Situazionisti. L’acqua e il vento nel Marketing del futuro

dic 18th, 2014 | Di | Categoria: Cultura e società


La società dello spettacolo
di G. Debord come narrazione attuale e inattuale

Materiali/percorsi dallo spettacolo integrato all’economia politica dell’immaginario

di Pasquale Stanziale

 

situazionisti1- Le avanguardie e il tempo
2- Per un deturnamento (in qualche modo) della Società dello spettacolo
3- Note per una estetica del disgusto
4- Le risposte invertite della storia
5- Firewall, ideologie e dissolvenze
6- Verso una economia politica dell’immaginario
Eravamo venuti come l’acqua, siamo partiti come il vento.
G. Debord
  
     Bisogna dunque ammettere che non c’erano né successo né fallimento per Guy Debord e per le sue pretese smisurate. Per me non ci sarà né ritorno né riconciliazione. La saggezza non arriverà mai.
G. Debord
  
Guy Debord è una macchina infernale, difficile da disinne­scare. Eppure ci si è provato, e ci si prova ancora. Si cerca di neutralizzarlo, di edulcorarlo, di estetizzarlo, di banalizzarlo. Niente da fare. La dinamite è sempre là, e rischia di esplodere tra le mani di chi la maneggia per renderla inoffensiva.
M.  Löwy (2001)
1- Le avanguardie e il tempo
1.1
L’uomo a una dimensione di H. Marcuse viene pubblicato nel 1964, intanto a Los Angeles è uscito nel 1949 Dialettica del’illuminismo di T. W. Adorno e M. Horkheimer, nel 1966 vengono pubblicati gli Scritti di J. Lacan, Le parole e le cose di M. Foucault è del 1966, Mytologies di R. Barthes vede la luce nel 1970, Critica della vita quotidiana di H. Lefebvre è del 1962, Logica del senso di G. Deleuze è pubblicato nel 1968, intanto in quegli anni è già in libreria il libro di G. Lukàcs  sul giovane Marx e quindi nel 1960 Storia e coscienza di classe.
La società dello spettacolo  di G. Debord e il Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni di R. Vaneigem vedono la luce nel 1967.
Dal 1958 al 1969 a Parigi viene pubblicata la rivista  Internationale Situationniste.
1.2
Scrivono M. Hardt e A. Negri  in Impero a proposito de La società dello spettacolo:
pur nel suo stile delirante, si tratta probabilmente della migliore articolazione della consapevolezza contemporanea del trionfo del capitale.
E in  una pagina successiva i due autori aggiungono che
a oltre trent’anni dalla sua presentazione l’analisi di Guy Debord della società dello spettacolo risulta sempre più pertinente e  urgente. Nella società imperiale, lo spettacolo occupa uno spazio virtuale, o, rigorosamente, un non luogo politico. Lo spettacolo viene unificato e diffuso in modo tale che è impossibile distinguere tra un dentro e un fuori – naturale o sociale, privato o pubblico (M. Hardt  A. Negri 2002).
E N. Klein in No logo nota come a proposito degli interventi di  interferenza culturale (culture jamming – New York 2000)
Furono Guy Debord e i Situazionisti ispiratori e teorici della rivolta degli studenti a Parigi nel maggio 1968, a teorizzare per primi il potere di un semplice détournement, di una deviazione intesa come estrapolazione di immagini, messaggi e oggetti dal loro contesto per creare un nuovo significato. (N. Klein  2001).
In Una felicità paradossale  G. Lipovetsky (2007) nota che
la soggettività del neo consumatore si afferma più nel rapporto con se stesso  che in quello con l’oggetto. Come scriveva Guy Debord  “lo spettacolo è il cattivo sonno della società moderna incatenata che non esprime in definitiva se non il suo desiderio di dormire”.
Più avanti Lipovetsky inizia il capitolo Piaceri privati, felicità dolente  con l’incipit del Capitale richiamato dal deturnamento debordiano:
L’intera vita delle società sovrasviluppate si presenta come un immenso accumulo di segni del piacere e della felicità.
1.3
L’avanguardia situazionista è stata  figlia del proprio tempo, lo ha appreso con il pensiero, ma come ogni avanguardia degna di rispetto ha aperto  a nuove prospettive, a  nuovi processi conoscitivi, a percorsi inediti. Si tratta, quindi, di  riaffermare ulteriormente (A. Jappe  1999) il valore delle teorie relative alla spettacolarità anche attraverso  una serie di passaggi, di riferimenti e di riscontri con riferimenti anche all’area cultural studies. Un insieme di analisi  da intendersi come contributo ad una teoria critica della società del nostro tempo.  Questo di là da opposizioni e tentativi definitivi di bilancio (F. D’Agostini  1999). Certo non esiste l’ultima parola in questo ambito ma è importante  individuare sintomi, tracce, nuclei teorici.
1.4
Debord rappresenta, nell’epoca di stabilizzazione del capitalismo- nella fase iniziale della globalizzazione dell’economia- colui che ha delineato una sintesi piuttosto originale di arte, filosofia e politica. Questi tre ambiti si articolano in modo coerente nel situazionismo  debordiano.
1.5
Sul retroterra artistico, filosofico e politico di Debord è stato scritto molto  e in modo esplicativo (tra tutti A. Jappe  1999) e  anche chi scrive ha esaminato questo retroterra indicandone i percorsi fondamentali (P. Stanziale 1998 2002). Pensiamo però che sia utile (ri)esaminare  quanto Debord ha prodotto negli anni ’50.
Una produzione che, da una parte, rappresenta il punto di sintesi delle influenze e delle prime elaborazioni, da un’altra parte  struttura in modo già significativo i nuclei teorici che in seguito Debord svilupperà.
1.5.a- I lettristi, a cui Debord si unisce all’inizio degli anni ’50, riprendono temi dei primi surrealisti e del dadaismo. Essi vogliono anzitutto  l’autodistruzione delle forme artistiche. L’arte tradizionale viene condannata a morte e viene proposta la tecnica del détournement (riutilizzo creativo di elementi già esistenti). I lettristi tendono a superare la distinzione tra artista e spettatore, tra vita e arte.
Si nota, poi,  una decisa contiguità tra l’estetica e le azioni lettriste con il primo surrealismo: lo stesso rifiuto del lavoro, un’aspirazione massimalista alla rivoluzione, l’affermazione della soggettività nonché una certa tendenza alla secessione e all’esclusione. Viene affermata l’idea che gli elementi per una libera vita sono già presenti nella cultura come nella tecnica: essi vanno solo organizzati in modo diverso.
Al centro delle istanze lettriste vi è la costruzione di situa­zioni poetiche, di stati affettivi corrispondenti ad un nuovo modo di vivere. Altri temi importanti, visti in una prospettiva marxiana, sono l’urbanismo e la vita quotidiana, quest’ultima studiata principalmente da H. Lefebvre, autore di una Critique de la vie quotidienne. Con Lefebvre successivamente i situazionisti e Debord romperanno in modo clamoroso.
Dal 1953 i lettristi si occupano di ricerche psicogeografiche, ovvero dei rapporti tra ambienti e stati d’animo. Viene delineata la tecnica della deriva intesa come serie di passaggi casuali ed emotivamente significativi tra ambienti e quartieri urbani diversi.
I lettristi collaborano con la rivista surrealista Les lèvres nues di cui fanno parte A. Jorn e Constant provenienti dal Gruppo Cobra.
                  1.5.1
Il deturnamento del cinema avviene in piena atmosfera lettrista (nel 1951 a Cannes Debord ha incontrato i lettristi) e  trova una prima attuazione con Hurlements en faveur de Sade (“Il n’y a pas de film. Le cinéma est mort. Il ne peut plus y avoir de film. Passons, si vous voulez, au débat”) del  1952, quando ormai Debord si è stabilito a Parigi.
Successivamente, nel 1954, vede la luce Potlatch e  Debord  incontra Asger Jorn.
Nel 1957  viene fondata l’Internationale Situationniste  e Debord scrive uno dei documenti-cardine del situazionismo: Rapport sur la construction des situations et sur les conditions de l’organisation et de l’action de la tendance situationniste internationale. Questo documento, unitamente a Immagine e forma (Mouvement international pour une Bauhaus imaginiste)  di A. Jorn  (1954) (in L. Caruso S. M. Martini 1975) costituiscono un insieme significativo della fase originaria delle teorie situazioniste e dei loro  sviluppi diretti e/o collaterali.
1.5.2
Il testo di Asger Jorn anticipa temi ripresi negli anni sessanta e relativi al rapporto economia-arte, alla reificazione, all’opera  d’arte come contro-valore.
In questo testo, abbastanza articolato, vengono inizialmente prese in esame le forme dello sviluppo moderno della pittura, della scultura e dell’architettura. Si denuncia l’iniziativa di F. L. Wright di realizzare un museo che finisce per essere un ambiente in cui
sono sepolte le opere d’arte senza passare  prima nella vita di ogni giorno.
Si passa quindi ad una critica dell’architettura, intesa come
arte per formare il nostro ambiente
ma ormai immobilizzata su vecchi problemi, senza una prospettiva nuova che ridefinisca il rapporto uomo-ambiente. Da qui la necessità di
trasformare il programma funzionalista di là da ogni necessità assoluta dell’oggetto. 
Jorn quindi cerca di ridisegnare una concezione dinamica della forma e del cambiamento ponendo in evidenza alcuni parametri significativi:
- l’evoluziome formale ha luogo attraverso brusche rotture;
- l’uso crea la forma ideale;
-esistono  un conservatorismo delle forme e un radicalismo delle forme stesse.
Tutto ciò viene a costituire un punto di partenza propositivo per una nuova Bauhaus la quale, per Jorn, dovrà avere un respiro artistico internazionale e basarsi su un corpo dottrinario definito,  strutturato intorno ad un’unica definizione dialettica dell’arte articolata su tre ambiti:
- estetico: l’arte è la realizzazione del non-conosciuto, è il realizzare l’irrealizzabile, è il principale punto di riferimento dell’uomo e la sua completa possibilità;
- etico: l’arte è la realtà soggettiva, è la capacità di un essere o di una comunità, è l’espressione di una manifestazione vitale;
- logico o scientifico: l’arte è la natura vista come un temperamento, è la fedele immagine dell’oggetto, è l’osservazione non interessata.
A questi tre ambiti corrispondono tre prospettive di analisi dell’arte :
- analisi estetica, relativa agli effetti sensoriali, di choc e di novità dell’oggetto artistico;
- analisi etica, relativa all’utilità, agli interessi umani ed alla funzionalità sociale dell’oggetto artistico;
- analisi scientifica, relativa alla costruzione dell’oggetto artistico in relazione alle sue possibilità.
 Jorn cerca con questo- che è un vero e proprio programma di intervento e di analisi con evidenti prospettive politiche- cerca di superare il formalismo dottrinario imputabile ai rinnovatori della Bauhaus e a Gropius e ciò anche per il fatto che sarebbe stupido ignorare che “…nel frattempo si è imposto il surrealismo… “.
Da questo manifesto presero avvio scissioni e costituzioni di gruppi e movimenti tra cui  la rivista Reflex, il gruppo De Stijl, la rivista Cobra . Abbiamo poi la confluenza dell‘Internationale lettriste nel movimento per la Bauhaus Imagista. Siamo nel 1956. Nel 1957 G. E. Debord comincerà a parlare della costruzione di situazioni .
1.5.3
Il testo di Debord  Sur la construction des situations et sur les conditions de l’organisation et de l’action de la tendance situationniste internationale  è un rapporto del Comité Psychogéographique  de Londres presentato, nel 1957, ai membri dell’Internationale  lettriste del movimento per una Bauhaus Imaginiste  come base di discussione e come documento  per la propaganda (in L. Caruso S. M. Martini cit). Con questo documento Debord traccia l’ambito teorico di base del Situazionismo individuando due prospettive di indubbia valenza strategica:  un rinnovato valore politico dell’arte di là da ogni valore di scambio borghese e la critica serrata dell’industria culturale,  proseguendo, in un certo modo,  sulla via aperta dalla Scuola di Francoforte. L’unificazione delle due prospettive avviene nell’ambito di una propugnata rivoluzione da attuare attraverso i partiti operai. Punti fondamentali di questa rivoluzione saranno la costruzione di situazioni (situazioni che, per inciso, sono naturalmente compatibili con l’unica forma organizzativa possibile che è quella dei Consigli formulata dai teorici del Socialismo), un diverso assetto del territorio mediante il concetto di urbanismo unitario, la deriva intesa come gioco spaziale-emotivo riguardante un uso creativo degli ambienti e la delineazione di una nuova area di ricerca, quella psicogeografica relativa al rapporto tra l’ambiente ed il comportamento individuale. Abbiamo infine il détournement (vedi punto 1.5.a), una pratica di spiazzamento, di decontestualizzazione e di riutilizzo creativo di  elementi della civiltà borghese. Si tratta  chiaramente di un documento che definisce già tutte le direttrici critiche presenti nella rivista Internationale Situationniste. Il documento si divide in sei parti che sono:
-rivoluzione e controrivoluzione nella cultura moderna;
-il disfacimento, stadio supremo del pensiero borghese;
-verso una Internazionale Situazionista;
-piattaforma per una opposizione provvisoria;
-ruolo delle tendenze minoritarie nel periodo di riflusso;
-i nostri compiti immediati .
 Nella prima parte l’assunto principale è che
ciò che  si chiama la cultura riflette e prefigura, in una società data, le possibilità di organizzazione della vita. La nostra epoca è caratterizzata principalmente dal ritardo dell’azione politica rivoluzionaria rispetto allo sviluppo delle possibilità moderne di produzione,  che richiedono una superiore organizzazione del mondo.
Questo perché
ogni anno si pone sempre più decisamente il problema del dominio razionale delle forze produttive  e della formazione della civiltà su scala mondiale.
Il capitalismo, inoltre,
inventa nuove forme di lotta-dirigismo del mercato
e ciò sfruttando
le degenerazioni delle direzioni operaie e neutralizzando mediante tattiche riformiste  le opposizioni di classe.
È evidente la proiezione in avanti di queste analisi che prefigurano i problemi connessi con la globalizzazione dell’economia, con le strategie del capitalismo mondiale  e con l’avanzata  di una borghesia  che Debord inquadra come impegnata a détourner il gusto  del nuovo verso forme inoffensive e confuse.
Debord quindi esamina i percorsi del futurismo, del dadaismo e del surrealismo ponendo in evidenza le loro degenerazioni. La conclusione di questa prima parte è che
bisogna andare più avanti e razionalizzare di più il mondo, condizione prima per renderlo più appassionante.
In tale ambito M. Löwy (2001) sottolinea come Debord, rispetto a Breton, sia più razionalista e vicino al materialismo francese dell’Illuminismo
1.5.4
Nella seconda parte viene ulteriormente sviluppata una analisi critica della cultura borghese per ciò che riguarda le varie tendenze letterarie e  artistiche in generale, ma anche religiose. Il punto centrale di queste analisi  è che
la crisi della cultura moderna si conclude come disfacimento ideologico. Niente di nuovo è costruibile su queste rovine e il semplice esercizio dello spirito critico diviene impossibile dato che ogni giudizio è in conflitto con altri, ognuno si riferisce a residui di sistemi d’insieme ormai vecchi, oppure a imperativi sentimentali personali. Il disfacimento si è esteso a tutto. Appare così l’uso massiccio della pubblicità commerciale influire sempre di più sui giudizi relativi  alla creazione culturale, ciò che era un antico processo. Si è giunti ad uno stato di assenza ideologica in cui agisce solo l’attività pubblicitaria, escluso ogni giudizio critico preliminare, ma non senza attivare un riflesso condizionato del giudizio critico.
Siamo, in effetti, alla stessa chiaroveggenza della Società dello spettacolo, alla denuncia di stereotipi imposti all’immaginario collettivo di cui  il  fenomeno Sagan-Drouet ne è  uno dei più rilevabili alla fine degli anni ’50. Anche l’architettura non sfugge a questo disfacimento che ha tout gagné.
Debord conclude accennando ad una  possibile presa di coscienza  della decadenza del pensiero borghese da parte  delle minoranze dell’avanguardia come  punto di partenza per un rinnovato pensiero critico.
1.5.5
Nella terza parte Debord centra le sue proposte d’intervento anzitutto sulla costruzione di
ambientazioni contingenti della vita  e della loro trasformazione in qualità passionale di ordine superiore.
Da qui il concetto di urbanismo unitario
da realizzare attraverso l’impiego dell’insieme delle arti e delle tecniche, come mezzi che possono portare ad una strutturazione integrale dell’ambiente.
Ciò in modo dinamico e sperimentale, non escludendo, ad  esempio, la costruzione di quartieri stati-d’animo  per cui è possibile pensare che
ogni quartiere di una città dovrà tendere a provocare un sentimento semplice  a cui il soggetto  si esporrà con conoscenza di causa.
Debord scrive poi del gioco situazionista come di una attività che recupera l’unità della vita di là dalle separazioni poste in atto dalla borghesia e riscontra
nell’abbondanza di bassezze televisive una delle ragioni dell’incapacità della classe operaia americana a politicizzarsi.
Il comportamento della deriva (in tale ambito Debord postula l’uso creativo della televisione e del cinema come rappresentazione diretta di un attualità giocata) e le analisi psicogeografiche rientrano per Debord in una pratica relativa al fatto che  
la vita di un uomo è una successione di situazioni fortuite di cui si ha, sia che le une non sono proprio simili alle altre che esse, nella gran maggioranza, tanto indifferenti e appannate, danno perfettamente l’impressione della somiglianza.
 Particolare rilievo assume il conflitto
tra il desiderio e la realtà ostile a tale desiderio: ciò che sembra essere la sensazione del deflusso temporale.
1.5.6
La quarta e la quinta parte strutturano un approccio organizzativo e delineano l’analisi dei percorsi delle avanguardie artistico-rivoluzionarie per tutto quello che riguarda il rapporto tra creazione culturale e rivoluzione mondiale.
1.5.7
Nell’ultima parte brevemente Debord si occupa delle forme di opposizione al modo di vivere capitalistico e in particolare della necessità di
distruggere, con tutti i mezzi iper-politici, l’idea borghese di felicità.
Si tratta di presentare una alternativa rivoluzionaria alla cultura dominante. Perché
si sono interpretate abbastanza le passioni: si tratta ora di trovarne altre.
1.6
Correlati a queste analisi i successivi  film di Debord, Sur le passage de quelques personnes à travers una assez courte unité de temps, del 1959 e Critique de la séparation del 1961 in cui è ormai affiorante il tema del tempo che, unitamente a quello della soggettività ed all’ambito dell’oggettivazione, della reificazione e dell’ideologia,  delinea uno degli insiemi polari intorno a cui ruota una parte delle teorie debordiane.
1.6.a- Il problema del tempo prenderà forma in vario modo nei lavori di Debord, qui (in Sur le passage.. e Critique..), come nell’altro film In girum imus nocte et consumimur igni, la temporalità, la nostalgia, il rifiuto, vengono ad essere gli elementi centrali di una narrazione  che Löwy colloca nel genere del romanticismo nero con riferimento a
quella tradizione utopica e sovversiva del romanticismo che va da William Blake a William Morris e da Charles Fourier ad André Breton… al romanzo nero del XVIII secolo (M. Löwy cit.).
1.6.b- I problemi del tempo- e del suo consumo libero- sono presenti, direttamente e/o indirettamente in quasi tutti i lavori di Debord.
Non abbiamo niente di nostro tranne il tempo di cui godono gli stessi che non hanno alcuna dimora. (B.  Graciàn in G. Debord 2002).
Esso è strettamente connesso con la soggettività  e con lo  scenario sociale della sua epoca. Tra vari riferimenti alla temporalità troviamo il rifiuto del tempo e dell’invecchiamento e
la sensazione che tutto si perde nella polvere del tempo.
 In Sur le passage.. del 1959  Debord scrive
Ho lasciato fare al tempo. Ho lasciato perdere ciò che bisognava difendere.
E in quel film sistematicamente iconoclasta che è In girum… - film  in cui  abbastanza opportunamente Lowy (2001) individua “un testo splendido nella scrittura, dal linguaggio poetico, filosofico, sociale e politico a un tempo“ – Debord (1978) afferma che
La sensazione dello scorrere del tempo è sempre stata per me molto viva .
1.6.c- Anche per quanto riguarda l’arte l’orizzonte temporale diventa una dimensione fondamentale. Per Debord (e Costant) l’arte rappresenta ciò che eternizza l’evento vissuto sottraendolo al flusso temporale. Ossessionato da ciò che è  oggettivazionereificazione Debord ritiene che quello che conta è l’opera d’arte  nel  suo consumo immediato, rifiutando la sua forma-merce e la sua conservazione (M. Perniola 1998). Il soggetto creatore e l’atto creativo sono (come per i primi surrealisti)  il tutto dell’arte per Debord (ma anche un limite come sostiene opportunamente Perniola cit.), si tratta di uno spazio-tempo situazionale che è parte costitutiva dell’evento artistico. Il momento del vissuto appassionante e creativo prevale sulla reificazione e sul narcisismo individualistico (M. Perniola  cit.). L’attività estetica si realizza  così con la costruzione di situazioni spazio-temporali, di ambienti in cui  le persone condividono e interagiscono in un gioco di sensazioni e di  desideri. La situazione costruita – come Debord la definisce – viene a trasformarsi in evento, con la sospensione del  tempo economico e produttivo, liberando l’eros e il gioco reciproco tra soggetti in un ambito festivo in cui si annulla ogni differenza di classe. Una vita autentica dovrebbe essere, per Debord, una vita intesa come sommatoria dei transiti da realizzare attraverso la continua dilatazione temporale della serie di  questi eventi.
1.6.d- Ne La società dello spettacolo  i capitoli 5 e 6 si occupano della dimensione temporale (che tratteremo  nel capitolo seguente) mentre vediamo che vari sono i riferimenti al tempo nell’ambito della critica della vita quotidiana. Nel n. 6 dell’IS  (1961) in Prospettive di modificazioni coscienti della vita quotidiana Debord  affronta il problema del consumo del tempo vissuto, denunciando il fatto che nelle società capitalistiche il tempo che il soggetto non dedica alla produzione-  e alla accumulazione del risparmio-  è considerato tempo perduto. Questo in una vita quotidiana caratterizzata da alienazione e sfruttamento e da una povertà imposta, in cui vi è rarità di tempo libero. Debord sottolinea come nella quotidianità  viene lasciata gran parte  della  ricchezza  e dell’energia  vitale: ciò che costituisce un problema politico che richiede la trasformazione rivoluzionaria della vita quotidiana.
 1.6.e- Per quanto riguarda il soggetto debordiano esso è marcato profondamente dallo scorrere del tempo. È il soggetto del desiderio, quello che coniuga quartieri e stati d’animo. È il soggetto creativo che costruisce situazioni appassionanti. Questo soggetto cerca di resistere alla reificazione imperante e la sua classe sociale è il proletariato, ovvero quella
immensa maggioranza di lavoratori che hanno perduto ogni potere sull’impiego della propria vita.   (G. Debord 2002).
I situazionisti nei loro scritti insistono spesso sulla negazione continua della soggettività ridotta a sopravvivenza (R. Vaneigem 2002), generalmente accettata e condivisa nel sistema capitalistico. A tale negazione, dopo averne posto in evidenza le strategie, essi oppongono una soggettività radicale (R. Vaneigem cit.) che nasce da un rovesciamento di prospettiva storico-sociale in cui la povertà della vita quotidiana diviene un’area di investimento politico (P. Stanziale 1995)
e il vissuto individuale illuminato dal valore sovversivo dei sentimenti (R. Vaneigem cit) .
  
2- Per un deturnamento  (in qualche modo) de La  società dello spettacolo
2.1
La società dello spettacolo di Debord rappresenta inconfutabilmente un punto di non ritorno nell’ambito di una teoria critica della società, critica, nel senso che sarà sempre della Sds che occorrerà tener conto per comprendere correttamente  le strategie di autoriproduzione e accumulazione capitalistiche.
Proposte di analisi come quelle contenute nei concetti di accesso rifkiniano, di new economy,  di alienazione biotecnologica, di economia finzionale, viste in una loro collocazione critica, non possono non essere ricondotte alle concezioni di fondo della Sds, unitamente alle analisi di R. Vaneigem e  degli altri situazionisti ortodossi e non.
La Sds corrisponde, come abbiamo già detto, ad una fase storica di ristrutturazione del capitale – nella seconda metà del ‘900 – che consolida talune strategie di dominio nell’ambito produttivo e dà origine a nuove direttrici di consumo relative al passaggio all’avere e al baudrillardiano simulare. La Sds riflette tutto ciò con una consapevolezza critica innegabile.
2.1.a- È possibile inoltre verificare come vi sia una corrispondenza tra  elementi teorici debordiani ed alcuni significativi ambiti analitici contemporanei. In particolare la distinzione debordiana tra società in cui lo spettacolo è concentrato, diffuso e integrato  (Sds e Commentari del 1988)  viene, per molti aspetti ad avere  un riscontro  con le  fasi  dello sviluppo  del capitalismo dei consumi  esaminate da Lipovetsky (2007) ovvero: 1) la fase della nascita dei mercati di massa, 2) la fase  del ciclo storico che inizia negli anni ’50 caratterizzata dalle società del consumo di massa-  e che richiama ampiamente lo spettacolare diffuso debordiano, 3) la fase infine che va oltre lo standing ed è caratterizzata dai consumi emotivi ed è pertinente alla organizzazione economica  post-fordista e al turboconsumerismo segnando il destino felice dell’ homo consumericus. Questa terza fase corrisponde, per moltissimi aspetti a quella dello spettacolo integrato nel suo senso ultimo (G. Debord 1988), quando la spettacolarità
si è mescolata ad ogni realtà…. perché l’esperienza pratica del compimento sfrenato  della volontà della ragione mercantile mostra, rapidamente e senza eccezioni, che il divenir-mondo della falsificazione era (è) anche un divenir-falsificazione del mondo. (G. Debord cit.).
2.2
La lettura che quindi è possibile proporre oggi della Sds  può anche essere giocata attraverso un détournement, ovvero:
1) partire dalle analisi critiche legate al dibattito teorico proprio del movimento operaio alla fine degli anni ‘60;
2) prendere atto di un processo critico che abbraccia temi quali il tempo (di cui già ci siamo occupati), il territorio e la cultura;
3) approdare quindi all’ambito profetico della fenomenologia della società dello spettacolo, fondamentale riferimento per la critica del capitalismo colto nel suo sviluppo storico.
Avendo premesso che il lavoro di Debord va pure visto  nel  contesto di varie elaborazioni teoriche  proprie della variabile compagine situazionista, ci si potrà accingere alla sua lettura, percorrendone la sua caratteristica struttura articolata nelle note 221 tesi  raccolte in nove capitoli.
2.3
La definizione di una base storico-filosofica da cui partire è fornita certamente dal lungo capitolo 4. Esso inizia individuando l’orizzonte storico come spazio proprio per la costruzione di una prospettiva di analisi e di azione politica, e termina affermando che
ogni teoria rivoluzionaria è nemica di ogni ideologia rivoluzionaria
un concetto fondamentale questo che avrà un ruolo non secondario nella veritable scission dell’IS.
Muovendo da Hegel e Marx, Debord mostra le carenze proprie dei socialismi e dell’anarchismo. Egli fornisce una critica del burocratismo staliniano, ma anche delle illusioni neoleniniste  e del Trotzky ispiratore della Quarta Internazionale (Tesi 113), affermando invece la validità dei Consigli operai come la realtà più alta del movimento operaio (Tesi 118). Il percorso debordiano risente, qui,  come molti hanno già scritto, delle analisi del primo Lukàcs, di Korsch, di Gramsci  e di Pannakoek, unitamente alle  idee portate avanti, in quegli anni da Socialisme ou Barbarie e Arguments.
2.4
Nei capitoli 5 e 6 il rapporto fra tempo e storia viene da Debord esaminato nel suo sviluppo, procedente da un tempo ciclico senza conflitti ad un tempo irreversibile proprio del medioevo. Con l’ascesa della borghesia si afferma il tempo storico, anch’esso irreversibile, ma il cui uso è vietato alla società dalla borghesia padrona  (Tesi 144). A tale tempo irreversibile corrisponde il tempo-merce della produzione corrispondente, a sua volta, al tempo pseudociclico del consumo. Si tratta del tempo spettacolare proprio di un’epoca senza festa (Tesi 154), una dimensione in cui lo spettacolo viene a porsi come “falsa coscienza del tempo” (Tesi 158).
2.5
Nel capitolo 7 Debord mostra come lo spazio divenga lo scenario del capitalismo e come la strutturazione del territorio, alterando in modo strumentale il rapporto tra città e campagna, miri a realizzare un maggior controllo delle persone e quindi il loro isolamento. Una rivoluzione che tenderebbe ad affermarsi nell’ambito dell’urbanismo viene individuata da Debord in un ritorno ai bisogni ed alle condizioni dei lavoratori fatte proprie dai Consigli.
2.6
Nel capitolo 8 il consumo spettacolare viene da Debord denunciato come consumo della cultura-merce anche nei suoi correlati sociologici di comodo.
La cultura che viene ad affermarsi va negata unitamente al linguaggio che la veicola
mentre “il plagio necessario” e il “détournement”  vengono a costituire prospettive di recupero creativo del senso.
2.7
L’ultimo breve capitolo tratta in nove tesi del trionfo dell’ideologia (qui, come in tutta la Sds, il termine ideologia va inteso in senso rigorosamente marxiano) nella sua materializzazione che è lo spettacolo. La falsa coscienza, in tal modo,
celebra il proprio trionfo che è il trionfo di una base materiale relativa ad una verità capovolta.
La lotta è dunque per un’effettiva verità e per l’emancipazione da questa base materiale.
2.8
Questo tragitto del détournement si conclude aprendosi e ritornando ai primi tre capitoli che disegnano tesi il cui valore è continuamente avvalorato dal riscontro periodico con la realtà del capitalismo contemporaneo.
Le 72 tesi dei primi tre capitoli tracciano un percorso organico, partendo dal concetto di separazione – che riprende in una prospettiva innovativa sia il concetto di alienazione (sulla linea Hegel, Feuerbach, Marx) che il concetto di scissione (del Lukàcs della Teoria del romanzo 1920) – per giungere al concetto di falsa unità che informa di sé tutta la realtà spettacolare. La separazione che si compie per Debord (con riferimento anche all’eccesso di metafisica lukàcsiano) sembra portare a compimento quel processo di scissione tra il soggetto e se stesso originato dalla rottura dell’unità presente nel mondo greco e ormai in via di compimento nel capitalismo. La separazione è dunque tra il vissuto e la sua rappresentazione, ovvero la rappresentazione tende ad accumularsi e a predominare sul vissuto che, nella società capitalistica, viene sempre di più a marginalizzarsi e a diventare, nella sua verità, solo il momento di una rappresentazione totalizzante che sappiamo falsa.
2.8.a- Qui è possibile accennare ad alcune convergenze tra il situazionismo con alcune teorie psicoanalitiche (malgrado Debord) sviluppatesi in Francia in quegli anni.
Una convergenza, ad esempio, è il rifiuto di Debord e di Lacan del maoismo – Lacan ai maoisti che lo contestavano : “volete un padrone, l’avrete!”- E. Roudinesco 1995).
Vediamo, poi, che anche Lacan usa il termine deriva   dall’inglese  drive come traduzione del termine trieb che significa pulsione, istinto.
Freud aveva  parlato- relativamente all’economia della psiche di  una soddisfazione allucinatoria, che tende a prendere il posto della realizzazione del desiderio: lo spettacolo, secondo Debord, viene, in modo sempre più organizzato (a misura di marketing), a sostituire una possibilità reale di vita con  immagini fantasmatiche. E Lacan (1974) aggiunge che la realtà soggettiva è supportata  e sostituita dal fantasma che la sostiene a livello del desiderio (J. Lacan 1974) .
2.8.b- Ci sembra opportuno, a questo punto, un riferimento  alla teoria lacaniana per cui il soggetto (Es), orientato naturalmente verso l’oggetto del desiderio, è costretto a rivolgersi a sostituti dell’oggetto del desiderio per realizzare il suo Io immaginario secondo una processualità  in cui chi dirige il gioco è l’Ordine simbolico o grande Altro. Teoria che costituisce certo un contributo teorico forte. In questa struttura soggettiva operano i  registri del reale, dell’immaginario, e del simbolico comprendente, quest’ultimo, l’economia e la sua egemonia, un Ordine che ben contribuisce  alla costituzione dell’Io fornendo identificazioni, gadget, fiction, in una parola agisce, in gran parte  attraverso lo spettacolare debordiano.
Il soggetto, insomma, deve necessariamente alienarsi se vuole essere accettato dalla società, dato che  questa richiede
una fedeltà sempre mutevole, una serie di adesioni continuamente deludenti a prodotti fasulli  (G. Debord 1997)
rimuovendo in tal modo i suoi autentici  bisogni e desideri.
In tale ambito l’inconscio non è più parte di una topica che lo vede interno al soggetto ma viene da Lacan esternalizzato come grande Altro che, certo ha una ipoteca strutturalista, ma che ha un notevole ruolo relativamente al rapporto tra il reale desiderante (senza fine) del soggetto e l’ideologia materializzata (G. Debord 2002) dell’economia capitalista che, attraverso lo spettacolo, fagocita  continuamente l’immaginario.
2.9
Debord  tratta del dominio proprio di una società che è dello spettacolo, in cui
più tende ad affermarsi l’apparire, più l’uomo è separato dalla vita (G. Debord 2002).
Lo spettacolo allora si fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e pervasivo il suo essere capitale.
Sono presenti in questi assunti del primo capitolo rielaborazioni tratte dal giovane Marx, quando scrive dell’alienazione nella società borghese, mentre il secondo capitolo riprende il concetto di feticismo della merce sulla linea Marx-Lukàcs.
Debord afferma che il predominio dello spettacolo si attua attraverso l’occupazione della vita sociale da parte della merce. A ciò corrisponde la vittoria del valore di scambio sul valore d’uso in una società che sancisce la vittoria dell’economia autonoma.
Ma è nel rapporto tra economia e società che Debord individua una possibile forma di riscatto là dove, infine, l’economia finirebbe col dipendere pur sempre dalla società e dalla lotta di classe. Parafrasando Freud, Debord scrive che
là dove c’era l’es economico deve venire l’Io (G. Debord cit.)
e afferma che “il desiderio della coscienza” e “la coscienza del desiderio” costituiscono un unico progetto mirante all’abolizione delle classi.
Questo passaggio, in genere abbastanza ignorato, rappresenta invece un punto importante dato che, malgrado l’avversione di Debord per le scienze umane in generale, rispecchia ancora una volta un nucleo critico importante della psicoanalisi di  Lacan. Questi, mostrando come in effetti la spaltung, la scissione, sia costitutiva dell’essere umano e rappresenti una condizione per cui il soggetto deve alienarsi per accedere – ed essere riconosciuto – all/dall’Ordine simbolico. Siamo qui sul piano di una alienazione strutturante (P. Stanziale 1995).
2.9.a- È inevitabile, a questo punto, affrontare un importante nodo teorico riguardante quel rapporto indissolubile tra economia, spettacolo e immaginario. Nodo borromeo che si fa struttura divenendo un nucleo dialettico in grado di articolare in modo evolutivo le intuizioni debordiane.  Questa struttura  traduce fondamentalmente il significato e il significante della merce ovvero l’immagine-merce, il feticcio-merce, ovvero fascinazione, illusione, scambio, consumo.  Ciò in una fase di evoluzione strutturale dell’economia verso una evidente ed affermata sua autonomia che può essere ben correlata alle marxiane due astrazioni/alienazioni (A. Jappe 1999) ovvero lo Stato e il Denaro riguardanti il divenire membro di una comunità e l’accesso al mondo del lavoro. L’ipostatizzazione di queste astrazioni/alienazioni si concreta nello spettacolo da intendersi come ideologia materializzata (G. Debord 2002). Questi riferimenti che attualizzano, attraverso Debord, le istanze del giovane Marx vengono riaffermate- come giustamente sottolinea Jappe (cit)- nel Capitale che individua nell’astrazione, corrispondente alla forma-merce, ciò che muove l’economia moderna.
2.9.b- Come nota, poi,  M. Pezzella (1996) il potere economico richiama immediatamente un immaginario inseparabile dal desiderio, un immaginario che va oltre il valore d’uso realizzando il valore di scambio.  Si   tratta qui  di individuare  “ l’economia nella sua cultura” (W. Benjamin 1986 in Pezzella cit.) che mostra come  economia e immaginario siano termini legati da un  indissolubile legame funzionale nell’ambito di quella economia libidinale di cui parla Lyotard (1978).
Per quanto riguarda lo spettacolo esso non è una sovrastruttura - nel tradizionale linguaggio marxista – e neanche una simulazione (J. Baudrillard 1979). Esso, nel contesto della Sds, è allo stesso tempo: una figurazione dell’immaginario, una tecnica di produzione e un motore della circolazione del capitale.
2.9.c- Versante di articolazione di questa struttura, e costituente importante di essa, è il desiderio. Il desiderio rappresenta un tema centrale nell’ambito delle  scienze umane in Francia a partire dagli anni ’30  a seguito delle famose lezioni di A. Kojéve sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel.
È il Desiderio (cosciente)  di un essere a costituire questo essere come Io e a rivelarlo come tale ….. l’Io del Desiderio è un vuoto che riceve un contenuto positivo reale solo dall’azione negatrice che soddisfa il Desiderio.. (A. Kojéve 1947).
Ed è  sul desiderio che teorizzeranno, tra molti,  G. Deleuze, F. Guattari e Lacan che scrive
Lo sfruttamento del desiderio è la grande invenzione del discorso del capitalista, perché dopotutto bisogna indicarlo col proprio nome. Devo dire che è un marchingegno maledettamente riuscito… (1974).
2.9.d- Anche nei situazionisti il desiderio  ha una ruolo centrale sia in Debord che in Vaneigem il quale struttura una vera e propria antropologia del desiderio (P. Stanziale 2004)  risvolto inevitabile di una soggettività radicale  (R. Vaneigem 1996 2004).  
2.10
Il terzo capitolo probabilmente è il più francofortese. Nella sua unità fittizia, lo spettacolo maschera le contraddizioni e le lacerazioni della società e dei poteri che la dominano. La banalizzazione, la vedette specializzata nel vissuto apparante, le finte lotte spettacolari: tutto ciò rappresenta un artificiale che traduce nello spettacolare la falsificazione della vita sociale. Uno spettacolare che si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso a seconda della miseria che smentisce o mantiene.
  
3- Note per una estetica del disgusto
   
3.1
Nel 1959 Debord ha ventotto anni, da sette abita a Parigi,
una città  che era così bella che molti hanno preferito vivervi da poveri piuttosto che trascorrevi un’esistenza agiata da qualche altra  parte… adesso non ne rimane niente … Chi altro potrebbe sapere le fatiche e i piaceri che abbiamo conosciuto in questi luoghi dove tutto è diventato così malvagio (G. Debord  1978).
In questi anni parigini  è divenuto definitivo e circostanziato in Debord il rifiuto della realtà sociale del suo tempo.
Debord vede la piccola borghesia caratterizzata da una ”..dignità infelice..” (G. Debord 1959), e vede quartieri “..estranei alla sua storia..”, avverte la necessità di una critica globale della corrente idea di felicità, insomma Debord è già a buon punto nel suo “..assalto al cielo..”  (G. Debord 1978).
Debord e i suoi amici in quegli anni esercitano “il dubbio sistematico” e sono interessati unicamente ad una “espressione sufficiente di loro stessi”, vogliono “reinventare tutto ogni giorno; impadronendosi totalmente della loro vita..” (G. Debord  1978).
Questo gruppo era ai margini dell’economia. Tendeva a un ruolo di puro consumo, e innanzitutto di consumo libero del suo tempo. Era così interessato direttamente alla variazioni qualitative del  quotidiano, ma sprovvisto di ogni mezzo di intervento su di  esse .. (G. Debord  cit).
Così scrive Debord all’inizio degli anni ‘60, sulla strada della decisa  idea di realizzare il viaggio della sua vita attraverso la critica sistematica della società capitalistica unitamente alla ricerca di “continue situazioni poetiche da conoscere..” (G. Debord 1993). E ciò già  struttura alcuni elementi di quella che  proviamo  a definire un’estetica del disgusto debordiana.
3,2
Dai primi film di Debord emergono certamente i suoi  tratti  personali, come giustamente sostiene Jappe (1999).  Una persona, Debord, molto selettiva nelle amicizie, senza nessuna concessione ai poteri e agli intellettuali della sua epoca, una persona che ha costruito accuratamente  la sua solitudine piuttosto aristocratica, certo non scevra da una chiara megalomania nell’edificazione del suo personaggio.
La mia cerchia è stata composta solo da quelli che sono venuti da sé, e hanno saputo farsi accettare. Non so se esista un altro che abbia osato comportarsi come me, in questa epoca. Bisogna anche riconoscere che la degradazione di tutte le condizioni esistenti è appunto apparsa allo stesso momento, come per dare ragione alla mia follia singolare.. (G. Debord 1998).
3.3
La sensazione di disgusto che prova Debord per le società capitalistiche avanzate- e che si traduce in dichiarate forme di disprezzo- è stata ampiamente esaminata da vari autori. Tra tutti ancora Jappe (cit.) che  esamina questo aspetto in modo esauriente, sia sottolineando l’estrema coerenza personale di Debord, sia illustrando l’al di qua del disgusto ovvero il background  di Debord con i riferimenti  culturali relativi.
Debord  viene  da Jappe accostato a  personaggi come Karl Kraus, con cui ha in comune il disprezzo per lo spettatore, colui che ha delegato la sua vita, qualcosa di inconcepibile per Debord.
Altro personaggio chiamato in causa è Paul Gondi, Cardinale di Retz che rappresenta per Debord un ambito di gratificanti identificazioni in cui vediamo la prassi della teoria che innesca  storiche avventure unitamente al ruolo di deus ex machina  in ambiti strategici sofisticati che andrebbero al di là della teoria.
E quindi il noto riferimento al barocco o meglio a quella che si potrebbe definire una certa lettura debordiana del barocco. Centrali, riteniamo, il concetto barocco di tempo che, come abbiamo già visto, è elemento importante della sensibilità debordiana- e situazionista in generale- e il passaggio alla realizzazione dell’arte. Una certa lettura, quindi, dato che il barocco (accostato spesso all’epoca attuale – tra tutti F. Berardi 1994) è anche cambiamento comunicativo, trionfo dell’artificio e  della decorazione. Il trionfo di un sogno (divino) che subordina la realtà (P. Stanziale 1995), il trionfo della particolarità e dell’empirismo dell’evento (G. Deleuze 1953). Il barocco è portatore di un principio contingente che scopre un mondo in cui diventa evanescente ogni unità politica e religiosa. Con esso  prende forma un’arte sempre più individualizzata e tesa verso eversioni formali. Un’arte propria dell’aristocrazia, connessa al suo potere.
Ma Debord, tutto sommato, è pure una specie di controriformista ed è anche “un uomo che sa mettersi in mostra” secondo i precetti del suo spesso citato gesuita spagnolo del ‘600, B. Graciàn (che, per un ironico deturnamento, è oggi molto stimato dai dirigenti d’azienda USA).
Vi sono uomini generosi nei quali il poco riluce molto, e il molto abbaglia addirittura. Quando l’ostentazione si sposa all’eccellenza, può passare per un prodigio…
 L’ostentazione delle proprie qualità completa e integra molto, e dà ad ogni cosa una seconda vita, soprattutto quando la realtà la sostiene. Il Cielo che dà la perfezione, prepara la via all’ostentazione, perché se essa dovesse rimaner sola, risulterebbe intollerabile. Anche nel mettersi in mostra occorre arte: persino le cose più eccellenti sono condizionate dalle circostanze, e non sempre possono risplendere; così l’ostentazione stessa riesce male quando è fuori di tempo. Nessuna dote richiede d’essere meno affettata di questa; ed è l’affettazione quella che la rovina, perché vive sempre sul confine della vanità, e questa sul confine del disprezzo. Dev’essere tenuta bene a freno perché non faccia cadere nella volgarità, e il suo eccesso è alquanto discreditato presso gli uomini saggi….
 È una grande abilità, quella di non svelare la perfezione tutta in una volta, ma di andarla scoprendo a poco a poco, come si fa con le carte da gioco, e crescendo di mano in mano, sì che un ornamento sia la premessa e la promessa. di un altro ancor più grande, e l’applauso con cui è salutato il primo lasci in tutti l’aspettazione per quelli che verranno dopo. (B. Graciàn 1991).
Così scriveva Graciàn nel ‘600 e ci sembra che il Debord stratega abbia fatto tesoro degli insegnamenti del gesuita spagnolo anche nell’ambito di un’estetica del disgusto cui cerchiamo di accennare, ciò che ha i suoi risvolti anche riguardo alle relazioni interne all‘IS. A tale proposito ci anche sembra utile riportare quanto scriveva di Debord Asger Jorn (1964)
Dalla fine della guerra non ho trovato nessun altro che Guy Debord che, ignorando tutti gli altri problemi che potrebbero imporsi all’attenzione, si concentrasse esclusivamente, con una passione maniacale e con la capacità che ne deriva, sul compito di correggere le regole del gioco umano secondo i nuovi dati che si impongono a noi nella nostra epoca. Egli si è dedicato, con precisione, ad analizzare questi dati, e tutte le possibilità che oramai si escludono e quelle che si aprono, senza alcun attaccamento sentimentale per un passato che si è già abbandonato da sé.
 Egli fornisce la dimostrazione di queste correzioni e indica le regole che ha deciso di seguire. Invita anche gli altri, che vogliono avanzare nell’avanguardia di questo tempo, a seguir e queste nuove regole, ma rifiuta radicalmente di imporle, con qualcuno dei numerosi procedimenti e prestigi dell’autorità, a coloro che non ne vedono ancora l’interesse. Su di un punto preciso nondimeno egli è temuto, giustamente, da tutto l’ambiente artistico. Non accetta che qualcuno possa fregarsene di lui facendo finta di accettare quelle regole e poi utilizzandole come gettoni di un altro gioco: quello della mondanità, nel senso più lato – dell’accordo con il mondo dato. In casi simili, egli è senza indulgenza; e tuttavia si può dire che questi problemi di compromissione o di sottomissione si sono posti, un giorno o l’altro, come fine di quasi tutte le sue relazioni. Egli ha lasciato queste persone definitivamente. Ne ha trovate delle altre. È il motivo per cui quest’uomo di una generosità non comune si è trovato incasellato, nella mitologia mondana del dopoguerra, come l’uomo senza alcuna pietà.
3.4
In effetti Debord proprio per la sua rigorosa coerenza non ha fatto altro che ritornare continuamente, anche se a livelli diversi, sugli assunti di fondo che caratterizzarono la sua eroica avventura lettrista degli anni ’50, quando già aveva tracciato un cerchio  di demarcazione tra lui- e i suoi quattro amici- e la società del tempo ritagliando il suo ruolo.
I giochi più belli dell’intelligenza non sono niente per noi. L’economia politica, l’amore e l’urbanismo sono dei mezzi che dobbiamo dominare per la risoluzione di un problema che è anzitutto di ordine etico. Niente può dispensare la vita dall’essere assolutamente appassionante. Noi sappiamo come fare. Nonostante l’ostilità e le falsifica­zioni del mondo, i partecipanti ad un’avventura temibile da tutti i punti di vista si rassomigliano, senza indulgenza. Consideriamo  generalmente che al di fuori di questa partecipazione non c’è modo onorevole di vivere. (Potlach 17-18 1985 1996).
E successivamente esplicita che
quasi  tutto quel che succede nel mondo suscita la nostra rabbia e il nostro disgusto, tuttavia sappiamo sempre di più divertirci di tutto (Potlatch 156 in A. Jappe cit.).
Si è potuto anche  parlare, a proposito di Debord, di un’estetica della sconfitta con riferimento al fatto che “quasi che ogni successo contenga un elemento di insopprimibile volgarità” (M. Perniola 1998): ciò che, in gran parte, giustifica la sua polemica contro i pro-situ.
 
4-  Le risposte invertite della storia
4.1
Abbiamo visto come il manuale  di B. Graciàn, un autore-guida di Debord, sia divenuto una lettura classica per i manager USA. Questa  è  una di quelle  situazioni per cui le domande di Debord hanno ricevuto dal capitalismo delle risposte invertite .
Allo stesso modo le teorie debordiane sono fatte proprie dal marketing di aziende  (Negozi Hollister ecc. – M. D’Ambrosio 2008), la deriva  è  sperimentata ed istituzionalizzata da Facoltà di Architettura romane e torinesi  ed è presente in alcuni format TV  nei  quali vengono costruite situazioni emozionanti  da attraversare.
Il gruppo Luther Blisset  (oggi Wu Ming), anche, ha fatto la sua parte (P. Stanziale 1998) con le relative denigrazioni e con critiche di cui qualcuna, a nostro avviso, fondata.
Che dire poi  di quel gigantesco dètournement  pervasivo che  prende il nome di postmoderno, figurazioni che assemblano stili  precedenti secondo un progetto ludico,  partecipando ad uno spettacolo globale, ad un immenso “simulacro immaginifico” (F. Jameson 1994) tra stereotipizzazioni e nostalgie.
4.2
I parchi a tema, i villaggi disneyani, i villaggi-outlet cos’altro sono se non  progetti paradossalmente deturnati dell’urbanismo unitario…
4.3
E le vedette, poi, di cui parla Debord nella Sds, fenomeno che nel tempo si è ampliato fino a riempire, ai nostri giorni, interi pomeriggi di trasmissioni televisive in cui storie ed ambiti  privati di veline e di personaggi dello spettacolo vengono scrutati con dovizia di particolari anche creando artificiose situazioni in cui  queste persone sono costrette a muoversi ed agire, universi in cui queste vedette spesso  perdono ogni forma di decoro personale in nome di un finto realismo spettacolare.
4.4
Queste solo alcuni esempi di risposte invertite della storia alle domande debordiane (vedi anche G. Agamben 1999), un percorso che giunge fino ad una spettacolarità integrata che può assumere varie forme: si va dalla strategia del terrorismo-spettacolo (R. Massari 2002)- che consente alle classi di potere, nei vari paesi dell’imperialismo, di ridisegnare l’ordine mondiale in funzione dell’interesse delle multinazionali- sino a un voyeurismo televisivo generalizzato, in cui la fiction si installa sempre più nella realtà, sotto l’occhio onnipresente delle telecamere, confermando ulteriormente l’Hegel deturnato debordiano per cui “il vero è un momento del falso”  (G. Debord 2002).
4.5
Ma le  intuizioni debordiane- come sottolineato da più parti- avvenivano in un momento in cui anche il capitalismo stesso stava cambiando- secondo quanto aveva scritto Marx sul fatto che il capitalismo è fondato sul cambiamento (innovazioni produttive, produzione di nuove merci, ricerca di nuovi mercati ecc.). Un cambiamento che, facendo sue  tutte le innovazioni emerse nelle varie aree della conoscenza, procedeva alla realizzazione di nuovi assetti economico-produttivi (vedi punto 4.8). Rispetto a questo andamento l’IS si trovava in ritardo, come ammesso da Debord stesso, un andamento che vedeva  il potere procedere rapidamente nello sviluppo delle sue strategie di dominio corrispondenti ai nuovi  meccanismi economici.
4.6
Ne i  Commentari del resto Debord prende atto di tutto ciò e sottolinea una serie di fatti :
4.6.a- come in  Francia e in  l’Italia lo spettacolo integrato sia maggiormente presente rispetto ad altre nazioni, questo per una serie di parametri storicamente determinati; noi aggiungiamo che in Italia più che in Francia, venti anni di televisione commerciale (studi specifici sarebbero utili su questo argomento), hanno contribuito certamente  a quella mutazione di cui  Debord stesso parla (G. Debord 1997) a proposito di generazioni ormai fortemente sottomesse alle leggi dello spettacolo;
4.6.b- anche i cinque punti che Debord  indica nella Tesi V dei Commentari come parametri combinati propri dello spettacolare integrato trovano un’area di verifica proprio  nell’Italia degli ultimi decenni: la continuità di un rinnovamento tecnologico, l’alleanza e  la combinatoria  tra economia e stato nell’ambito di interessi di potere, il segreto generalizzato, affermato anche recentemente da un Presidente del Consiglio italiano, la falsificazione indiscutibile, rilevabile marcatamente in taluni universi di discorso, la scomparsa dell’opinione pubblica di cui si parla frequentemente ai nostri giorni, con le gravi conseguenze politiche connesse (scoperta recente e tardiva  di alcuni intellettuali italiani), il vero che diviene, in tali ambiti, una ipotesi;
4.6.c- un presente dilatato, con la rimozione del passato e con  l’eliminazione di ogni aspettativa per il futuro, è avvertibile in modo netto nella realtà delle società contemporanee, unitamente al  rifiuto della storia ed alla sua manipolazione, situazioni denunciate da Debord e rilevabili  nell’Italia di tempi recentissimi;
4.6.d- appare pure evidente il fatto che le democrazie nello spettacolo integrato- come quella italiana- presentano una fragilità di fondo  (Tesi  VIII) che ha come risvolto l’insofferenza per tutto ciò che è opposizione, domanda di cambiamento, critica  alle loro espansioni ed alle loro spettacolarizzazioni  mercantili.
4.7
Il monitoraggio debordiano dei Commentari continua con una serie di riflessioni che vanno dalla critica all’eccesso di  predominio dell’economia- che tende a perdere di vista l’umano (tema caro a S. Ghirardi – 2005)- alla delineazione di una società della sorveglianza e dell’incertezza, alla mafia che si presenta come modello organizzativo nello spettacolo integrato, al ruolo dei servizi segreti nel  terrorismo. Le ultime pagine dei commentari trattano della recente storia europea  e di come lo spettacolo abbia cambiato l’arte di governare (Tesi XXXII)  e di come ci sarà un ricambio  nella classe cooptata che gestisce il  potere, nell’epoca della spettacolarità compiuta, verso nuovi sofisticati traguardi di dominio- ciò che si è puntualmente realizzato.
4.8
In effetti  ci sembra che si possa dire che l’intellettuale d’avanguardia Debord nella seconda metà degli anni ’60, attraverso i percorsi cui abbiamo accennato nei punti precedenti, abbia individuato genialmente l’andamento di alcune direttrici sociopolitiche  delle società capitalistiche avanzate – con annesse strategie di nuove e più pervasive forme di  asservimento- ed abbia reagito al suo meglio, strutturando con altri compagni di viaggio, un nucleo teorico-critico rivoluzionario nell’ambito di un movimento, quello del ’68, che in varie nazioni contestava il capitale, l’imperialismo e la burocrazia (R. Massari 1998), esigendo cambiamenti radicali dal punto di vista socioculturale e politico.
Noi pensiamo anzitutto che occorra cambiare il mondo, vogliamo il cambiamento più liberatore della società e della vita in cui siamo compressi. Sappiamo che questo cambiamento è possibile con azioni appropriate.
Nostro compito è precisamente l’impiego di certi mezzi d’azione e la scoperta di nuovi, più facilmente riconoscibili, nel dominio della cultura e dei costumi, ma applicati nella prospettiva di un’azione reciproca di tutti i mutamenti rivoluzionari.
Ciò che si definisce cultura, riflette, ma anche prefigura, in una data società, le possibilità d’organizzazione della vita.
La nostra epoca è caratterizzata fondamentalmente dal ritardo dell’azione politica/rivoluzionaria sullo sviluppo delle possibilità moderne di produzione che esigono un’organizzazione superiore del mondo.
Viviamo una crisi essenziale della storia, in cui ogni anno si pone più nettamente il  problema del dominio razionale delle nuove forze produttive e della formazione di una civiltà su scala mondiale. (G. Debord 1957).
Ciò tenendo presente quanto Marx aveva scritto nel Manifesto delineando profeticamente le future dinamiche  del capitalismo.
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condi­zione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l’immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della pro­duzione, l’ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l’incertezza e il movimento eterni contraddistin­guono l’epoca dei borghesi fra tutte le epoche preceden­ti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di po­tersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporati­vo e di stabile, viene profanata ogni cosa sacra, e gli uo­mini sono finalmente costretti a guardare con occhio di­sincantato la propria posizione e i propri reciproci rap­porti.
Il  bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.
 Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghe­sia ha dato un’impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto i piedi all’in­dustria il suo terreno nazionale, con grande rammarico dei reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tut­te le nazioni civili, da industrie che non lavorano più soltanto materie prime del luogo, ma delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo nel paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bi­sogni, soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bi­sogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e di scambio universale, un’interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la produzione materiale, così per quella intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene comune. (K. Marx F. Engels (1848)  1998- vedi anche punto 4.5) .
4.9
La storia ha  confermato molte delle intuizioni critiche debordiane essendo queste la percezione di un naturale sviluppo del capitalismo spettacolista avanzato il quale ha anche utilizzato alcune di esse – come abbiamo visto-  invertendone ovviamente la polarità secondo i suoi disegni di guadagno economico e di neutralizzazione della critica. In ogni caso restiamo sempre,  nella teoria situazionista per la quale  il potere si limita a recuperare, non riuscendo ad inventare nulla.
Anche se Debord, poi,  ammette l’esistenza di una arretratezza dell’azione politica (vedi punto 4.5) rispetto alle mutate forme produttive- ed al loro dominio- è pur vero che le sue teorie certamente rappresentano una delle poche narrazioni dell’epoca contemporanea all’altezza del problema (G. Agamben 1999).
  
5- Firewall, ideologie e dissolvenze
    
5.1
Un dato di fatto  è che lo scioglimento nel popolo dell’IS  si presenta coerentemente con l’inizio e con gli sviluppi dei suoi assunti pur prestando il fianco ad una serie di critiche.
Vanno opportunamente considerate alcune situazioni.
5.1.a- La storia dell’IS dal 1957 in poi è storia di scomuniche, di espulsioni, di settarismo: gioca qui il suo ruolo l’eredità surrealista ma anche è necessario tener conto di quanto ha scritto A. Jorn ( 1964 cit. vedi 3.3) a proposito di Debord.
5.1.b- Il Situazionismo si è sempre presentato come una pratica teorica a cui Debord ha posto sempre direttrici analitiche  proprie ispirate ad  una rigorosa ortodossia.
5.1.c- Sono emerse  evidenti scollature fra teoria e prassi, con la palese mancanza di condizioni effettivamente rivoluzionarie dopo il Maggio francese.
5.1.d- Come sostiene Gianfranco Marelli (1996)
L’Internationale Situationniste incarrnò questa sfida sul cambiamento e la condusse sino alle estreme conseguenze.
5.1.e- I Situazionisti spesso scivolarono nell’autocontemplazione tendendo ad esagerare la loro influenza  sugli eventi del maggio francese.
5.1.f- Altra imputazione  all’IS è quella relativa  ad una  critica della quotidianità che non aveva tenuto conto del fatto che
I profondi cambiamenti avvenuti nei primi anni ‘60 avevano lasciate irrisolte le domande sul futuro assetto sociale del sistema capitalistico, non tanto riguardo alla classe proletaria ed al suo ruolo nella società, quanto piuttosto nei confronti degli strati intermedi schiacciati sempre più dalla proletarizzazione delle funzioni intellettuali e burocratiche attuate dallo sviluppo economico capitalista. (G.F. Marelli cit.).
5.1.g- In ogni caso dopo il maggio ‘68 l’IS divenne molto popolare. Molte persone, seguendo un certo vezzo intellettuale, cominciarono a definirsi situazionisti e molti cercarono di entrare a far parte dell’IS.
5.1.h- A Venezia nel 1969 l’8a Conferenza dell’IS  vede il massimo del successo. In tale occasione per arginare la pressione dei pro-situ viene adottato un nuovo statuto in cui viene affermato che l’IS
è un’associazione internazionale di individui uguali in tutti gli aspetti della sua gestione democratica [...] le decisioni della maggioranza vengono eseguite da tutti, la minoranza ha il dovere di scindersi se pensa che l’opposizione sia su una questione fondamentale (G. Debord G. Sanguinetti 1999).
5.1.i- L’11 novembre 1970 Debord dichiara di voler  lascire  l’IS. Vaneigem si dimette tre giorni dopo. Nel 1972 Debord e Sanguinetti, i due soli membri superstiti dell’IS, pubblicano  La veritabile scission.
(In ogni caso, dopo, Debord continuò  poi ad attribuire all’avanguardia  IS un ruolo strategicamente valido in senso prerivoluzionario, intendendo con ciò  la messa in atto di una pratica teorica di critica radicale delle società  capitalistiche moderne anticipatoria di una possibile rivoluzione).
5.l.l – A questo punto Debord, esperto stratega, comprende che:  a) la situazione gli è, in qualche modo, sfuggita di mano, b) è necessario storicizzare opportunamente la fine dell’IS attraverso una narrazione in cui emerga il ruolo fondamentale dell’IS nell’ambito del maggio francese e l’evidente successo internazionale delle sue tesi, c) è possibile quindi affermare che ormai il popolo ha assimilato le teorie situazioniste (“.. la teoria dell’IS è passata nelle masse..”  tesi 22 – G. Debord G. Sanguinetti 1999) per cui l’IS ha assolto il suo compito e, coerentemente con la sua pratica teorica, eliminare ogni possibilità che l’IS divenga  la cosa situazionista con la relativa ideologizzazione. In effetti si era giunti ad un punto di non-ritorno per cui continuare con l’IS avrebbe implicato la presenza di un potere – con annessa ideologia (vedi punto 1.6) – all’interno del movimento. Ciò che adombrava negativamente  il movimento dei pro-situ, i quali
sono stati i ‘primi disinformatori’, perché dissimulavano il più possibile le manifestazioni pratiche attraverso cui si era affermata la critica che sostenevano di condividere; e, senza farsi scrupolo di indebolire l’enunciato, non citavano mai niente o nessuno, per dare l’impressione di aver trovato qualcosa da sé stessi..  (G. Debord 1997).
5.1.m- Malgrado l’ironia dei lutherblissettiani- che definiscono “kitch e un’occasione mancata” (1995) le Tesi sull’Internazionale situazionista e il suo tempo di Debord e Sanguinetti (firma congiunta voluta da Debord come omaggio a Sanguinetti – G. Debord 1999 2007)- il documento in questione risente certamente di quanto abbiamo indicato in precedenza ma presenta alcuni  punti che, tra altri, vanno sottolineati.
5.1.m.a- Debord afferma che le teorie dell’IS
hanno espresso ‘il movimento reale che abolisce le condizioni esistenti’, e ha saputo esprimerlo; ha cioè saputo cominciare a far comprendere alla parte soggettivamente negativa del processo, al suo ‘lato cattivo’, la sua propria teoria sconosciuta… non si tratta di una teoria dell’IS ma della teoria del proletariato.. (tesi 3).
5.1.m.b- Il movimento delle occupazioni, intese come coscienza situazionista della storia, rappresenta, per Debord, l’abbozzo di una pratica della rivoluzione  (sulla scorta della lotta di classe in corso, a quel tempo, nelle periferie di Los Angeles), ovvero il momento in cui “una generazione ha iniziato ad essere situazionista”  (tesi 7).
5.1.m.c- Debord rileva che
oggi l’inquinamento e il proletariato sono i due lati concreti della critica dell’economia politica. Lo sviluppo universale della merce si è interamente verificato in quanto compimento dell’economia politica, cioè in quanto ‘rinuncia alla vita’ (tesi 17).
E denuncia il fatto che l’economizzazione delle risorse naturali ha mostrato il male economico. Inoltre nocività e malattie connesse con la produzione sono sempre più frequenti e troppo care per il sistema mercantile. L’incompatibilità, infine, tra rapporti di produzione e forze produttive, nelle sue punte massime, comporta un deterioramento sempre più marcato di tutte le condizioni di vita (tesi 17).
5.1.m.d- Nelle tesi 36 e 37 i quadri della società borghese,  con le loro inquietudini, i loro comportamenti, la loro mancanza di una coscienza dell’asservimento alla droga spettacolare e la loro quotidianità,   vengono  descritti in modo efficace e rimandano alla contemplazione dei pro-situ ed alla propagazione  di quella “peste emozionale”,  connessa con lo spettacolare, di cui parla S. Ghirardi (2005) richiamando  W. Reich.
5.1.m.e- Nella tesi 43 si afferma che  “i situazionisti erano sulla breccia per combattere lo spettacolo, non per governarlo”, ciò contro il fatto che l’attaccamento all’IS e il riferirsi in qualche modo all’ambito situazionista potesse comportare  quella che si potrebbe definire una rendita di posizione  degna di riguardo particolare: ciò che non ha senso, scrive Debord, nell’azione rivoluzionaria (ma che acquistarà, successivamente,  senso referenziale e valore per impieghi in ambito mediocratico).
5.1.m.f- Nella tesi 32 Debord  esamina il meccanismo  per cui i pro-situ sono tali  perché si tratta di soggetti che rappresentano una  reazione  e una ricerca di riscatto rispetto alla loro condizione di immobilità reale. Essi  si beano dell’illusione  di possedere una teoria (quella situazionista ) che un giorno “li porterà alla terra promessa” attraverso una “scorciatoia turistica”, il che vuol dire, sottolinea Debord, che ormai il consumo spettacolare della radicalità ideologica è simile al consumo di tutte le altre merci spettacolari.
5.1.m. g- Debord scrive, infine,  che l’IS
non ha saputo dire tutto ciò che era, e non ha saputo essere tutto ciò che ha detto.. (tesi 49).
6- Verso  una economia politica dell’immaginario
 
6.1
Il situazionismo era il portato di un disagio intellettuale reattivo ad uno scenario socioculturale che vedeva forme di benessere coniugarsi con un progressivo impoverimento culturale e con una omologazione  consumistica che procedeva in modo esponenziale. Il situazionismo si proponeva quindi come una alternativa culturale avente come fine la creazione di una nuova società e l’affermazione di soggettività liberate.
…il programma situazionista… non propone agli uomini nessun’altra ragione di vivere se non la costruzione autonoma della propria vita. Questo implica non soltanto che gli uomini vengano liberati dai bisogni materiali, ma soprattutto che comincino a proiettare davanti a sé dei desideri, invece delle compensazioni attuali, che rifiutino tutte le condotte dettate dagli altri per reinventare continuamente la propria realizzazione individuale; che non pensino più che la vita sia il mantenimento di un certo equilibrio, ma che pretendano un arricchimento senza limite alle loro azioni. (P. Canjuers  G. Debord 1998)
6.2
La narrazione situazionista ebbe indubbiamente successo ma la sua spinta si infranse contro la massiccia affermazione del dominio capitalista in espansione, vittoria e sconfitta dunque- come affermato da molti- ma anche lo stabilizzarsi di un nucleo di teoria critica di riferimento, tappa importante di un itinerario  che, partito da lontano, deve essere ripreso e organicamente integrato con nuovi e più incisivi strumenti di analisi a fronte di scenari contemporanei stagliati sullo sfondo di reticoli schizoidi in cui il soggetto è frammentato,  risucchiato  tra forme di estetizzazione di massa ed edonismi mercificati, tra godimenti autoritari, esaltazioni narcisistiche ed esplosioni nichilistiche. Il tutto costituendo le nuove frontiere dello spettacolo che tende in modo sempre più pressante a saturare quella totalità che R. Vaneigem (1994)  in Banalità di base (Tesi 24) intende come “la realtà oggettiva nel cui movimento la soggettività può inserirsi sotto forma di realizzazione” e “là dove non vi è realizzazione  vi è lo spettacolo”.
6.3
R. Vaneigen in Banalità di base (cit.)  pone in evidenza il legame dialettico esistente tra quotidianità, sopravvivenza e spettacolo. Il tutto nell’area di un potere che a suo vantaggio stabilisce le regole del gioco.  Tra queste regole vi è l’organizzazione della vita come sopravvivenza (tesi 17), vi è la diffusione di paure, di  terrori, di  malattie, unitamente  alle relative  benevole terapie. Queste terapie spettacolari si attuano in modo soft: partecipazione apparente, forme di immaginario prefabbricato, identità fittizie. È lo spettacolo degli specialisti   che spiegano,  interpretano,  coinvolgono  e che innescano, alla fine, “l’isteria del mondo spettacolare” (tesi 20).
6.4
La vita quotidiana, nella sua povertà trova il suo riscontro nel vuoto dello spettacolo (tesi 29). Essa è stata sempre collocata al di sotto di una vita apparente sostenuta da miti. Ma alla fine quello che viene fuori è che più che vivere si sopravvive in un mondo in cui tutto si equivale, in cui spettacolo e vita quotidiana sono intercambiabili. Il tempo stesso è ridotto ad un presente pre-occupato e teso verso un futuro che si realizza come riproduzione del passato. Scrive Vaneigem che la vita ridotta a sopravvivenza costituisce il coronamento dell’alienazione (tesi 6)  e il lavoro come tale è misura di separatezza e di accettazione di una condizione servile che si è storicamente affermata. Ciò che rimane inalterato è la soddisfazione dei bisogni elementari, il resto rientra nel regno dell’alienazione senza fine, dei falsi bisogni e della eterna insoddisfazione.
6.5
Queste alcune situazioni che Vaneigem riscontra come costitutive delle realtà del capitalismo avanzato. Scenari che, come quelli debordiani, costantemente hanno accompagnato lo sviluppo  ed i cambiamenti del capitalismo relativamente  ai modi di produzione, fino al postmoderno con i suoi giochi di prestigio (P. Virno 1999) rispetto a cui il situazionismo è pure in grado di fornirci, attraverso la propria specificità (P. Virno cit.) di pratica della teoria, “le armi della  critica”- non divenute “la  critica delle armi” (G. Debord 1997)- ancora una modalità di  lettura produttiva e consapevole delle realtà contemporanee.
6.6
Il concetto di società dello spettacolo rappresenta indubbiamente un riduttore di complessità nell’articolazione di un comprensione critica dell’universo socio-politico attuale. Questo perché lo spettacolo- come abbiamo gia visto-  ha acquisito un valore strutturale con tutto ciò che ne deriva sia per l’economia del soggetto che per l’ambito sociale e politico. Il passaggio dalla società post-industriale alla società del dominio spettacolare ha avuto una duplice conseguenza: l’emergere di una diversa strategia di potere basata su parametri, che sono andati a modificare vari ambiti tra cui quelli  biologici, politici e comunicativi, e il fatto che tutto questo è avvenuto nel cuore stesso del sociale che il potere ha potuto ristrutturare secondo i sui nuovi indirizzi. Lo spettacolare integrato debordiano è stato il  risultato di questo stato di cose, riuscendo ad imporsi in modo autonomo e articolato divenendo una funzione vitale  costitutiva della volontà individuale.
6.7
La conseguenza di questa realtà di  dominio trova nel campo politico la  sua evidenza più devastante nella crisi della democrazia che, avendo perso quelle  connotazioni che la accreditarono pienamente nel mondo occidentale, presta, nella forma odierna, il fianco a tutta una serie di critiche verificabili. Tra queste due sono particolarmente significative: anzitutto  il fatto che la delega non garantisce in pieno la rappresentanza democratica (K. Popper 2003) e poi che  esiste uno sfasamento informativo per cui i cittadini non sempre sono in grado di acquisire una effettiva informazione politica (G. Edelman  M. Tononi 2000), ovvero non vi è un diffuso sapere che  si sviluppi  parallelamente allo sviluppo all’azione politica  (confermando ancora una volta le critiche debordiane dei Commentari). E questo unitamente al fatto che  la spettacolarità mass-mediale  veicola una informazione politica  caratterizzata da scoop ad effetto, parzialità, vuota razionalità, senza passioni civili (G. Sartori 2000).
6.8
D’altra parte la politica stessa nella sua spettacolarizzazione inevitabile si pone sul piano dell’intrattenimento, della pubblicità e della personalizzazione del potere, un piano in cui il video-leader più che trasmettere il messaggio è il messaggio (G. Sartori cit).  Il potere spettacolarizzato ha l’immagine del personaggio che lo esercita. Non sono le idee a contare, bensì chi le deve impersonare e come. Il connubio media-spettacolo-politica è certo un dato di fatto rispetto al quale un ritorno al passato appare piuttosto improbabile.
Pare dunque impensabile che si decida di rinunciare ad organizzare professionalmente, con strategie studiate fin nei dettagli, le modalità di comunicazione con i mass media e, attraverso questi, con l’opinione pubblica (C. Crouch 2003). La politica-spettacolo comprendendo ciò che è personalizzazione mediale ha messo in discussione quella cultura che era alla base del fare politica in senso tradizionale. In questo scenario postdemocratico (C. Crouch cit.) hanno naturalmente avuto la meglio  partiti  e formazioni che non erano legati alla tradizione cattolica o marxista e che si sono  rapidamente attrezzati  per  rispondere efficacemente ai nuovi bisogni (in parte indotti) che stavano emergendo.
6.9
Quelle sopra-accennate sono solo alcuni aspetti delle strategie comunicative costitutive  della politica nell’epoca dello spettacolo “integrato” con i suoi picchi di “concentrazione” e con la sempre più compiuta   “diffusione” (G. Debord 1997). L’obiettivo è quello di una penetrazione continua e strumentale nell’immaginario da parte dell’ideologia del potere. In tal senso strumento di importanza strategica fondamentale della società dello spettacolo nella nostra epoca  è la televisione. Nella tesi 18 della Sds Debord  descrive in modo preciso il far vedere che ben si attaglia alla fenomenologia televisiva della nostra epoca e nei Commentari, alla tesi X,  partendo dalla non-logica che regola lo spettacolare integrato, mostra come certa metodologia spettacolare  si serva della  strumentazione tecnica per giungere alla psicologia di massa della sottomissione.  Questa tesi critica in modo radicale il mondo dell’informatica con i suoi codici e le sue mitologie. Ma è il mondo delle immagini che viene preso di mira in modo diretto.
Il flusso delle immagini travolge tutto, e analogamente è qualcun altro a decidere a suo piacimento questa sintesi semplificata del mondo sensibile; a scegliere dove andrà la corrente e anche il ritmo di ciò che dovrà manifestarsi in essa, come eterna sorpresa arbitraria, senza voler lasciare tempo alla riflessione, e prescindendo completamente da ciò che lo spettatore ne può capire e pensare. In questa esperienza concreta della sottomissione permanente sta la radice psicologica dell’adesione così generale a ciò che è presente; adesione che arriva a riconoscergli ipso facto un valore sufficiente. Ovviamente il discorso spettacolare tace, oltre a ciò che è propriamente segreto, tutto ciò che non gli conviene. Isola sempre da ciò che mostra la cornice, il passato, le intenzioni, le conseguenze. Quindi è totalmente illogico. Dato che nessuno può più contraddirlo, lo spettacolo ha il diritto di contraddirsi da sé, di rettificare il suo passato.  (G. Debord 1997).
Quanto scrive Debord nel 1992 ci rimanda direttamente al flusso delle immagini televisive, al primato delle immagini nella comunicazione globalizzata (A. Drinceanu 2005). Tale flusso produce  “..il prevalere del visibile sull’intelligibile che porta ad un vedere senza capire..” (G. Sartori 1999). È il prevalere del consumo delle immagini rispetto alla conoscenza razionale, la televisione stabilizza il potere dell’immagine rispetto alla comunicazione scritta e parlata.
In questo mondo rovesciato lo spettacolo–merce oltre ad essere separazione  è anche scissione all’interno del soggetto secondo quanto aveva già scritto Debord e secondo la teoria lacaniana del soggetto cui abbiamo precedentemente fatto riferimento. Questa scissione, originata dal prevalere del vedere, come già accennato, a discapito delle altre forme sensoriali, delega la propria soggettività alla forma-spettacolo in maniera irreversibile (R. Massari 2008), abdica se stessa a vantaggio della proiezione dei propri sogni nello spettacolo gestito dal potere.
6.10
La società dello spettacolo, attraverso la televisone, attua quella che Sartori (1999) definisce una “mutazione antropogenetica”, producendo l’homo “videns”  che a differenza dell’homo sapiens è limitato nel pensiero razionale, difetta di  capacità di astrazione e di capacità simbolica, ha difficoltà, infine,  nel rappresentare attraverso il linguaggio. Si tratta del passaggio ad un “postpensiero a-logico”  senza capacità di connessioni, che ha immaginabili conseguenze negative e rischi per la democrazia. La televisione stessa, a questo punto, rappresenta, di fatto, un quarto potere svuotato della sua funzione di controllo e denuncia (A. Drinceanu cit.) e, tutto sommato, funzionale ad un capitalismo globale di mega-aggregazioni finanziarie di dimensioni imperiali che controllano quasi tutto l’universo dei media, dai giornali al cinema, alla musica, interessate alla veicolazione di una edulcorata  cultura-merce.
6.10.1
Esito attuale  della società dello spettacolo è la “spettacolarizzazione dell’interiorità” come scrive da U. Galimberti (2008). La televisione, con la spettacolarizzazione dell’interiorità, ha fatto crollare quel diaframma che separava l’interiore dall’esteriore, l’intimo dalla sua spettacolarizzazione. Galimberti  sottolinea il fatto che la “pubblicizzazione dell’intimo” è pertinente alla “mostra delle merci”, al mostrare in cui i soggetti esistono in quanto esibiscono la loro interiorità di là da ogni pudore. Nella società dello spettacolo televisivo l’essere è fondato  dall’apparire, un apparire che nel suo spettacolarizzare  sentimenti e  sensazioni contribuisce, tutto sommato, alla vittoria di una omologazione  in cui le soggettività sono completamente soggiogate. Si assiste poi al fatto che, in certi format, persone in  condizioni-limite sono portate a  spettacolarizzare non la loro normalità ma le loro “patologie” (U. Galimberti cit.): si tratta della nuova  frontiera della degradazione  spettacolare che pure ha un  suo nutrito pubblico il quale vede rispecchiate in questi format le proprie vicissitudini  quotidiane anche le più banali (vedi anche punto 6.18.a).
6.11
Per quanto riguarda la teorie della Società dello spettacolo alla prova dei nuovi esiti del capitalismo contemporaneo, nella prospettiva di delineare una possibile economia dell’ immaginario, è necessario fare alcune premesse.
6.11.1
Nell’era del capitalismo cognitivo e della produzione dell’immateriale, corrispondente alle modalità produttive postfordiste, troviamo  un sistema di accumulazione nel quale il valore produttivo del lavoro intellettuale e immateriale diviene dominante, prevale la rendita finanziaria e la conoscenza si trasforma in merce. In tale ambito sono da segnalare tre situazioni  significative:
- si delinea un andamento schizoide per cui da un  parte, funzionale al sistema è la presenza di una massa omologata di persone asservite, poco critiche e soprattutto turbo-iper-consumatori, da un’altra vediamo che il sistema necessita di una crescente quantità di forza-lavoro cognitiva/creativa in grado di articolare una economia della conoscenza all’altezza del nuovo capitalismo cognitivo;
- la potenzialità emancipativa  del general intellect, intesa come produzione collettiva e condivisa di conoscenza, viene soffocata dallo sviluppo del capitalismo cognitivo che cerca si subordinarla ai propri interessi ( A. Gorz 2003).
6.11.2
Va inoltre rilevato il fatto che vari autori (tra tutti  Gorz cit.) individuano nell’orizzonte di questo capitalismo dell’immateriale il fatto che il sapere diviene merce in quanto
le competenze e i procedimenti possono essere trasmessi o formalizzati anche separatamente, da chiunque ne faccia uso; possono essere trascritti in forma digitale e informatizzati per fini produttivi senza alcuna apporto umano aggiuntivo. Da questo punto di vista, il sapere è capitale fisso, è mezzo di produzione. Ma rispetto ai mezzi di produzione del passato presenta una differenza determinante: è riproducibile, praticamente a costo zero, in quantità illimitata. Per quanto possano essere state costose le ricerche alla sua origine, il sapere digitalizzabile tende a diventare accessibile e utilizzabile a costo zero. ( A. Gorz. cit. ma vedi anche J.  Rifkin 2001).
Per quanto riguarda la conoscenza invece
Consideriamo innanzitutto le capacità artistiche, la fantasia e la creatività, molto richieste nell’ambito pubblicitario, nel marketing, nel design, nell’innovazione, dato che riescono a conferire alle merci -anche a quelle più comuni – un valore artistico, simbolico e incomparabile. La pubblicità e il marketing costituiscono una delle maggiori – anzi probabilmente la maggiore industria cognitiva:   nella misura in cui attribuiscono alle merci qualità uniche e incomparabili, le imprese possono vendere i loro prodotti, almeno per qualche tempo, a prezzi maggiorati. Detengono una sorta di monopolio, e si procurano così una rendita monopolistica, aggirando temporaneamente la legge del valore; in altri termini, frenano il calo del valore di scambio delle merci, anche se queste vengono prodotte a costi sempre minori in termini di ore di lavoro e di personale. (A. Gorz cit.).
6.12
Il testo di Gorz già ci rimanda ancora  allo  spettacolare di Debord e Vaneigem. Quell’area di comunicazione, conoscenza, intelligenza  e creatività, che non può essere trattata dalle macchine ma richiede la “cooperazione di esseri viventi”  (P. Virno 1999). Questa area si presenta nel capitalismo dell’immateriale in  forma reificata  mostrando che lo spettacolo assume un eclettismo ed una flessibilità in grado di manipolare la potenza sovversiva del general intellect (non coprendo però tali strategie tutto il general intellect,  ne resta pur sempre una parte che non può essere utilizzata dal sistema).
6.13
Le tecnologie informatiche, a loro volta, sono tra i fattori principali  dell’economia dell’immateriale  e si presentano, per l’assunzione di talune direttrici tecnologico-comunicative, come uno degli  effetti collaterali della società dello spettacolo (P. Stanziale 2001), responsabili di un universo  in espansione in cui l’aspetto decontestualizzante, il qualunquismo culturale e la chiacchiera spettacolarizzata  si connettono a quella economia del soggetto per cui l’ordine simbolico interagisce con l’immaginario nell’ambito di una processualità di cui ci occuperemo più avanti.
6.14
I principali ambiti strategici attraverso cui l’economia dell’immateriale principalmente opera e si realizza- e con cui viene  messo ulteriormente alla prova il concetto di società dello spettacolo (con richiami all’economia dell’immaginario)- sono: l’industria culturale, la pubblicità e il marketing.
6.14.a- Non ci soffermeremo molto sull’industria culturale quale si presenta ai nostri giorni perché il discorso ci porterebbe lontano ed esulerebbe dall’economia delle presenti note.
Vogliamo accennare al fatto che, rispetto agli scenari dell’epoca di  Adorno e Horkheimer, l’industria culturale attuale si presenta naturalmente molto più complessa, più diffusa e pervasiva e con un alto livello di sofisticazione, di contro però resta sempre di grande attualità l’impianto critico- con  le sue articolazioni-  presente nella terza parte di Dialettica dell’Illuminismo relativamente ai contenuti  tecnologico-repressivi dell’industria culturale  ed alle sue  implicazioni di ordine psicologico-sociale.
6.14.a.a- È utile anche sottolineare il fatto che l’industria culturale è una industria che fornisce norme, simboli, miti ed immagini che l’individuo interiorizza. Essa si serve  di scambi intellettuali, di proiezioni e  di identificazioni  relativamente a simboli, a miti ed immagini della cultura. L’industria della cultura fornisce  punti di riferimento  pratici alla vita immaginaria attraverso cui i soggetti strutturano una parte importante del proprio essere  (E. Morin 1963). Essa si presenta basata: sull’innovazione continua (vedi il punto 6.11), sulla convergenza integrata di vari linguaggi (H. Jenkins 2007), quotidiana, nella sua continuità, interattiva e/o partecipativa  a seconda dei vari ambiti comunicativi, globale. In Italia, in particolare, l’industria culturale vede la convergenza  tra potere politico e potere mediale: si tratta, in altri termini, di quel laboratorio avanzato di sperimentazione di nuove forma di dominio di cui parlava Debord nei Commentari. Ciò che ci conduce al fatto che l’industria culturale come tale è ideologia o  meglio  ideologia in forma di merce che trova nella società dello spettacolo il suo habitat naturale secondo i meccanismi di massima  teorizzati da Debord.
6.15
Il marketing- e la pubblicità, che ne è una parte come promozione del prodotto- sono le aree principali dell’economia dell’immateriale.
6.15.a- Il marketing si presenta con tecniche sempre più sofisticate (tra le ultime quella del marketing esperenziale) tendendo a quel  marketing virale di cui parla W. Gibson (2005) in un suo romanzo. Questa affermata tecnica assume, nel capitalismo del terzo millennio, quasi l’aspetto dell’heideggeriano  compimento della metafisica nel suo essere parte di una diffusa strategia di controllo e di dominio che vede   l’uomo è ridotto a risorsa disponibile, sfruttabile e manipolabile.
Nell’epoca del capitalismo cognitivo le strategie di marketing hanno strutturato un’economia basata sulla domanda. Ciò significa che il soggetto viene posto sempre più al  centro dell’attenzione nello sviluppo di consumi che vedono il soggetto stesso come iperconsumatore con l’affermarsi  di un’ethos consumeristico che mira a orientare continuamente  i comportamenti umani.
Il marketing, quindi, orientato verso la cultura di massa, vede l’affermarsi dei consumi emotivi, il turboconsumerismo, il formarsi di società edonistiche, l’ossessione della performance. Si giunge infine ad un homo felix “che ormai ha la felicità a portata di mano..” (G. Lipovetsky 2007 cit.). Un percorso, questo che ha sempre nuove prospettive avanti a sé a misura, appunto, di marketing e in cui il feticismo della merce, il desiderio, l’immaginario e l’economia sono strettamente collegati. Le nuove frontiere dell’alienazione (spettacolare)  vedono il consumo come una fuga dalla banalità quotidiana, vedono la costruzione di identità attraverso la merce, vedono  il consumo ormai come una “trascendenza della soggettività, il sogno di una eterna giovinezza” (G. Lipovetsky cit.).
Ci sembra invece che  tutto ciò, oltre ad essere il prodotto di decenni di marketing e di conseguente colonizzazione del desiderio  e del relativo immaginario (J. Lacan 1974 – S. Latouche 2004), sia  anche un esito attuale della società dello spettacolo che richiama direttamente alcune tesi debordiane: 1) mostra il livello “di subordinazione dei viventi all’economia”  (Sds tesi 16), ed è il suo “monologo elogiativo” (tesi 24), 2) verifica la tendenza della merce ”all’occupazione totale della vita sociale” (tesi 42), 3) rileva “il desiderio di dormire” della società di cui l’universo spettacolista delle merci è ”il guardiano” (tesi 21).
6.15.b- La pubblicità come comunicazione, con la sua funzione ideologica,  è una delle forme culturali dominanti (R. Sassatelli 2004).
Nota Baudrillard che
La pubblicità e la propaganda acquistano tutto il loro vigore a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre e dalla crisi mondiale del ’29. Entrambe sono linguaggi di massa, nati dalla produzione di massa delle idee o delle merci, i cui registri, prima separati, tendono progressivamente a ravvicinarsi.
E che
ciò che stiamo vivendo è l’assorbimento di tutti i modi virtuali d’espressione in quello della pubblicità. Tutte le forme culturali originali, tutti i linguaggi specifici sprofondano nel modo d’espressione della pubblicità, poiché esso è senza profondità, istantaneo e istantaneamente dimenticato. Trionfo della forma superficiale, minimo comun denominatore di ogni significazione, grado zero del senso, trionfo dell’entropia su tutti i tropi possibili. Forma più debole di energia del segno. Questa forma inarticolata, istantanea, senza passato, senza avvenire, senza metamorfosi possibile, poiché è l’ultima e ha potere su tutte le altre. Tutte le forme attuali d’attività tendono verso la pubblicità, e la maggior parte di esse vi si esaurisce. Non si tratta necessariamente della pubblicità nominale, quella che si produce come tale – ma della forma pubblicitaria, quella di un modo operativo semplificato, vagamente seduttivo, vagamente consensuale (tutte le modalità vi sono mescolate, ma in un modo attenuato, indebolito). Più generalmente, la forma pubblicitaria è quella dove tutti i contenuti particolari si annullano nel momento stesso in cui possono trascriversi gli uni negli altri, laddove la caratteristica degli enunciati “pesanti” e delle forme articolate del senso (o dello stile) è di non potersi tradurre reciprocamente, così come le regole di un gioco. (J. Baudrillard 1994)
La pubblicità fornisce continuamente supporti alla metonimia del desiderio il quale è preda di opportune e strumentali strategie estetico-spettacolari, tutto in una spirale senza fine. La pubblicità traduce i beni  in immagini, in simboli che, a loro volta richiamano la merce con un continuo gioco di rimandi (W. Gibson cit. e F. Carmagnola 2006) in cui il prodotto tende a perdere d’importanza a vantaggio della commercializzazione. Dinamica, questa,  propria di un affermato  regime del segno-valore della merce, terzo stadio strutturale dopo il naturale valore d’uso e il mercantile valore di scambio (J. Baudrillard 1974). Questi beni simbolici partecipano ad un universo sociale e retorico (A. Appadurai 1996) in cui  il marxiano rapporto tra struttura e sovrastruttura diviene fluido nel quadro di una economia culturale globale basata  su disgiunture  relative a flussi culturali tra cui  il mediorama  relativo a
’mondi immaginati’, cioè mondi multipli che sono costituiti dalle immaginazioni storicamente situate di persone e gruppi sparsi intorno al globo… forme che caratterizzano il capitale internazionale (A. Appadurai in M. Featherstone 1996).
6.16
Homo videns, homo consumericus, homo felix, homo sucker infine (S. Žižek 2002) sono figurazioni che riguardano lo spossessamento, il desiderio, il consumo, la merce, il godimento e, infine, l’utopia della felicità (G. Lipovetsky  cit). In quest’ultimo universo si inserisce anche l’homo ludens, quello dell’espressività edonistica, il quarto uomo (P. Dell’Aquila 1995) quello che è stato post-materialista negli anni ’80 ed è il neo-materialista degli anni ’90: quello dell’affermazione ultima dell’Io narcisista che è però diverso dall’Io narcisista post-industriale. Tutte queste dinamiche rispecchiano le strategie di marketing ma sono inequivocabilmente sempre riconducibili all’economia, allo spettacolo, al feticismo della merce (nella sua evoluzione dal feticismo tradizionale delle merci al feticismo in cui la merce tende a perdere la sua consistenza materiale assumendo la consistenza di entità virtuale – S. Žižek 2004), in ultima analisi riconducibili  a quell’immaginario ed alla sua economia che proprio negli anni del Situazionismo aveva trovato vari interpreti (tra tutti C. Castoriadis 1975 e J. Lacan cit.). È proprio incidendo sull’immaginario dell’homo sapiens che si sono verificate le mutazioni cui abbiamo accennato. Questo  in relazione all’apparato economico, da una parte e, dall’altra, orientando comportamenti, opinioni e gusti. La società dello spettacolo come esito del capitalismo moderno è stata elemento strategico e risultato di questi processi.
6.17
Nel percorso verso una economia dell’immaginario, con i connessi risvolti politici- da intendersi come tassello di una coerente e innovata critica dell’economia politica-  troviamo la società dello spettacolo come  nodo teorico fondamentale ed imprescindibile. Il marxiano feticismo della merce, le immagini, il far vedere, si incontrano con  le traiettorie del desiderio nell’universo dell’immaginario sociale il quale consente quindi la lettura delle sue simbolizzazioni politiche e istituzionali.
Un primo risultato di questo approccio può essere un inquadramento critico delle ideologie (A. Mangano 1988) intese come visioni del mondo e ciò ci riporta ancora a Debord quando parla dello spettacolo come di “ideologia materializzata”.
6.18
A nostro avviso un  contributo fondamentale  alla definizione di una economia politica dell’immaginario,  di là dai riferimenti al rapporto tra struttura e sovrastruttura (M. Pezzella cit), è dato, ancora una volta,  da Lacan che, partendo dai registri soggettivi di immaginario, simbolico e reale (vedi punto 2.8.b), nel matema L individua quella economia (aperta) del soggetto che  è in grado di rendere conto sia delle dinamiche soggettive sia delle relazioni tra l’Ordine simbolico e il soggetto. Riprendendo questa teoria vediamo che il desiderio originario ed impossibile del  soggetto (ciò che si iscrive nell’ambito del reale) trova un suo appagamento sostitutivo nelle  relazioni immaginarie con cui struttura il suo Io. È in questa apertura necessitante che il soggetto trova  nel grande Altro  i supporti  funzionali alle sue relazioni immaginarie. E questo in una processualità senza fine. In questa teoria sono chiaramente presenti elementi utili per un approccio ad una economia dell’immaginario che si fa politica nella misura in cui il desiderio umano viene manipolato e il soggetto si presenta con un Io spossessato dalle realtà di  dominio dal potere/ordine Simbolico/grande Altro, realtà che comprendono le strategie connesse con la società dello spettacolo.
6.18.a- Avendo come punto di partenza i lacaniani registri del soggetto troviamo un’importante area di ricerca che, prendendo spunto dalle torsioni operate da Žižek su parte delle teorie lacaniane, si è sviluppata di recente anche con i contributi di vari studiosi italiani tra cui  M. Senaldi (1999 2003 2008), e F. Carmagnola (1999 2003 2006). Questi studiosi hanno strutturato un approccio all’economia dell’immaginario sul versante dell’estetica la quale è da tempo parte strutturale nei processi di valorizzazione della fiction economy (F. Carmagnola 2006).
Va rilevato in  questi studi che quello che si definisce il comportamento estetico (F. Carmagnola 2006)-  nel suo farsi  critico- e nel cercare di eludere sia  le strumentalizzazioni mediali che il  marketing virale- giunge a strategie (tricky) che presentano forti analogie con la deriva e il deturnamento debordiani.
6.19
Non è possibile escludere dal quadro degli esiti contemporanei della società dello spettacolo il contributo importante offerto dalla psicoanalisi lacaniana- cui ci siamo frequentemente richiamati- all’economia dell’immaginario con il concetto di godimento.  Questa jouissance  riguarda  ciò che va al di là del principio del piacere  ed è connessa con il   reale lacaniano.
Questo  perché  l’approccio psicoanalitico all’ideologia di dominio- nei suoi rapporti con la cultura di massa-  si presenta abbastanza esplicativo nella direzione di una visione politica dell’immaginario contemporaneo connesso con l’universo spettacolare, ciò che pure e emerso sul versante dell’estetica (punto 6.18.a).
6.19.a- Il  concetto di godimento trova la sua centralità in Žižek (2001 2004) che lo intende, con riferimento alla psicoanalisi lacaniana (Lust im Unlust), come oscuro supplemento superegoico, come dato proprio dell’ideologia, riscontrabile come la segreta oscenità presente nell’esercizio del potere- e delle relative forme di linguaggio, nei risvolti della cultura di massa e, quindi, nell’ambito dello spettacolare contemporaneo. Tenendo presente quanto scrive Žižek:
quand’è che io incontro l’altro nel Reale del suo essere… solo quando incontro l’altro nel suo momento di jouissance, cioè quando scopro in lui/lei un piccolo dettaglio- un gesto compulsivo, una eccessiva espressione del volto, un tic- che segnala l’intensità della realtà della sua jouissance …l’incontro con il Reale è sempre traumatico, c’è qualcosa perfino di minimamente osceno in esso.. (S. Žižek 1999)
ecco che, seguendo la metodologia žižekiana, troviamo, ad esempio, come il potere spettacolista televisivo si tradisca come godimento nel ghigno-sorriso involontario  che appare in alcuni momenti-clou spettacolari sul volto di una ideatrice-conduttrice di format d’intrattenimento pomeridiani. Personaggio proprio della videocrazia contemporanea, esperta  nell’organizzare artificiali cortocircuiti emozionali tra persone e nella spettacolarizzazione di continui  outing  di adolescenti che saranno famosi.  Questo emergere del godimento, nella teoria  lacaniana dei quattro discorsi (J. Lacan 1998), è proprio del discorso del maître in cui un significante-padrone (la presentatrice iscritta nell’ordine simbolico come espressione del potere) agendo nell’alterità spettacolare (espressione di un sapere), rimuove sia la produzione di godimento (objet petit a)- che però affiora-  che la sua verità di soggetto barrato (mancanza a essere).  Questa dinamica introduce la dimensione del godimento nella dimensione mediocratica della società dello spettacolo ma anche apre, in Žižek,  al rapporto tra cultura di massa e Ordine Simbolico. Sullo sfondo della società dello spettacolo tale  rapporto si presenta nel quadro di una complessa processualità nella quale la cultura di massa rappresenta l’immaginario del Simbolico che, nel  suo farsi godimento, tradisce il Reale del Simbolico mostrandone  le oscenità di fondo (S. Žižek cit.). Il godimento allora, come reale del Simbolico rivela l’altro lato di questo,  le  modalità di mascheramento del suo vuoto costitutivo.
6.19.b- Su questo percorso troviamo anche una lettura žižekiana del crollo delle Torri Gemelle dell’11 settembre che coincide in parte con l’analisi di Baudrillard  e Morin (2004). Per il filosofo di Lubiana si tratta di un affare interno al capitalismo (S. Žižek 2002)  con il reale che buca lo spessore della serie delle fantasmatizzazioni mediali e diviene evento. Paradossalmente, sostiene Žižek, abbiamo che con questo evento  è la realtà che copia lo spettacolo aprendo un nuovo ciclo in cui
una superpotenza che combatte un misero paese deserto e che allo stesso tempo è ostaggio di batteri invisibili: questa, e non le esplosioni del WTC, è la prima immagine della guerra del XXI secolo. (S. Žižek cit.).
È  questo il deserto del reale che per Žižek si connette ad  altri scenari pertinenti all’epidemia dell’immaginario.  E  il fatto che  la realtà  si ispira allo spettacolo costituisce una inversione che, pure a livello di comportamenti sociali ed a livello linguistico, è ampiamente rilevabile  e riferibile  a quanto affermava Debord  (che Žižek-  non cita  mai).
Lo spettacolo….. è piuttosto una Weltanschauung divenuta effettiva, materialmente tradotta.. (G. Debord Tesi 5 Sds).
..lo spettacolo costituisce il modello presente della vita socialmente dominante  non è un supplemento del mondo reale, il suo sovrapposto ornamento. Esso è il cuore dell’irrealismo della società reale(G. Debord tesi 6 Sds).
(Trionfo dell’immaginario simbolizzato a misura di simbolico… direbbe Žižek)
Non si possono opporre astrattamente lo spettacolo e l’attività sociale effettiva; questo sdoppiamento è esso stesso sdoppiato. Lo spettacolo che inverte il reale è effettivamente prodotto. E nello stesso tempo la realtà vissuta è materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo, e riprende in se stessa l’ordine spettacolare, offrendogli un’adesione positiva. La realtà oggettiva è presente su entrambi i lati. Ogni nozione così fissata non ha per fondo che il suo passaggio all’opposto: la realtà sorge nello spettacolo e lo spettacolo è reale. Questa reciproca alienazione è l’essenza e il sostegno della società esistente. (G. Debord tesi 8 Sds).
6.20
Non proseguiremo nella direzione Lacan- Žižek  anche se   in quel percorso sono presenti spunti e teorizzazioni, oltre quanto abbiamo richiamato, riguardanti variamente  problematiche pure trattate nel presente lavoro. Spunti e teorizzazioni  che, in una prospettiva di ricerca più ampia, rappresentano certamente imprescindibili ambiti di riferimento per quella  economia politica dell’immaginario di cui  la società dello spettacolo debordiana rappresenta, riteniamo, uno dei  nuclei teorici  portanti.
6.20.a- Vogliamo quindi accennare  al narcisismo, effetto direttamente collegato alle dinamiche dello società dello spettacolo, ma anche portato dei vari ambiti del marketing. Il narcisista, come  scrive Pezzella (1996 cit.) è il soggetto che, nella società dello spettacolo, nell’apparire debordiano, è il più adeguato ad essere risucchiato dalla “fantasmagoria delle merci” (W. Benjamin 1986) e dalle loro euforiche offerte di possibilità e di metamorfosi. Si tratta di un Io indebolito che presenta un risvolto aggressivo proprio della psiche narcisista (J. Lacan cit.). Il narcisista è il soggetto dell’esperienza degradata e ipotrofica sul piano del reale, colui  in cui prevale la visione rispetto all’azione e alla riflessione. Il suo mondo è quello in cui  la restrizione dell’autonomia soggettiva si accompagna alla  progressiva perdita del principio di realtà (M. Pezzella cit.).
6.20.b- A questo narcisismo si accompagna, nella temperie della crisi attuale, il nichilismo come tragico sfondo culturale, esito del disincanto del mondo, che viene a chiudere un orizzonte di disagio che si è accentuato in questi ultimi anni contribuendo a far emergere le contraddizioni del sistema globale con le sue paure calcolate e le sue felicità fantasmatiche.  Un’epoca delle passioni tristi (M. Benasayag G. Schmit  2004 e U. Galimberti 2007) in cui il futuro-promessa è stato sostituito dal futuro-minaccia per cui il desiderio tende a bloccarsi in un presente in cui la libido narcisistica prevale sulla libido oggettuale in una diffusa, dominante insicurezza. In tale spazio hanno certamente buon gioco la regressione feticistica e le seducenti offerte  identificatorie dello spettacolare integrato.
6.21
Il quadro generale rimane, infine, quello che vede il dominio generalizzato dell’impresa che si propone come spettacolo globale di un ordine e di una logica che gli individui si trovano a condividere come attori dello spettacolo vincente.
6.21.a- L’impresa, come struttura costitutiva del potere imperiale (M. Hardt A. Negri cit.), è fondamentalmente comunicazione di massa nella società dello spettacolo. Tra le molte cose, ciò significa in primo luogo che la medialità spettacolare costituisce un ambito proprio della società del controllo come la intende Foucault (1978),  ovvero una società in cui s’instaura un nuovo paradigma di potere basato sulle
macchine che colonizzano direttamente i cervelli (nei sistemi della comunicazione, nelle reti informatiche ecc.) e i corpi (nei sistemi del Welfare, del monitoraggio delle attività ecc.) verso uno stato sempre più grave di alienazione dal senso della vita e dal desiderio di creatività. (M. Hardt. A. Negri cit..).
La medialità spettacolare, come esercizio del potere imperiale, opera quindi attraverso la merce che tende ad occupare il desiderio, attraverso la biopolitica (M. Foucault 1997) attraverso le tecnologie della comunicazione che veicolano saperi atti a fondare soggettività fittizie, ad alimentare bisogni e consensi verso la merce e l’impresa: uno spazio in cui il vero non ha più alcuna attrattiva.
Queste nuove servitù (A. Burgio 1994) – per cui più i servi si sentono padroni più affermano la loro condizione servile (P. Stanziale 2002 ) – trovano la propria spiegazione nella strategia del grande Altro lacaniano con le sue dinamiche, il suo ordine  e i suoi collassi.
6.22
La birra ha perso il suo sapore, sosteneva Debord.
E quindi, come in un suo film
Ventiquattro minuti di silenzio durante i quali lo schermo rimane nero.
Bibliografia
1947, A. Kojève, Introduction a la lecture de Hegel, Gallimard, Paris
1953,  G. Deleuze, Empirismo et subjectivité, PUF, Paris
1957, G. Debord, Sur la construction.. in  L. Caruso S. M. Martini 1975
1959, G. Debord, Sur le passage de quelques personnes à travers une assez courte unité de temps, in G. Debord 2004
1960, P. Canjuers e G. Debord, Il capitalismo, società senza cultura da Preliminari per una definizione dell’unità sul programma rivoluzionario, in G. Debord G. Sanguinetti 1999
1963, E. Morin, L’ industria culturale, Il Mulino, Bologna
1964, A. Jorn con questa frase apriva un saggio del  dal titolo Guy Debord e il problema del maledetto in G. Debord 2004
1967, R. Vaneigem, Banalità di base, De Donato, Bari
1974, J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino
1974, J. Baudrillard, Per una critica dell’economia politica del segno, Mazzotta, Milano
1975, E. Morin, Lo spirito del tempo, Meltemi, Roma
1975, C. Castoriadis, L’institution imaginaire de la societé, Seuil, Paris
1975, L. Caruso S. M. Martini, La rivoluzione culturale e i situazionisti, in Uomini e idee 1, Schettini, Napoli
1978, M. Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano
1978, J. F. Lyotard, Economia libidinale, Colportage, Firenze
1979, J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano
1982, J.  LacanRadiofonia Televisione, Einaudi, Torino
1985, G. Berréby, Documents relatifs  a la fondation de l’Internationale Situationniste,  Allia, Paris
1986, W. Benjamin, Parigi, capitale del XIX secolo, Einaudi, Torino
1991, B. Gracián y Morales, Oracolo manuale e arte di prudenza, a cura di Antonio Gasparetti – T.E.A, Milano
1993, G. Debord, Cette mauvaise réputation, Gallimard,  Paris
1993, G. Debord, Panégyrique, tome premier, Gallimard, Paris
1994, F. Berardi, Mutazione e cyberpunk, Costa & Nolan, Genova
1994, F. Jameson, Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano
1994, R. Vaneigem,  Internazionale  Situazionista,  8/42 1963, Nautilus, Torino
1994, J. Baudrillard, Il sogno della merce,  Lupetti, Roma
1994, A. Burgio, in AA VV, Nuove servitù, manifestolibri, Roma
1995, P. Dell’Aquila, La società debole dai post-materialismi ai valori neo-borghesi, Congr. Un. Bologna 30.11- 1.12
1995, E. Roudinesco, Jacques Lacan, R. Cortina Editore, Milano
1995, P. Stanziale, Mappe dell’alienazione, Erre Emme. Roma
1996, M. Pezzella, Narcisismo e società dello spettacolo, manifestolibri, Roma
1996, Potlatch 1 – 29, in Guy Debord présente Potlatch (1954-1957), Gallimard, Paris
1996, G. Debord, Panegirico, Castelvecchi, Roma
1996, G. Marelli, L’amara vittoria del situazionismo. Per una storia critica dell’Internationale Situationniste 1957-1972, Biblioteca Franco Serantini Editore, Pisa
1996, A. Appadurai, Modernità in polvere, Meltemi, Roma
1996, A. Appadurai, Disgiunzione e differenza nell’economia culturale globale, in M. Featherstone, (a cura), Cultura del consumo e postmoderno, Seam, Roma
1997, M. Foucault, La nascita della medicina sociale, in Archivio Foucault 2, Feltrinelli, Milano
1997, G. Debord, Commentari sulla società dello spettacolo, in appendice a La Società dello spettacolo, Baldini & Castaldi, Milano
1998, M. Perniola, Disgusti, Costa &Nolan, Milano
1988, G. Agamben, “Il fatto più inquietante dei libri di Debord è la puntualità con cui la storia sembra essersi impegnata a verificarne le analisi…”, Glosse in margine ai Commentari alla Società dello spettacolo, Sugarco, Milano.
1998, R. Massari, Il ’68, come e perché, Massari Editore, Bolsena (Viterbo)
1998, G. Debord, In girum imus nocte et consimur igni, A.  Mondadori. Milano
1998, P. Stanziale, Introduzione a G. E. Debord, Raoul Vaneigem e altri, Situazionismo. Materiali per un economia politica dell’ immaginario, Massari Editore, Bolsena (Viterbo)
1998, M. Perniola, I situazionisti, Castelvecchi, Roma
1998, K. Marx F. Engels, Il Manifesto del Partito Comunista (1848), Einaudi Torino
1998, A. Mangano, Il senso della possibilità. La sinistra e l’immaginario, Pellicani, Roma
1999-2007, G. Debord,  Correspondance, Fayard,  Paris
G. F. Sanguinetti rimane uno dei fedeli di Debord e  suo compagno di bevute. “L’anno ‘77 è stato eccezionale per il Chianti. Ed io ho ancora due damigiane, per un totale di più di cento litri, che non ho voluto toccare mai dal ‘75, sperando di annaffiare bene, come dicono i contadini dell’Auvergne, il nostro incontro nelle migliori condizioni. E per finire ecco le parole di un madrigale del Cinquecento,  la cui musica è molto bella, da dedicare agli operai nel tuo prossimo film: “Io non compro più speranza / ch’egli è falsa mercanzia./ A dar solo attendo via / quella poca che m’avanza./ Cara un tempo la comprai/  hor la vendo a buon mercato. / E consiglio ben che mai / non ne compri un venturato…” Vi bacio, te e Alice . (Sanguinetti  a Debord).
1999, S. Žižek, Il Grande Altro, Feltrinelli, Milano
1999, G. Agamben, Violenza e speranza nell’ultimo spettacolo, in
1999, G. Debord G. Sanguinetti, I situazionisti e la loro storia, manifestolibri, Roma
1999, A. Jappe, Guy Debord, manifestolibri, Roma
1999, F. D’Agostini, Art. La Stampa 29.4.
1999, P. Virno, Cultura e  produzione sul palcoscenico, in G. Debord G. Sanguinetti  1999
1999, M. Senaldi, Il punto di vista dell’idiota, in S. Žižek 1999
1999, F. Carmagnola M. Ferraresi, Merci di culto. Ipermerce e società mediale, Castelvecchi, Roma
2000, G. Sartori, Homo videns. Televisione e post-pensiero, Laterza , Bari
2000, G. Edelman  M. Tononi, Un universo di coscienza,  Einaudi, Torino
2001, N. Klein, No logo, Baldini & Castoldi, Milano
2001, M. Löwy, La stella del mattino, Massari Editore, Bolsena (Viterbo)
2001, S. Žižek, Il godimento come fattore politico, R. Cortina Editore, Milano
2001, S. Žižek,    Enjoy Your Symptom!: Jacques Lacan In Hollywood and Out, Routledge,  London  New York
2001, J.  Rifkin, L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, Mondadori, Milano
2002, M. Hardt  A. Negri, Impero, Rizzoli, Milano
2002,  G. Debord, La società dello spettacolo, Introduzione e cura di P. Stanziale, Massari Editore, Bolsena (Viterbo)
2002, R. Vaneigem, Trattato di saper vivere ad uso delle nuove generazioni, Introduzione e cura di P. Stanziale, Massari Editore, Bolsena (Viterbo)
2002, R. Massari, (con esplicito riferimento a Debord)  Il terrorismo. Storia, concetti, metodi, Bolsena (Viterbo)
2002, S. Žižek, Benvenuti nel deserto del reale. Cinque saggi sull’11 settembre e date simili, Meltemi Editore, Roma
2003.15.06, T. Schaffroth, da il manifesto, Un’intervista con André Gorz in occasione dell’uscita in Francia de L’immatériel
2003, K. Popper La lezione di questo secolo, Marsilio, Venezia
2003, C. Crouch,  Postdemocrazia, Laterza, Bari
2003, S. Žižek, Il soggetto scabroso, R. Cortina Editore, Milano
2003, A. Gorz, L’immateriel, Galilée, Paris
2003, F. Carmagnola, La triste scienza. Il simbolico, l’immaginario, la crisi del reale, Meltemi, Roma
2003, M. Senaldi, Enjoy. Il godimento estetico, Meltemi, Roma
2004, M. Benasayag G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano
2004, G. Debord, Opere cinematografiche, Bompiani, Milano
2004, S. Žižek, L’epidemia dell’immaginario, Meltemi, Roma
2004, J. Baudrillard E. Morin, La violenza nel mondo. La situazione dopo l’11 settembre, Ibis, Como Pavia
2004, S. Latouche, Decolonizzare l’immaginario, Emi Sermis, Bologna
2004, R. Sassatelli, Consumo, cultura e società, Il Mulino, Bologna                                      
2005, S. Ghirardi, Non abbiamo paura delle rovine, Derive Approdi, Roma
2005, A. Drinceanu, La Società dello spettacolo da Debord a oggi, Immagine continua, Perugia
2005, W. Gibson, L’accademia dei sogni, Mondadori, Milano
2006, F. Carmagnola, Il consumo delle immagini. Estetica e beni simbolici nella fiction economy, B. Mondadori, Milano
2007, D. Jenkins, Cultura convergente, Apogeo, Milano
2007, G. Lipovetsky, Una paradossale felicità, R. Cortina Editore, Milano
2008, R. Massari, Da La società dello spettacolo ai Commentari, Angelus Novus, Massari Editore, L’Aquila
2008, M. D’ambrosio, Note sulla percezione critica dei rapporti tra Debord e Baudrillard, in Guy Debord.  Dal superamento dell’arte alla realizzazione della filosofia, Angelus Novus, Massari Editore, L’Aquila
2008, U. Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano
2008, M. Senaldi, Doppio sguardo. Cinema e arte contemporanea, Bompiani, Milano

Lascia un commento