dovrà per forza di cose individuare l’ideologia liberale (e il neoliberalismo come approccio politico culturale e simbolico, in una parola come visione del mondo), in tutte le sue varianti (di destra e di sinistra) come l’ideologia indiscutibilmente dominante a difesa dei rapporti sociali capitalistici.

Cosa implica questo semplice riorientamento? Implica forse che sinistra e destra anti-liberali ed anti-liberiste debbano coalizzarsi in un unico fronte anti-neoliberale, senza ulteriori paletti contenutistici contro il nemico comune? No!!! Chi lo pensa, forse, è un rossobruno. Noi non lo pensiamo e infatti non siamo rossobruni.

Il riorientamento, però, doloroso e difficile come tutti i riorientamenti, impone, questo sì, una seria considerazione delle forze in campo, di quale sia il “nemico principale” e di quali siano i “nemici secondari”, quale sia la “contraddizione principale” e quali siano le “contraddizioni secondarie”

E soprattutto, tale riorientamento, (tralasciando per un momento le annose questioni definitorie circa le ideologie sistematizzatesi negli ultimi due-trecento anni in occidente), impone la necessità di reintrodurre con forza e convinzione dei punti di distinzione di tipo sostanziale alla luce delle priorità individuate. Il superamento della centralità metafisica della categoria destra-sinistra (che, ripetita iuvant, non significa affatto e in alcun modo, il tentativo di sintesi tra i due estremi, ma che al contrario è la consapevolezza della loro totale, grottesca e palese insufficienza descrittiva) significa anche e soprattutto questo: il ripristino di paletti sostanziali e di punti distintivi sostanziali dopo un ventennio almeno di prevalenza delle autodichiarazioni di principio avvenute su un terreno formalistico.

E quali sono questi paletti? Quali sono questi punti sostanziali? Qual è il vero punto su cui si concentra la vera contraddizione ideologica e materiale che ci guida? Una risposta esauriente richiederebbe molte pagine, ma riassumiamola in pochissime righe. Il punto di distinzione che dovrebbe, senza appello, portare qualcuno da una parte e qualcuno dalla parte opposta è il seguente:

L’accettazione o il rifiuto del capitalismo inteso come sistema di relazioni economiche, politiche, sociali, culturali e simboliche basate su:

1- lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; 2- Il conflitto permanente tra uomo e uomo indotto dalle dinamiche economiche competitve; 3- il conflitto permanente internazionale basato sul vero e proprio orrore della guerra e del saccheggio coloniale e imperialistico delle risorse delle nazioni che costituiscono gli anelli deboli del sistema; 4- il culto nichilistico del mercato e della concorrenza come “luoghi” di realizzazione della dimensione sociale umana; 5- la riduzione a merce di ogni bene, ivi compresa la vita umana ridotta interamente a merce di consumo e soggetta, dalla vita alla morte, ad una completa manipolazione e disumanizzazione per adempiere alle esigenze di valorizzazione del capitale; 6- L’ideologia del progresso e della scienza come nuove religioni sovrane intoccabili; 7- la prevalenza di un profilo filosofico relativista e antiuniversalista coperto da un universalismo astratto di tipo procedurale (diritti umani, democrazia etc etc); 8- la prevalenza di un orizzonte culturale individualistico basato sull’apologia della dissoluzione e sul culto della libertà e del diritto intesi come arbìtri assoluti e massima espressione di un “io” isolato, de-socializzato e atomizzato; 9- la distruzione della tradizione e della normalità della vita quotidiana in nome dello sconvolgimento continuo, della sperimentazione, dello sradicamento e dell’evasione da sé stessi e dal proprio intorno affettivo e culturale con la creazione di uno spazio liquido post-relazionale e alienato dove scompare il concetto di identità.

Chi rifiuta tutto questo in maniera radicale sta da una parte; chi lo accetta sta dalla parte opposta. Per noi questa è la dicotomia di orientamento. Il resto è formalismo manipolato o contrapposizione non esaustiva che non va al nocciolo dei problemi e delle urgenze!

Se questa distinzione fosse in effetti riconducibile alla dicotomia destra-sinistra e se la sinistra fosse il rifiuto di tutti i punti sovraelencati, allora ci basterebbe definirci semplicemente di sinistra e i discorsi starebbero a zero (non ci divertiamo a proporre speculazioni filosofiche e teoriche fini a sé stesse). Tuttavia non è così. Crediamo che la sinistra, complessivamente, nelle sue variegate espressioni, non si identifichi affatto nel rifiuto dei punti sovraelencati e che, al contrario, per alcuni di essi manifesti una vera e propria piena adesione entusiasta. La ex-sinistra ormai ascesa alla gestione del potere capitalistico è interna all’accettazione di tutti i punti elencati. Con essa non è possibile alcun dialogo perché è dichiaratamente schierata da una parte; la sinistra di opposizione sociale, invece, (pur ridotta al lumicino) è per lo più (seppur entro molte ambiguità)  portata al rifiuto dei primi 5 caratteri delle società capitalistiche, ma è decisamente integrata negli ultimi tre punti.

Per questo riteniamo importante mettere dei distinguo sostanziali e rifiutare di incasellarci nell’eterna dicotomia formalistica.

Solo ed esclusivamente per queste ragioni, che, ripetiamo, sono sostanziali, riteniamo che la dicotomia destra-sinistra non sia esaustiva in termini filosofici, sia in certa misura obsolescente in termini storico-politici e, soprattutto, non contribuisca affatto alla chiarezza definitoria circa l’ orientamento politico che riteniamo adeguato.

Se tutto questo centra qualcosa con il rossobrunismo, allora qualcuno ce lo venga a dimostrare con validi argomenti confutatori.

 

La questione della sovranità nazionale

Vi è poi la questione della sovranità nazionale, tema tacciato di essere bruno o rosso-bruno, su cui non vale la pena spendere troppe parole. Primo perché è stato già fatto correttamente da alcune persone o gruppi messi in mezzo arbitrariamente da Maffione nella propria indagine accusatoria. Secondo perché, specie alla luce degli eventi di attualità, è di una tale evidenza che si resta sconcertati di fronte a tanta mancanza di profondità di analisi. Che la sovranità dello Stato-nazione sia precondizione giuridica, materiale e simbolica del proprio stesso essere cittadini appartenenti ad una comunità politica capace di decidere per il proprio futuro e per gli assetti e le strutture economico-sociali che si vogliono prevalenti, è cosa così ovvia che non dovrebbe neanche essere detta. Che la sinistra italiana sia stata fagocitata dall’ideologia “globalista” e “unioneuropeista” da ormai più di venti anni scambiando forse l’internazionalismo con la globalizzazione capitalistica e la tecnocrazia sovranazionale è una tragedia storica i cui frutti si sono ampiamente manifestati da tempo. Qualcuno tra i comunisti se ne è finalmente accorto, anche se con notevole ritardo. Altri, purtroppo, ancora no. Sono quelli che Brancaccio chiama efficacemente i liberoscambisti di sinistra che vedono, esasperando all’estremo e distorcendo il messianesimo progressista di Marx, nelle aperture sovranazionali (di qualunque tipo e natura) l’occasione di riscatto del proletariato mondiale (nel migliore dei casi) o della democrazia e dei diritti internazionali (nel peggiore dei casi). Ebbene si tratta di una visione del tutto errata e che è stata oggettivamente strumentale alla logica di espansione capitalistica, logica che per definizione non conosce frontiere né patrie.

Confondere l’opposizione alla logica globalista del capitale (e quindi la corretta impostazione della questione nazionale) con il nazionalismo suprematista o etnicista è semplicemente tragicomico e butta al mare un secolo e mezzo di analisi marxista della questione nazionale e dell’imperialismo. Lo assumiamo tristemente.

Fascismo e antifascismo

E veniamo, per concludere alla falsità più grave emersa dalle parole dell’articolo di Maffione, la cui gravità è tale da lasciare sconcertati. L’accusa che l’articolo esplicitamente e senza vergogna muove è quella per cui Costanzo Preve e  (vista la relazione simbiotica, presunta dall’articolista e già smentita sopra) il sito comunismo e comunità, vorrebbero proporre una sorta di sintesi teorica e politica tra nazi-fascismo e comunismo.

Una breve premessa

 

Prima di commentare questa affermazione gravissima, tanto falsa da risultare ributtante come ogni menzogna che si rispetti, una piccolissima premessa chiarificatrice che aiuterà a capirsi.

Alcune scelte di Costanzo Preve di pubblicare suoi libri con case editrici di chiara matrice di destra (o meglio proprio di quella destra che, usando una categoria comunque poco incisiva, si potrebbe definire, in questo caso a ragione, rossobruna); di scrivere suoi pezzi su alcune riviste di analoga matrice; e infine alcune sue stesse posizioni politiche spesso espresse in termini quasi provocatori per mostrare la miseria (effettivamente tale) della sinistra italiana ed europea, fanno parte di un percorso tormentato di oscuramento e silenziamento che il pensiero di Preve ha subito nei vent’anni di maggiore produzione. Preve, ad un certo momento della propria elaborazione, è giunto ad un tale livello di mal sopportazione della chiusura teorica di certi ambienti che ha preferito accettare di scrivere dove qualcuno aveva piacere di ospitarlo, fregandosene dei contenuti prevalenti dell’ospite. Come redattori della rivista, non abbiamo mai condiviso in alcun modo tali scelte (criticandole anche aspramente), ma ciò non ha impedito in alcun modo la sintonia con il pensiero fondamentale di Preve, con il lavoro filosofico teorico e con la sua interpretazione del capitalismo e la sua lettura del comunismo come prospettiva possibile (mai abbandonata da Preve; l’abbandono, questo sì più volte enunciato concerne il comunismo nella versione nichilistica, individualistica e dissolutiva dominante nella cultura occidentale post-moderna). Anche alcune posizioni di Preve, dettate a nostro avviso più da una vis polemica esasperata che da altro, sono causa di netto disaccordo entro il gruppo ruotante attorno a comunismo e comunità. Ma tali posizioni vengono discusse in maniera sostanziale, punto per punto, prescindendo dalla facile fuga dell’etichettatura.

Fatte queste dovute specificazioni, possiamo dire che il contributo teorico specifico di Preve ed il nucleo essenziale del suo pensiero, a nostro avviso estremamente stimolante, di rosso bruno non ha veramente nulla di nulla di nulla. Affermarlo significa non capire assolutamente niente di filosofia. Per averne la conferma basta avere la pazienza di leggere i numerosissimi libri scritti da Preve dall’inizio degli anni ’90 in poi. Il problema allora è un altro e sta nel fatto che ogni deviazione teorica, ogni rimessa in discussione di certezze, ogni rivisitazione di un paradigma che vuole andare alla radice delle cose, viene tacciata di eresia da debellare e non c’è più efficace eresia da debellare di quella dell’infiltrato fascista che si camuffa dietro l’etichetta rossa per portare i propri argomenti bruni. Il gioco così è presto fatto. Osi mettere in discussione il paradigma di sinistra condiviso dalla comunità eterna della sinistra formale (ormai privata da una sostanza comune da anni)? Sei un infiltrato! Ci sarebbe piaciuto tantissimo che Maffione, così come Evangelisti ed altri autori di dossier sul rossobrunismo che hanno avuto l’onore di citare questo sito, avessero posto delle serie obiezioni alle analisi che vengono fatte. Non solo quelle di Preve (che è peraltro una penna esterna alla redazione), ma quelle di tutti i redattori e collaboratori abituali. Ne sarebbe potuto nascere un serio dibattito che avrebbe dato forza e dignità a tutti, a partire dai superficiali detrattori da tastiera. E invece niente, nulla di tutto questo. Soltanto frasette, accostamenti, insulti, illazioni, sempre scritte nella distrazione di un articolo buttato là in fretta e furia, dove le parole e i concetti si sovrappongono senza cura (tanto chissenefrega della verità, l’importante è l’effetto!!).

Fatte queste premesse, veniamo finalmente alla sostanza dell’accusa, quella di lavorare ad una sintesi del comunismo e del nazi-fascismo, naturalmente priva di uno straccio di argomentazione.

Anche se non varrebbe neanche la pena rispondere, lo facciamo ugualmente approfittando dell’occasione per una brevissima disamina di quella che è, a nostro avviso, la natura storica, sociale e politica del fascismo o dei fascismi.

In quanto declinazione particolare del capitalismo e dell’imperialismo (in questo siamo del tutto d’accordo con quanto affermato da Maffione nel suo articolo), il fascismo storico ed il neofascismo non ci possono che essere totalmente avversi ed estranei. Per ciò che riguarda l’antifascismo ci riteniamo retrospettivamente antifascisti, solidali e complici dell’antifascismo militante del ventennio e, prima ancora, degli anni dello squadrismo, portato avanti con valore, dapprima nella lotta aperta e poi, quando ormai tutto era perduto, in clandestinità (in primis dai comunisti e ancora prima dagli arditi del popolo); ci sentiamo altresì pienamente solidali e complici dell’antifascismo resistenziale coerente con il proprio passato (nelle sue diverse componenti), mentre disprezziamo l’antifascismo opportunista, in alcuni casi eterodiretto dall’esterno, di chi si scoprì avverso al fascismo dopo i rovesci militari dell’Italia nella seconda guerra mondiale, non facendo altro che favorire l’occupazione militare angloamericana del paese.

Siamo altresì integralmente antifascisti in termini ideologici ed ideali e comportamentali, così come si è contro ogni corrente e fenomeno ideologico che si rifiuta e si ritiene complessivamente negativo.

Riteniamo invece poco comprensibile, se non come frutto di opacità nella lettura delle dinamiche del presente, l’antifascismo militante proposto come elemento ideologico fondativo di una pratica politica rispetto al presente. Per il semplice fatto che l’attuale configurazione di potere a difesa del capitalismo di fascista ha ben poco, a meno che per fascista non si voglia intendere qualsiasi governo a difesa dell’ordine costituito o qualsiasi governo che agisce in modo autoritario, o ancora più genericamente, qualsiasi governo di carattere anti-popolare. Si tratterebbe però di una destoricizzazione totale di una categoria con tutti i danni che ogni destoricizzazione totale può produrre nella comprensione della natura delle dinamiche storiche.

Allo stesso tempo affermare che l’antifascismo militante (come ideologia costitutiva) è scarsamente comprensibile, non significa affatto trascurare l’esistenza di fenomeni di carattere squadristico nel presente, in molti casi portati a termine da formazioni che fanno esplicito riferimento al neo-fascismo (spesso usate ad arte per destabilizzare e frantumare movimenti sociali di sinistra), fenomeni che condanniamo senza appello e che giustificano e legittimano pienamente qualsiasi pratica di autodifesa e di difesa degli spazi e del territorio. Anche in questo caso, comunque, a meno da non voler destoricizzare completamente il termine fascismo e sovrapporlo semanticamente con termini quali “intolleranza, squadrismo, razzismo”, o in maniera ancora più falsante “autoritarismo”, mancanza di “democraticità” etc etc…, crediamo che fenomeni reazionari di violenza e intolleranza si verifichino sotto diverse etichette. Non vediamo ad esempio il motivo per cui in una città del nord Italia si dovrebbe abbracciare l’antifascismo militante e non l’anti-leghismo militante che sarebbe invece molto più legato alla realtà quotidiana (tanto per fare un esempio attuale).

Se così stanno le cose, l’antifascismo militante rischia di diventare una sorta di lasciapassare concettuale per l’opposizione a fenomeni tra di loro eterogenei. Per di più, (ed in Italia senza alcun dubbio, è stato, ed è ancora oggi così) rischia di diventare una sorta di collante ideologico formalistico per la chiamata alle grandi coalizioni di sinceri democratici che vadano dal PD alla  sinistra anticapitalista in nome di un malinteso antifascismo democratico.

Riepilogando: la nostra avversione al fascismo come fenomeno storico e come ideologia sovrastorica è totale (ed è semplice conseguenza della nostra avversione al capitalismo in tutte le sue forme concrete); il nostro antifascismo retrospettivo solidale con l’antifascismo storico coerente e non opportunistico è altrettanto totale. La nostra solidarietà con l’antifascismo quotidiano e concreto laddove inteso come semplice pratica di autodifesa territoriale e politica è altrettanto totale e incondizionata.  L’antifascismo militante mitico, eterno e destoricizzato lo riteniamo, invece, un’ideologia nel migliore dei casi fuorviante e opaca, nel peggiore dei casi, invece, utile solo alle grandi alleanze “di sinistra” egemonizzate dai neo-liberali di turno in nome di un supposto comune nemico e di un eterno pericolo imminente mantenuto sempre come spauracchio.

Con questo non neghiamo in alcun modo la possibilità storica che il fascismo, seppur in forme inedite, possa ripresentarsi nel futuro (farlo sarebbe ingenuo e irresponsabile). Come lo stesso Maffione correttamente afferma, è la crisi capitalistica stessa l’humus preferenziale per il fiorire di ideologie falsamente anti-sistema di stampo più o meno reazionario. Ma la migliore ricetta di prevenzione delle soluzioni reazionarie alla crisi sociale, è un anticapitalismo militante e radicale che, in quanto tale, è esteso a qualsiasi “soluzione capitalistica”, ivi inclusa la soluzione fascista. Elevare, però, quest’ultima ad un rango speciale (tanto da meritare una militanza ed un’etichettatura “anti” specifica di carattere ideologico), in un momento storico in cui oggettivamente non è una realtà imminente (fossimo nel 1922 i ragionamenti sarebbero di certo diversi), conduce semplicemente ad una grave deformazione della realtà dei rapporti di forza concreti esistenti.

Veniamo ora ad una rapida disamina della natura storica, sociale e politica del fascismo, per corroborare le affermazioni di principio appena elencate. Si tratta di un punto importantissimo  poiché autodichiararsi avversi al fascismo conta davvero poco se non si specifica come e perché.

In questa sede, per semplificare, ci riferiamo al fascismo come ad un’unica ideologia (dando per note le differenze anche importanti tra i diversi fascismi o nazionalsocialismi storicamente esistiti nelle diverse realtà nazionali).

Il fascismo è stato, ed è nella riproposizione che oggi ne viene fatta da alcuni gruppi minoritari, un fenomeno politico che ha coniugato molteplici aspetti in un’unica ideologia sintetica.

Occupiamoci nel particolare della politica sociale ed economica e della politica estera imperialista, i due aspetti più importanti per comprendere la natura ultima dell’esperienza fascista, senza alcuna pretesa di esaustività descrittiva di quello che è senza dubbio un fenomeno che storico pieno di sfaccettature ed aspetti.

Seppur il passaggio, nell’esperienza italiana, dal sansepolcrismo all’esercizio del potere vede alcune trasformazioni molto rilevanti, si può enucleare il tratto distintivo della visione della questione sociale da parte del fascismo nell’ideologia della conciliazione armonica, entro lo Stato-nazione, degli interessi delle classi sociali, al fine di conseguire il bene superiore della nazione, sovraordinata alle divisioni di classe e di censo.

Le contraddizioni capitalistiche (verticali di classe, orizzontali come conflitto tra capitali, verticali/orizzontali in termini di censo), nell’ideologia liberale, sul piano ideologico vengono semplicemente negate e dissolte nell’individualismo atomistico portatore di un’armonia oggettiva (“l’ordine di mercato”) scaturente dalla disarmonia soggettiva della forza della concorrenza. Diversamente nell’ideologia fascista, è l’idea di conciliazione tra le classi e tra i ceti da attuarsi tramite il corporativismo e qualche dose di Stato sociale a ricomporre tali contraddizioni, tanto quelle orizzontali, quanto quelle verticali (di classe). Alla forza anonima della concorrenza liberale, viene opposta dal fascismo la forza politica e financo spirituale della conciliazione dei diversi interessi dei produttori in nome della forza della nazione intesa come un corpo unico. Ma, sotto a questo tappo, vegeta e prospera la struttura dei rapporti di produzione capitalistici che il fascismo non discute affatto nella loro essenza ultima.

E così come la concorrenza (come magistralmente spiegato da Marx) genera un falso equilibrio che è in realtà un continuo e drammatico squilibrio socio-economico generale e nasconde i rapporti borghesi di produzione (ovvero lo sfruttamento della forza lavoro); similmente la “soluzione” corporativa e nazionalistica nulla può nell’ordinare il caos concorrenziale dei rapporti di mercato (che il fascismo non mette in discussione in quanto tali) e nulla può nel frustrare la sottostante tensione, ineludibile, nella spartizione della distribuzione del reddito tra classi sociali.

Molto può invece in termini pratici, e qui dal fascismo ideale si passa al fascismo reale e storico. Il fascismo reale, declina le proprie aspirazioni “conciliative e armonizzanti” di fatto con il disciplinamento forzato del lavoro salariato, nel momento in cui agisce, dapprima sotto forma di repressione squadristica contro le sedi di partiti e sindacati dei lavoratori e poi, preso il potere, tramite l’imposizione di una disciplina di lavoro repressiva, divieto di sciopero, messa fuori legge dei sindacati e dei partiti. Nei primi anni di governo i provvedimenti di politica economica presi da Mussolini hanno carattere liberista e, in linea con l’alleanza tacita degli anni dello squadrismo, sono integralmente favorevoli al grande capitale industriale che vede nel fascismo l’occasione materiale per frenare le spinte rivoluzionarie del biennio rosso (di qui la natura esplicitamente e radicalmente anticomunista che il fascismo assunse).

Dopo la crisi del 1929 il fascismo assume una direzione maggiormente dirigista tramite il supporto pubblico del capitale privato in crisi e tramite la contestuale crescita del capitale pubblico in alcuni settori specifici. Durante il ventennio inoltre vengono adottati alcuni provvedimenti di politica sociale sul fronte pensionistico, delle assicurazioni sociali e delle condizioni di lavoro, che per quanto indirizzati ai bisogni della classe lavoratrice, non modificano la natura complessiva dell’esperienza fascista, in quanto conformazione particolare dell’esercizio del potere capitalistico.

L’aspetto che forse meglio mostra la natura di regime politico totalmente favorevole agli interessi capitalistici fu la vocazione apertamente imperialista, coloniale e suprematista del fascismo. Si tratta peraltro dell’aspetto senza dubbio più odioso che ispira la più spiccata vergogna storica, la stessa identica vergogna storica che copre le classi dirigenti dell’Italia liberale impegnate nelle vergognose avventure coloniali di Somalia, Abissinia, Libia e nell’atroce infamia della prima guerra mondiale.

In perfetta continuità con le mire coloniali dell’Italia liberale, ansiosa di ascendere al rango di grande potenza al pari degli Stati imperialisti europei, la politica estera fascista fu tutta improntata al consolidamento e ampliamento manu militari dell’impero al fine di accrescere la posizione competitiva del capitale italiano aumentandone le occasioni di profitto. Il lungo ciclo di repressioni in Libia tra il 1931 e il 1933; la terrificante guerra coloniale contro l’Etiopia sovrana 1935-1938;  l’invasione dell’Albania (1939); ed infine la seconda atroce infamia della partecipazione alla seconda guerra mondiale (1940) che tanti orrori ha generato fuori e dentro i confini nazionali, portando al suicidio di fatto dell’Europa (una sorta di resa dei conti finale in sé stessa e contro sé stessa dopo secoli di oppressione coloniale imposta all’esterno).

Al di là degli aspetti enfatici, simbolici ed ideologici dell’imperialismo fascista, connotati anche dalla prevalenza del suprematismo culturale e razziale (ben presente comunque nella cultura europea del tempo, non certo prerogativa esclusiva dei fascismi) e da specifiche involuzioni razziste (leggi razziali del 1938 ad esempio), l’aspetto più importante (e non a caso quello meno enfatizzato dalla storiografia dominante) è proprio la continuità di tali politiche con l’universo materiale e simbolico del colonialismo e dell’imperialismo europeo che altro non è che la proiezione naturale del capitalismo nella sua evoluzione storica (su questo punto sono illuminanti le analisi di Domenico Losurdo). In questo, ancora una volta, il fascismo si manifesta come mera forma specifica del capitalismo.

Dopo questa breve disamina, al fine di dare conto della nostra decisa avversione nei confronti di tale esperienza storica e fenomeno ideologico, sarebbe persino superfluo enfatizzarne altri aspetti specifici che concorrono a tali inequivocabili sentimenti, come ad esempio il fortissimo nazionalismo escludente l’espressione libera di culture e lingue diversa da quella italiana, la repressione del dissenso per i propri fini politici (fini la cui natura è stata già esaminata), la cultura dello sprezzo e del superomismo etc etc. Dal momento poi che Maffione accusa il sito di voler proporre sintesi tra comunismo e nazi-fascismo e che quindi mette in mezzo anche il nazionalsocialismo tedesco possiamo anche aggiungere: lo sterminazionismo etnico programmatico contro i “popoli e le etnie inferiori”, contro gli “uomini inferiori” (menomati, disabili, matti) e, ovviamente contro gli oppositori politici, cose che semplicemente suscitano semplice e puro orrore, disgusto e condanna storica senza appello. Lo stesso disgusto e la stessa condanna storica senza appello che riserviamo oggi agli sterminatori imperialisti dell’Iraq, dell’Afghanistan, della Palestina, della Jugoslavia e della Libia.

Conclusioni

Chiarita in maniera esplicita (e in modo pleonastico diremmo, ma tant’è) la nostra posizione, gradiremmo che Maffione citasse, entro la nostra impostazione, e alla luce, se vuole, di tutti gli articoli (che può liberamente leggere sul sito) frasi, passi o pensieri che lo hanno indotto ad affermare che il sito comunismo e comunità, in quanto “latore” di Costanzo Preve, lavorerebbe ad una sintesi tra comunismo e nazi-fascismo sull’onda di intenzioni rosso-brune.

In alternativa gradiremmo delle scuse e la correzione immediata delle enormità scritte non solo contro di noi, ma contro altre realtà che ogni giorno si impegnano sul fronte dell’anticapitalismo.

Infine una piccola nota indirizzata ai redattori della rivista “indipendenza” (ma che sia di chiarimento a tutti). “ Indipendenza” è stata messa in mezzo nell’accusatoria di Maffione e si è difesa con un articolo peraltro condivisibile. Purtroppo, tra le righe di questo articolo, i redattori hanno malauguratamente citato a sproposito il nostro sito e laboratorio utilizzando peraltro una terminologia errata. Anzitutto non ci definiamo comunitaristi. Il comunitarismo come pensiero filosofico è un interessante sentiero tracciato da Costanzo Preve (vedi “Elogio del Comunitarismo, 2006) in polemica con tutta la filosofia dominante di stampo liberale e che, peraltro, meriterebbe ulteriori studi. In termini politici il comunitarismo non ha alcuna espressione o corrispondenza storica ed è pertanto un termine che rischia di diventare un contenitore vuoto dove ciascuno mette dentro ciò che vuole.

In secondo luogo è del tutto scorretta l’analogia delle posizioni del laboratorio con quelle eurasiatiste, intese nel senso ideologico-politico e non geopolitico-strategico (posizioni che non ci sono proprie e che spesso ci è capitato di criticare nel merito). E’ un peccato che la rivista indipendenza, che peraltro, al netto di alcune differenze di concezione, apprezziamo per molti aspetti e contenuti di cui si occupa, cada a sua volta nella tentazione inconsapevolmente diffamatoria. Speriamo che questo chiarimento sia utile ad evitare ulteriori fraintendimenti.

Dopo questa lunga (ce ne scusiamo con i lettori), ma necessaria ricostruzione, ci auguriamo di non dover più assistere d’ora in avanti ad operazioni da “caccia alle streghe” e soprattutto di poter dedicare il tempo (prezioso per tutti) a discutere di ciò che veramente ci interessa con chiunque abbia la volontà di farlo, canalizzando le già scarse energie verso una radicale opposizione alle misure politiche che stanno strozzando in maniera catastrofica il nostro paese a partire dalle sue componenti più deboli. Mentre scriviamo è in corso la più terrificante offensiva capitalistica contro il lavoro e contro la stessa base socio-economica e culturale della convivenza umana per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi decenni. Vorremmo pertanto concentrare ogni sforzo contro tale offensiva in accordo con tutti coloro che avvertono la medesima urgenza.

Maurizio Neri

2 commenti
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  1. Vi ringrazio per questa precisazione sul rossobrunismo. Non eravate tenuti a farla. Ma per chi come me si è avvicinato da poco al pensiero di Preve e al vostro, è importante. L’accusa di aver cercato una sintesi fra comunismo e nazifascismo espressa da Maffione era veramente infamante. E mi fa piacere che abbiate dichiarato esplicitamente che sia totalmente falsa. Fra parentesi, io considero il comunismo un’utopia ma la sua declinazione all’interno del concetto di comunità mi affascina. Non so se c’entra ma mi vengono in mente i kibbutsim.

    Ho letto ancora poco del sito. Ma ho un paio di cose mi lasciano qualche dubbio. Il vostro sostegno al governo legittimo (?) di Assad è il primo. Purtroppo sapere come vanno veramente le cose, immersi nella disinformazione dei media, è per me quasi impossibile. I resoconti che si leggono a favore di Assad su internet appaiono su vari siti di destra e forse effettivamente rossobruni. Penso a quei difensori del concetto di Eurasia. Un alleanza con la Russia? Non mi convice. Non so se sono vittima della propaganda. Per esempio fatico a credere che la CIA venda le armi ai ribelli islamici del Mali per provocare l’intervento occidentale come ho letto. Tutto è possibile, ma mi sembrano solo ipotesi. Forse anche voi siete per Putin. Leggerò meglio i vostri articoli sull’argomento e sulla “primavera araba”.

    Altra questione, forse secondaria. Ho visto l’intervista con Giulietto Chiesa. Sintetizzando… qual è la vostra posizione sull’11 settembre?

    Grazie. Ciao

  2. Ok. Ho riletto un vostro articolo, di Federico Stella, del 2010 sull’11 settembre che nega il complotto. E nega che al-qaida sia una creazione della CIA.

    Ho anche letto l’articolo di Zecchinelli sulla Siria del 1 giugno 2012. Qui si parla di al-qaida come di una “creatura” degli USA…

    Certamente esiste la propaganda occidentale anti-siriana per motivi imperialistici. Il fatto è che le notizie della contro-informazione sono impossibili da verificare. Qualcuno ha detto che i ribelli sono foraggiati dagli Usa e dall’Arabia saudita. Si dice che tutti i movimenti colorati delle varie “primavere” siano creati apposta dall’imperialismo.

    Purtroppo non ci sono prove. C’è solo qualcuno che l’ha detto. Come diceva Stella di complotti ce ne sono tantissimi. Ma sono quasi impossibili da smascherare.

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