Hegel? Sì, ma non troppo

gen 2nd, 2015 | Di | Categoria: Contributi

 

 

 

Note critiche sulla filosofia previana

In tempi come i nostri, pensatori della caratura di Costanzo Preve si contano sulla punta delle dita, soprattutto nell’ambiente filosofico, dominato, nel suo settore accademico, dal relativismo assoluto che pone sullo stesso piano tutte le “opinioni” (fuorché le voci di protesta contro la naturalizzazione ed eternizzazione dello status quo, beninteso) e si preclude pertanto la via ad ogni ricerca della verità, dalla falsa oggettività ideologica del politicamente corretto mirata a far apparire come “oggettivi”, neutrali, super partesfenomeni sociali e politici storicamente relativi e superabili, in primis lo stesso modo di produzione capitalistico.
Preve condusse sempre una lotta tenace contro queste e consimili tendenze della filosofia accademica, svuotata del suo significato genuino e declassata al rango di ancella dello stato di cose presente. Tale orientamento lo fece pervenire a riflessioni estremamente preziose e ad efficaci critiche del pensiero debole, del relativismo assoluto, delle innumerevoli richieste di riconoscimento relative del proletariato (vale a dire della base teorica del socialriformismo), della desocializzazione del pensiero filosofico e della sua storia e delle altre ideologie oggi imperanti. In questo campo il contributo di Preve va certamente sottoscritto e apprezzato: l’acutezza delle sue critiche dell’ideologia contemporanea ha aperto gli occhi a molti, facilitandone l’uscita dal tunnel della degenerazione irreversibile della “sinistra” radicale.
Diversamente stanno le cose per quanto riguarda l’interpretazione del pensiero di Marx avanzata da Preve, la sua concezione del marxismo, la quale – come egli stesso più volte ammise – sarebbe tutt’oggi rifiutata dalla gran parte dei marxisti. La chiave di volta di questa concezione risiede nella sostanziale assimilazione della scienza filosofica di Karl Marx a quella di Hegel e di Fichte. Non si tratta di una nuova versione del noto “hegelo-marxismo” di chi pone l’accento sul retaggio hegeliano nel pensiero di Marx, bensì di una rivendicazione dell’identità della scienza filosofica marxiana ed hegelo-fichtiana: Marx, al pari dei due idealisti, è ritenuto da  Preve un filosofo intento all’indagine dell’assoluto, anch’egli idealista.
Conveniamo perfettamente con Preve  nella sua opposizione all’antipatia sociale verso Hegel, espressione concreta dell’ostilità della classe dominante a qualsivoglia tentativo di dialettizzare, di mettere in discussione l’odierno sistema sociale. È infinitamente preferibile l’opera di chi rivaluta Hegel rispetto a quella di chi lo demonizza in quanto “falso profeta” e fautore del totalitarismo. Tuttavia non è di questo che qui si tratta: la posta in gioco è lo statuto filosofico del marxismo, una questione di principio che va dibattuta lasciando da parte le considerazioni tattiche.
Preve procede nella sua dimostrazione rilevando che Marx, a differenza dei teorici riformisti che reclamano il riconoscimento relativo del proletariato senza mettere in discussione il modo di produzione capitalistico, rivendica il suo riconoscimento assoluto, il superamento del capitalismo e il passaggio ad un nuovo sistema sociale in cui i due poli contraddittori – borghesia e proletariato – siano liquidati come tali. Pertanto quella di Marx è una scienza filosofica avente per oggetto l’assoluto, analogamente a quella di Fichte e di Hegel, una scienza filosofica propriamente detta, in cui la conoscenza e il giudizio morale, la ragion pura e la ragion pratica, i discorsi assertivi e quelli precettivi formano un tutt’uno logicamente inseparabile e indistinguibile. Un siffatto carattere distingue il marxismo dalla scienza galileiano-newtoniana e dalla teoria humeana della fallacia naturalistica da essa presupposta, come pure dal criticismo kantiano e dalla sociologia positiva di Max Weber1.
Indubbiamente Marx si riteneva materialista, prosegue Preve, ma in lui il termine “materialismo” assume sempre un significato metaforico, anzi quattro distinti significati non letterali: esso è metafora dell’ateismo, della contrapposizione della libertà reale (economicamente fondata) alla libertà formale garantita dal diritto borghese, dello strutturalismo dialettico (preminenza della struttura sulla sovrastruttura nel loro rapporto reciproco) e, infine, della prassi rivoluzionaria2. Particolare rilevanza riveste quest’ultimo significato, in quanto la prassi rivoluzionaria di Marx non è altro che una riproposizione della teoria di Fichte sul rapporto tra Io e non-Io: l’Io è in Marx il «soggetto rivoluzionario razionale complessivo, magari sotto direzione comunista e proletaria», un soggetto la cui attività pratico-rivoluzionaria trasforma il mondo, il non-Io, il quale – è bene precisarlo – non è qualcosa di oggettivo, di esterno al soggetto, bensì «l’insieme degli ostacoli che l’umanità [il soggetto], nella sua storia, pone sempre davanti a se stessa»3.
Sin qui, per sommi capi, l’ipotesi interpretativa di Preve. Egli avverte però subito la difficoltà rappresentata dalla scansione della storia in modi di produzione, scoglio teorico che si fatica a far rientrare nel paradigma suesposto, e formula l’istanza di una suddivisione del pensiero marxiano in critica dell’economia politica, scienza filosofica, e materialismo storico, scienza positiva non filosofica 4. Tuttavia, anche circoscrivendo la sua ipotesi alla sola scienza filosofica, Preve si accorge dell’esistenza, al suo interno, di un “corpo estraneo”: la necessità storica. «Per quanto riguarda invece la necessità, o meglio il giudizio apodittico di necessità, egli [Marx] riteneva che fosse necessario che il capitalismo, sviluppando dialetticamente le sue determinazioni, si rovesciasse ad un certo punto in comunismo, che diventava a questo punto un vero e proprio “sillogismo del capitale”»5, constata Preve, precisando poi che a suo avviso questa tesi marxiana «non tiene assolutamente» e che va sostituita da quella sulla possibilità del passaggio dal capitalismo al socialismo – passaggio che, in quanto opera del soggetto rivoluzionario, non può esser previsto con certezza prescindendo dall’attività di tale soggetto, giacché il suo esito dipende appunto dalla capacità soggettiva di prender coscienza dello status quo e di sovvertirlo. Elidendo il concetto di necessità storica, secondo Preve, non si altera la sostanza della filosofia di Marx, essendo tale concetto inessenziale e perfino incoerente con una scienza filosofica – quale si presume essere quella marxiana – incentrata sul soggetto; perciò egli spiega l’importanza attribuita da Marx a quel concetto con una contaminazione positivistica ed escatologica del suo pensiero 6.
Spiegazione plausibile nell’ambito della Storia della filosofia di Preve, ma a nostro avviso insufficiente: anche assumendo che una simile contaminazione abbia realmente afflitto il pensiero di Marx, non è chiaro come egli abbia potuto inserirla proprio all’interno di una scienza filosofica in cui essa manca di qualunque fondamento. Possibile che il pensatore di Treviri abbia preso un abbaglio tanto macroscopico? La risposta a questo interrogativo non può essere che una: quella della necessità storica è un’istanzadell’oggetto, non del soggetto, il quale ultimo non può in alcun modo fondarla.
Per quanto suggestiva possa apparire l’analogia col programma della Dottrina della scienza (ed. del 1794) di Fichte, per quanto “rivoluzionaria” possa sembrare l’attività dell’Io per riappropriarsi del non-Io, una scienza filosofica siffatta risulta unilaterale e inadatta all’uso pratico se non viene debitamente integrata da una teoria dell’oggetto, da una teoria che fondi ontologicamente l’esistenza della materia, riabilitata in tutte le sue proprietà e in tutta la sua importanza. L’attività pratica del soggetto è cieca se non prende le mosse dal riconoscimento dell’esistenza oggettiva della materia e non si conforma alle sue caratteristiche. Resosene conto, già il giovane Marx prendeva risolutamente posizione contro il «mistico Soggetto-oggetto o Soggettività prevaricante l’oggetto» di hegeliana memoria 7.
Eppure è proprio questo il modello teorico propostoci da Preve, rafforzato dall’equazione ch’egli stabilisce tra la dialettica hegeliana e quella marxiana; Marx non avrebbe affatto rovesciato la dialettica di Hegel, l’avrebbe bensì applicata così com’era. Svalutata la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico del 1843 col semplicistico argomento che Hegel, in quanto idealista storico, sarebbe al riparo dai processi di ipostatizzazione8, Preve accoglie di fatto tali processi viziosi dell’idealismo hegeliano nella propria concezione del marxismo: l’oggetto viene concepito non come tale, bensì come non-Io di cui l’Io deve ora riappropriarsi in seguito alla scissione dell’unità originaria (presupposta), scambiando perciò l’empiria in speculazione. Ma con l’oggetto, lo si voglia o no, si entra necessariamente in relazione, si deve tener conto delle sue caratteristiche, specie in un processo come la prassi rivoluzionaria; si verifica pertanto, quasi per contrappasso dantesco, una tacita reintroduzione della materia nella teoria, ma in forma non mediata, acritica, superficiale, ossia uno scambio della speculazione in empiria9.
In altri termini, quella che Preve trae da Hegel non è affatto una filosofia “vuota”; al contrario, essa è viziosamente piena, ripiena di una realtà che vi si riflette in maniera approssimativa, incompleta, astratta, poiché ci si è preventivamente privati degli strumenti teorici necessari ad indagarla criticamente. Si sconta, insomma, la mancata distinzione iniziale tra soggetto e oggetto.
Per chiarire il contenuto della nostra critica, esaminiamo ora alcuni casi concreti in cui, a nostro avviso, i limiti della filosofia di Preve si palesano con maggior evidenza. Prenderemo come esempio la trattazione previana della categoria di materia, del concetto di classe sociale e delle coppie di opposti filosofia-ideologia e critica-concezione del mondo.

1. Attorno alla definizione della categoria di materia si gioca la partita decisiva tra idealismo e materialismo. Respingendo il materialismo, Preve ha scritto: «…io personalmente non conosco alcuna nozione filosofica di materia realmente credibile. Se esiste, ciò è a mia insaputa. Certo, ho letto molte definizioni storiche di questa nozione in opere ed in dizionari filosofici, ma se si presta bene attenzione si scoprirà che si tratta sempre e soltanto o di polemiche ideologiche contro la religione, oppure di trascrizioni di definizioni scientifiche di materia fisiologicamente sorte sul terreno dell’astronomia, della fisica, dell’astrofisica, della chimica, della biologia e della genetica. Queste definizioni scientifiche di materia, spesso diverse l’una dall’altra come è normale che sia, sono tratte esclusivamente dalla pratica scientifica specifica, ed ogni raddoppiamento filosofico in termini di sostrato unico materiale non aggiunge e non toglie nulla, se non una dichiarazione ideologica di principio. Leggere per credere»10.
Abbiamo citato estesamente questo passo per mostrare come Preve eluda l’essenziale, come egli, fra le varie definizioni di materia, tralasci proprio quella leninista con cui è necessario confrontarsi se s’intende criticare il materialismo dialettico. Tale classica definizione caratterizza la materia come ciò che esiste indipendentemente dalla coscienza e si riflette in essa, in contrasto non tanto con la tradizione religiosa (la cui variante cattolica, per esempio, ha sempre difeso il postulato dell’oggettività del mondo esterno contro i solipsisti) quanto piuttosto con l’idealismo soggettivo e senza alcun legame con le definizioni particolari delle singole scienze naturali.

2. Quello di classe è uno dei concetti fondamentali del materialismo storico, attorno al suo rigore scientifico si gioca in gran parte la validità complessiva della teoria. È noto che nelle definizioni classiche esso si configura come un concetto esclusivamenteeconomico. Preve dissente da questa tradizione, tacciandola di economicismo, e ritiene necessario distinguere la classe operaia – economico-sociologica – dalla classe proletaria – storico-filosofica11. Quest’ultima classe, sulla quale è bene concentrare l’attenzione onde evitare l’economicismo, è definita da variabili non solo economiche, ma anche culturali, storiche, morali, ecc. Lo stesso vien detto a proposito della borghesia: l’odierno capitalismo è postborghese e postproletario, giacché: «In senso storico, sia la borghesia che il proletariato sono veramente esistiti (nell’Ottocento), si sono a poco a poco trasformati fino all’estinzione (nel Novecento)…»12.
Qui più che altrove le parole pesano come macigni. Introdurre variabili extraeconomiche nella determinazione dell’appartenenza di classe e, anzi, focalizzare l’attenzione su di esse, come fa Preve, significa non solo scardinare un’impalcatura scientifica dalle fondamenta, con tutti gli annessi “rischi di crollo”, ma anche – e soprattutto – privare il concetto di classe della sua riscontrabilità empirica, della sua riconducibilità a determinate variabili oggettive (economiche) chiaramente rintracciabili e verificabili; significa, in fin dei conti, rinunciare alla precisione scientifica di tale concetto. Definizioni come “capitalismo postborghese” inquadrano indubbiamente una realtà – quella del passaggio del capitalismo dal codice morale tradizionale, sintetizzato nella formula Dio-Patria-Famiglia, ad un nuovo codice edonistico e decadente – ma la riflettono in modo deformato, viziato dall’equivoco concettuale di fondo: la borghesia, in quanto classe proprietaria dei mezzi di produzione e sfruttante la mano d’opera salariata, pur con varie differenziazioni interne, sopravvive oggi più forte che mai, benché abbia messo in soffitta i valori di cui un tempo si era fatta portatrice.
Di più: il ragionamento da cui Preve prende le mosse nella sua critica dell’economicismo esemplifica a dovere gli effetti collaterali della “dialettica discendente”. Si parte da una premessa condivisibilissima: sarebbe prova d’unilateralità prestar attenzione esclusivamente all’aspetto economico; la dialettica esige che si prendano in considerazione tutti i fattori in gioco nella società. Tesi generale corretta e della massima importanza nella visione complessiva, dalla quale si deduce però la necessità di “dissolvere” la determinatezza dei concetti specificamente economici, introducendovi ogni sorta di “correttivi” esterni. S’intende che questo salto mortale logico, da una proposizione generale ad una estremamente particolare e determinata, è del tutto gratuito e nocivo all’accuratezza scientifica della teoria.

3. La contraddizione tra filosofia e ideologia occupa un posto rilevante nella produzione teorica di Preve. Esaminando il pensiero dei filosofi del passato, egli ha distinto al suo interno gli elementi filosofici, dal contenuto veritativo e dunque di portata universale, e gli elementi ideologici, espressione di determinati interessi di classe, particolaristici, cristallizzati nella falsa coscienza necessaria. Impostazione senza dubbio utile e interessante, che tuttavia Preve contrappone al principio leninista della partiticità in filosofia. Egli ha aspramente criticato la “riduzione dello spazio filosofico a spazio ideologico” operata da Lenin, come pure la creazione di un “fronte filosofico” e la riduzione della filosofia ad espressione di determinati interessi di classe13. La lettura dei testi parrebbe dargli ragione: in Lenin i termini “filosofia” e “ideologia” sono di fatto quasi interscambiabili, per cui sembrerebbe ch’egli riduca tutta la filosofia a falsa coscienza.
Tuttavia, questa “stupefacente” circostanza ha ragioni filologiche ben precise: l’Ideologia tedesca, com’è noto, non fu data alle stampe da Marx ed Engels e comparve solo nel 1932; per cui Lenin – e con lui la gran parte dei marxisti, – non avendo avuto accesso al testo in questione, parlava di ideologia non come falsa coscienza, bensì come sinonimo di una generica visione del mondo, a prescindere dal suo contenuto veritativo o meno. In ciò egli fu seguito dalla tradizione del marxismo sovietico successivo e non solo. Col termine “ideologia” Lenin e Preve esprimono concetti differenti, ma quest’ultimo pare non accorgersene.
Ripetiamo: la distinzione operata da Preve può rivelarsi utile e feconda, ma non è certo ammissibile fondare una critica del leninismo su di un semplice equivoco filologico, erigere un edifico teorico su di un’indebita sovrapposizione semantica.

4. Passiamo ora ad un’altra dicotomia, quella tra Weltanschauung e Kritik. Qui non abbiamo invero a che fare con Preve, bensì con Diego Fusaro, il quale è però sostanzialmente fedele al maestro per quanto attiene all’interpretazione del pensiero di Marx. Sottoscrivendo la distinzione previana tra pensiero marxiano e pensiero marxista, egli lamenta «la pretesa di essere una teoria onnipotente e onnipervasiva, in grado di fare luce su tutto», propria del secondo, «il suo carattere dogmatico di “visione del mondo” (e non di “critica”)»14. La critica, asserisce Fusaro, è in contraddizione insanabile con ogni visione del mondo, a causa del carattere dogmatico connaturato a quest’ultima.
Come conciliare tuttavia questa opinione con la rinuncia alla conoscenza della verità assoluta e con la necessità di modificare la forma del materialismo ad ogni scoperta rivoluzionaria nelle scienze naturali, rivendicate da Engels, uno dei principali bersagli polemici di Fusaro? Di fatto la Weltanschauung risulta dogmatica soltanto qualora non accolga queste capitali istanze engelsiane, che implicano un costante adattamento della teoria alla prassi ed escludono ogni dogmatismo.
Quella individuata da Fusaro si rivela dunque essere una contraddizione fittizia, puramente formale e incapace di produrre uno sviluppo concettuale. Egli non ha fatto altro che prendere due concetti diversi (ma non differenti! Si ricordi la distinzione aristotelica!), quello di visione del mondo e quello di critica, e sviluppare una contraddizione che non trova in essi il proprio fondamento e vi è quindi introdotta arbitrariamente dall’esterno. Procedimento tutto sommato accettabile per la dialettica mistificata di Hegel, ma radicalmente incompatibile con la dialettica scientifica.

Questo libero excursus critico nel pensiero previano illustra bene gli esiti di una dialettica mistificata, di marca hegeliana, applicata all’analisi di questioni concrete. Si sarebbe potuto adocchiare qualunque altro “incidente filologico” e ricavarne una teoria, si sarebbe potuta scegliere un’altra coppia qualsiasi di concetti diversi e sviluppare tra di essi una “contraddizione” insussistente nella pratica, e così via, con lo stesso fondamento cui possono pretendere le tesi previane enumerate poc’anzi. Tali sono necessariamente i frutti di una dialettica incontrollabile quale quella hegeliana, di una dialettica i cui risultati non possono esser oggetto di controllo puntuale e rigoroso, di “verifica sperimentale”, in quanto affidati, di fatto, all’arbitrio del “mistico soggetto-oggetto”. Come osserva il Della Volpe, «è la questione dell’incontrollabilità della dialettica hegeliana che… può condurci a una conclusione critica su tale dialettica»15, a rigettarne l’impostazione discendente e aprioristica. Cosa che Preve ha scelto di non fare, e per giunta in totale coerenza con procedimenti arbitrari del genere di quelli documentati sopra, dei quali il “guscio mistico” della dialettica hegeliana rappresenta la legittimazione teorica.
Finora il nostro discorso ha investito i problemi prettamente filosofici, ma non si tratta affatto di una disputa accademica; esso ha significative ripercussioni anche sulle scelte politiche, sull’azione pratica. Sono note le prese di posizione di Preve e di chi si richiama in varia forma al suo pensiero a favore del Front National francese, della Lega Nord, dell’eurasiatismo di Dugin, ecc., che hanno scatenato accese polemiche. Non è nostra intenzione entrare nel merito della questione ed emettere un giudizio politico su Preve, né, tanto meno, etichettarlo come “fascista” o con altri epiteti demenziali. Vogliamo invece rintracciare la radice teorica di queste prese di posizione e analizzarla alla luce della nostra critica generale.
Discutendo della natura sociale della Cina contemporanea, Preve ha scritto: «…Losurdo ha ragione nel rilevare che oggi la contraddizione principale non è quella di tipo “capitalistico” (l’esistenza di strutture di classe in paesi che ufficialmente dichiarano di essere socialisti), ma è quella di tipo “imperialistico”. Oggi bisogna fermare il monopolio militare degli USA. Questo è il 95% del problema del mondo, il resto è importantissimo, ma viene dopo. Nel linguaggio di Mao, questo si chiama distinguere la contraddizione principale da quelle secondarie. Su questo punto (la gerarchizzazione corretta delle contraddizioni) mi considero tuttora un allievo di Mao Tse Tung»16.
Al di là del risvolto concreto (da noi condiviso) di quest’affermazione, c’interessa la sua base teorica, vale a dire il modo in cui si perviene alla conclusione che bisogna sostenere la Cina contro l’imperialismo americano. Come suggerisce l’uso della metafora matematica, siamo in presenza di una disamina quantitativa del reale, di un’analisi della correlazione delle forze in campo sull’arena mondiale, il calcolo del cui rapporto determina quale sia la “contraddizione principale” e quale sia la posizione da assumere in relazione ad essa. Una logica pragmatica, attenta ai fenomeni reali e pertanto assai attraente agli occhi di chi si occupa di politica; una logica che funzionava piuttosto bene nel contesto della Cina semifeudale e coloniale in cui fu originariamente concepita da Mao, ma che rivela tuttavia le sue aporie nei paesi a capitalismo avanzato, ove le forze interne al modo di produzione capitalistico assumono più complesse sfaccettature e differenziazioni nella cui selva è difficile orientarsi con la metodologia maoista, quantitativa.
Forse il metodo contrastivo sarà d’aiuto nello svelare i limiti di tale impostazione, perciò riportiamo per esteso un esempio di un approccio alternativo al problema:

Certo, il fatto che il potere del capitale sia dominante nei moderni Stati borghesi in forme politiche diverse non esclude la necessità che il rapporto del proletariato vari come fa la forma del dominio politico borghese.
Le repubbliche democratico-borghesi e il regime di rappresentanza parlamentare, il suffragio più ampio e il suffragio più limitato, il regime fascista o il regime democratico borghese – questi non sono problemi indifferenti al proletariato, che deve differenziare la costruzione della sua politica in riferimento agli Stati borghesi.
Sotto il capitalismo il proletariato è estremamente interessato alle «libertà» democratico-borghesi e ai «diritti civili», che facilitano il processo di organizzazione dei suoi ranghi e di direzione dei suoi alleati. «Senza il parlamentarismo, senza le elezioni, questo sviluppo della classe operaia sarebbe stato impossibile» (Lenin, vol. XXIV, p. 365, ed. russa). Il proletariato è interessato al movimento della società borghese in avanti, non a ritroso. Il fascismo trascina questa società a ritroso dalla democrazia borghese allo Stato feudale d’illegalità e al medievalismo, perpetuando la schiavitù della classe lavoratrice e condannandola all’estinzione e all’eterno servaggio.
Gli interessi della classe operaia e di tutti i lavoratori richiedono quindi una battaglia decisiva con lo Stato «totalitario» del fascismo e col fascismo nel suo complesso. Ciò non deroga, tuttavia, all’importanza di caratterizzare ogni tipo di Stato borghese – anche il più «democratico» – come una macchina per schiacciare e reprimere i lavoratori, come un randello nelle mani degli sfruttatori e contro gli sfruttati.
(A.Ja. Vyšinskij, The Law of the Soviet State, Macmillan, New York, 1948, pp. 11-12)

È qui superato ogni riduzionismo quantitativo: la scelta politica di supportare le rivendicazioni democratico-borghesi è determinata non tanto dal rapporto di forze esistente fra due tipi di Stati – ugualmente imperialisti ed ostili al comunismo – quanto piuttosto dal carattere progressivo che tali rivendicazioni assumono in rapporto al fascismo. La lotta contro quest’ultimo è prioritaria non in ragione della “superiorità numerica” delle sue forze, bensì in quanto esso costituisce la variante più retrograda di Stato borghese, in cui la classe dominante si è liberata delle ingombranti e fastidiose garanzie democratiche che un tempo le erano state utili. Il piano dell’analisi è palesemente qualitativo, attento non soltanto alla consistenza numerica delle varie forze politiche ma altresì alla loro funzione storica (nel dato contesto) e al loro carattere di classe.
Benché si avverta il bisogno di ridefinire numerose categorie (fascismo, democrazia, ecc.) e di ripulirle dal ciarpame ideologico associatole dal pensiero politically correct, la metodologia proposta da Vyšinskij consente tutt’oggi di orientarsi nel burrascoso mare delle contraddizioni nei paesi capitalistici sviluppati, evitando compromessi politici discutibili. Essa valorizza la lezione del giovane Marx17 che nel 1843 mise in guardia contro la tendenza dell’idealismo hegeliano ad affidarsi alla cattivavolgare empiria, a soffermarsi sui lati più superficiali e immediati della realtà, senza approfondirne l’indagine critica – la quale necessita degli strumenti teorici di cui ci si è pregiudizialmente privati circoscrivendo la dialettica ai pensieri puri e all’attività del soggetto, di cui l’oggetto non è che un’estrinsecazione, sprovvista di dignità ontologica propria.
La dialettica mistificata, sebbene inizialmente ne rifugga, deve infine fare i conti con la realtà. E quale approccio alla politica reale meglio del pragmatismo estremo, del tatticismo, si concilia con l’arbitrio e l’unilateralità che contraddistinguono una simile dialettica? Il freddo calcolo delle proporzioni delle forze in campo, la conseguente scelta spregiudicata e indiscriminata degli “alleati”, la subordinazione delle esigenze programmatiche a quelle tattico-strategiche, presuppongono un’analisi alquanto povera della realtà socio-politica, che ne coglie solo gli aspetti più superficiali e visibili, quantitativi, senza addentrarsi in profondità. Per praticare una simile politica non serve neppure far riferimento a Marx: il buon vecchio Machiavelli basta e avanza.
Concludendo questo breve saggio, nel quale abbiamo cercato di mettere a fuoco alcuni di quelli che sono a nostro avviso i punti deboli del retaggio filosofico di Costanzo Preve, vorremmo abbozzare una soluzione alternativa al problema dell’unità dell’indagine e della critica nella scienza filosofica marxiana. L’esistenza di questa unità è indubbia: Marx non è solo uno scienziato intento alla fredda analisi dei meccanismi della riproduzione capitalistica, ma anche il più severo critico del capitalismo in quanto sistema sociale oppressivo e alienante per l’uomo e, di conseguenza, il propugnatore di una lotta politica per affossarlo.
Di primo acchito ciò sembrerebbe legittimare l’arbitrio soggettivo: il capitalismo “deve” esser superato in forza del giudizio di valore negativo espresso da chicchessia. Ma allora come spiegare le parole d’elogio riservate da Marx al capitalismo in ascesa, nonostante i traumi provocati dell’accumulazione primitiva e la resistenza dei lavoratori all’introduzione delle macchine? L’unica risposta plausibile ci pare esser quella dellavolpiana: il capitalismo viene bollato come “negativo” da superare non in forza di considerazioni morali, ma sulla base dell’analisi del presente storico, dei suoi tratti specifici e della sua origine, che ci conduce a conoscere le esigenze di questo presente e i problemi che abbisognano di risoluzione, determinando così le contraddizioni risolventi sulle quali occorre insistere18. In tal modo ogni residuo di soggettivismo risulta espunto dalla teoria; il che non significa affatto che i singoli marxisti non possano liberamente esprimere giudizi morali sul capitalismo ed esser spinti all’azione da considerazioni soggettive. È probabile che per lo stesso Marx fosse così, in quanto, come Preve ha avuto il merito di rimarcare, la coscienza ideologica è una formanecessaria del rispecchiamento quotidiano del reale, cui nessuno può sottrarsi in toto.
Il discorso a questo punto si allargherebbe al problema della necessità delle leggi storiche, ma i limiti di spazio c’impongono di rimandarne la trattazione ad altra sede.
Costanzo Preve ha lasciato in eredità un inestimabile patrimonio filosofico che deve essere valorizzato e accuratamente analizzato, evitando sia le sciocche demonizzazioni che le esaltazioni acritiche – parimenti metafisiche – e conservando quanto vi è di utile e di fecondo nel suo contributo, in particolare il lodevole tentativo di dedurre le categorie filosofiche per via storico-sociale, in contrapposizione alle storie della filosofia meramente dossografiche e desocializzate attualmente di moda.
Auspichiamo che la discussione aperta con questo articolo prosegua con profitto.

1 Cfr. C. Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia, Editrice Petite Plaisance, 2013, pp. 297-305.
2 Cfr. C. Preve, Marx lettore di Hegel e… Hegel lettore di Marx, Editrice Petite Plaisance, 2009, pp. 16-18.
3 C. Preve, op. cit., pp. 18 e 13.
4 Cfr. C. Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia, cit., p. 305
Ibid., p. 311.
Ibid., p. 312.
7 K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, 1950, p. 274.
8 Cfr. C. Preve, Proposta di interpretazione, metodologia e periodizzazione per la storia della filosofia marxista (1839-2002), § 7. Questo e gli altri testi previani citati di seguito sono consultabili integralmente sul sito www.kelebekler.com/occ/prevearticoli.htm.
9 Cfr. G. della Volpe, Logica come scienza storica, Editori Riuniti, 1969, pp. 129-132.
10 C. Preve, Ludovico Geymonat, § 18.
11 Cfr. C. Preve, Note critiche sul bordighismo, § 20.
12 C. Preve, Invito ad una discussione radicale sul marxismo, § 5.
13 Cfr. C. Preve, A ottanta anni dalla morte di Lenin (1924-2004), § 7.
14 D. Fusaro, Bentornato Marx!, Bompiani, 2009, p. 38.
15 G. della Volpe, op. cit., p. 122.
16 C. Preve, Il maoismo, § 19.
17 Lezione profondamente assimilata e recepita da Vyšinskij, come si evince dall’ampio spazio riservato alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico nella sua ricostruzione del pensiero giuridico marxiano (cfr. AA.VV., Teorie sovietiche del diritto, a cura di U. Cerroni, Giuffrè, 1965, pp. 277-278).
18 Cfr. G. della Volpe, op. cit., pp. 321-322.

http://www.linterferenza.info/cultura/hegel-si-ma-non-troppo/

Tags: , , , , , , ,

un commento
Lascia un commento »

  1. Mi sembra un giocoliere da circo che piroetta su se stesso per poi, con finalità cosciente, tornare sulla sua vecchia posizione eretta>: in pratica un trozkista che pasticcia sulla dialettica per giustificare una posizione politica di fronte antifascista in Europa e di attacco a Cina e Russia, considerati paesi non solo capitalisti ma anche autoritari e fascisteggianti! DA CONDANNARE SUL PIANO TEORICO E SOPRATTUTTO POLITICO!

Lascia un commento