Letta il collaborazionista, il lager dell’eurozona e il piano lavoro

lug 2nd, 2013 | Di | Categoria: Dibattito Politico

di Eugenio Orso

LettaCosa sono i collaborazionisti? Come si può definire il fenomeno del collaborazionismo nella storia? E’ bene partire dalla definizione generale di collaborazionismo presente su Wikipedia e da tutti fruibile: «Il collaborazionismo è un fenomeno sociale e politico connesso alle vicende di governo di un paese occupato militarmente da una potenza straniera, che vi organizza una classe dirigente totalmente asservita ai propri interessi.»

La predetta definizione è perfetta per la “classe politica” italiana di oggi, raggruppata nei due partiti più importanti, il pd e il pdl, che hanno sostenuto il direttorio Monti e ora sostengono il direttorio Letta, con l’”alto magistero” e soprattutto la regia del capo dello stato. Basta togliere il “militarmente” (nonostante la presenza ingombrante delle basi militari americane), lasciando però bene in evidenza l’espressione ”occupato”, per descrivere ottimamente la situazione del paese, nelle mani dei collaborazionisti politici – e sindacali, giornalistici, accademici, della magistratura – che fanno gli interessi dell’occupatore massacrando la popolazione italiana. In questo senso, Enrico Letta, nominato capo del governo dopo Monti e dopo elezioni politiche farsa, sotto la minaccia della crisi perpetua e del default dello stato italiano, non è diverso dal maresciallo francese Philippe Pétain e dal norvegese Vidkun Quisling in piena seconda guerra mondiale. Come non lo era Mario Monti, il primo della serie nella penisola, e lo stesso “regista” al Quirinale, Giorgio Napolitano. I tre figuri rappresentano altrettante espressioni di collaborazionismo politico nei confronti di un’oligarchia dominate (corrispondente allo strato più alto di una classe sociale ben precisa) e di tradimento a trecentosessanta gradi nei confronti di quello che dovrebbe essere il loro paese.

L’unica vera alternativa programmatica radicale a questo stato di cose, all’occupazione e al saccheggio delle risorse del paese e alla disintegrazione in massa della popolazione, non è quella illusoria rappresentata da m5s in parlamento, che per la sua congenita debolezza e internità al sistema non può essere considerata neppure un’alternativa. E’ quella che dovrebbe prevedere in prima battuta un’uscita “violenta” e improvvisa dal lager dell’eurozona e da tutte le istituzioni europoidi, nonché dall’organizzazione del trattato nordatlantico. Cambiando repentinamente alleanze – Federazione Russa, Venezuela, Argentina, Iran, Siria in luogo del famigerato “blocco occidentale”, provocando un Controshock sui mercati finanziari, per destabilizzarli, e una parallela destabilizzazione dell’ordine geopolitico globale. Ciò consentirebbe di attrarre altri paesi dell’Europa mediterranea e dell’est schiacciati sotto il tallone euroglobalista, per nuovi assetti geopolitici in continente e nell’area mediterranea, e di attivare politiche opposte a quelle ultraliberiste e finanziarie, di natura collettivista o dirigista-keynesiana. Si potrebbero così interrompere i flussi della globalizzazione economico-finanziaria neoliberista, liberando le forze antagoniste in Europa e nel mondo. In tal caso non si tratterebbe di una nuova speranza crollista del capitalismo, di lontana e vaga ispirazione marxista, ormai superata dal corso storico, ma di un agire drammaticamente concreto sul piano geopolitico e strategico. Il primo passo da compiere è quello di eliminare i collaborazionisti interni, rompere il cerchio nefasto delle alleanze e dei trattati internazionali che ci imprigionano, ripristinare la piena sovranità monetaria acquisendo l’indipendenza politica. Perciò, moneta e sovranità politica nazionale sono al primo posto, quali obiettivi da conseguire, precondizione per affrontare questioni come la difesa delle strutture produttive del paese, l’occupazione giovanile e quella in generale, l’equità sociale, quella fiscale e via elencando.

I nostri principali nemici dispiegano la loro potenza strategico-politica su due livelli, quello internazionale degli organi della mondializzazione, fra i quali le sedicenti “istituzioni europee”, e quello nazionale, con il controllo di paesi-chiave come gli usa – gendarme dell’ordine mondiale neocapitalistico, prestatore di ultima istanza e centro finanziario irrinunciabile – la germania – gendarme e grande parassita di un’Europa soggiogata – e la cina – partner privilegiato dei globalisti occidentali, primo produttore ed esportatore emergente. Gli strumenti di cui si vale il nemico mascherato da mercati & investitori, che attualmente ci occupa e occupa attraverso l’azione dei collaborazionisti le istituzioni statali, sono gli organismi sopranazionali europoidi e mondiali, nonché i tre paesi chiave sui quali di regge il suo ordine: gli usa, la germania e la cina. Essendo oltremodo chiaro il quadro della situazione e l’origine dei problemi italiani, in massima parte esogena e non endogena, come subdolamente si fa credere per via mediatica, soltanto forze extrasistemiche capaci di impegnarsi in una vera lotta di liberazione nazionale, necessariamente armata e cruenta, dovrebbero avere il consenso e l’appoggio della grande maggioranza della popolazione.

Di ciò che sarebbe necessario per salvare il paese e le vite di milioni di italiani (ivi compresi i nuovi, cioè gli immigrati) oggi non v’è traccia. Le forze extrasistemiche non esistono, se non in stato embrionale, e la combattività di una popolazione precarizzata, disintegrata culturalmente, priva di coscienza politica, ludopatica e impaurita tende pericolosamente a zero. Ciò realizza ottimamente (almeno per i dominanti e i loro collaborazionisti locali) il celebre acronimo T.I.N.A. e infatti non ci sono alternative da tradurre in programmi politici applicabili. Per tale motivo, Monti ha potuto sbizzarrirsi, nel mandare a fondo scientemente l’Italia, e Letta nipote, quello dell’infame pd sostenuto dal pdl in qualità di “socio” di minoranza, può sentirsi relativamente al sicuro, rilasciando persino dichiarazioni provocatorie che negano la realtà del paese. Dopo i primi cinquanta giorni di governo il suddetto è ottimista. L’unione europoide è un grande successo. E via discorrendo.

Se questo è il quadro della situazione nazionale, il piano lavoro per i giovani varato dal direttorio Letta-Napolitano e sostenuto dalla maggioranza collaborazionista di governo, che si accompagna a un ennesimo rinvio, quello di tre mesi dell’aumento dell’iva, è poco più di aria fritta a uso depistante-propagandistico, che fa seguito a tutta una serie di annunci. E’ ormai chiaro (se non lo fosse stato fin dall’inizio) che il collaborazionista Letta ha avuto l’ordine tassativo di continuare sulla strada di Monti, mantenendo le controriforme già realizzate, rispettando il pareggio di bilancio, facendo pagare illusorie misure per la “crescita” alla popolazione in sofferenza (che dovrebbe beneficiarne!), come per i rinvii dell’acconto Imu e degli aumenti Iva, e soprattutto non sfondando la soglia strangolante del 3% nel rapporto deficit/ pil, checché ne dica un Berlusconi sempre più inguaiato.

Si prevedono 200.000 nuove assunzioni e nuove opportunità di formazione per giovani fra i 18 e i 29 anni in 18 mesi, la metà dovuta agli sgravi contributivi fino a un massimo di 650 euro mensili per i 18 mesi, di 12 mesi per la trasformazione di contratto nel tempo indeterminato, e il resto attribuibile alle altre misure di “inclusione sociale” stabilite, con particolare attenzione per il centro-sud. Peccato che si pongono furbescamente dei paletti. Il trucco è che si stabiliscono condizioni stringenti per rientrare nelle predette misure, che hanno il loro perno nella decontribuzione. Come ha rilevato sarcasticamente Grillo con un post nell’omonimo blog, per beneficiare dell’elemosina governativa si deve essere “analfabeti”, ossia senza uno straccio di titolo di studio (e i neolaureati, specie in materie umanistiche, che ne facciamo di loro?), oppure disoccupati da almeno sei mesi (se uno ha lavorato, nei precedenti sei mesi, come precario per una quindicina di giorni non ha diritto di accedere ai presunti benefici?), o autosufficienti che vivono da soli con almeno una persona a carico (un senza reddito si permette di vivere da solo, pagando allegramente affitto e utenze domestiche, con tanto di persone a carico?). Nel provvedimento non mancano stanziamenti per tirocini formativi a vantaggio dei giovani cosiddetti Neet, cioè quelli che non studiano e non lavorano, inutili in periodi di crisi feroce indotta e di crollo dei consumi interni, in cui le aziende chiudono i battenti o riducono gli organici. I Neet sono numerosissimi nel meridione, in cui la disoccupazione giovanile reale supera il 50%. Il pacchetto governativo è arricchito da autentici specchietti per le allodole come i finanziamenti di misure per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità. Non c’è lavoro, cadono la produzione e il reddito, le banche non finanziano attività produttive e ci si permette di “intraprendere”, magari indebitandosi con i cravattari e rischiando il collo con fallimenti aprioristici? Oppure misure come la riduzione della pausa fra un contratto di lavoro a termine e l’altro, da 60/90 giorni a 10/20 giornate, correggendo un po’ la spietatezza della Fornero, ma senza che nessuno osi mettere in discussione, nella sostanza, i contratti della precarietà e la logica di potere neocapitalistica che li ha imposti.

Per quanto riguarda le predette misure, che dovrebbero combattere la disoccupazione giovanile, è bene fissare alcuni punti fermi, sbugiardando il collaborazionista dei signori dell’eurozona Enrico Letta, che canta vittoria e si mostra ottimista perché si sente relativamente al sicuro:

1)    La vera sorgente del problema della disoccupazione, che ovviamente non riguarda soltanto i giovani ed è intimamente legato al crollo delle produzioni nazionali e dei consumi interni, non sta tanto nell’elevata contribuzione e nella fiscalità asfissiante, che pur ci sono e sono evidenti, quanto nell’impossibilità di procedere a una svalutazione competitiva della moneta dentro la “camicia di forza” rappresentata dall’euro, nonché nelle regole rigoriste, in termini di bilancio e spesa pubblica, imposte a vantaggio della classe dominante finanziaria e, in subordine, del grande parassita tedesco. Per risolvere il problema della disoccupazione di ogni fascia d’età – anche se ciò non comporta automaticamente la realizzazione della giustizia sociale e il sostegno ai redditi da lavoro – è fondamentale il rapido ritorno ad una piena sovranità monetaria, e di conseguenza a quella politica, con una moneta di proprietà non delle élite finanziarie euroglobaliste, che operano attraverso l’eurotower, ma dello stato nazionale. Le misure lettiane, oltre a riguardare soltanto alcuni lavoratori, nella discriminazione per fasce d’età e nella logica elitista dello scontro generazionale, si riveleranno inefficaci, o rappresenteranno soltanto un temporaneo palliativo, con scarsi incrementi occupazionali, perché i cosiddetti fondamentali dell’economia peggioreranno ancora, a precipizio, non potendo cambiare l’aspetto monetario (moneta unica straniera), quello delle politiche di bilancio (tensione per il pareggio di bilancio, tagli al sociale e al pubblico impiego, mancato stimolo alla domanda, dismissioni) e quello delle politiche industriali (mancate nazionalizzazioni che servirebbero per preservare la struttura produttiva e qualche posto di lavoro, rinuncia ai dazi doganali per difendere le imprese indigene e arginare l’invasione di prodotti degli “emergenti”).

2)    La battaglia in Europa condotta da Letta e conclusasi, a suo dire, con un successo in merito all’occupazione giovanile, è soltanto propagandistica e illusoria. Fumo negli occhi delle masse per mantenere il paese nella prigione europoide. Da parte di chi ha osato definire, in barba alle sofferenze della popolazione, l’unione europide un grande successo, questa finta battaglia, che avrebbe visto l’Italia protagonista, si sarebbe conclusa con una vittoria proprio in relazione al piano occupazionale per i giovani, con il bel risultato della moltiplicazione (per tre) dei soldi che spetteranno complessivamente al paese. Quasi un miliardo e mezzo di euro per l’Italia, un “grandissimo risultato”, ha starnazzato Enrico Letta. Ma è proprio a causa dell’unione europoide, dell’euro e dell’azione antinazionale dei collaborazionisti come l’attuale capo del governo se siamo a questo punto. E quel miliardo e mezzo di cui Letta si vanta non può minimamente compensare gli ingenti danni che l’euro, in combinato disposto con le politiche neoliberiste, ha fatto al paese. Distruggendo la prospettiva di posti di lavoro stabili per le nuove generazioni. Fare una battaglia in Europa per allentare la stretta rigorista e recuperare qualche posto di lavoro, significa né più né meno che andare dal ladro a denunciare il furto.

3)    Questo ultimo punto è conseguenza dei precedenti due. L’aspetto propagandistico dell’operazione “piano lavoro” per i giovani è importante almeno quanto quello delle risorse impiegate. Si fa credere, da un  lato, che degli interventi governativi nati all’interno della logica neoliberista, con un modesto intervento finanziario del sopranazionale europide che non compensa ciò che la falsa Europa ci ha rubato finora, possa risolvere positivamente la questione della disoccupazione di massa. Dall’altro lato, si pone in ombra un secondo aspetto, altrettanto drammatico, della disoccupazione indotta dalle politiche neoliberiste, e cioè quello della perdita di posti di lavoro, stabili e a tempo indeterminato, che investe i lavoratori più anziani. Un dramma sociale evidente, in questi ultimi anni, quanto quello della disoccupazione dei giovani. I padroni di Letta, di Monti e di Napolitano hanno applicato in forme nuove, con maestria, la vecchia logica del divide et impera romano, mettendo i lavoratori giovani contro i vecchi, i precari contro gli stabilizzati, gli autoctoni contro gli immigrati, i privati contro i pubblici, gli attivi contro i pensionati, al punto che ci è caduto anche Grillo, che tuonava contro lavoratori pubblici e pensionati. Ciò ha contribuito a spingerci in questa situazione e ha favorito il dilagare sia della disoccupazione giovanile sia di quella dei lavoratori più anziani. Il direttorio Letta-Napolitano, collaborazionista delle élite euroglobali, continuatore dell’opera di Monti e inflessibilmente “rigorista”, come piace alla germania, finge di rappresentare la cura per la piaga della disoccupazione giovanile, ma nella realtà è parte integrante del male.

La conclusione non può essere che una. Talmente evidente da sconfinare nell’ovvietà. Letta il collaborazionista ha il compito di mantenere il paese sul sentiero del rigore contabile, nel lager dell’eurozona in cui il kapò sarà sempre la germania. Il suo piano lavoro per i giovani è un palliativo propagandistico finanziato dalla ue proprio per questo scopo, mentre continua la “trasformazione” dell’Italia in un docile serbatoio di risorse, non ultime quelle umane svalutate economicamente e diminuite culturalmente, saldamente nelle mani dei mercati e degli investitori.

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5 commenti
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  1. Collaborazionismo può significare anche votare per o partecipare in un governo imperialista che fa gli interessi nazionali. Una definizione perfetta per le classi sociali dei paesi imperialisti ai tempi della socialdemocrazia. Perfetta per tutte le classi sociali che scelgono di servire gli interessi nazionali imperialisti (propri e/o altrui). I collaborazionisti politici – e sindacali, giornalistici, accademici, della magistratura – che fanno gli interessi non solo dell’occupatore, ma anche gli interessi delle aziende imperialiste nazionali. Figuri che hanno rappresentano espressioni di collaborazionismo politico nei confronti di oligarchie imperialiste nazionali e/o internazionali sono stati ad esempio i vari leader dei partiti comunisti e socialisti dei paesi dell’Europa occidentale del secondodopoguerra. Il loro è stato tradimento nei confronti dei principi dell’antimperialismo. E in fondo la collaborazione con i governi imperialisti vale anche per i partiti che si definiscono “comunisti” oggi.
    E le nuove alleanze – con la Federazione Russa, Venezuela, Argentina, Iran, Siria – dovrebbero essere create su una base di eguaglianza, avendo come obiettivo giungere allo stesso reddito pro capite, per sciogliere il nesso imperialistico tra nazioni ricche, come l’Italia, e nazioni povere, per sciogliere le dinamiche che altrimenti continueranno a svolgersi contro le economie deboli, determinando superprofitti a favore dei paesi ricchi. Le singole economie nazionali oggi si collocano in funzione dell’allargamento e della ridefinizione dei poli geoeconomici internazionali, ma una trasformazione profonda avverrebbe nell’economia mondiale se si perseguisse l’uguaglianza internazionale, la fine della competizione globale per poli internazionali, a natura geopolitica e geoeconomica, la fine della divisione internazionale del lavoro.
    E per quanto riguarda “le politiche opposte a quelle ultraliberiste e finanziarie, di natura collettivista o dirigista-keynesiana”, esse non fermano l’imperialismo. Potrebbero eventualmente “interrompere i flussi della globalizzazione economico-finanziaria neoliberista”, come ha scritto Eugenio Orso, ma non necessariamente libereranno le forze antagoniste in Europa e nel mondo. La socialdemocrazia non ha mirato affatto a liberare le forze antagoniste in Europa e nel mondo. La socialdemocrazia ha funzionato all’interno dell’unità globale capitalista imperialista. È stato invece il blocco sovietico ad aver funzionato come un’altra unità mondiale all’interno dell’unità globale.

  2. 3) Questo ultimo punto è conseguenza dei precedenti due. L’aspetto propagandistico dell’operazione “piano lavoro” per i giovani è importante almeno quanto quello delle risorse impiegate. Si fa credere, da un lato, che degli interventi governativi nati all’interno della logica neoliberista, con un modesto intervento finanziario del sopranazionale europide che non compensa ciò che la falsa Europa ci ha rubato finora, possa risolvere positivamente la questione della disoccupazione di massa. Dall’altro lato, si pone in ombra un secondo aspetto, altrettanto drammatico, della disoccupazione indotta dalle politiche neoliberiste, e cioè quello della perdita di posti di lavoro, stabili e a tempo indeterminato, che investe i lavoratori più anziani. Un dramma sociale evidente, in questi ultimi anni, quanto quello della disoccupazione dei giovani. I padroni di Letta, di Monti e di Napolitano hanno applicato in forme nuove, con maestria, la vecchia logica del divide et impera romano, mettendo i lavoratori giovani contro i vecchi, i precari contro gli stabilizzati, gli autoctoni contro gli immigrati, i privati contro i pubblici, gli attivi contro i pensionati, al punto che ci è caduto anche Grillo, che tuonava contro lavoratori pubblici e pensionati. Ciò ha contribuito a spingerci in questa situazione e ha favorito il dilagare sia della disoccupazione giovanile sia di quella dei lavoratori più anziani. Il direttorio Letta-Napolitano, collaborazionista delle élite euroglobali, continuatore dell’opera di Monti e inflessibilmente “rigorista”, come piace alla germania, finge di rappresentare la cura per la piaga della disoccupazione giovanile, ma nella realtà è parte integrante del male.

  3. Un’alternativa radicale alla globalizzazione economico-finanziaria neoliberista non dovrebbe consistere in politiche come quelle che venivano applicate negli anni ‘70 nei confronti dei paesi emergenti e che sono state descritte da Jaffe nel suo libro “La Germania. Verso un nuovo disordine mondiale?” del 1994:

    “Quel che la CEE poteva succhiare dall’Asia lo ha succhiato, goccia dopo goccia, talvolta a secchi, come il petrolio. Ma quando si trattò di consentire le esportazioni dell’industria dell’Associazione in Europa, la CEE alzò un Muro di Berlino contro la concorrenza, con l’appoggio dei sindacati europei. Nel dicembre del 1977 la CEE dichiarò una serie di tariffe protettive contro l’India, il Brasile, Hong Kong, la Tunisia, la Corea del Sud e venti altri paesi «in via di sviluppo», al fine di «proteggere il lavoro» in Europa (provocando la disoccupazione in Asia) [Bollettino della CEE, 11/1977, Bruxelles, par. 2.2.40, pp. 67, 68. Vedi anche par. 2.2.58, p. 73 sulle tariffe protettive contro i prodotti tessili tunisini]. Ma poiché la disoccupazione europea era solamente del 10 per cento e quella asiatica del 70 per cento, il contributo della CEE alla disoccupazione globale sarebbe relativamente «piccolo». Il mercato mondiale è per le nazioni «sviluppate», non per le nazioni «in via di sviluppo», ogni volta che tra i due gruppi nasce la competizione.
    In effetti, tuttavia, il costo finanziario del patto sociale nei paesi imperialisti, comprendente alti salari e il welfare state, ha causato un trasferimento di molte industrie dall’Europa a circa due dozzine di paesi «in via di sviluppo».
    Quando gli importatori della CEE hanno tornaconto a importare materie prime e manufatti a basso costo per venderli a prezzi normali raccogliendo così il «plusvalore nascosto», non vengono alzati gli sbarramenti delle tariffe protettive. In particolare, non ci sono tariffe di sorta contro l’importazione delle materie prime di cui l’Europa non dispone ma di cui ha bisogno per le sue industrie. In tal caso c’è perfino una “compensazione” per i membri della convenzione di Lomé, nello schema detto STABEX (Stabilizzazione delle esportazioni). La CEE presta denari agli esportatori che non abbiano ricevuto un prezzo medio per le loro materie prime, e fornisce sovvenzioni ai «paesi meno sviluppati». Il fine di questa generosità è uno solo: garantire un regolare rifornimento di materie prime a basso costo dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina all’Europa. Poiché il «prezzo medio» è già così basso, finora al di sotto del valore, esso consente un enorme «plusvalore nascosto» ai produttori europei, tanto da metterli in grado di restituire qualche briciola della gigantesca pagnotta cotta a puntino per loro alla neoimperialistica convenzione di Lomé.
    L’atteggiamento muta quando le esportazioni provenienti dai paesi aderenti alla convenzione di Lomé e da altri paesi legati con la CEE e dirette in Europa entrano in conflitto con il prodotto europeo. In tal caso il boss uomo bianco dice: fissiamo una quota per le vostre esportazioni, proprio come facciamo sempre per gli emigranti che vogliono venire in Europa o nelle terre conquistate un tempo dagli europei. Esistono anche speciali leggi per l’immigrazione (Inghilterra, Francia, Germania, Belgio, Olanda) che discriminano razzialmente i non-europei, de jure o de facto, nonostante le affermazioni in contrario. La libertà, compresa la libertà di movimento per le merci e le genti, e, come dice la CEE nei suoi trattati di fondazione, «soltanto per europei».”

    Era migliore lo stato di cose di allora, per voi, e sarà stato migliore per Eugenio Orso?… Quella descritta da Jaffe, in Europa, era una società competitiva, centrata sul conseguimento di obiettivi che difendevano le strutture produttive dei paesi imperialisti, l’occupazione nei paesi imperialisti…

    Sull’Italia nel lager dell’Unione Europea aveva scritto anche Jaffe, e condivido l’alternativa suggerita da lui nel 1995:
    http://nocturnalprivatecares.blogspot.ro/2013/01/litalia-nella-trappola-dellunione.html

    E per quanto mi riguarda il nemico non è anche la Cina, come la pensa Eugenio Orso, ma il capitale occidentale e i suoi stati nazionali (gli USA, la Germania, e pure il resto dei paesi occidentali).

  4. Non capisco perché questa tal Maria-Cristina Şerban mi abbia preso di mira …
    Se a lei non va bene quello che scrivo, può dirlo in un commento, e poi lasciar perdere.

    Non che la cosa abbia per me importanza (non me ne frega proprio niente), ma mi sta facendo le pulci per ogni cosa che scrivo! Un po’ troppo, non credete?

    Sarà forse una vecchia marxista ortodossa, legata alla II o alla III internazionale, che non ha ancora capito che il ventesimo secolo è finito …

    Comunque non sono fatti miei, meglio che lasci perdere!

    Statemi bene

    Eugenio Orso

  5. 3) Questo ultimo punto è conseguenza dei precedenti due. L’aspetto propagandistico dell’operazione “piano lavoro” per i giovani è importante almeno quanto quello delle risorse impiegate. Si fa credere, da un lato, che degli interventi governativi nati all’interno della logica neoliberista, con un modesto intervento finanziario del sopranazionale europide che non compensa ciò che la falsa Europa ci ha rubato finora, possa risolvere positivamente la questione della disoccupazione di massa. Dall’altro lato, si pone in ombra un secondo aspetto, altrettanto drammatico, della disoccupazione indotta dalle politiche neoliberiste, e cioè quello della perdita di posti di lavoro, stabili e a tempo indeterminato, che investe i lavoratori più anziani. Un dramma sociale evidente, in questi ultimi anni, quanto quello della disoccupazione dei giovani. I padroni di Letta, di Monti e di Napolitano hanno applicato in forme nuove, con maestria, la vecchia logica del divide et impera romano, mettendo i lavoratori giovani contro i vecchi, i precari contro gli stabilizzati, gli autoctoni contro gli immigrati, i privati contro i pubblici, gli attivi contro i pensionati, al punto che ci è caduto anche Grillo, che tuonava contro lavoratori pubblici e pensionati. Ciò ha contribuito a spingerci in questa situazione e ha favorito il dilagare sia della disoccupazione giovanile sia di quella dei lavoratori più anziani. Il direttorio Letta-Napolitano, collaborazionista delle élite euroglobali, continuatore dell’opera di Monti e inflessibilmente “rigorista”, come piace alla germania, finge di rappresentare la cura per la piaga della disoccupazione giovanile, ma nella realtà è parte integrante del male.

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