PICCOLO STUDIO SULL’ ISLAM (1). Il nucleo centrale del Corano.

feb 8th, 2015 | Di | Categoria: Contributi

L’ introduzione al nostro “Piccolo studio sull’islam” si trova qui.

L’islam è un sistema culturale definito da un ordinatore religioso. Tale religione si basa su una credenza riferita ad un triangolo di elementi, Dio, Muhammad, Corano. I tre sono legati tra loro da questa sequenza: Dio trasferisce a Muhammad attraverso ripetute apparizioni di un angelo messaggero, lungo l’arco di ventidue anni, un lungo discorso che, meno di venti anni dopo la morte del Profeta, viene raccolto attingendo a varie fonti e messo giù per iscritto. Questa raccolta dei pezzi del discorso originale che Dio trasferì a Muhammad e che fu, prima tradizione orale poi scritta, è il Corano, parola di Dio.

Analizzeremo poi il contesto, il problema delle fonti, l’esegetica e l’ermeneutica, la struttura,  le conseguenze storico culturali, la tradizione che si liberano da questi eventi. Subito, vogliamo dare al lettore, l’idea del succo di ciò che dice Dio, che dice il Corano.

Maometto La Mecca Medina cartina

Il perno del discorso è una relazione semplice ma molto interessante. Da una parte Dio in persona, dall’altra un uomo a nome di tutti gli uomini. Lungo questo asse, passa un discorso non un dialogo, un discorso che ha un emittente al vertice della potenza (Dio) ed un ricevente totalmente passivizzato, un portavoce della trasmissione, di cui si riaffermerà continuamente la neutralità di medium. I destinatari finali del discorso, che come poi vedremo è un contratto, sono tutti gli esseri umani. Non ci sono racconti trasmessi lungo tortuose catene, discorsi in terza persona, dialoghi dubbiosi, testimonianze, c’è solo Uno che parla ed uno che ascolta per riferire. La rivelazione verrà periodizzata in un continuum che corre parallelo la prima formazione della comunità dei credenti raccolti intorno a Muhammad, per ventidue anni (610-632), le parole di Dio sono come mani invisibili che danno forma alla comunità che nasce, cresce e sviluppa la propria complessità,  nel mentre essa agisce nella realtà. Dio vede gli effetti delle sue parole, corregge, specifica, amplia, precisa, ammonisce.

Per lo più (ma non sempre) sono parole abbastanza chiare, gli esempi sono ripetuti più e più volte, la forma rimata aiuta la memorizzazione, l’argomento è relativamente semplice, quasi nulla indugia in cose oltre-la-fisica (metafisica) e quando lo fa, come nel caso dell’oltrevita, le parole del contratto sono di nuovo chiare, semplici, inequivocabili, ripetute più volte. Dio sa che parla a tutti gli uomini, sa che è l’ultima volta che lo farà dopo aver provato -inutilmente- a farsi capire nel passato (elenco di tutti coloro che hanno avuto messaggi da Dio da Adamo ad Abramo, da Mosé a Gesù).  Dio offre per l’ennesima volta un contratto,  i cui termini sono estremamente asciutti: credere. Credere nel fatto che dall’altra parte dell’esistente e della rivelazione ci sia effettivamente Dio, che questo dio è Uno-Tutto senza se e senza ma, che è ovviamente onnipotente ed onnisciente (sa tutto e può far tutto), che sta parlando proprio a te, tramite il suo portavoce.

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Dopo questa premessa principale che apre alla relazione, giungono i termini contrattuali propriamente detti. I primi sono la regola generale della relazione: sottomettersi senza riserve di alcun tipo a ciò che Dio dice, vuole, dispone; i secondi sono il seguire alcuni precetti etico-comportamentali che fanno dell’altro capo del contraente, un buon fedele, un buon “totalmente dedito” ad osservare le disposizioni di Dio (significato proprio di musulmano). In ultimo si aggiungeranno principi normativi e giuridici per la vita comunitaria. Osservate queste disposizioni con sincerità, convinzione, abnegazione,  scatta il premio contrattuale: la lunga felicità nell’oltrevita. Si prevede anche che il credente possa sbagliare ma se la sua disposizione generale è sincera potrà essere perdonato, il dio del Corano è chiaro e preciso nei termini ma è comunque “clemente e misericordioso” come ripete l’incipit di 113 su 114 sure coraniche. Adesioni contrattuali insincere, dubitative, doppiogiochiste, false ed apparenti, intermittenti, con riserva, dissociate tra forma e contenuto sono sanzionate con la punizione contrattuale: una lunga e spaventosamente indicibile, sofferenza eterna. Naturalmente lo stesso vale per coloro che non aderiscono al contratto o lo infrangono palesemente e senza pentimento. Quello che conta è la disposizione d’animo e il fattivo atteggiamento del credente, il premio o la punizione non sarà in questa breve esperienza terrena a termine, le cose e gli eventi della propria vita personale potranno anche sembrare strani ed ingiusti ma il disegno di Dio è imperscrutabile e comunque questa vita è a tempo, il premio o la punizione si godrà lì dove non c’è più il tempo. Il succo della faccenda è questo, il resto è declinazione delle disposizioni su cui ovviamente, in seguito torneremo.

Soffermiamoci un po’ su questa costruzione centrale. L’oggetto della predicazione di Muhammad, furono le parole di Dio ricevute direttamente per infusione in una serie di sedute di contatto. Per lo più, c’era un tramite, l’angelo Gabriele ma questo probabilmente venne usato da Dio stesso per dare una forma alla sua stessa voce, quello che Gabriele trasmette direttamente nella mente di Maometto è la voce e quindi la parola di Dio in prima persona. Non è neanche esatto definire questa “una voce” poiché il discorso coranico viene come impresso nella coscienza del Profeta che dice cose che non sapeva lui stesso di sapere, l’intera prassi dell’esercizio della comune fede dei musulmani, attraverso la ripetizione continua, quasi ossessiva, delle preghiere, del Corano stesso, di frasi augurali di pace, di enunciazioni sulla grandezza ed unicità di Dio, ripete questa esperienza di abbandono pervasivo al messaggio .

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Questo lungo discorso di Dio poi prenderà la forma scritta che conosciamo come Corano[1], 114 capitoli (sure) di varia lunghezza ospitanti  6236 versetti, tutto quanto ivi vi è contenuto è detto direttamente da Dio. Dall’altra parte c’è un uomo, un prescelto come tanti altri vi furono prima di lui a partire da Abramo (ma il dialogo con gli umani risaliva a Noè ed anzi ad Adamo)[2] ma al quale non succederà più nessuno, questa è l’ultima parola di Dio, è una last call. Di Maometto si sottolineerà il presunto analfabetismo o quantomeno il suo essere illetterato. Questo, per togliere ogni dubbio su un suo possibile intervento attivo nel riferire (o manipolare o inventare addirittura) le parole di Dio. L’analfabeta non avrebbe potuto conoscere così tante tra le cose raccontate nel Corano anche relative ai precedenti tentativi di rivelazione (Abramo, Mosè, Gesù e molti altri), l’illetterato non avrebbe saputo esprimersi con lo stile di quell’arabo antico che i conoscitori dicono essere la sofisticata cifra poetica di alcuni suoi passi (chi scrive, non consoce l’arabo antico ed ha letto il testo nella propria lingua). La shahada, ovvero la frase che se recitata con onesta convinzione converte immediatamente all’islam, il cui significato asciugato è -c’è un solo Dio e Maometto è il suo profeta-, traspone quello che il profeta ha fatto e detto come fatto e detto da Dio stesso, il suo ruolo è quindi passivo per un verso ma molto attivo e significativo dall’altro. Egli è pur sempre il “prescelto” ed influenti saranno la sua prima interpretazione e la somma dei suoi stessi comportamenti che si presumono orientati da Dio stesso. Ma nel Corano stesso, vi sono appunti che Dio fa a Muhammad quando questo fa qualcosa che non dovrebbe fare, perché Muhammad è umano con tutte le approssimazioni dell’umano.

Il discorso in prima persona, l’assenza di dialogo, la presenza del tutto neutra del medium Muhammad, si comparano alle differenti strutture della Torah e del Vangelo (si è fatto notare che i musulmani aborrono la forma plurale “vangeli” quasi che i fatti e le verità fossero molteplici e plurali). La prima trascritta in un tempo molto lungo in cui le fonti sono incerte, in cui ci sono molti racconti in terza persona fatti da non si sa chi ed in nome di chi, in cui addirittura Mosè discute con Dio. Il secondo, scritto qualche decennio dopo la morte del profeta che oltretutto è ritenuto dai cristiani non un semplice uomo ma quella entità emanata da Dio stesso che gli sarebbe addirittura figlio e che s’accompagna addirittura ad una terza ipostasi (lo Spirito santo) che invalida il monoteismo assoluto. Sulla Torah c’è dunque il dubbio che il testo abbia manipolato e confuso il discorso originario, sul secondo ci sono meno dubbi ma c’è l’inaccettabile equivoco della divinità di Cristo. Altro poi viene aggiunto nel Corano, da un Dio deluso su come tali discorsi sono stati recepiti da ebrei e cristiani. Molti interventi nel Corano, tornano su questi argomenti, precisano, falsificano, distinguono. E’ chiaro l’intento molto preciso di ricondurre questo ultimo tentativo di dire a gli uomini come stanno le cose nel solco potente dei monoteismi regionali, spiegando perché si è reso necessario questa ennesima -ed ultima- rivelazione dato che le due tradizioni precedenti (ebraica, cristiana che ricordiamo erano presenze forti della regione) erano andate talvolta fuori strada. Altresì, il monoteismo assoluto[3], sgombrava il campo da ogni conflitto di autorità, chi parla è Lui, Uno, in prima Persona, chi ascolta è lui o lei, uno, in prima persona, nessuna intermediazione, intercessione, possibile   contraddizione, “rumore” distorsivo l’informazione.

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Se ebrei e cristiani avevano commesso degli errori, i politeisti che erano poi il grosso dei credenti nelle varie tribù del mondo arabo del tempo, erano del tutto fuori discorso. I politeisti erano il target primario della predicazione, l’ossessiva ripetizione dell’unicità assoluta di Dio è rivolta a loro perché come a tante tribù corrispondono tanti dei, così ad un Dio-Uno deve corrisponde una unica comunità, l’umma, il vero obiettivo socio-politico dell’operazione. Agnostici ed atei erano ovviamente il grado zero dell’umanità, carne da macello per arredare la Gehenna (l’inferno). Inoltre, quello del dio coranico non è un “message in a bottle” inviato da lassù a qualcuno e “speriamo che capiscano”. La rivelazione è continua lungo tutta la vita adulta di Muhammad, è un serial lungo ventidue anni, Dio vede gli effetti che produce il suo discorso, c’è in sostanza una relazione cibernetica in cui la parola diventa una serie fatti che chiamano altre parole che tengono conto di essi. Più che una rivelazione è un corso di formazione, un educational.

Per questo ultimo sforzo, Dio, chiede una risposta chiara o sì o no e se sì alle specificate, inderogabili condizioni. Il tutto fa pari con la forma. Il Corano è stato rivelato per essere compreso da tutti, prima in forma recitata (orale), poi gli uomini lo misero per scritto. La sua forma prima è qualcosa che Dio racconta o impone di dire, di recitare, di ripetere a voce.  Questa seconda forma è particolarmente suggestiva, è una sorta di recitazione la cui sceneggiatura è scritta direttamente da Lui, ognuno, verbalizzando il Corano (al-Qur’an, la recitazione) ripete la parola di Dio. L’oltre vita è descritto con dovizia di particolari molto precisi, sia nel bene (paradiso), sia nel male (inferno). Come ci si arriva è molto semplice, ci sarà un giorno del giudizio ed ognuno sarà accompagnato da una lista di meriti e demeriti noti a Dio che tutto vede e sa, meriti e demeriti rispetto all’impegno di credenza e sottomissione, nonché alle disposizioni di cui non abbiamo ancora parlato. Nessuno potrà appellarsi ad altri, intercessori, garanti, conoscenze influenti, come il contratto è one to one, così sarà il giudizio.

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Questo provocò un effetto culturale ben noto a proposito di tutti monoteismi storici, l’individualizzazione. La relazione scandita da fede – comportamento – giudizio che comporta uno o l’altro tipo di vita eterna, basata su i poli Dio – individuo, fu un potente principio di responsabilizzazione. Le società crescevano di componenti e complessità, qui come altrove si cercava di unire ed al contempo ordinare la comunità ma parallelamente, la cosa poteva funzionare solo se ogni singolo individuo si rapportava a gli altri ed al tutto come una parte autocosciente e responsabile. Senza l’auto-controllo individuale, le grandi società sarebbero scomparse in un turbine di caos. Altresì, l’assenza di punti oscuri o invenzioni teologiche o ghirigori ontologici o contraddizioni assiologiche (non poi del tutto azzerate come poi vedremo) o misteri gnoseologici o imponente mitologia, non solo seguiva lo stato oggettivo dei contraenti in contratto (da una parte Dio ma dall’altra anche analfabeti ignoranti piuttosto barbari per molti versi) ma annullava o tendeva ad annullare tutte quelle situazioni che da una parte arricchirono ma dall’altra confusero l’essenza della condizione di credente ed osservante degli altri due monoteismi. Incluso lo statuto speciale degli ermeneuti privilegiati, ovvero un clero intercessore tra parola di dio ed umana comprensione.

200px-Quran2Dio è anche qui, e non è una novità dell’islam, onnipotente ed onnisciente. L’islam non dubitò mai di due cose: da una parte tutto ciò che è, è perché Dio vuole che così sia, dall’altra ogni uomo rimane responsabile del suo comportamento, della sua resistenza a Satana che continuamente lo insidierà, della sua scelta fondamentale (credere senza condizioni nel Dio unico e nella rivelazione che fece al Profeta) e di tutte quelle conseguenti (attenersi alle disposizioni). Il Corano è molto netto e preciso nella separazione Bene – Male che era l’asse portante del mazdeismo, la terza altra grande religione dell’area del tempo. Un certo meccanicismo deterministico naturale e storico funge da quinta a i liberi e responsabili atti umani in base ai quali scatta l’ultimo giudizio. Il “senza condizioni” nella credenza che abbiamo aggiunto, si riferisce a tutti quei passi del Corano in cui Dio stesso anticipa a Maometto il fatto che molti gli chiederanno segni, atti, manifestazioni, prove, “condizioni” che nessuno è nella posizione di porre a Dio. Per costoro basterebbe volgersi intorno a vedere la natura ed il mondo che li circonda, chi? come e perché? avrebbe fatto tutto ciò?  Chi pone condizioni è fuori della credenza, non sarà sottomesso (islam) non sarà totalmente dedito (muslim), quindi andrà all’inferno. Altre volte Dio cedette a queste richieste, ma il soddisfarle si rivelò comunque inutile, quindi, visto che siamo all’ultimo tentativo o sì o no, tertium non datur. E che ognuno si prenda le proprie responsabilità.

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Individualizzazione e responsabilizzazione del credente, scioglimento degli ordini umani tribali e formazione dell’ordine comunitario, norme d’ordine etico – morale – comportamentale e giuridico per le interrelazioni umane, questo l’oggetto del contratto che Dio offre ad ognuno  previa libera sottomissione del credente ad un Dio unico, totipotente, assoluto. Premio o punizione a rinforzo della credenza ed osservanza delle sue disposizioni suggellano il patto. Questa la struttura portante della credenza islamica che si basa su un testo che riporta la parola diretta che Dio trasmise al Profeta perché questi la trasmettesse a tutti gli uomini.

Già nella prossima puntata dello studio entreremo nel merito dei secondi oggetti contrattuali, le norme etiche e comportamentali. Poi torneremo un po’ indietro per inquadrare la socio-storia dei tempi in cui avvenne la rivelazione e cominceremo l’analisi della struttura del Corano scritto e della sua travagliata redazione, cosa che forse continuerà in una successiva puntata. In seguito, parleremo dei terzi oggetti contrattuali ovvero le disposizioni normative e giuridiche della Scrittura. Continueremo poi con l’analisi della formazione della tradizione, parallela ad una sunteggiata analisi dell’islam storico. Finiremo con l’aggiornamento sull’islam novecentesco e termineremo definitivamente con le conclusioni rivolte alla contemporaneità.

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[1] Nel Corano stesso si fa riferimento al fatto che quanto trasmesso da Dio è il testo di un Libro (celeste, XCVIII, 2-3) e conferma il senso di tutti i Libri anteriori (X, 37; XVI, 29-30; LXXXVII, 18). Nella prima rivelazione di Gabriele (XCVI, 1-5), c’è l’invito a recitare il Corano, in onore di quel Dio che “ha insegnato agli uomini l’uso del calamo (della scrittura)”. In particolare questo ultimo che è, secondo la tradizione, il primo in assoluto temporalmente parlando, è curioso che presenti Dio per la prima volta come colui che ha dato la scrittura all’uomo. I rapporti tra rivelazione e la sua scrittura in ambito islamico, sono assai complicati. Si va dal fatto che Maometto dettava le rivelazioni che riceveva ai suoi segretari, che uno di questi addirittura gli presenterà dei versi da lui cope4stesso inventati senza che il Profeta se ne accorgesse, alcuni riferiscono che nel delirio che anticipò la morte chiese “…l’occorrente per scrivere un documento che doveva preservare i fedeli dell’errore.” (M.Rodinson pg.284), alla raccolta di vari supporti (papiri, pezzi di legno, scapole di cammello etc.) su cui erano riportati sure e versetti in ordine sparso al fine di “ricostruire” quel testo che poi divenne canonico nel 650, ai corani minori (incompleti) che alcuni tra i suoi fedeli possedevano e che contribuirono alla ricostruzione, alle insidie dell’arabo scritto del tempo che era ancora imperfetto ed informazione. Sta di fatto che Dio non impone a Muhammad di scrivere ciò che egli gli dice ma di recitarlo, né Muhammad sentì mai l’esigenza di farlo con sistematicità, l’oralità non è una scelta dovuta alla mancanza di alternative, è una vera e propria scelta di Dio la cui ratio non verrà sempre giustamente considerata.

[2] Nel Corano, Dio cita tutti coloro ai quali, prima di Maometto, affidò (invano) i suoi messaggi, tra gli altri: Ismaele, Isacco, Giacobbe, Mosè, Aronne, Giona, Giobbe, Giuseppe, Davide, Salomone, Giovanni Battista, Gesù.

[3] Monoteismo assoluto è una definizione tecnica che precisa con esattezza il significato del Dio islamico. Nel Corano, nella predicazione di Maometto, nella rivelazione di Dio, questo concetto è “il” concetto, reiterato, ripetuto, oggetto di quella prima dichiarazione di fede che converte all’islam e che il musulmano ripeterà migliaia di migliaia di volte nella sua vita attraverso la preghiera. A noi forse, oggi sfugge la centralità del concetto. La nuova religione interveniva in uno scenario politeista quanto a credo e pluri-tribale quanto a fatto. Dio-Uno che via Profeta, forma la sua comunità era un distruggere la tradizione tribale di sangue per costruire una tribù di fede ed al contempo era distruggere la tradizione plurale di dei superiori, minori, spiriti vari che aumentavano l’entropia della credenza e quindi dell’ideologia per riportare tutta la comunità ad una credenza condivisa e sincronica. Altresì, nessuno poteva intermediare questa relazione tra l’Uno ed i molti.

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