Riflessioni strategiche sul movimento degli “Indignati”

ott 25th, 2011 | Di | Categoria: Politica interna

di Costanzo Preve

1. Il giorno dopo gli scontri del 15 ottobre 2011 a Roma tutti i giornali mettono in scena la formula P + I = RM, e cioè Pacifisti + Incappucciati = Rito Mediatico. Ci sono i “buoni”, le cui “ragioni” sono riconosciute perfino dal capo banchiere Draghi (si è tornati al pope Gapon e allo zar buono ingannato dai cattivi consiglieri), e i “cattivi”, i violenti incappucciati che inquinano le ragioni dei buoni, visti come un innocuo gregge di salmodianti pecoreschi, gioioso, colorato, dipinto, preceduto da pagliacci con i trampoli. Non se ne può più. E siccome non se ne può più, cercherò di svolgere una serie di ragionamenti strategici.

2. Riassumerò qui subito il contenuto delle mie tesi, che cercherò più avanti di svolgere analiticamente. Questo movimento, detto impropriamente degli “indignati” (termine improprio e vago) è il terzo movimento internazionale dopo la caduta catastrofica dell’URSS (1991), ed è il terzo dopo quelli detti “pacifista” e “altermondialista” o No Global. Dal momento che i primi due sono entrambi completamente falliti, e non hanno ottenuto nulla, ma proprio nulla, ma assolutamente nulla, si tratta di evitare che anche questo terzo movimento non ottenga nulla, ma proprio nulla, ma assolutamente e inesorabilmente nulla. E’ meglio chiarire che cosa significa esattamente non ottenere nulla. Con questo termine non intendo primariamente non essere riusciti minimamente a impedire ciò che si voleva impedire: nel caso del movimento pacifista le sempre crescenti guerre imperialiste, e nel caso del movimento altermondialista le sempre crescenti diseguaglianze economiche fra stati, popoli e nazioni, oltre che fra individui. Dopo vent’anni questo è palese, e solo degli ipocriti possono negarlo. Ma questo sarebbe ingeneroso. Non è colpa dei pacifisti e degli altermondialisti se i loro nemici sono infinitamente più forti e organizzati di loro.

Con il termine “ottenere nulla” intendo che non hanno sedimentato assolutamente nulla. Lo squittire astrattamente “pace, pace” oppure “un altro mondo è possibile”, solo modo per essere pubblicizzati dal circo mediatico, non ha sedimentato politicamente e culturalmente nulla, ma proprio nulla, ma assolutamente nulla. Avrebbe potuto farlo? Questo è per l’appunto l’oggetto delle mie riflessioni. Penso di sì, e cercherò di argomentarlo partendo da un’analisi prima del movimento pacifista, poi da quello altermondialista. Due fallimenti assolutamente esemplari.

3. Dopo la caduta dell’URSS, catastrofe geopolitica e sociale mondiale accolta con giubilo dalla “sinistra” più stupida dell’intero universo, il movimento “pacifista” ha creduto opportuno rinunciare ai suoi elementi “ideologici” precedenti, primo fra tutti l’antimperialismo, per acquistare così una dimensione maggiormente unitaria e di massa.

Negli anni Novanta la NATO si è impadronita dell’intera Europa Orientale, e sono poi cominciate le guerre geopolitiche neoimperialistiche (Serbia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, trascurando le pressioni e gli embarghi tipo Cuba, Venezuela, Zimbabwe, Myanmar eccetera).

Il movimento pacifista ha reagito con quella che chiamerò Strategia Ostensiva del Gregge Belante, insaporita o meno dai black bloc, in genere ideologicamente anarchico-negristi. Esemplare la marcia Perugia-Assisi, cui partecipò anche D’Alema, il baffetto bombardatore della Serbia per conto degli USA. Non rimprovero certo a questa strategia ostensiva del gregge belante di non essere mai riuscita a impedire le guerre d’aggressione, sia chiaro. Le rimprovero invece di non avere sedimentato nulla, ma proprio nulla, in termini di coscienza storica e politica. L’unica possibile sedimentazione sarebbe stata l’individuazione nell’impero americano del nemico principale, e quindi una riformulazione dell’invecchiata, ma sempre attuale teoria dell’imperialismo. Niente di tutto questo. Il gregge belante se l’è presa con tutti, dalla Cina in Tibet alla Russia in Cecenia, preparando così il terreno per la catastrofe del 2011, in cui la “sinistra” ha addirittura appoggiato e appoggia la NATO in Libia e in Siria.

Risultato: non hanno ottenuto niente, e non hanno sedimentato niente. Le guerre aumentano, sono sempre più ipocrite e sfrontate, e il movimento si divide fra pacifisti belanti e incappucciati incendiari. Si vuole proprio continuare così? Il ceto politico professionale di “sinistra” lo vuole, naturalmente, con i suoi giornaletti corrotti e post-moderni, ma il mondo non finisce con questi parassiti.

4. Stesso discorso si può fare per il movimento altermondialista, nominato strumentalmente dal New York Times “seconda potenza mondiale”, definizione adottata ancor più strumentalmente da Bertinotti per la sua strategia di connotazione del comunismo come “indicibile”. Se la manifestazione principale del pacifismo è stato il rito del belato pecoresco innocuo, il salmodiare lapalissiano di “un altro mondo è possibile” ha trasformato l’ovvietà in pseudo profondità teorica.

Il fatto è che l’altermondialismo è sempre e solo stato una globalizzazione rovesciata, che in comune con la globalizzazione aveva il rifiuto della sovranità dello Stato nazionale, la rimozione delle aree geopolitiche del mondo, l’adesione al multiculturalismo e alle filosofie del differenzialismo, il trattamento suicida delle nazioni come “comunità immaginarie”, eccetera. In questo modo non solo non ha ottenuto nulla, ma non ha sedimentato nulla. La sola cosa che poteva sedimentare era un programma di de-globalizzazione, ma non lo ha fatto, per il suo odio infantile verso la sovranità dello Stato nazionale e delle identità religiose e comunitarie, e per la sua adesione filosofica implicita alle idiozie del “comune” contro il pubblico e della metafisica degli “eventi” contro la narrazione storica ideale della storia umana, considerata obsoleta.

Conclusione: non sono sicuro che Dio ci sia, ma se c’è, è sicuro che punisce gli idioti.

5. Questo terzo movimento finirà come il primo e il secondo, e cioè nel nulla? E’ probabile, ma per fortuna non sicuro. In primo luogo questo movimento almeno non blatera sulla pace e su di un altro mondo possibile, ma sembra finalmente individuare un nemico e cioè il capitale finanziario, e senza individuare un nemico nessuna sedimentazione storica è possibile. Non c’è dubbio che questa sia una grande novità positiva.

In Italia, purtroppo, l’individuazione di questo nemico è intorbidata dalla solita retorica antiberlusconiana, la casta, le escort, il puttaniere, la “sinistra”, che è un modo meraviglioso per far “recuperare” il movimento dall’arco politico Bersani-D’Alema-Vendola-Di Pietro-Vinci-Diliberto. Questo indubbiamente è uno specifico elemento di debolezza italiano, ma sarebbe ingenuo pensare che con un colpo di bacchetta magica si possano far sparire i guasti di vent’anni di frenesia antiberlusconiana. Comunque, almeno non si blatera genericamente di pace, diritti umani, un altro mondo possibile, ma si parla di capitalismo. Una gran cosa.

Una gran cosa, ma ancora una condizione necessaria e non sufficiente. Le cornacchie, senza differenza tra il “Corriere” e il “Manifesto”, già dicono che persino Draghi è d’accordo con i giovani, salvo naturalmente la violenza di piazza. Ora, è chiaro che Draghi vuole l’aumento dell’età pensionabile, la privatizzazione dei servizi e la giungla delle libere professioni, e solo babbioni consolidati non capiscono che il suo riferimento ai “giovani” è puramente strumentale.

Questa generazione è coraggiosa, informata e generosa, certo migliore della fallimentare generazione del Sessantotto, e a differenza di quella sciagurata generazione almeno non lavora per il re di Prussia e cioè per un ultra-capitalismo post-borghese fondato su di una sorta di economicismo liberatorio. Ma questa generazione è priva di memoria storica e può facilmente farsi infinocchiare da sciamani alla moda, vedi Negri. La Spagna insegna. Indignati in piazza, e poi probabilmente vincerà Aznar, e farà un programma greco-portoghese di lacrime e sangue.

Eppure, questa volta è forse possibile non certo vincere, né a breve né a medio termine, ma almeno sedimentare qualcosa. Bisogna quindi evitare i fallimentari esiti del movimento pacifista e del movimento altermondialista. Ma la sola cosa che concretamente può essere sedimentata è un programma articolato di de-globalizzazione, con eventuali correzioni almeno in parte “protezionistiche” e comunitarie: parlo di un comunitarismo ovviamente non razzista, il che è del tutto possibile, se si ridà la parola alla gente comune e si limita il blaterare post-moderno del circo intellettuale.

Questa sedimentazione si troverà di fronte purtroppo due acerrimi nemici. In primo luogo, l’apparato politico e ideologico del neoliberalismo politico bipolare e del liberismo economico cosmopolitico, assolutamente egemone in Europa. In secondo luogo, l’apparato politico-culturale di “sinistra”, con la sua cultura individualistica, multiculturale, orientata solo verso i migranti e le minoranze sessuali e odiatore del 90% delle persone cosiddette “normali”.

E tuttavia, questa odiosa “crosta” è stata indebolita nell’ultimo ventennio, anche se è ancora egemone negli apparati mediatici, editoriali, politici e anche nel cosiddetto “sociale”. Se la sua egemonia non viene infranta, finirà come nei due casi precedenti. Ma non è ancora detto. Nessun ottimismo sconsiderato, ma anche nessun pessimismo aprioristico.

Torino, 20 settembre 2011

Tags: , ,

5 commenti
Lascia un commento »

  1. bene.
    mi mancava il discorso dell’individuazione del nemico e senza di questo non ci può essere affermazione.
    condivido sull’effetto deleterio dell’apparato ideologico-politico della “sinistra” che nei fatti è più neo-liberista della destra italiana e fa più mali di questa, perchè è un cavallo di troia che tutto confonde ed intorpida.
    non conosco pienamente la realtà che rappresenta Diliberto da lei accomunata alla “sinistra”, mi propongo di approfondire.
    e comunque ciò non è sufficente per cambiare passo e creare condizioni per porre un’alternativa concreta alle disposizioni attuative europee.
    sono convinto che bisogna stare nella situazione con proposte diverse e che si ritengono giuste, considerando i rapporti di forza in campo.
    quindi essere elastici mentalmente per proporre ma non assolutizzare e quindi aprire un ventaglio di alternative che vanno anche al protezionismo più esasperato.
    non farsi spaventare da un eventuale default dell’Italia in cui chiaramente si chiudono ai capitali europei si fare spesa nel nostro paese e di non far circolare, senza pagare pegno, le loro merci.
    grazie

  2. Un programma di deglobalizzazione dovrà necessariamente porre al centro la questione della sovranità e dell’indipendenza nazionale. Questo, a mio avviso, significa aperto contrasto nei confronti della costruzione europea, così come la conosciamo, e della moneta unica. Quindi, fuori dalla U.E. e dall’euro, ricontrattando il debito in modo diverso se a “credito interno” o “estero”. Inoltre diventa necessario porsi il problema di concepire una nuova legislazione che preveda il controllo nazionale dei movimenti di capitali e merci. Un razionale e moderato protezionismo diventa strategico per imporre una credibile alternativa a questi ultimi trentanni di sempre più sfrenato liberismo economico. A questo aggiungerei la necessità di riproporre una seria politica industriale, che preveda interventi di sostegno ai settori tecnologicamente più avanzati, e una politica estera rivolta a promuovere una collaborazione che si fondi sulle necessità nazionali, rompendo l’attuale asfissiante imperio U.S.A. Grazie.

  3. Ineccepibile, con ia consueta lucidità e il giusto sarcasmo “labrioliano”!! La sarabanda mediatica, anche nel caso del 15 ottobre sta dando evidenti segni di cedimento, mentre i partiti sono oramai fuori. Invece insisto sulla decrescita che a mio avviso è l’orizzonte direi antropologico (non è di per sé politica economica) nel quale poter iscrivere indirizzi economici “socializzanti” a base nazionale. Ciò a mio avviso perché quell’approccio sembra proprio fondato su una limitazione territoriale della produzione e della sua gestione, cioè su una ripopolarizzazione della politica.

  4. Giudicare le sedimentazioni e i risultati o la bontà dei movimenti in base al raggiungimento della propria soggettiva idea di giusto risultato mi sembra quantomeno miope, se non supponente. Questo movimento è anticapitalista, non comunista. Questo movimento è anticapitalista, ma in maniera molto meno “nobile” di quello no-global, visto che ora si scende in piazza perchè si inizia a non avere niente da fare o da mangiare. Questo movimento non è solo anticapitalista, perchè nell’anticapitalismo in sé non c’è proprio niente di propositivo per il futuro. Questo movimento sta sedimentando una serie di pratiche (le assemblee orizzontali, l’uso creativo della rete, l’uso intelligente della violenza e delle nonviolenza), e una serie di attenzioni (all’ascolto, alla felicità, alla libertà di espressione, alla diversità) che saranno fondamentali per non trattare alla stregua di slogan inefficaci né cristallizzazioni opprimenti le importantissime rivendicazioni che vengono portate (rispetto per le persone, rispetto per il lavoro, rispetto per l’ambiente, giustizia sociale, uguale accesso alle risorse ecc.). Mi sembra già un buon passo avanti verso qualche risultato.

  5. [...] http://www.comunismoecomunita.org/?p=2839 [...]

Lascia un commento