Lineamenti di una futura lotta di liberazione

dic 17th, 2013 | Di | Categoria: Contributi

  di Eugenio Orso 

Premessa

In questo e nei prossimi interventi ci proponiamo di affrontare alcuni temi di estrema rilevanza politica e sociale. Lo scopo è di abbozzare, una prima volta, i lineamenti che dovrà avere una futura lotta di liberazione e gli obiettivi che auspicabilmente dovrà conseguire. I punti da sviluppare sono i seguenti:

1)    Dittatura centralista rivoluzionaria.

2)    Odio di classe, Vendetta sociale e Disumanizzazione del nemico.

3)    (Ri)educazione di massa.

Il neocapitalismo, attraverso i suoi molti canali di propaganda, di flessibilizzazione e di condizionamento delle masse è riuscito a trasformare l’uomo e le società, a renderli adatti a sopportare lo “sfruttamento totale” che le sue dinamiche e le sue esigenze riproduttive implicano. Usiamo deliberatamente l’espressione “sfruttamento totale” – che virgolettiamo non ironicamente – perché ci si è spinti ben oltre il vecchio recinto della fabbrica, in cui si accumulava e si estorceva il plusvalore (secondo Karl Marx). La sussunzione reale del lavoro al capitale, indagata una prima volta da Marx, si è estesa “a macchia d’olio”, in questi decenni di trapasso dal capitalismo produttivo dello scorso millennio al neocapitalismo finanziarizzato, a ogni ambito della vita umana, individuale e sociale. La sussunzione è raddoppiata, per l’assoluta superiorità del capitale finanziario su quello “produttivo” e l’estorsione del plusvalore è un sottoinsieme della creazione del valore azionario, finanziario e borsistico che la contiene. Si è agito sull’uomo, per manipolarlo e diminuirlo, su vari fronti, a partire da quello del lavoro, precarizzato, sotto pagato e svalutato culturalmente. Il tasso di violenza espresso dal sistema è oggi alle stelle e gli spazi alternativi, extralegali, di resistenza, sono stati spazzati via, o si sono ridotti a piccole, insignificanti isole in un mare sconfinato di neoconformismo. Il dissenso espresso in forme radicali sopravvive nella virtualità della rete, sospesa su una realtà sociale e umana che si vuole rendere invisibile, illeggibile o si vuole semplicemente esorcizzare. All’interno del sistema politico di supporto al neocapitalismo, vige una sorta di “democrazia del mercato”, di matrice assolutistica, che non ha più bisogno di un vero consenso di massa (per quanto estorto, manipolato), avendo ridotto le elezioni politiche a suffragio universale a un puro momento rituale, a fronte di programmi politici già decisi dalle élite globaliste e a senso unico. In questa situazione, se ci fossero forze extraparlamentari agguerrite, disposte alla lotta nelle piazze, non avrebbero più leve. Se ci fossero ancora le BR, non avrebbero più gruppi di fuoco. Per far digerire agli operai la rischiavizzazione, ai ceti medi l’impoverimento progressivo, ai giovani la disoccupazione endemica, gli agenti neocapitalistici hanno agito sull’uomo con ogni mezzo a disposizione, senza scrupolo alcuno. Pacifismo, politicamente corretto, culto irrazionale e masochistico della democrazia (liberale), culto del mercato e del privato (i grandi capitali finanziari), dominano incontrastati le menti e la vita delle masse, che sembrano aver perduto anche l’ultima stilla di coscienza politica e sociale.

Parte I – Dittatura centralista rivoluzionaria

Oggetto del presente intervento è la contrapposizione alla democrazia rappresentativa di matrice liberale – che supporta lo sfruttamento totale neocapitalistico e i crimini perpetrati dai dominanti contro l’uomo e l’ambiente – di un sistema di governo alternativo, demonizzato dai “sinceri democratici” al servizio del neocapitalismo, in grado di supportare validamente la rivoluzione politica e sociale per la liberazione dell’uomo. La superiorità assoluta del mercato e del grande capitale finanziario, assicurata sul piano politico dalla democrazia rappresentativa liberale, potrà trovare il suo contraltare soltanto in una forma di governo opposta, centralizzata, affidata a nuove élite anticapitaliste e antimercatiste, adatta ad affrontare le emergenze ereditate dal nuovo capitalismo finanziarizzato e i grandi cambiamenti storici. Una forma di governo che potrà supportare validamente un grande progetto di controdemiurgia rivoluzionaria, per la liberazione definitiva e integrale dell’uomo dalle catene neocapitalistiche.

A questo punto, si rende indispensabile una precisazione. Non vi è alcuna contraddizione fra questo e un nostro precedente intervento, in cui abbiamo stabilito i lineamenti di un programma politico-strategico alternativo, applicabile alla realtà storica, sociale e politica di paesi oppressi come l’Italia. Nel post Le basi programmatiche dell’alternativa abbiamo esplicitato i punti principali, nell’essenziale, di un programma opposto a quello neocapitalistico, stabilito dagli organismi sopranazionali e applicato dai gruppi politici subdominanti nei vari paesi sottomessi. Le basi programmatiche da noi proposte nel citato scritto sono “sovraniste”, dal punto di vista monetario e politico (uscita dall’euro, dall’unione europoide e dal sistema di alleanze “occidentale”), dirigiste, dal punto di vista economico (con la riattivazione piena dello stato imprenditore, le rinazionalizzazioni), keynesiane, dal punto di vista del modo di intendere la funzione del deficit dello stato e quella della spesa pubblica. Infine, nel programma si riconosce la centralità dello stato sociale, per un autentico sviluppo centrato sull’uomo, che dovrà essere riattivato ed esteso. La prima vera libertà umana, volutamente ignorata dai pubblicisti del neoliberismo sfrenato, era, è e resterà quella dal bisogno economico.

Come si nota, non abbiamo delineato i contorni di un programma collettivista, volto in tempi brevi alla completa socializzazione di tutti i mezzi di produzione e alla scomparsa dell’iniziativa privata (come ci sarebbe piaciuto fare). Questo perché, nel breve, data la situazione di passività di massa e di colonizzazione delle menti, solo un programma “intermedio” come quello da noi tratteggiato potrà avere speranze di successo. Per speranza di successo intendiamo l’adesione di gruppi politici, di intellettuali e di economisti con (almeno) un piede dentro il sistema, con la possibilità effettiva di “smuovere” la situazione dall’interno. Intendiamo anche la possibilità concreta di consenso fra le masse pauperizzate, oggi passive, idiotizzate socialmente e politicamente, impaurite e ricattate dal punto di vista economico (la “spada di Damocle” del debito pubblico, il peggioramento della “crisi” produttiva e occupazionale), “educate” (o meglio, ammaestrate) al pacifismo a senso unico e al rispetto assoluto, all’accettazione acritica della democrazia neocapitalistica di mercato (l’unica e la sola oggi esistente).

Il passaggio dalla democrazia liberale, con annessa truffa del suffragio universale e della rappresentanza “condizionata” dall’esterno, al nuovo sistema di governo centralizzato, che opererà a beneficio delle masse-pauper neutralizzando le minoranze neocapitalistiche rapaci, difficilmente potrà compiersi nel breve o nel brevissimo periodo. Del resto, in Russia l’Ottobre Rosso dei bolscevichi è stato preceduto dalla rivoluzione mancata del 1905 e dal governo menscevico, che continuava la guerra zarista e manteneva in vita il parlamento. La rivoluzione maoista e comunista in Cina ha avuto un periodo di gestazione ben più lungo, prima di giungere alla vittoria, dal 1912 al 1949. In sintesi, sia per quanto riguarda gli aspetti programmatici sia per quanto riguarda la forma di governo, noi prevediamo due fasi rivoluzionarie future. La prima soltanto parziale, protorivoluzionaria, di superamento progressivo delle politiche neoliberiste, mercatiste ed europoidi (per quanto riguarda i paesi prigionieri dell’eurolager). In questa fase, che potrà rivelarsi piuttosto lunga e incerta, le “istituzioni democratiche” liberali saranno mantenute in vita, in tutto o in parte. Le forze politiche che la domineranno – “euroscettiche”, ostili al grande capitale finanziario, sovraniste, ma interne al capitalismo – potrebbero forse essere paragonate, dal nostro punto di vista e con le dovute cautele, ai menscevichi prima di Lenin e del Potere ai Soviet. Soviet, dei soldati, degli operai e dei contadini, che erano gli unici e i soli completamente alternativi all’allora “parlamentarismo borghese” (Lenin docet). La seconda fase propriamente rivoluzionaria, quella decisiva, rappresenterà la fine di una lunga marcia di avvicinamento al potere e un’accelerazione del processo di liberazione dell’uomo dall’oppressione del capitale finanziario, dall’usura neocapitalistica e dall’inganno della democrazia. In questa fase emergeranno in piena luce le forze autenticamente rivoluzionarie e trasformative, che prenderanno saldamente la guida della società e concentreranno nelle proprie mani il potere effettivo. La Dittatura centralista, nella seconda fase, quella propriamente definibile rivoluzionaria, potrà rappresentare un sistema di governo alternativo e caratteristico della transizione dal periodo rivoluzionario alla nuova società postcapitalista. Una transizione che difficilmente potrà essere gestita “dal basso”, in modo “democratico” – com’è facilmente intuibile – con il rischio incombente del fallimento, del caos e/o del ritorno dei criminali neoliberisti al potere.

La demonizzazione della dittatura, iniziata propagandisticamente nella parte occidentale del mondo dopo la seconda guerra mondiale, risponde oggi a ben precisi interessi di classe. Quelli della classe globale dominante. La demonizzazione della dittatura – frutto di una fuorviante interpretazione del corso storico da parte di vincitori – si sostanzia nella demonizzazione integrale del nazionalsocialismo, del comunismo sovietico e del fascismo, coinvolgendo una buona parte della storia del novecento europeo. Dopo la capitolazione dell’Unione Sovietica, ha riguardato singoli avversari del neocapitalismo, o autocrati venduti come mostri sanguinari, alla costante ricerca di un nemico irriducibile da dare in pasto, propagandisticamente, alle masse idiotizzate e flessibilizzate. Un nemico che faccia dimenticare alle popolazioni occidentali una situazione sociale sempre più negativa e a loro sfavorevole. Saddam Hussein, Slobodan Milosevic, Mohammar Gheddafi e oggi Assad rientrano in quest’ordine d’idee. Sono i “demoni” portatori della dittatura, in contrapposto alla democrazia liberale, coloro che negano apertamente i diritti astratti, inoperanti nella concretezza dei rapporti sociali e produttivi, nati dall‘inganno liberale. Sono, costoro, gli obiettivi prediletti delle guerre esterne neocapitalistiche, combattute sempre contro avversari militarmente molto più deboli con il supporto dei media e dei mercati. Rappresentano i moderni “stregoni” – condannati a morte dal “tribunale dell’inquisizione” della classe globale dominante – da mandare letteralmente al rogo. Non da soli, purtroppo, ma insieme ai paesi e ai popoli che guidano. La supremazia del libero mercato globale tendente alla massima espansione, quale riflesso irrinunciabile del modo di produzione neocapitalistico che ha “messo sotto” la politica, è ben compendiata, a livello di sistema di governo, dall’esportazione della democrazia liberale. Un’esportazione armata e destabilizzante, nelle società e per i popoli vittime di questa forma di neocolonizzazione. La dittatura è quindi il nemico numero uno, sul piano politico, e talora fa il paio con il “populismo”, venduto come un mix di fascismo e comunismo che critica sul piano sociale gli effetti delle politiche neoliberiste. Se la dittatura, nelle sue più significative espressioni storiche, fu romana, poi giacobina e infine del proletariato, con la mediazione del partito comunista nelle forme adottate in Unione Sovietica, in futuro non potrà che assumere lineamenti e contenuti originali, diversi da quelli del passato. Contrapporre una nuova forma di Dittatura centralista rivoluzionaria alla democrazia finanziaria di mercato si rivelerà una necessità, perché il superamento del neocapitalismo finanziarizzato implicherà anche il superamento del suo miglior compendio, sul piano politico, cioè la democrazia liberale (falsamente) rappresentativa, di matrice assolutista e mercatista. Allo strumento politico di dominazione del mercato e della finanza, definito democrazia liberale, sarà necessario (e persino inevitabile) opporre uno strumento politico rivoluzionario, di segno opposto, identificabile con la dittatura centralista. Il contrasto fra la democrazia liberale, centrata su diritti astratti, e le vere libertà dell’uomo è ormai manifesto, e lo è proprio in quella parte del mondo che per prima ha adottato istituzioni democratiche e liberali. La prima, vera libertà umana, dalla quale tutte le altre discendono, era, è e resterà anche in futuro la libertà dal bisogno e dal ricatto economico.

Quali potranno essere le caratteristiche, almeno per grandi linee di questo sistema di governo? Cerchiamo di dare una risposta, moderatamente predittiva, stabilendo come di consueto alcuni punti fondamentali.

1)    Rappresentanza. Con un ardito parallelo storico, se il Lenin delle Tesi di aprile del 1917 contrappose i Soviet al parlamentarismo borghese e imperialista di allora, alla “rappresentanza” liberaldemocratica, che nella realtà è rappresentanza degli interessi della classe dominante sopranazionale, si contrapporrà la formazione di consigli, comitati e direzioni strategiche rivoluzionarie, nelle quali emergeranno le personalità in grado di guidare l’apparato pubblico. Quei governanti, designati dalle direzioni strategiche, a loro volta espressione dei comitati rivoluzionari, dovranno essere soggetti a regole di comportamento e norme stringenti, per rispondere adeguatamente, una volta e per tutte, alla solita domanda “chi controlla i controllori”. Eventuali reati da loro commessi dovranno essere puniti molto più duramente dei reati commessi da un comune cittadino. E’ chiaro che la rivoluzione dovrà avvenire anche dal punto di vista costituzionale, azzerando la rappresentanza liberaldemocratica e fasulla.

2)    Elezioni. Noi conosciamo una sola forma di democrazia, quella realmente esistente, così come abbiamo conosciuto una sola forma di comunismo, quello novecentesco realmente esistito, il cui “modello” più noto e di maggior successo era di matrice sovietica. Il resto appartiene a una dimensione puramente ipotetica e ideale, oppure a una realtà storica e culturale lontana, irrimediabilmente perduta, che non potrà essere resuscitata (la democrazia della polis greca, il comunismo dei consigli). La forma di democrazia che conosciamo e che realmente esiste è, banalmente, un efficace strumento di oppressione e dominazione delle élite che simula, a fronte di politiche antipopolari applicate, la cosiddetta volontà popolare. Volontà popolare che dovrebbe manifestarsi con le elezioni a suffragio universale, che però non rappresentano la volizione del popolo – come dovrebbe essere chiaro anche ai bimbetti – ma semplicemente un rito sistemico legittimante, nella dimensione politica dominata dalle élite globali. In verità, mentre si vota “universalmente”, ma senza possibilità concreta di influire sulle linee programmatico-politiche, la decisione politico-strategica che conta, mai come oggi, è sempre più addensata in alto e all’esterno dei paesi (vedi l’eurozona-lager) rigorosamente in base al “censo”. Nel nostro caso in base al grado di controllo esercitato sul grande capitale finanziario, sulle entità economiche multinazionali e sulla moneta. Per questa via truffaldina, la volontà popolare non solo non è rispettata, ma è neutralizzata a beneficio dei veri dominanti dello spazio politico. Il rito elettorale legittima, per farla breve, l’assolutismo del mercato combinato con il dominio della finanza internazionalizzata. Rinunciare a questo rito significa superare, anche sul piano politico, la supremazia neocapitalistica e riportare l’economia sotto il controllo della Politica, quella vera, con l’iniziale maiuscola.

3)    Partiti politici. Per esperienza drammaticamente concreta, sappiamo, o dovremmo sapere, che una pluralità di cartelli elettorali, più o meno radicati e strutturati sul territorio, più o meno ridotti all’osso come tessere e partecipazione, non significa assolutamente varietà di programmi politici alternativi e vera libertà di scelta. Il programma applicato è predeterminato, ha poco a che vedere con le “promesse” da campagna elettorale e con le supposte “tradizioni” ideologiche di questi cartelli-partito, essendo l’espressione degli interessi privati e neofeudali di una ristretta cerchia strategica, all’interno della classe dominante neocapitalistica e postborghese. Abbiamo ben compreso, infatti, qual è il vero significato e il vero scopo dell’eurozona e dell’unione “europea”, dei loro trattati e della loro disciplina fiscale e di bilancio. Considerata la nostra esperienza, possiamo concludere che la pluralità di cartelli elettorali/ partiti non significa varietà nella scelta e in alcun modo può assicurare l’emancipazione della “classi subalterne”. Esattamente al contrario, è uno specchietto per le allodole che serve a imbrogliare la popolazione, per far passare le controriforme “strutturali” imposte dai mercati e, nello stesso tempo, agevola lo strutturarsi dei gruppi collaborazionisti sub-politici che servono i grandi poteri esterni. Si rinuncerà senza rimpianti alla democraticissima pluralità di partiti, visto il suo vero significato ed esito.

4)   Stato di diritto. Lo stato di diritto è un pilastro di qualsiasi forma di governo. In democrazia liberale fa il paio con la rappresentanza. Ebbene, se guardiamo a un caso come quello italiano, lo stato di diritto non è operante, a partire dalla legge fondamentale, cioè dalla costituzione. Oltre allo stratificarsi di normative complesse, fumose e farraginose, che inficiano la legalità rendendo incerto il diritto, osserviamo in questi anni che i trattati e gli accordi europoidi, l’imposizione di “riforme strutturali” (che hanno colpito, in particolare, il mondo del lavoro e le pensioni), in combinato disposto con la perdita di sovranità nazionale stanno azzerando lo stato di diritto, rendendolo un fantasma che si evoca esclusivamente (come la costituzione) per legittimare il sistema. La Dittatura centralista rivoluzionaria, al contrario, si reggerà su un solido stato di diritto e sul rispetto assoluto della legge fondamentale. Non potrà essere diversamente, poiché si contrapporrà alla falsa legalità liberaldemocratica, alle “libertà civili” astratte che sostituiscono i veri diritti, come quello al lavoro, uno stato di diritto operante e orientato alla protezione della società e dei singoli.

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8 commenti
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  1. Pur condivendo l’analisi sull’attuale sistema capitalistico, sono in radicale disaccordo con le risposte politiche e programmatiche contenute nell’articolo che a mio parere ripropongono modelli politici già percorsi con risultati disastrosi. Il concetto di non ben definita “dittatura centralista rivoluzionaria” mi sfugge assai e lo trovo abbastanza inquietante, al di là della distanza che posso nutrire nei confronti di una “democrazia liberale” ormai svuotata di ogni sia pur teorica rappresentanza ed effettiva funzione che non sia quella di legittimare l’ordine sociale esistente. Purtuttavia fare riferimento ad una ipotetica “dittatura centralista rivoluzionaria” come se nulla fosse avvenuto nella storia, mi pare quanto meno molto debole dal punto di vista sia analitico che politico. Sarebbe molto più utile limitarsi ad una critica radiale dello stato di cose presente senza avventurarsi in soluzioni politiche che, come dicevo, ricalcano modelli obsoleti e fallimentari (da una punto di vista democcratico, socialista e comunista). Assai ambiguo è anche il passaggio in cui si sottolinea come l’ideologia neolibereale e neoliberista dominante abbia accomunato nel processo di demonizzazione integrale sia il nazismo e il fascismo che il comunismo. A mio parere non ci può essere nessun tipo di ambiguità in tal senso. Il comunismo sovietico è stata un’ esperienza fallimentare e anche tragica e terribile, ma una sua rivisitazione in sede storica e anche politica non può in nessun modo accostare o accomunare quell’esperienza stessa con il nazionalsocialismo e il fascismo, dei quali a mio parere da salvare c’è ben poco se non nulla. In estrema sintesi, consapevole del fatto che il tema meriterebbe ben altro tempo e spazio, mi sembra che la strada suggerita da Eugenio Orso sia strutturalmente sbagliata. Non ho soluzioni alternative (e mi rendo conto della debolezza di questa mia posizione) se non quella della prassi, cioè della critica all’esistente.

    Fabrizio Marchi

  2. Voglio dire a Fabrizio Marchi che il defunto Costanzo Preve ha ben chiarito la questione della demonizzazione (neo)capitalistica della dittatura, che lui considerava una normale forma di governo – temporanea, di transizione – praticabile in tempi difficili. Io mi sono limitato a riproporre la questione, memore, in tal senso, dell’insegnamento di Costanzo. Questo per quanto riguarda la demonizzazione liberal-liberista della dittatura e non altro, bene inteso.

    Ciò premesso, è importante comprendere che quando e se ci sarà la liberazione definitiva (sottolineo il se), si porrà il problema di governare un paese a pezzi, con una società divisa e prostrata, che rischierà di scivolare nel caos. Per evitare il ritorno degli assassini liberal-liberisti al potere – e per evitare che il caos prevalga, imponendo una sorta di “stato di natura” in cui tutti sono contro tutti – sarà necessario attivare un potere forte, centralizzato, di matrice dittatoriale. La dittatura può essere vista in positivo, ma è la propaganda sistemica, attraverso la sua criminalizzazione e demonizzazione, che la fa vedere sempre e soltanto in chiave negativa, addirittura demoniaca. E’ chiaro che anche Fabrizio Marchi – che mi sembra in totale buona fede – come tanti altri ha subito questa insidiosa influenza. Si tratta di superare quello che è un vero e proprio “tabù sistemico”, un forte interdetto che non permette di immaginare alternative praticabili all’assolutismo liberaldemocratico.

    Per quanto riguarda l’accomunare propagandistico-sistemico il comunismo, il fascismo, il nazismo, è stato Costanzo Preve – prima di me – a rilevarlo in modo chiaro, perché così è oggettivamente. Ciò non implica assolutamente, da parte mia – e tanto meno da parte di uno come Costanzo Preve! – un giudizio di valore che accomuni comunismo, fascismo e nazismo, mettendoli sullo stesso piano.

    Mi rendo conto che avrei dovuto scrivere molto di più, sbilanciandomi sulle caratteristiche di una possibile, futura Dittatura centralista rivoluzionaria, secondo la mia espressione, per far comprendere che non sarà e non potrà essere – la storia non concede repliche! – una mera riproposizione della cosiddetta dittatura del proletariato. Esemplificando, un sistema basato sui Consigli, vicini alla base popolare, sui Comitati, superiore sintesi dei consigli, e su una Direzione Strategica che esprime gli esecutivi, non sarebbe la stessa cosa del sistema dei Soviet con annesso partito dei rivoluzionari ai tempi di Lenin. Anche perché non ci sarebbe partito!

    Devo fermarmi qui, perché altrimenti dovrei scrivere, in risposta a Marchi che pone questioni comunque rilevanti, un intero post e non un semplice commento.

    Saluti

    Eugenio Orso

  3. Fabrizio Marchi

    Rispondo volentieri e in modo un po’ più argomentato all’ultimo commento di Eugenio Orso, di cui peraltro apprezzo molte delle sue analisi e dei suoi articoli (ma non quello in oggetto).
    Vado per punti, onde semplificare le cose:

    1) Sono perfettamente consapevole del processo di demonizzazione portato avanti dal sistema capitalistico assoluto nei confronti di tutti quegli stati e di quei governi che non si piegano al suo dominio planetario e appunto assoluto. Pur nella loro diversità (particolare non indifferente e niente affatto trascurabile), paesi come l Venezuela, Cuba, Siria, Iran, Libia di Gheddafi (prima dell’intervento imperialista e neocolonialista che lo ha deposto e assassinato) hanno svolto e svolgono un ruolo anticolonialista e antimperialista (chiamo fuori da questi la Corea del Nord perché francamente trovo anche stucchevole continuare a definire comunista una sorta di monarchia assoluta dove il potere si tramanda di padre in figlio come ai “bei” tempi dell’assolutismo europeo seicentesco).
    Non sono più un ragazzino da molto tempo (purtroppo…), non ho l’anello al naso e non mi faccio certo ingannare dalla propaganda ideologica capitalista. Perciò sono ovviamente convinto che quei paesi e quei regimi debbano essere difesi per il ruolo geopolitico che svolgono e in alcuni casi (Venezuela e in parte anche Cuba) anche per la loro stessa natura politica e non solo per ragioni geopolitiche o anti imperialiste. Diverso il discorso sulla Siria di Assad (che non è MAI stata un paese socialista e che nella sua storia si è anche macchiata di crimini contro il popolo palestinese) e dell’Iran la cui natura politica è ancora diversa (e per me anche più autentica rispetto alla Siria, nonostante o forse proprio perché il suo sistema politico si fonda su altri presupposti, cioè religiosi…).
    Nondimeno anche questi ultimi due vanno difesi dall’aggressione imperialista ma senza enfatizzare la natura politica dei loro governi e sistemi politici che, ripeto, di socialista e di democratico (inteso non in senso liberalborghese o liberalliberista…) a mio parere hanno ben poco.
    Chiarito questo, al di là degli aspetti contingenti, il fatto che il sistema capitalista assoluto esalti dal punto di vista ideologico la sua forma politica “democratico liberale” e demonizzi qualsiasi altra ipotesi politica che fuoriesca dai suoi binari, è scontato. Ma questo non ha nulla a che vedere con la mia critica o la mia perplessità di fronte a ipotesi di “dittatura centralista”. Non sono critico nei confronti di ipotesi politiche di questo genere perché sono un gonzo in buona fede che si fa condizionare dalle sirene ideologiche liberal liberiste, caro Eugenio. Capisco ciò che volevi dire dal tuo punto di vista (della serie:”Fabrizio Marchi sbaglia ma non è “cattivo”, è in buona fede…) ma così non è e francamente posso dire anche io, ormai (ahimè), di venire da lontano, data la mia età e la mia ormai non brevissima esperienza politica.

    2) Dittatura centralista rivoluzionaria, dici tu. Bè, intanto bisognerebbe definirla, perché detta così significa ben poco. Dittatura di che genere? Comunista? Socialista? Fascista? Chiariamolo, perché il punto non è certo da poco. Sarei comunque contrario ma di certo, per quanto mi riguarda, l’ultima la scarto a priori e non me ne importa nulla se il sistema capitalistico assoluto l’ha demonizzata insieme a quella comunista.
    Nel mio commento al tuo pezzo, rileggendolo, mi sono accorto di essermi spiegato male. Non volevo dire che tu o Costanzo Preve accomunate il nazifascismo al comunismo, ma che mi sembrava che nel tuo commento, in quel passo specifico, ci fosse una sorta di recupero storico politico dell’esperienza nazionalsocialista e fascista. Ne riporto uno stralcio rinviando però alla lettura di tutto quel passaggio che non riporto per ragioni di spazio :” La demonizzazione della dittatura – frutto di una fuorviante interpretazione del corso storico da parte di vincitori – si sostanzia nella demonizzazione integrale del nazionalsocialismo, del comunismo sovietico e del fascismo”.
    Mi sembrava, ma sarei felice di essermi sbagliato, che in qualche modo in quel passaggio ci fosse una sorta di recupero e di rivisitazione sia pur parziale del nazismo e del fascismo e del ruolo che hanno svolto storicamente e politicamente. Chi scrive ha in odio il salotto “progressista, di sinistra e politicamente corretto” come e forse più di te, ma sulla analisi del nazismo e del fascismo non possono esserci tentennamenti, indipendentemente dal processo di criminalizzazione ideologica che il sistema capitalistico assoluto ha portato avanti nei loro confronti (né poteva essere altrimenti; il capitalismo si serve dei suoi cani da guardia e poi li rigetta nella fogna quando non gli servono più…). Non entro nella analisi di ciò che sono stati storicamente e politicamente il nazismo e il fascismo altrimenti non dovrei più alzarmi dalla sedia per mesi…
    Il comunismo storico novecentesco è stato invece, come dicevo, un’esperienza storica e politica fallimentare e purtroppo anche tragica ma che invece (e qui sono d’accordo) non può e non deve essere gettata in toto alle ortiche non certo per motivi di ordine ideologico e tanto meno per nostalgia, ma per precise ragioni di ordine storico, politico e geopolitico nelle quali, anche in questo caso, non entro, per ovvie ragioni di tempo e spazio.

    3) Proprio perché credo fermamente nella deduzione storica e sociale delle categorie, come ci insegna Costanzo Preve, penso che questo metodo debba essere applicato anche e soprattutto alla politica e alla filosofia politica.
    Oggi si getta immondizia su Lenin e il leninismo (al di là di chi lo fa in malafede e per ragioni strumentali, ovviamente…) proprio perché non si ha un corretto approccio (deduzione storica e sociale delle categorie) alla realtà. In altre parole, restando all’esempio, si giudica la concezione e l’opera politica di Lenin con la categorie del presente o tutt’al più in base a categorie di tipo “trascendentale” (in questo caso non è del tutto corretto utilizzare questo termine ma ci capiamo…) con l’obiettivo, naturalmente, di criminalizzare il leninismo, di denunciare la sua natura autoritaria e antidemocratica, e di sostenere che il leninismo niente altro è che il padre spirituale dello stalinismo, del gulag ecc. ecc. Questo processo di demonizzazione avviene “dimenticandosi”, o meglio, facendo finta di “dimenticare”, il contesto storico politico in cui Lenin ha agito e ha operato…
    Noi però abbiamo altri strumenti interpretativi e non siamo degli opportunisti a stipendio. Proprio per questo, forti del metodo (fra le altre cose) di cui Costanzo Preve ci ha fatto dono, siamo in grado di approcciare alla realtà in modo diverso. E proprio per questo io sostengo che parlare oggi di “dittatura centralista”, anche in senso leniniano, ammesso che fosse quello il senso che gli attribuivi (e sarebbe per quanto mi riguarda l’unico tollerabile) , non ha senso perché la realtà storica e politica è completamente mutata e quelle forme politiche che avevano un loro senso un secolo fa, oggi, per quanto mi riguarda, non ne hanno alcuno. Sono assolutamente convinto che un processo autenticamente rivoluzionario in un contesto capitalistico “avanzato” assoluto possa avvenire in forme politiche completamente diverse da quelle che abbiamo conosciuto fino ad ora. Mi rifermo ancora perché a questo punto dovrei aprire una riflessione interminabile e sempre per ovvie ragioni non lo faccio (ma sarei felice ci fossero luoghi e momenti collettivi per farlo…).

    4) Il capitalismo assoluto demonizza e accomuna per ragioni diverse il nazifascismo e il comunismo. Oggi, paradossalmente, in chiara assenza del secondo, viene strumentalmente e come spauracchio utilizzato di più il primo. Dalle stelle alle stalle (si fa per dire…), anche se non ho prove certe, a mio parere non è casuale che ci siano state infiltrazioni fasciste nel movimento cosiddetto dei forconi (al di là delle contraddizioni comunque presenti in quel movimento), perché in questo modo, oltre a demonizzare un moto popolare autentico, hanno inevitabilmente provocato, come era del tutto prevedibile, una spaccatura al suo interno. Ancora una volta (del resto, come abbiamo già detto è il loro ruolo naturale o comunque quello che la storia gli ha attribuito e continua ad attribuirgli) i fascisti o neofascisti vengono utilizzati dalle classi dominanti per i loro fini e interessi.
    Ciò detto (era solo un esempio), lo spauracchio fascista o comunista viene appunto ideologicamente e mediaticamente agitato proprio per disinnescare la possibilità che si sviluppi un punto di vista critico e alternativo al capitalismo assoluto e alla sua ideologia. Ma su questo mi pare che siamo d’accordo.

    5) Ultimo punto. Ribadisco che il fatto che il capitalismo assoluto demonizzi il concetto di “dittatura” per i propri fini non significa automaticamente che quel concetto sia valido né che noi che lo si critica siamo vittime della propaganda del sistema…Oltre a ciò che ho detto prima, la storia ci ha insegnato che tutto ciò che è provvisorio (sei tu stesso che hai fatto riferimento alla provvisorietà della cosiddetta “dittatura centalista”) può ahinoi diventare definitivo, anzi, il più delle volte se non sempre, specie nel caso delle dittature rivoluzionarie provvisorie”, diventa definitivo e soprattutto degenera. Non lo dico io ma la storia e purtroppo, e sottolineo purtroppo, proprio l’esperienza del comunismo storico novecentesco, in tutte le sue versioni, da quella sovietica a quella cinese, da quella nordcoreana a quella albanese, lo ha dimostrato.
    Ribadisco che, da questo punto di vista, la ricerca è molto complessa e ancora in alto mare. La tua soluzione (i consigli, i comitati, ecc. guarda caso però coordinati da una “direzione centrale strategica”) mi pare tutto sommato ricalcare modelli già visti. Non vuole essere una bocciatura aprioristica, sia chiaro, del resto in qualche modo la rappresentanza popolare dovrà pur esprimersi. Mi sembra soltanto, per dirla con una battuta, se me la consenti, che da questo punto di vista, tu la faccia un pò troppo “facile”. Io credo invece che la questione della democrazia, di una vera e autentica democrazia (e della sua relazione con il socialismo, o se preferisci del comunismo, senza dei quali a mio pare non si da neanche la prima…) sia una questione molto ma molto più complessa a cui nessuno abbia fino ad ora dato una risposta esaustiva.
    La nostra “durevole passione” ci sarà di aiuto anche in questa ricerca…

  4. Uno Stato moderno, liberale e democratico, è lo Stato degli individui e non dei poteri forti. Il tessuto sociale che anima il suddetto Stato è però formato, ieri come oggi, da migliaia di associazioni e formazioni che permettono all’individuo di essere ciò che è. Come osserva il filosofo politico statunitense Michael Walzer, “la coesistenza di gruppi forti e di individui liberi, con tutte le difficoltà che comporta, è un tratto durevole della modernità”. Queste formazioni sociali rivendicano, oggi più che mai, una loro pari dignità rispetto ai privilegi ascritti alla maggioranza dalla teoria democratica; esse rivendicano, al tempo stesso, uno spazio che sia indipendente dallo Stato come esso è stato finora, uno spazio che sia il motore della vita politica e di una vera democrazia liberale. Come una cartina di tornasole, il suddetto spazio (mancato) rivela il corto circuito e le criticità del progetto moderno che, sin dai suoi albori, si scinde tra naturalità e socialità – ciò che costituisce il retroterra della cultura illuminista e razionalistica – cercando di comporre queste due anime in un’anima sola.

  5. Invio la mia seconda risposta a Fabrizio Marchi.

    Nel mio blog personale Pauperclass – http://pauperclass.myblog.it/ – fra breve pubblicherò un post dal titolo Precisazioni in merito alla Dittatura centralista rivoluzionaria in cui specifico meglio le mie posizioni e le caratteristiche che potrà assumere questa forma di governo (rinnovata) per poter sperare di resistere ai colpi di coda neocapitalistici.

    Ringrazio Fabrizio Marchi per avermi offerto, con il suo commentare critico e articolato, buoni spunti per continuare la mia analisi … e per far fronte a possibili critiche.

    Assicuro Fabrizio Marchi che sono ben consapevole delle grandi difficoltà che incontriamo quando ci addentriamo – come abbiamo fatto lui ed io – in questi territori, non essendo chiaramente dei “profeti”. A tale proposito, vale volta di più la metafora della “Nottola di Minerva”, tanto cara a Costanzo Preve. Siamo all’inizio di un nuovo evo della storia umana e abbiamo tutta la strada davanti, celata dalle nebbie del futuro, ma ciò non toglie che possiamo tentare di squarciare il muro di nebbie che incontriamo avanzando. Lo possiamo fare – o almeno possiamo tentare di farlo – memori degli insegnamenti degli Antichi, di Hegel, di Marx e di Costanzo stesso. Ricordo a Fabrizio Marchi, anche se probabilmente non ce n’è bisogno, che “nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes, ut possimus plura eis et remotiora videre” (Bernardo Carnotensis, XII secolo). Appunto per questo, però, a un certo punto, avanzando, cercando di guardare più lontano, saremo costretti ad “autonomizzarci”, a camminare con le nostre gambe e ad andare ben più oltre … Solo presunzione? Chissà …

    Cari saluti

    Eugenio Orso

  6. Precisazioni in merito alla Dittatura centralista rivoluzionaria

    di Eugenio Orso

    Si rendono necessarie alcune precisazioni e specificazioni in merito al post Dittatura centralista rivoluzionaria–Lineamenti di una futura lotta di liberazione, perché l’argomento ha suscitato qualche interesse e alcuni lettori hanno sollevato obiezioni in merito. Uno di loro, in particolare, in un commento comparso su Comunismo e Comunità ha scritto quanto segue:
    “Pur condividendo l’analisi sull’attuale sistema capitalistico, sono in radicale disaccordo con le risposte politiche e programmatiche contenute nell’articolo che a mio parere ripropongono modelli politici già percorsi con risultati disastrosi. Il concetto di non ben definita “dittatura centralista rivoluzionaria” mi sfugge assai e lo trovo abbastanza inquietante, al di là della distanza che posso nutrire nei confronti di una “democrazia liberale” ormai svuotata di ogni sia pur teorica rappresentanza ed effettiva funzione che non sia quella di legittimare l’ordine sociale esistente. Purtuttavia fare riferimento ad una ipotetica “dittatura centralista rivoluzionaria” come se nulla fosse avvenuto nella storia, mi pare quanto meno molto debole dal punto di vista sia analitico che politico. Sarebbe molto più utile limitarsi ad una critica radiale dello stato di cose presente senza avventurarsi in soluzioni politiche che, come dicevo, ricalcano modelli obsoleti e fallimentari (da un punto di vista democratico, socialista e comunista). Assai ambiguo è anche il passaggio in cui si sottolinea come l’ideologia neolibereale e neoliberista dominante abbia accomunato nel processo di demonizzazione integrale sia il nazismo e il fascismo che il comunismo. A mio parere non ci può essere nessun tipo di ambiguità in tal senso. Il comunismo sovietico è stata un’ esperienza fallimentare e anche tragica e terribile, ma una sua rivisitazione in sede storica e anche politica non può in nessun modo accostare o accomunare quell’esperienza con il nazionalsocialismo e il fascismo, dei quali a mio parere da salvare c’è ben poco se non nulla. In estrema sintesi, consapevole del fatto che il tema meriterebbe ben altro tempo e spazio, mi sembra che la strada suggerita da Eugenio Orso sia strutturalmente sbagliata. Non ho soluzioni alternative (e mi rendo conto della debolezza di questa mia posizione) se non quella della prassi, cioè della critica all’esistente.”
    Altri hanno avanzato obiezioni simili, in altre sedi, talora convergendo nelle conclusioni con l’autore del commento.
    Pur avendo risposto al lettore critico in forma di commento nel sito del laboratorio Comunismo e Comunità, è bene, anzi, è necessario rispondere in modo più articolato, a lui e a tutti gli altri, con questo post, che vuole essere un “supplemento” chiarificatore del precedente sulla Dittatura. E’ opportuno, in particolare, delineare meglio alcune caratteristiche che potrà avere, in futuro, la Dittatura centralista rivoluzionaria, quando e se (sottolineando il se) si arriverà alla liberazione definitiva dalle catene neocapitalistiche, e per tutti noi, in Europa, euronaziste.
    Il filosofo Costanzo Preve ha ben chiarito la questione della demonizzazione (neo)capitalistica della dittatura, che lui considerava una normale forma di governo – temporanea, di transizione – praticabile e addirittura necessaria in momenti difficili, per affrontare pericoli esterni e interni fin dai tempi della Roma repubblicana. La questione è stata riproposta nel post, avendo sempre presente l’insegnamento di Costanzo. Questo per quanto riguarda la demonizzazione liberal-liberista della dittatura e non altro, bene inteso.
    La dittatura è una forma di governo alternativa a quella prediletta di supporto al capitalismo “concorrenziale” – leggi libero mercato sovrano in espansione massima – cioè alla democrazia liberale fondata sull’istituto della rappresentanza e sul suffragio universale, che supporta sul piano politico la riproduzione (neo)capitalistica allargata. La demonizzazione della forma di governo dittatoriale è avvenuta nel quadro di una complessiva riscrittura della storia operata dai vincitori del secondo conflitto mondiale, dopo la caduta, nel 1945, del fascismo e del nazionalsocialismo. Riscrittura della storia che è stata ripresa, estremizzata ed estesa definitivamente al comunismo sovietico, con il collasso dell’Urss e il passaggio al nuovo capitalismo finanziarizzato del terzo millennio, negli anni novanta. Non si vuole lasciare spazio alcuno – sacrificando la verità storica – ad alternative politiche e di governo che contrastano con gli interessi della classe dominante globale e che possono limitare in qualche modo l’assolutismo di mercato, concretatosi con la supremazia del mercato nei confronti della politica, della finanza nei confronti della produzione, degli interessi privati dominanti nei confronti di quelli dei popoli e delle nazioni.
    Ciò premesso, è importante comprendere che quando e se ci sarà la liberazione definitiva (sottolineiamo ancora una volta il se), si porrà il problema di governare paesi ridotti in pezzi, società divise e prostrate, che rischieranno di scivolare nel caos. Per evitare il ritorno al potere degli stragisti sociali ed effettivi liberal-liberisti, agenti patogeni neocapitalistici difficili da sopprimere completamente – e per evitare che il caos prevalga, imponendo una sorta di “stato di natura” in cui tutti saranno contro tutti – si renderà necessario attivare un potere forte, centralizzato, di matrice dittatoriale. La dittatura può essere vista in positivo, ma è la propaganda sistemica, attraverso la sua criminalizzazione e demonizzazione, che la fa vedere sempre e soltanto in chiave negativa, addirittura demoniaca.
    E’ chiaro che il lettore che commenta criticamente – la cui totale buona fede non è in discussione – come tanti ha subito in modo strisciante questa insidiosa influenza. Ben pochi hanno potuto sottrarsi e anche quei pochi, per la verità, non sono del tutto immuni da contaminazioni. Si tratta di superare, pur con grandi difficoltà, ma tornando una volta e per tutte alla verità storica, quello che è un vero e proprio “tabù sistemico”, un forte interdetto che non permette di immaginare alternative praticabili all’assolutismo liberaldemocratico.
    Altro punto da chiarire subito, senza alcuna ambiguità, è che qui non s’intende “fare di ogni erba un fascio”. Fascismo, nazionalsocialismo e comunismo sovietico, quali forme concretamente assunte dalla dittatura nel novecento, non possono stare sullo stesso piano, presentando notevoli diversità e finalità contrapposte. Per quanto riguarda l’accomunare propagandistico il comunismo, il fascismo, il nazismo, è stato Costanzo Preve prima di tutti noi a rilevarlo in modo chiaro, perché così è oggettivamente e i pubblicisti del sistema, nel corso degli ultimi due decenni, l’hanno ampiamente dimostrato. Ciò non implica nel modo più assoluto, da parte nostra – e tanto meno da parte di un libero allievo di Marx e di Hegel come Costanzo Preve! – un giudizio di valore che accomuni comunismo, fascismo e nazismo, ponendoli indiscriminatamente sullo stesso piano.
    Si sarebbe dovuto scrivere molto di più sulle caratteristiche di una possibile, futura Dittatura centralista rivoluzionaria, nel post dedicato all’argomento, per far comprendere che non sarà e non potrà essere – la storia non concede repliche! – una mera riproposizione della cosiddetta dittatura del proletariato novecentesca realmente esistita.
    Cerchiamo di colmare la lacuna.
    Un sistema basato (1) sui Consigli, espressione diretta della base popolare, (2) sui Comitati, sintesi intermedia della volontà dei consigli, e (3) su una Direzione Strategica in grado di esprimere il governo centrale, non sarebbe la stessa cosa del sistema dei Soviet con annesso partito dei rivoluzionari ai tempi di Lenin e dell’Ottobre Rosso. Anche perché stabilizzandosi questa (nuova) forma di governo non sarebbe più necessario il partito! Nessun partito-stato e nessuna “infallibilità” del partito. Senza il partito verrebbe meno il pericolo – sempre incombente – che uno strato di popolazione, organizzandosi nel tempo in modo strutturato e autoreferenziale intorno a propri interessi, possa esser tentato di costituire un nuovo gruppo di potere slegato dal resto della società (o classe dominate neocostituita, su un piano sociologico), forte del controllo esercitato sulle istituzioni rinnovate, sulle risorse e sulla mediazione sociopolitica. Con riferimento a questo pericolo, che si dovrà evitare a qualsiasi costo, il caso cinese di questi ultimi decenni potrebbe essere illuminante. Dalla seconda metà degli anni settanta è partita la trasformazione della Cina, sulla via del capitalismo e della rinuncia al maoismo, alla specifica forma di comunismo orientale, alla rivoluzione culturale. Non rinunciando, però, alle strutture di potere del partito comunista, intorno e dentro le quali è cresciuta una nuova classe dominante con pulsioni globaliste e mercatiste. I neomiliardari cinesi, abbastanza simili nei comportamenti ai loro omologhi occidentali, sono nati così. Una nuova classe che attraverso il partito comunista, mantenuto in vita esclusivamente come centro supremo di potere e di controllo della popolazione, del suolo, delle risorse, ha agito per anni in “joint-venture” con il grande capitale finanziario occidentale e con la global class. Ha agito secondo i suoi interessi di classe neodominante (global class emergente orientale), imponendo bassi costi del lavoro e condizioni sfavorevolissime per i lavoratori, produzioni crescenti per l’esportazione e aspirando ad avere un suo “posto al sole” in un mondo neocapitalsitico, dominato dal commercio e dalla finanza internazionalizzati. Siccome “l’appetito vien mangiando”, la loro (non troppo) recondita aspirazione è ora quella di scalzare dal podio gli Usa e di cinesizzare progressivamente il mondo. Obiettivi che hanno ben poco a che vedere con una vera emancipazione del popolo cinese (costituito da 1,4 miliardi di individui!).
    I Consigli saranno la base popolare del nuovo sistema di potere e il fondamento della nuova forma di governo, andando oltre la liberaldemocrazia e non cercando di replicare nelle forme e nei metodi le dittature europee novecentesche. Ricordiamo che Costanzo Preve giudicava una delle poche cose buone il cosiddetto Comunismo dei Consigli. Ricordiamo i consigli di fabbrica operai del passato e la loro funzione effettiva, nella “sabbia calda” della produzione industriale, di contrasto al capitalismo e alle sue dinamiche. Ebbene, nel lungo cammino del popolo che dovrebbe portarlo al potere, lungo quanto la storia umana, i Consigli potranno costituire una tappa di fondamentale importanza, in quanto è proprio su questi che dovrà basarsi tutto l’impianto di quella che abbiamo deciso di chiamare Dittatura centralista rivoluzionaria (ma che si potrà chiamare in modo diverso, con altre espressioni meno esplicite).
    Sgomberiamo ora il campo da un equivoco. Quello della democrazia diretta in forme che possiamo definire “iperdemocratiche”, non basate sulla rappresentanza parlamentare, resuscitando la democrazia della Polis, o quella che si crede sia stata l’antica democrazia degli Elleni. Facendo riferimento all’Italia, che ha circa sessanta milioni di abitanti, la democrazia diretta dell’Agorà, del tutti in piazza ciascuno sotto il proprio campanile, votando con il braccio alzato, non è applicabile e poco ci vuole per comprenderlo. Ogni comunità, pur minuscola, deciderebbe per sé, all’interno del suo limitato orizzonte, indipendentemente dalle altre e anche in aperta contraddizione con le altre. Inoltre, come si potrebbe fare per “radunare il popolo” che decide a maggioranza, a Milano, a Roma o a Napoli? Immaginiamo il caos che si produrrebbe nel paese e il conseguente blocco decisionale in termini politico-strategici. Chi pensa che questa sia un’alternativa valida all’assolutismo liberaldemocratico o è un ingenuo sognatore o è in aperta malafede. Con la precisazione che ciò non implica per nulla un giudizio negativo sulla comunità, sui suoi valori e sul comunitarismo, ma soltanto la considerazione della necessità che milioni di uomini, desiderosi di riprendere in mano le loro vite e il loro destino, dovranno essere messi in condizioni di potersi governare veramente.
    Persino la consultazione referendaria, residuo di democrazia diretta in liberaldemocrazia rappresentativa, come abbiamo avuto modo di osservare in passato si può facilmente vanificare, rendendola concretamente inoperante. Pensiamo al caso del finanziamento pubblico dei partiti, abrogato in seguito a un referendum valido, con ampia partecipazione, e subito dopo reintrodotto in forma di rimborsi elettorali che continuano ancor oggi. Per non dire della democrazia diretta reinterpretata nell’epoca della rete, che dovrebbe definire i lineamenti di un programma politico attraverso consultazioni di natura elettronica, alle quali si partecipa solo se si è connessi e iscritti al sito/ movimento entro una tal data! Evidente che chi controlla il software controlla il voto, potendo manipolare le basi dati e gli esiti, e quindi detiene il potere effettivo.
    I Consigli, articolati razionalmente sul territorio, organizzati come una rete di “corpi elettorali” non limitati alla fabbrica, ma estesi alla società tutta ampliando lo spettro della partecipazione, consentiranno alla volontà popolare di confluire con centinaia, migliaia di rivoli verso il centro, orientando le scelte politiche in modo ordinato e razionale. Non è questa l’unica, vera possibilità di “democrazia diretta” concretamente praticabile e sensatamente ipotizzabile? Se di dittatura si tratterà, sarà la dittatura emancipante della Pauper class neocapitalistica che abbraccerà, per ampiezza, l’intero popolo. Infatti, la strutturazione di classe sta cambiando e cambierà ancor di più nei prossimi anni. Operai malpagati o cassaintegrati, lavoratori giovani e meno giovani precarizzati, ceti medi espressi (e anche non espressi) dal lavoro intellettuale rovinati dalla crisi neocapitalistica, anziani in quiescenza con pensioni da fame, rappresentano un obiettivo di portata storica raggiunto dal nemico principale, cioè quello di essere riuscito a modificare, a proprio esclusivo vantaggio, la struttura di classe. Queste componenti, largamente prevalenti in Italia, saranno (ma non lo so già?) la classe povera del futuro. Non essendoci più il vecchio proletariato industriale, in cui i marxisti riposero buona parte delle loro speranze trasformative, non ci potrà essere una riproposizione della dittatura del proletariato!
    I Comitati rappresenteranno la sintesi, a un livello più alto – che in Italia potrà essere quello regionale – della volizione dei Consigli ed esprimeranno i quadri intermedi, mentre si renderà necessaria una sintesi finale nella Direzione Strategica, dalla quale emergeranno le personalità più degne di guidare il popolo e il paese. La Direzione Strategica assicurerà il governo del paese e la necessaria centralizzazione per far funzionare la macchina dello stato. Infatti, Consigli, Comitati e Direzione Strategica saranno lo stato, senza che si renda necessaria la mediazione dei partiti. Uno stato non imperialista, non capitalista-borghese, come quelli del passato, e soprattutto non assolutista liberaldemocratico, privo di sovranità effettiva come l’attuale perché dominato dalle ragioni del mercato e delle eurocrazie. Uno stato in cui saranno i Consigli, sintetizzati nei Comitati e nella Direzione Strategica – interamente nelle mani della Pauper class – a decidere lo stato d’eccezione (Schmitt) e a fare la costituzione materiale (Mortara). Il contesto ideale per lo sviluppo di un lavoratore collettivo, cooperativo e associato postmarxiano come lo intendeva il filosofo Costanzo Preve.
    Si chiude qui questa tornata di precisazioni, nella certezza che l’argomento richiederà ancora interventi articolati e discussioni più approfondite.

  7. Un’analisi della storia del sistema politico in Italia deve necessariamente prendere le mosse dall’assetto degli apporti fra le forze risorgimentali. E’ in quel periodo che cominciano a delinearsi alcune linee guida che caratterizzeranno per molti decenni la sua storia nel corso dei successivi decenni. Attorno alla metà del secolo scorso il quadro era caratterizzato dal contrasto tra il moderatismo liberale piemontese, che egemonizzava lo Stato Sabaudo (soprattutto dopo la concessione dello Statuto Albertino), che riconosceva come proprio leader un giovane ma brillante e già molto potente Camillo Benso conte di CAVOUR, ad il repubblicanesimo del partito d’Azione di Giuseppe MAZZINI. Le contrapposizioni tra i due schieramenti risorgimentali vertevano certamente su ragioni di contenuto: Monarchia-Repubblica, alleanze internazionali, partecipazione popolare al processo di unificazione dell’Italia, etc.; ma tra i due movimenti, e forse ancor più tra i due personaggi, vi erano soprattutto degli insanabili contrasti metodologici e caratteriali.

  8. Tuttavia nel secolo scorso la contrapposizione in Italia è molto netta soprattutto per la presenza di un agitatore politico come Mazzini che interpretava la scuola liberale come quella che aveva respinto la libertà come fine ultimo per accontentarsi di essa come mezzo per i fini privati. Nella democrazia, invece, l’ideale egualitario portava a una libertà non solo formale, ma reale. Uno stato che consideri la libertà come mezzo può essere ateo o neutrale, ma non può esserlo lo stato di tutti che deve proporsi lo scopo di educare la nazione.

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