Elezioni politiche spagnole 20 Dicembre 2015: quali prospettive dalla caduta del bipartitismo?

dic 27th, 2015 | Di | Categoria: Politica Internazionale
Lorenzo Dorato
Domenica 20 Dicembre si sono tenute le elezioni politiche nazionali in Spagna.
Il risultato vede un sostanziale equilibrio di forze il cui esito in termini di formazione di un possibile governo rimane ancora molto incerto.
Al Partido Popular è andato il 28,7% dei consensi, al Partido Socialista Obrero il 22%, a Podemos il 20,6%, a Ciudadanos il 13,9, a Unidad Popular (Izquierda Unida) il 3,67%. Sotto al 3% (a livello nazionale) le forze nazionaliste catalane, basche e galiziane.
Il primo elemento che risalta è ovviamente la decisa rottura del bipartitismo PPE (Partido Popular espanol) – PSOE (Partido Socialista Obrero Espanol). Il bipartitismo ha segnato in Spagna più che in altri paesi europei la storia degli ultimi 30 anni confermando la “deriva anglosassone” assunta dalla vita politica dei paesi continentali e mediterranei dagli anni ’90 in poi, in concomitanza con il consolidamento di politiche sempre più uniformi gestite da una classe politica omogenea divisa al suo interno da elementi prevalentemente formali.

La storia spagnola è in realtà peculiare, poiché elezioni democratiche rappresentative e pluripartitiste si svolgono dal 1975 dopo la morte di Francisco Franco. Già dagli anni ’80 si sviluppa un bipartitismo forte soltanto appena scalfito dai miglior risultati elettorali del Partido Comunista e poi di Izquierda Unida dopo il 1986, con circa il 10% dei consensi.
Ma l’affermazione del bipartitismo dell’omogeneità sostanziale tra i due partiti ha luogo a partire dalla fine degli anni ’80 – primi anni ’90 quando il Partido Socialista Obrero assume in modo definitivo una deriva neo-liberale contraddicendo alcuni spunti di politica interna socialdemocratica realizzati invece nel corso degli anni ’80.
Da allora, la cosiddetta alternanza tra PPE e PSOE ha significato la realizzazione di due varianti di una stessa politica economica, quella stabilita dal trattato di Maastricht del 1992, imposta dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale del 1988 e confermata dai successivi trattati e direttive europee in tema di politiche fiscali e industriali. In una parola: il paradigma neo-liberale.
La doppia legislatura di Aznar 1996-2004 diede un colpo definitivo al già avviato smantellamento dell’impresa pubblica, dello Stato sociale e dei diritti dei lavoratori. A ciò si aggiunse una politica estera disastrosa appiattita sugli interessi nord-americani che trascinarono la Spagna nel conflitto afghano e in modo unilaterale (fuori dalla cornice ONU) nella guerra contro l’Iraq. Seguirono 8 anni di governo PSOE di Zapatero, salutato da molte sinistre confusionarie europee come momento rivoluzionario di rottura, in realtà variante culturale libertaria dell’applicazione del paradigma neo-liberale in piena continuità con la politica economica del precedente periodo.
L’ottennio di Zapatero si è caratterizzato per la continua enfasi data ai provvedimenti di stampo liberale in materie cosiddette “etiche” (diritti omosessuali, aborto etc), mentre silenziosamente si dava attuazione ad un programma economico di precarizzazione del mercato del lavoro e liberalizzazione finanziaria all’insegna della terza via Blairiana e del superamento (oltre che pratico anche esplicitamente ideologico) della socialdemocrazia tradizionale novecentesca. Allo stesso tempo si concedeva crescente spazio ai nazionalismi regionali con l’approvazione di un nuovo statuto speciale per la Catalogna e l’approfondimento delle disuguaglianze territoriali.
La profonda crisi in cui l’economia spagnola è precipitata dal 2008 con una forte crescita della disoccupazione, ha segnato il successivo passaggio di governo a favore di un nuovo quasi-ottennio del Partido Popular questa volta liderado da Mariano Rajoy. Stessa musica, stesse politiche neoliberali, al di là delle apparenze estetiche e delle differenze stilistiche di esecuzione.
Il governo Rajoy altro non ha fatto che gestire gli anni dell’approfondimento delle politiche di austerità europea in piena concordanza con quanto avvenuto in tutti gli altri paesi (in particolare i cosiddetti PIIGS).
E arriviamo così ad oggi, in una Spagna afflitta da una crisi economica di gravissime proporzioni con un tasso di disoccupazione che nel 2013 aveva toccato il livello impressionante del 25,7% per poi ridiscendere appena sotto al 24% nel 2014 e attorno al 22-23% nel 2015. Un paese economicamente e socialmente allo stremo, in cui i governi hanno reagito alla crisi applicando pedissequamente le misure di austerità volute dall’Unione europea che hanno aggravato di anno in anno la situazione. Il tutto nel contesto di una generale pregressa deindustrializzazione già in corso dagli anni ’80 e ’90 che ha reso il tessuto produttivo spagnolo estremamente fragile e vulnerabile. Questo quadro generale è reso ancora più precario da una frammentazione interna sempre più esasperata dalle pulsioni del nazionalismo regionale, culminate nel tentativo di dare alle elezioni regionali catalane di Settembre 2015 un significato di referendum su una possibile secessione.
In questo clima complessivo nascono e si consolidano i due partiti alternativi alla dinamica bipartitista: Podemos e Ciudadanos.
Il primo, espressione politica della protesta contro le misure di austerità e la crisi economica e sociale raccolta nel movimento degli Indignados nato dalla manifestazione del 15 Marzo 2011.
Il secondo, espressione di una protesta anti-corruzione, contro i vecchi partiti, ma di stampo schiettamente liberista.
Podemos si presenta, quindi, come movimento di critica del capitalismo, in particolare del capitalismo attuale nella sua forma neo-liberale, ma come vedremo, appare segnato da contraddizioni e debolezze programmatiche non secondarie.
Ciudadanos si presenza invece come la versione pulita e rinnovata del liberismo più puro, andando, in tale direzione, ben oltre il programma economico degli stessi Ppe e Psoe.
Vale la pena spendere qualche parola in più sulla natura e il programma politico di Podemos, sul destino di Izquierda Unida al cospetto dell’ascesa di questa nuova forza e sulle prospettive di una possibile discontinuità, quanto meno nei termini dell’esistenza di un’opposizione forte, nella vita politica spagnola.
Podemos nasce come movimento che unisce elementi di critica generalista “contro la corruzione e la vecchia politica affarista” in nome di una nuova iper-democrazia partecipata, ad un’impostazione di critica più approfondita dei meccanismi economici della società capitalistica. Non a caso una parte cospicua dei suoi fondatori proviene dalla formazione movimentista trotzkista “izquierda anticapitalista”. In un certo senso quindi può essere inquadrato come una via di mezzo tra il nostrano movimento cinque stelle e un partito di sinistra anticapitalista radicale contemporaneo.
La sua forza, che lo ha portato ad ottenere in pochi anni il successo elettorale attuale, è stata quella di portare argomenti di protesta di buon senso in modo non settario nel dibattito pubblico, sfruttando un linguaggio capace di fare breccia non solo sui gruppi sociali tradizionalmente ideologizzati ma anche su strati più larghi di popolazione esasperata da anni di crisi economica e incapacità reattiva dei governi.  Lo ha fatto usando argomenti populisti, non c’è dubbio! Ma il populismo, utilizzato oggi come categoria dispregiativa per colpire chiunque metta in discussione il paradigma dominante, è invece una cosa ottima se, sfruttando argomenti facilmente comprensibili, riesce a portare sul terreno del consenso immediato tematiche significative e sostanziali.
Podemos, nel marasma delle sue variegate proposizioni politiche, ha anche portato alcuni argomenti sostanziali rilevanti e condivisibili di critica della società capitalistica, delle ingiustizie sociali, delle disuguaglianze economiche, della perdita di sovranità della politica rispetto agli interessi di una ristretta oligarchia etc etc…
La debolezza e carenza di Podemos non è quindi di certo il suo “populismo”.
La sua grave debolezza è invece proprio l’evanescenza di alcuni punti programmatici, la fortissima volubilità su importanti questioni (in questo è evidente una certa somiglianza con il movimento 5 stelle) e infine alcune posizioni di fondo fortemente discutibili su temi delicati, quali la forma di Stato della Spagna e il ruolo dell’Unione europea.
Podemos, nel complesso, appare come una forza politica figlia della destrutturazione sociale in cui versano i paesi europei da ormai trent’anni. Contraddizioni programmatiche; assenza di una visione solida e stabile della società e dei rapporti economici; dichiarazioni politiche che oscillano continuamente in direzioni diverse a seconda della mera opportunità elettorale; idea apparentemente assemblearista di un’impossibile iper-democrazia telematica del tutto contraddetta da scelte stabilite da un gruppo di potere inevitabilmente ristretto; concezione libertaria assoluta nella cosiddette questioni etiche, senza la dovuta problematizzazione di alcuni aspetti più complessi.
Un mix di elementi che richiamano la tipica impostazione del partito “liquido” post-moderno, privato di riferimenti forti, contenuti coerenti e strategie di lungo periodo.

Scendendo nei contenuti politici più rilevanti, emergono in particolare almeno due aspetti molto problematici:
1- In primo luogo l’atteggiamento nei confronti dell’appartenenza della Spagna all’Unione europea. Podemos ha nel merito un approccio molto ambiguo che parte dall’idea di proporre misure sociali in buona parte del tutto condivisibili, palesemente incompatibili con l’appartenenza ai trattati europei  per creare così una frizione inevitabile che possa portare in qualche modo ad un processo di contrattazione in seno alla stessa UE per una modifica dei trattati che renda possibile l’attuazione delle suddette politiche. Ebbene si tratta dello stesso approccio usato da Syriza in Grecia che purtroppo sappiamo come sia pietosamente finito. E non per cattiva volontà da parte di Tsipras e compagnia, ma per l’oggettivo rapporto di forza di un solo paese in seno all’Unione europea. Pensare di far partire un processo di contrattazione tra paesi in un sistema blindato che per una modifica dei trattati prevede l’unanimità è quanto meno estremamente ingenuo e può essere al limite considerato come obiettivo di lungo periodo. Ha senso fare proposte sociali di rottura con l’ordine costituito senza porsi il problema di come svincolarsi nell’immediato (o comunque in un’ottica di breve periodo) dai trattati UE? Senza affrontare il problema delle possibili alleanze intra ed extra europee per rendere tale percorso politicamente, economicamente e, all’estremo, militarmente sostenibile?
2- La seconda criticità è l’atteggiamento nei confronti della struttura istituzionale dello Stato. Si apre qui un tema spinoso su cui da anni le forze di sinistra spagnole e internazionali commettono un grave errore di interpretazione e lettura della realtà. Dopo 40 anni di dittatura franchista centralista che pose fine a qualsiasi velleità autonomistica delle regioni spagnole più inquiete (Catalogna e Paesi Baschi), la restaurazione della democrazia rappresentativa si accompagnò ad una drastica riforma istituzionale che previde la creazione di uno Stato delle autonomie con un forte decentramento. A seguire l’intensità delle autonomie è stata via via incrementata fino a fare della Spagna uno dei paesi a più alto grado di decentralizzazione del potere in Europa (anche in relazione alle competenze economiche), con conseguenze non trascurabili in termini di crescente disuguaglianza tra le diverse aree del paese. La richiesta di ulteriori autonomie economiche, in particolare negli ultimi anni, si è spinta in Catalogna fino alla minaccia di apertura di un processo secessionista che è stato tuttavia simbolicamente bocciato dagli elettori nelle elezioni regionali del 27 Settembre di quest’anno, quando il 47,8% dei votanti (corrispondente al 38% degli aventi diritto) ha optato per l’alleanza secessionista. Un numero notevole, ma lontano dalla maggioranza semplice.
Negli ultimi decenni l’esistenza del sistema delle autonomie ha dato spazio a fermenti separatisti, divisioni culturali, sciovinismi nazionalisti locali che hanno minato anche culturalmente l’unità nazionale politica della Spagna.

I partiti di sinistra, in nome di un malinteso complesso culturale post-franchista (come a voler continuare a compensare all’infinito l’ormai lontano quarantennio di centralismo) hanno dato spazio all’idea di una possibile Spagna federale senza comprendere che il federalismo è il cavallo di battaglia ideale del capitalismo e della frammentazione territoriale, confondendo le sacrosante rivendicazioni culturali (difesa delle particolarità linguistiche e delle tradizioni locali) con la decentralizzazione delle competenze fondamentali dello Stato. Questa impostazione “decentralizzatrice” maniacale trova la sua massima espressione simbolica irrazionale nell’uso della locuzione “Stato spagnolo” in luogo di “Spagna” da parte della sinistra movimentista politicamente corretta. Si può dire “Francia, Italia, Grecia, Germania”, ma non “Spagna”, ignorando 500 anni di storia politica, basata tra l’altro proprio sul riconoscimento, ben più che altrove, delle mille particolarità delle diverse componenti di un paese così ricco di differenze.
Podemos si spinge ben oltre questa impostazione e, sull’onda di una malintesa applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli, aderisce addirittura all’idea di consentire un referendum ai catalani sulla secessione. Si tratta di un precedente molto pericoloso in grado di produrre un effetto domino che potrebbe travolgere la Spagna in quanto Stato unitario e che darebbe spazio alle pulsioni dei nazionalismi che stanno da decenni minacciando in molte aree del mondo l’esistenza di Stati politici  a favore di Stati presuntivamente etnici (con grande soddisfazione dell’imperialismo del divide et impera ben espresso dalle direttive del Washington Consensus).
In questione è il concetto stesso di sovranità. Chi è sovrano all’interno di uno Stato nazionale politico, per giunta esistente da 5 secoli come entità collettiva unica? Se sovrane diventano le collettività territoriali locali è evidente che viene meno il principio di sovranità dello Stato politico in quanto luogo della rappresentanza democratica e popolare. E’ possibile pensare che una minoranza (ad esempio la collettività catalana) prenda una decisione sul futuro territoriale dell’intero Stato senza che il resto della cittadinanza esprima il suo parere?
Peraltro porre la questione in questi termini nel momento in cui le elezioni regionali hanno dimostrato che solo poco più di un terzo della popolazione catalana desidera esplicitamente l’indipendenza, appare anche insensato politicamente.
In termini più generali occorre rilevare ancora due importanti aspetti che riguardano l’ascesa di Podemos e impongono una riflessione nel merito:
1- In primo luogo l’enorme spazio mediatico concesso a Podemos da quando si è affermata come possibile nuova forza politica nello scenario spagnolo. Molti canali televisivi hanno riportato continue interviste a Pablo Iglesias, garantendo una sua presenza costante nei dibattiti, e trasmettendo notizie costanti sul nuovo movimento politico, in termini mai visti fino ad oggi per un partito di opposizione. Un tale spazio mediatico mai e poi mai è stato concesso a Izquierda Unida e al Partito Comunista.
Come nel caso del movimento 5 stelle, la forte mediatizzazione è stata allo stesso tempo accompagnata da un’operazione simultanea di sovraesposizione e critica/demonizzazione a seconda della catena televisiva. Il risultato, in ogni caso, è stato la fortissima presenza sui media, esattamente come nel caso del movimento 5 stelle nel 2012-2013.
2- Inoltre Podemos nasce esattamente nel periodo storico in cui tutti i sondaggi prevedevano un deciso rafforzamento di Izquierda Unida, in un periodo di forte crisi economica del paese e di crollo del consenso attorno ai due partiti del bipolarismo PPE e PSOE. L’onda crescente di Podemos ha senza dubbio determinato il drastico ridimensionamento di Izquierda Unida in una fase di enorme crescita potenziale.
Ovviamente tutto ciò non toglie meriti alla dirigenza di Podemos e alla sua capacità di raggiungere livelli di consenso notevoli, né deve portare a ragionamenti complottistici sul ruolo di tale forza politica.
Tuttavia, le debolezze contenutistiche, l’evanescenza programmatica, l’aspetto destrutturato, alcuni salti in avanti molto pericolosi su questioni politiche e sociali delicate, e infine le circostanze mediatiche che ne hanno permesso il rapido sviluppo del consenso, lasciano sorgere forti dubbi sul reale grado di “disturbo” e preoccupazione che una simile formazione politica è in grado di determinare nel sistema di potere dominante.

Come nel caso del movimento cinque stelle il vero rischio è che si tratti di un diversivo tollerato in un’epoca di vuoto in cui le alternative alla gestione ordinaria dell’economia neo-liberale vengono incanalate in percorsi alternativi privi tuttavia di forza trasformatrice.
Naturalmente è del tutto lecito sperare il contrario, cioè che le debolezze e le incongruenze di un simile partito possano essere ricomposte in un orizzonte politico dotato di prospettive. Ma, stando a molte premesse, i dubbi sono forti!

Da parte sua, Izquierda Unida, paga senza dubbio il successo elettorale di Podemos. Ma la sua marginalizzazione in termini di consenso è un fenomeno di lungo periodo dovuto sia all’ostracismo nell’esposizione mediatica, sia alla difficoltà di trasmettere parole d’ordine politiche forti (problema  evidentemente comune a quasi tutte le sinistre politiche in Europa).
Il rischio che il successo di Podemos ipotechi per lungo tempo il protagonismo di Izquierda Unida nella scena politica è molto alto. Questo senza dubbio è un colpo duro alla possibilità di crescita di una realtà che, con tutti i suoi limiti errori, carenze e fughe post-moderne, presenta una struttura partitica consolidata e una visione politica più solida e coerente.

Il vero problema, in ogni caso, in Spagna, come in Italia e altrove in Europa, è quello di dare una vera prospettiva di discontinuità programmatica alla caduta del bipartitismo che si va affermando in molti paesi europei. Al momento in tutti i paesi tale vuoto è stato colmato alternativamente da forze di estrema destra (Francia, Inghilterra), da partiti liquidi destrutturati (Italia) o da forze di sinistra totalmente risucchiate, contro i propri stessi propositi, dalla pressione delle politiche dominanti (Grecia).

Al momento la situazione in Spagna resta bloccata. Le possibilità di formazione di un governo sono molto incerte. Una coalizione tra PPE e Ciudadonos ideologicamente più omogenei nella forma e nella sostanza non arriverebbe alla maggioranza. Una grande coalizione PPE-PSOE è sicuramente l’ipotesi più favorevole per le oligarchie economiche e per l’Unione europea, ma è estremamente difficile che si realizzi poiché, a dispetto della forte convergenza programmatica sostanziale, rimane, in Spagna più forte che altrove, un senso di appartenenza indentitario dell’elettorato che va al di là delle reali politiche compiute dai partiti. Un’alleanza tra PSOE e Podemos, molto difficile per la divergenza su punti chiave come il referendum catalano difeso da Podemos e rifiutato dal PSOE, non arriverebbe comunque a raggiungere la maggioranza. Un’aggiunta di Ciudadanos a questo instabile duetto darebbe ulteriore instabilità e difformità e, in ogni caso, sposterebbe un simile governo su posizioni economiche esplicitamente neo-liberali.
Il rischio di nuove elezioni appare quindi abbastanza elevato. Nelle prossime settimana si avrà un responso al riguardo.

L’unica certezza è la drammatica situazione economica e sociale che la Spagna sta vivendo da anni, dalla quale non può esservi via di uscita senza un cambiamento deciso delle politiche economiche. Cambiamento che presuppone come logica premessa una drastica messa in discussione dei trattati europei e la seria presa in considerazione della possibilità di uscita dall’Unione. Un passaggio gestibile in modo meno traumatico se concordato con altri paesi europei che si trovano oggi in condizioni simili, a partire da quelli mediterranei.

http://radicamenti-koinonia.blogspot.it/2015/12/elezioni-politiche-spagnole-20-dicembre.html

Tags: , , , , , ,

Lascia un commento