Filosofia e geopolitica

feb 26th, 2010 | Di | Categoria: Cultura e società

di Maurizio Neri

Recensione

Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 2005, 146 pag. 15 €

filo_geopolitica_iIl saggio Filosofia e geopolitica di Preve è un volume agile e snello che ha il pregio di coniugare due aspetti fondamentali del sapere quali la geopolitica e la filosofia.

Articolato in cinque capitoli, il volume si dipana lungo un percorso logico-veritativo che partendo da un’accurata analisi del fenomeno dell’americanismo e dalle sue fonti culturali e sociali, traccia anche una spiegazione del perché in Europa l’americanismo abbia potuto così agevolmente penetrare le coscienze anche grazie ad un rovesciamento dialettico delle idee marxiane.

L’ideologia americanista si poggia quindi sulla possibilità illimitata di crescita materiale e di consumo dell’individuo che non riconosce la divisione borghesia/proletariato che si è affermata in Europa con la rivoluzione industriale, ma punta sulla possibilità di illimitata proiezione dell’individuo che si innesta su una tradizione biblica puritano-calvinista e che assegna al popolo americano una Missione Speciale nel mondo.

Per tale motivo, le dicotomie che pallidamente sopravvivono nel Vecchio Continente quali Destra/Sinistra, borghesia/proletariato, peraltro ormai svuotate del tutto dei loro contenuti originari, non si attagliano minimamente ad una società senza classi come quella americana, dove si può solo parlare di una divisione tra dominati e dominanti.

Queste particolarità rendono gli USA un unicum dal punto di vista della psicologia collettiva di un popolo che spiega anche bene l’impossibilità di conoscere il metron greco, cioè il senso del limite che nella filosofia greca è il fondamento della visione della vita e del mondo.

L’Europa ha invece tutt’altra storia, ma a parte l’interessante parte dedicata da Preve ad un’attenta analisi del pensiero originario di Marx e alle sue numerose arbitrarie attribuzioni non ultima quella sul «materialismo storico» del suo progetto scientifico che lo stesso Gentile confutò nel lontano 1899, lo spunto molto originale di Preve consiste nel descrivere il suicidio politico che l’Europa ha compiuto con l’inizio della Prima Guerra Mondiale.

Preve qui ha l’abilità di riportare l’analisi storiografica al nocciolo del problema e di sottrarsi alla strumentale e fuorviante diatriba sulla seconda guerra mondiale, che giustamente l’Autore reputa una diretta conseguenza della prima.

Il vuoto geopolitico determinato dalla vittoria dell’Intesa con la disgregazione dell’Impero Austroungarico e dell’Impero Ottomano spiegano assai bene le disastrose conseguenze per l’Europa della guerra civile scatenatasi nel 1914 e che proseguirà nel 1939 e che ancora oggi pesa come un macigno sui destini europei.

Non solo. La prima guerra mondiale – giustamente rileva Preve – è la pietra tombale dell’utopia internazionalista della classe operaia europea che è la prima ad accorrere sotto le insegne dei propri eserciti al momento dello scoppio delle ostilità.

Questo vero e proprio dramma storico, dicevamo, pesa come un macigno sul presente e sui pallidi tentativi di chi in Europa cerca di affrancarsi dall’euroatlantismo, cioè dal patto di acciaio con gli USA, anche per il ruolo negativo svolto da alcune ideologie come quella nazionalsocialista che, in nome di una visione giudeofobica, ha in realtà causato una catastrofe antieuropea scatenando una guerra intereuropea imperniata su un revanchismo tedesco – diretta conseguenza dell’ingiusto Trattato di Versailles.

Anche in questo caso Preve è attento a sfuggire alle facili categorie della demonizzazione del fenomeno storico dell’hitlerismo, ma ne esamina attentamente le qualità negative e distruttive per il continente europeo e che fanno sì che ancora nel XXI secolo la Germania sia ostaggio di una sorta di «ricatto morale» che ostacola fortemente il suo fondamentale apporto nello sviluppo di un progetto geopolitico su base eurasiatica.

Preve invita ad ogni modo il lettore ad andare oltre i residuali steccati ideologici imposti dal Novecento, autentico terreno di macerie, e a non farsi irretire dalle interpretazioni che di esso danno i corifei del «pensiero unico» o «politicamente corretto».

Ed è proprio su questo tema che andrebbe avviata una seria riflessione da chiunque si accinga a ri-pensare uno spazio eurasiatico che non può basarsi, secondo chi scrive, solo sulla realpolitik o su presunte «volontà di potenza» delle nazioni oggi più forti come la Russia, la Cina, o l’asse franco-tedesco, che mostrano di voler creare un contraltare allo strapotere americano nel mondo.

Bisogna capire, anche sfuggendo alle regole della geopolitica in senso stretto, su quali basi e di che tipo di «eurasiatismo» stiamo parlando, perché a prima vista un progetto «neutro» viene poi riempito di contenuti i più diversi. Va da sé che le visioni eurasiatiche di una certa estrema destra europea, oltre ad essere storicamente improponibili, sono per Preve da rigettare in toto per gli errati presupposti ideologici e culturali, per la loro impostazione «mitica» e «tradizionalista» che troppe volte cela neonazismi di ritorno di cui non si sente affatto bisogno.

In realtà l’eurasiatismo di Preve ci sembra essere il riconoscimento della necessità storica di un unione libera delle nazioni europee con la Russia, la Cina, l’India e altre, su base paritaria e cooperativa, allo scopo di fronteggiare l’imperialismo americano che oggi appare nella necessità di produrre il proprio dominio mondiale illimitato così come nella sua concezione culturale ed ideologica, ma anche economica. Una sorta di nuovo Reich millenario.

Questa unione necessita di molte concause per determinarsi nella realtà: necessita che l’Unione Europea si rafforzi sull’asse franco-tedesco, che le nuove nazioni dell’est che sono entrate a far parte dell’Unione Europea si affranchino dalla tutela degli USA, che l’Inghilterra e l’Italia, ahimè, scelgano l’Europa e non il ruolo di «agenti provocatori» degli USA.

Molti sono i tasselli che devono essere rimessi al loro posto, ma il panorama non è totalmente negativo. Proprio quest’estate sono avvenuti due fatti di portata storica: il primo è l’avvio di esercitazioni congiunte russo-cinesi che non erano mai avvenute in precedenza, neppure quando i due paesi erano entrambi socialisti, ed il secondo è l’esito della Shangai Cooperation Conference che riunisce Russia, Cina, Iran, India e le repubbliche centrali ex-sovietiche come il Tagikistan, l’Uzbekistan ed altre che hanno chiesto ufficialmente agli USA lo smantellamento delle basi militari nell’area dell’Asia Centrale.

È un passo importante che pone un freno alle ambiziose mire del Pentagono di costruire una «cintura di sicurezza» intorno alla Cina e di disgregare ulteriormente lo spazio geopolitico russo, ma non è ancora abbastanza, perché l’Europa oggi appare più debole che mai. Ad ogni modo vedremo gli sviluppi.

In ogni caso, concludo la recensione del volume di Preve, che come al solito unisce chiarezza espositiva e dirompenti riflessioni, con l’augurio che si avvii una seria e profonda analisi di quali contenuti debba possedere una concezione eurasiatica odierna in un ottica socialista e nazionalitaria che funga da anticorpo verso ogni deriva reazionaria che porti a nuovi disastrosi imperialismi suicidi in primo luogo per l’Europa.

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  1. Per chi legge il francese, ho pubblicato un articolo sulla geopolitica che sostiene un punto di vista molto diverse…
    http://la-sociale.viabloga.com/news/a-bas-la-geopolitique

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