Inflazione o deflazione?

set 7th, 2020 | Di | Categoria: Capitale e lavoro

 

DI CHRISTIAN MARAZZI

Nell’ “economia del 90%”, come l’Economist chiama le economie afflitte  dalla crisi pandemica in cui la duplice contrazione della produzione e del consumo di beni e servizi sta riducendo il Pil di (almeno) il 10%, prevedere l’evoluzione dei prezzi non è del tutto scontato.

Alcuni  settori stanno conoscendo riduzioni nette delle loro attività, da quello dei trasporti, alla ristorazione, al settore alberghiero. Altri, ad esempio i settori della comunicazione digitale, della distribuzione o della farmaceutica, stanno conoscendo aumenti d’attività molto elevati.

Il tutto a fronte di un impoverimento diffuso, della riduzione della mobilità, del terrore di una seconda ondata di covid-19 e di fallimenti finanziari che stanno cambiando le abitudini dei consumatori. Tant’è  vero che, ovunque, gli Uffici nazionali di statistica stanno (faticosamente) cercando di aggiornare il paniere di beni e servizi sulla base del quale (ri)costruire un indice dei prezzi al consumo in grado di misurare il reale potere d’acquisto delle famiglie, in grado, inoltre, di fornire indicazioni verosimili alle Banche centrali relative all’andamento del livello generale dei prezzi.

Sì, perché mentre le Banche centrali stanno iniettando liquidità in quantità senza precedenti  per stimolare l’economia, alcuni economisti criticano tali misure sostenendo che ci stanno portando diritti all’inflazione, mentre altri economisti vedono il rischio esattamente opposto, ossia quello di cadere (di nuovo, d’altronde) in una “trappola deflazionistica” che non farebbe altro che appesantire i debiti pubblici che in questi mesi stanno aumentando a dismisura. Ha quindi ragione Gianfranco Fabi quando, in un suo recente intervento, ci mette in guardia dall’utilizzare “la tradizionale teoria economica secondo cui il prezzo di un bene o di un servizio viene fissato dall’incontro tra la domanda e l’offerta” [1] .

Il fatto di risparmiare per l’impossibilità di andare al ristorante, ad esempio, non significa che la gente andrà a comprare una nuova auto con i soldi risparmiati. Ha senso, invece, spendere meno oggi in attesa di
migliori condizioni in un domani, peraltro incerto. Secondo l’economista Nouriel Roubini [2] , il rischio è piuttosto quello di una deflazione indotta dalla recessione e dal surplus massiccio di macchinari e capacità inutilizzate e di manodopera, come pure da un crollo dei prezzi delle materie prime.

L’accelerazione della digitalizzazione per ridurre i costi operativi e aumentare la produttività non farà altro che aggravare la situazione occupazionale. D’altra parte, il fatto che l’offerta di moneta delle Banche centrali stia aumentando enormemente non vuol dire affatto, come sostengono gli economisti monetaristi, che
essa ingeneri un aumento dei prezzi (secondo il detto “troppi soldi a caccia di troppo pochi beni”). Il collasso del consumo e delle spese d’investimento, semmai, riducono la domanda di credito bancario, ed è questo che conta per la determinazione della quantità di moneta in circolazione. Proprio per questa ragione è più che mai necessario sostenere la domanda di beni e servizi con misure di redistribuzione del reddito assai più coraggiose di quelle messe in campo in questi mesi.

Note
Fabi, Gianfranco. “Paura di volare.” Plusvalore, 1 Maggio 2020.

Roubini, Nouriel. “The Coming Greater Depression of the 2020s.” Project Syndacate, 28 Aprile 2020.

https://tysm.org/  

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