Lotta alla povertà e alla disuguaglianza in Cina. Una risposta a Thomas Piketty

nov 15th, 2020 | Di | Categoria: Politica Internazionale

 

di Gianni Cadoppi

Introduzione

Si tratta di un insieme di saggi scritti nel corso degli anni e solo parzialmente aggiornati ma il cui senso rimane a mio avviso intatto. Spesso la questione della disuguaglianza in Cina è affrontata con metodologie parziali che non tengono conto dell’insieme dello sviluppo economico e sociale del grande paese asiatico e della sua unicità dal punto di vista dell’estensione territoriale e come paese più popoloso del mondo. A volte il saggio risulterà abbastanza ripetitivo perché i singoli capitoli sono stati scritti in maniera autonoma. Credo che il saggio sia tornato di attualità dopo le critiche di Thomas Piketty alla Cina sul tema delle disuguaglianze. Questi saggi sono stati scritti originariamente prima del libro di Piketty e il berseglio erano coloro che nella sinistra occidentale sostenevano l’inesorabile deriva capitalistica della Cina.

Per Thomas Piketty le società post-comuniste in toto sono le più fedeli alleate dell’ipercapitalismo. L’economista francese nel suo ultimo saggio parla del «disastro comunista» così grande da mettere in ombra anche i danni causati dalle ideologie schiavistiche, colonialiste e razziste oscurando i forti legami tra queste ideologie e quelle dell’ipercapitalismo.

Il presidente cinese

aveva dimostrato invece interesse per il suo best seller Il capitale nel XXI secolo (2014).

Nel suo discorso del 2015, Xi ha affermato che il libro di Piketty ha suscitato un acceso dibattito nella comunità accademica internazionale e che le sue argomentazioni sull’impatto del “capitalismo incontrollato” sulla disuguaglianza di ricchezza erano degne di considerazione. Xi infatti scriveva:

Dopo la crisi finanziaria internazionale, molti studiosi occidentali stanno anche studiando nuovamente l’economia politica marxista e Il capitale per riflettere sugli svantaggi del capitalismo. L’anno scorso, Il capitale nel XXI secolo scritto dallo studioso francese Thomas Piketty ha suscitato ampie discussioni nella comunità accademica internazionale. L’autore ha utilizzato dati dettagliati per dimostrare che il grado di disuguaglianza negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali ha raggiunto o superato il livello più alto nella storia. Egli crede che il capitalismo incontrollato abbia esacerbato la disuguaglianza di ricchezza e continuerà a deteriorarsi. La sua analisi è stata effettuata principalmente dal campo della distribuzione e non ha coinvolto questioni di proprietà molto più fondamentali, ma le conclusioni a cui è giunto meritano la nostra profonda considerazione (Xi Jinping 2015).

L’analisi di Piketty però è parziale. Scrive infatti l’economista marxista indiano Prabhat Patnaik:

È significativo che l’imperialismo non giochi alcun ruolo nell’analisi di Piketty, né nello spiegare la crescita della ricchezza e le disuguaglianze di ricchezza, né nell’analisi della crescita passata, o nella previsione della crescita futura. Al contrario, il libro è improntato su una percezione secondo la quale la crescita capitalista in una regione è generalmente vantaggiosa per tutti all’interno di quella regione, non è mai a scapito delle persone di un’altra regione, e tende a diffondersi da una regione all’altra, determinando un miglioramento generale della condizione umana (Patnaik 2014).

Le forte disuguaglianza è onnipresente nel capitalismo odierno a tutti i livelli, ed è il prodotto dell’imperialismo così come le differenze di classe, razza e genere – nessuna delle quali è affrontata direttamente nell’analisi di Piketty (Patnaik 2014).

In particolare per quanto riguarda la Cina scrive Patnaik:

I redditi sono diventati più disuguali in Cina negli ultimi decenni, ma c’è stata una convergenza tra il reddito pro capite in Cina e il reddito pro capite nei paesi ricchi. Non si può prendere la divergenza del reddito pro capite come elemento in sé. La questione è molto più complicata. Un sofisticato analista della disuguaglianza come Piketty dovrebbe riconoscerlo.

L’emersione della Cina dalla povertà, le politiche win-win nei confronti dei paesi africani e del terzo mondo hanno scatenato una gigantesca lotta di classe in cui le potenze imperiali dominanti e in particolare gli Stati Uniti cercano di ricacciare indietro i paesi emergenti. La Cina ha guidato e vinto in questi anni questa grandiosa lotta di classe (che è poi una lotta per la ripartizione della ricchezza) per l’uguaglianza e il riequilibrio tra le nazioni povere e sfruttate del terzo mondo e quelle ricche. Oggi questo è l’aspetto principale che assume la lotta di classe a livello internazionale. L’avanzata della Cina con più di un miliardo di persone verso il benessere ha riequilibrato (al di là di ogni altro elemento) in senso egualitario lo squlibratissimo rapporto tra paesi poveri e ricchi del mondo.

Domenico Losurdo scrive che la lotta armata del passato contro la dominazione imperialista «ha la sua continuazione più spiccata nella lotta finalizzata alla liberazione dalla dipendenza economica e tecnologica e cioè nell’emancipazione dal neo-colonialismo». La lotta per l’emancipazione tecnologica che vede proprio all’avanguardia la Cina è essa stessa una lotta per l’uguaglianza.

Domenico Losurdo aveva individuato bene il problema dell’emersione della Cina:

La Cina sta costruendo un’alternativa rispetto al tradizionale ordinamento internazionale che vedeva l’Occidente detenere il monopolio della tecnologia, confinando il Terzo Mondo al ruolo di erogatore di materie prime e di forza-lavoro a basso costo e di prodotti a basso contenuto tecnologico. Grazie al prodigioso sviluppo economico e tecnologico della Cina, il precedente modello di divisione internazionale del lavoro sta cadendo in crisi, ma la sinistra populista non presta alcuna attenzione a questa gigantesca trasformazione ovvero a questa grande rivoluzione. Sinistra populista è quella (ben presente in un quotidiano pur indispensabile com’è Il manifesto) che sarebbe pronta a versare fiumi di lacrime se dalla Cina provenissero decine di milioni di migranti affamati e disperati, ma che è incapace di riconoscere il merito di un gruppo dirigente che, avendo sviluppato in modo prodigioso l’economia del paese, ha prevenuto e reso impossibile la tragedia di masse disperate costrette a cercare la via di scampo in un’emigrazione a tutti i costi (Losurdo 2015)

Piketty scrive che «la quota del pubblico della ricchezza nazionale in Cina sembra essersi rafforzata dalla crisi finanziaria del 2008» (Piketty et al. 2019). Egli ammette che il tasso di crescita media annua per il 50 per cento più povero in Cina è 4,5 per cento e mentre in Francia e negli Stati Uniti è significativamente inferiore, rispettivamente dello 0,9 e zero per cento (Piketty et al. 2019):

Tra il 1978 e il 2015, la Cina è passata da un paese povero e sottosviluppato alla principale economia emergente del mondo. Nonostante il calo della sua quota della popolazione mondiale, la quota della Cina sul PIL mondiale è aumentata da meno del 3 per cento nel 1978 a circa il 20 per cento entro il 2015. Secondo le statistiche ufficiali, il reddito nazionale reale per adulto è cresciuto di oltre otto volte tra il 1978 e il 2015. Mentre il reddito nazionale medio per adulto era di circa 120 euro al mese nel 1978 (espresso in euro del 2015), nel 2015 ha superato i 1000 euro al mese. Il reddito nazionale annuo per adulto è passato da meno di 6500 yuan nel 1978 a oltre 57800 yuan nel 2015, ovvero da circa 1400 euro nel 1978 a circa 12500 euro nel 2015 – questi importi sono espressi nel 2015 yuan ed euro utilizzando le stime l’ultima parità di potere d’acquisto.

La Cina ha fatto molta strada verso la proprietà privata tra il 1978 e il 2015, ma il regime di proprietà del paese è ancora molto diverso rispetto al resto del mondo. La Cina è un’economia mista con una forte componente di proprietà pubblica. La quota di proprietà pubblica in Cina oggi (30 per cento) è più alta che in Occidente durante il regime di economia mista dei decenni successivi alla seconda guerra mondiale (circa 15 per cento -25 per cento) fino agli anni Settanta. Questi paesi hanno una proprietà prossima allo zero. Addirittura la proprietà pubblica nella ricchezza nazionale è scesa a meno di zero per cento nei paesi occidentali (con debito pubblico che supera le risorse di proprietà pubblica negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone e in Italia). «La quota pubblica della ricchezza nazionale in Cina si è rafforzata dopo la crisi finanziaria del 2008 mentre è nuovamente diminuita nei paesi ricchi dell’Occidente capitalista» (Piketty et al. 2017). Le grandi imprese cinesi sono ancora prevalentemente di proprietà pubblica: quasi il 60 per cento delle azioni cinesi appartiene al governo addirittura con significativo aumento dal 2009, il 30 per cento a proprietari privati cinesi e il 10 per cento a stranieri. Negli Stati Uniti e in Europa le quote sono enormemente sbilanciate a favore del privato (Gabriele e Jabbour 2019).

Sia Cina che India hanno sperimentato più o meno negli stessi anni un aumento del capitale privato e della disuguaglianza. Ma dalla metà degli anni Ottanta al 2010, l’uno percentile più ricco dell’India è passato dal detenere il 6 per cento del reddito della nazione a circa il 13 per cento, mentre in Cina la quota del percentile più alto è passata dal 4 al 10 per cento (anche se dell’Istituto Nazionale di Statistica parlano addirittura del 7 per cento). In altre parole, la Cina è riuscita a produrre più crescita e dunque più ricchezza durante lo stesso periodo, arrivando a uno stato di minore disuguaglianza. La causa, osserva Piketty, sta delle restrizioni che il governo cinese ha imposto ai suoi cittadini più ricchi. La Cina non si è data alla “fuga precipitosa verso la completa deregolamentazione” (Volodzko 2015). Piketty propone una tassazione molto forte degli alti patrimoni ma ammette che un’imposta sul reddito è in vigore in Cina dal 1980 (Piketty et al. 2019). La Cina ha un sistema fiscale progressivo modernizzato e con la riforma fiscale viene applicata una tassazione progressiva dal 3 al 45 per cento. Come si può vedere la quota di disuguaglianza dipende molto dalle analisi e dai calcoli che vengono fatti.

Una critica a Piketty viene da autori di scuola marxista Alberto Gabriele e Elias Jabbour, che pur ritenendo importanti il suggerimento di Piketty sulla tassazione progressiva, fanno anche considerazioni simili a quelle fatte da me sulla diversità, per quanto riguarda la distribuzione del reddito, tra Cina, paese grande, popoloso, diversificato e complesso con circa 400 milioni di persone impegnati nelle aree rurali in forme precapitaliste di produzione alimentare e i paesi avanzati: «Pertanto, non è prudente confrontare l’indice cinese di Gini con quello osservato in paesi come Italia, Svezia o Corea del Sud, date sia le differenze di natura occupazionale che di reddito che esistono tra attività rurali e industriali». Inoltre occorre tenere conto «da un lato, della crescita qualitativa del ruolo dello Stato (diventando, nelle parole di Henderson, “l’imprenditore in capo”; l’agente diretto del coordinamento e socializzazione degli investimenti), dall’altra la crescita quantitativa del settore privato, ancorata alla grande proprietà socialista» (Gabriele e Jabbour 2019).

Piketty, come rileva Alessandro Aresu, dice di non essere mai riuscito a leggere veramente Marx però insiste sull’importanza di Marx a cui allude il titolo della sua opera principale (Aresu 2020).

Piketty è stato nel 2007 consigliere economico della socialista Ségolène Royal durante campagna per la presidenza della Francia. «Piketty non è marxista, e nemmeno un economista politico istituzionalista o post-keynesiano, nel cui lavoro ci si potrebbe aspettare di trovare un’analisi incentrata sulla disuguaglianza. Piuttosto, è un membro altamente accreditato dell’élite economica neoclassica» (Foster e Yates 2014) scrive il direttore di Monthly Review.

1. Questioni generali

Prosperità per pochi, poi per molti, poi per tutti

Du Runsheng (1989: 192).

La Cina oggi sta subendo una drammatica trasformazione sociale paragonabile per importanza storica al Rinascimento all’inizio dell’Europa o alla Rivoluzione industriale nella Gran Bretagna del diciottesimo e diciannovesimo secolo (Xie 2011 ). Coinvolgendo la popolazione più numerosa del mondo oggi, i cambiamenti sociali in atto in Cina sono stati di portata senza precedenti nelle loro conseguenze (Yu Xie 2016).

Nel 1992 il governo ha stabilito che «per raggiungere gradualmente la prosperità comune, si dovrebbe tollerare la disuguaglianza nei redditi ma prevenire la loro polarizzazione». Nel 2002, il XVI Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese ha proposto che «mirando alla prosperità comune, si dovrebbe espandere la percentuale di percettori di reddito medio, aumentare il livello di reddito dei percettori di reddito basso, regolare il reddito eccessivo dei percettori di reddito elevato e vietare il guadagno illegale. Inoltre, si dovrebbe prestare più attenzione alla distribuzione del reddito nelle industrie monopolistiche». Al di là di queste dichiarazioni il governo ha adottato misure che probabilmente hanno impedito al divario di reddito di ampliarsi ulteriormente. In queste misure rientrano l’abolizione delle tasse agricole, il sostegno all’agricoltura industriale, l’istituzione di minimi salariali e previdenziali (Liu Yang 2019).

Sebbene la Cina abbia implementato politiche per limitare la disuguaglianza – come aumentare il salario minimo e la soglia minima per le imposte sul reddito in più occasioni, abolire le tasse agricole e migliorare i servizi pubblici e la protezione sociale nelle campagne, il problema non è facile da superare.

Alcuni dei problemi incontrati nello sviluppo della Cina erano forse inevitabili ma affinché ci sia uno sviluppo armonico occorre, dicono i cinesi, attenersi ad alcuni punti basilari: «I cinque punti cardinali di uno sviluppo bilanciato sono i seguenti: sviluppo bilanciato tra città e campagna, arrivare ad uno sviluppo senza compromettere la natura, alto sviluppo economico interno ed apertura dell’economia mondiale, importanza dello sviluppo economico per assicurare migliori condizioni sociali e sviluppo regionale per ridurre le disparità» (Pandhe 2004).

Dopo il 1978 Deng e i dirigenti del partito hanno riconosciuto che una maggiore disparità di reddito era necessaria per fornire gli incentivi per un’economia troppo arretrata per rapporti di produzione avanzati. La distribuzione artificialmente egualitaria dei redditi aveva come conseguenza anche il mantenimento di stipendi fermi per vent’anni. Il mercato ha rafforzato i salari soprattutto dove c’era una forte domanda di manodopera (Démurger 2003). La tendenza si è accentuata quando si è fatta strada la penuria di manodopera. Del resto ciò corrisponde a quanto auspicato dallo stesso Marx secondo cui nella fase socialista ciascuno deve guadagnare in base al lavoro svolto in termini di quantità e complessità. Sebbene la struttura dei salari non fosse poi così egualitaria ai tempi di Mao, con la riforma le disuguaglianze si sono accentuate. Cosa piuttosto normale. Ad esempio, il coefficiente di Gini, secondo uno dei modi impiegati per calcolarlo ossia a parità di prezzi, era 0,21 nel 1988, e diventò lo 0,33 nel 1995, ma era ancora 0,33 nel 2007 (Deng e Gustafsson 2013). La cosa curiosa (e anche eccezionale) è che nel periodo di maggiore sviluppo economico il Gini è rimasto costante se non addirittura diminuito. Il “turbocapitalismo” dello sviluppo fa aumentare la diseguaglianza? No è il contrario: «La disuguaglianza è diminuita maggiormente proprio nei periodi di maggiore crescita economica! Il luogo comune secondo il quale l’aumento della disuguaglianza è il prezzo che si deve pagare per una maggiore crescita economica viene completamente sfatato: infatti, la diminuzione di disuguaglianza coincide con l’aumento dei redditi delle famiglie» (Zanier 2011).

L’incremento delle differenze di reddito è in parte dovuto ai crescenti premi in linea con il mutamento delle caratteristiche produttive e agli incentivi per l’efficienza. Ad esempio, il premio salariale di un diploma di laurea su uno di istruzione primaria è stato del 9 per cento, del 39 per cento e del’88 per cento rispettivamente nel 1988, 1995 e 2002. Cosa perfettamente in linea con la teoria marxista dello sviluppo delle forze produttive in cui bisogna incentivare lo sviluppo delle competenze. Inoltre i salari sono stati più sensibili alla redditività aziendale grazie alla condivisione formale (nelle cooperative) o informale del profitto. La domanda di laureati è destinata a crescere rapidamente con la riqualificazione dei processi industriali per la produzione di prodotti tecnologicamente avanzati. Tuttavia, una politica di rapida espansione dell’offerta di laureati in relazione alla loro domanda probabilmente avrà l’effetto di restringere la struttura salariale assieme alla crescita del costo del lavoro non qualificato, come sta già avvenendo.

La disuguaglianza è diminuita durante i primi anni della riforma rurale, ma è aumentata rapidamente man mano che la riforma urbana progrediva. I primi cambiamenti nella disuguaglianza nazionale hanno riguardato molto più strettamente le riforme economiche rispetto al livello di reddito, ma l’aumento è stato coerente con la curva di Kuznets1 (diseguaglianza in rapporto al tasso di sviluppo) che tende verso l’alto nella fase ascendente dell’industrializzazione-urbanizzazione e che naturalmente poi dovrebbe tendere verso il basso quando questo processo si stabilizzerà. Questi processi sarebbero anzi già iniziati. Le indagini dell’Istituto Nazionale di Statistica cinese mostrano che dal 2009, il reddito pro capite delle famiglie rurali è cresciuto più rapidamente rispetto alle sue omologhe urbane e che in generale la disuguaglianza di reddito provinciale sembra essersi stabilizzata o addirittura diminuita dal 2005 (Fan et al. 2011).

Il coefficiente Gini è un indicatore statico. Esso riflette i cambiamenti nel corso dell’anno nel divario di reddito. Questo coefficiente non indica cambiamenti dinamici all’interno di una particolare categoria di reddito. Per esempio, quando il coefficiente di Gini aumenta tra 0,35-0,4, sono possibili due scenari dietro questa ascesa. Il primo è che gli aumenti di reddito avvengano per ciascun gruppo, ma il gruppo di reddito più alto tenda ad aumentare i propri guadagni più velocemente rispetto al gruppo a basso reddito. Questo, ed è il caso della Cina, porta comunque ad un divario di reddito. L’altra è che il gruppo a basso reddito guadagni di meno degli anni precedenti addirittura impoverendosi mentre il gruppo ad alto reddito guadagna più soldi, ciò si traduce in un indice Gini ancora maggiore del primo caso. Nel caso della pandemia COVID-19, ad esempio, i miliardari del WEB (Gates, Bezos ecc.) che hanno fatto extra-profitti mentre per molte persone ha significato impoverimento. Questi cambiamenti nella struttura del reddito devono essere considerati quando viene fatta l’analisi sul divario di reddito, perché la prima dinamica non porta serie conseguenze sociali a differenza della seconda. Ne consegue che la diseguaglianza può anche essere tollerata e poco percepita se è all’interno di un’economia dinamica. I contadini, ad esempio, che sono la parte meno fortunata della popolazione hanno visto i propri redditi aumentare da 394,37 yuan nel 1988 a 1711,5 yuan nel 1999, sebbene la percentuale dei loro redditi sul reddito nazionale scendesse dal 26.42 per cento nel 1988 al 20.25 nel 1999 (oggi è poco più del 7 per cento). Il coefficiente Gini non è variato sostanzialmente tra il 1993 e il 1999 ma c’è invece stata una variazione nella struttura dei redditi. Tutto ciò non è rilevato nell’indice Gini.

Un’indagine sociologica sull’atteggiamento dei cinesi verso la disuguaglianza di reddito ha concluso che i cinesi non sono contrari al grado di disuguaglianza che essi osservano, in particolare se si basa sul merito, lo sforzo o l’assunzione di rischi. Infatti, le disparità di reddito sembrava offrire alle persone incentivi o altre opportunità per migliorare la propria posizione economica (Whyte 2010).

Questa interpretazione corrisponde alla prima fase “dell’effetto tunnel” ipotizzato da Hirschman e Rothschild (1973). Al contrario, la disuguaglianza basata sull’ingiustizia e disuguaglianza delle opportunità è generalmente avversata. Whyte ha trovato che gli agricoltori, pur essendo il gruppo più povero, erano i meno scontenti. Si tratta di una questione importante se la Cina entrerà nella seconda fase dell’effetto tunnel di Hirschman, ovvero se si verificherà effettivamente che una massa critica di gente inizierà a vedere la disuguaglianza non come un segno di opportunità disponibili, ma come un segno di ineguali opportunità e di ingiustizia distributiva.

Xi Jinping ha fissato obiettivi ambiziosi per i prossimi 30 anni e oltre. La prima parte dovrebbe essere raggiunta tra il 2020 e il 2035. Entro quell’anno si avrà un’ampia parte della popolazione a reddito medio e un divario di ricchezza più ridotto (Giangiulio 2017). La società che si prospetta è una società più equa e sostenibile:

Continueremo a seguire il principio della distribuzione secondo il lavoro, migliorando allo stesso tempo le nostre istituzioni e i meccanismi di distribuzione basati sui fattori di produzione, in modo da rendere la distribuzione del reddito più equa e più ordinata. Incoraggeremo le persone a fare i loro guadagni attraverso il duro lavoro e mezzi legali. Amplieremo le dimensioni del gruppo a medio reddito, aumentando il reddito per le persone a basso reddito, adeguando i redditi eccessivi e proibendo quello illecito. Lavoreremo per vedere che i redditi individuali crescono di pari passo con lo sviluppo economico e gli aumenti salariali in collegamento con aumenti della produttività del lavoro. Amplieremo i canali affinché le persone possano realizzare guadagni basati sul lavoro e redditi da capitale. Il governo svolgerà la sua funzione di adeguamento delle redistribuzioni, muovendosi più rapidamente per garantire un accesso equo ai servizi pubblici di base e per ridurre le lacune nei redditi (Xi Jinping 2017).

Naturalmente i cinesi manifestano un certo buon senso, come rileva un’inchiesta che sfata non pochi luoghi comuni sulla percezione delle disuguaglianze socio-economiche da parte loro. Innanzitutto, dai dati raccolti emerge un notevole ottimismo nei confronti del futuro, tanto che oltre il 60 per cento degli intervistati si è mostrato convinto del fatto che «l’ondata crescente dello sviluppo economico sta sollevando tutte le barche, anche se non alla stessa velocità» e si è detto sicuro che nel giro di cinque anni la propria famiglia sarebbe stata meglio. Gli intervistati mostravano una certa tolleranza verso la ricchezza se frutto del lavoro e del talento, insomma secondo il principio che è anche proprio del marxismo «a ciascuno secondo il proprio lavoro» ma non accettavano che i politici possano servirsi della propria autorità per migliorare il proprio benessere materiale.

L’ideologia politica tradizionale cinese approva la disuguaglianza basata sul merito. Il merito qui si riferisce alle prestazioni come amministratori misurate che forniscono servizi di beni pubblici alla gente comune. I funzionari nella società cinese sono spesso ricompensati con vari vantaggi e privilegi per fornire beni pubblici. Cioè, se i privilegi di cui godono i funzionari portano a risultati desiderabili per gli altri nella società, la disparità di trattamento è accettata e persino incoraggiata nella tradizione meritocratica cinese.

I disordini di Piazza Tienanmen del 1989 coincidono con l’emergere di gravi problemi e preoccupanti crepe nell’edificio delle riforme: i salari, seppure aumentati nel corso degli anni, sono ancora bassi in termini assoluti. Sebbene le disparità economiche non siano ancora così marcate, per la prima volta dopo decenni iniziavano a farsi sentire. Si veniva accentuando un crescente divario tra le zone costiere, in cui fioriscono attività produttive e commerci, e le vaste regioni dell’entroterra occidentale, ancora immerse nella povertà (Cadoppi 2019).

Lo slogan di Deng Xiaoping «diventare ricchi è glorioso», viene assunto alla lettera e la gente chiede semplicemente più ricchezza (o, se si vuole, meno miseria), ma l’insistenza degli studenti sulla distribuzione della ricchezza serve per dare un senso, non strettamente corporativo, alla protesta.

Il partito ha abbandonato l’egualitarismo (che poi non è mai stato tale). Un eccessivo egualitarismo ha avuto l’effetto di disincentivare la produzione. La percezione popolare che la disuguaglianza sia aumentata non è poi così accurata almeno al tempo dei moti di Tienanmen. L’aumento del reddito rurale rispetto a quello urbano probabilmente ha addirittura ridotto la disuguaglianza complessiva durante il primo decennio della riforma. Si può dire che sia diminuita la diseguaglianza spaziale (tra città e campagna), ma è aumentata quella tra le regioni e quella verticale tra i ceti sociali. Il cambiamento delle relazioni tra i settori economici e una maggiore visibilità della ricchezza personale, fanno percepire la disuguaglianza in modo più acuto che in passato. La differenziazione delle retribuzioni è perfino corretta da un punto di vista marxista nella situazione in cui si trova la Cina, ma è una novità cui i cinesi non sono ancora abituati. Alla base della protesta di Tienanmen ci sono, dunque, anche problemi di ordine sociale e non solo: il cambiamento comporta grossi problemi, anche psicologici (Cadoppi 2019).

La misurazione della disuguaglianza economica in Cina è piuttosto controversa nel mondo accademico. Vi sono preoccupazioni circa l’autenticità, l’affidabilità e la comparabilità dei dati con altri paesi (Hvistendahl 2013). Se il coefficiente di Gini fornisca o meno una valutazione valida della disuguaglianza è oggetto di dibattito, ma rimane l’indicatore più frequentemente utilizzato (Wu 2009).

Ci sono molte controversie su come calcolare il coefficiente di Gini per i residenti cinesi. Nella letteratura specifica, ci sono circa 20 diverse stime sui coefficienti di Gini cinesi. Nulla può illustrare questo problema più delle diverse stime del coefficiente di Gini per l’anno 1995. Zongsheng Chen (1999) l’ha calcolato come 0,365. Tuttavia, nel 2002, lui e Zhou Yunbo hanno usato altri due metodi per calcolarlo, con il risultato di 0,38392 e 0,41914, rispettivamente. I risultati di Yonghong Cheng (2006, 2007), e Chen, Hou e Jin (2008) erano 0,4169 e 0,3934, rispettivamente. Shujian Xiang (1998) e Dan Huang e Youmin Xi (1999) hanno ottenuto come risultato 0,3515 e 0,328, rispettivamente. Renwei Zhao, Shi Li, Riskin (1999) invece hanno ottenuto lo 0,445. Quello più alto, 0,452, è quello di Khan e Riskin (2001). Questo valore è il nove per cento superiore al 0,415 ottenuto dalla Ravallion e Chen (2007) ed è quasi il doppio del valore più basso.

Di solito, non vengono notate la differenza di approccio usate per il censimento tra la Cina e gli altri paesi del mondo. Ad esempio, le famiglie in Cina sono tenute a registrare i loro redditi annui complessivi. Al contrario, molti altri paesi usano una settimana, due settimane o dichiarazioni dei redditi di un mese come base, moltiplicandolo per 52, 26 o 12 per ottenere i dati dell’intero anno (Gibson, Huang e Rozelle 2001). Ne consegue che il coefficiente Gini della Cina è molto più accurato di quello degli altri paesi.

coefficiente gini


Figura 1: Evoluzione dei coefficienti Gini dal 1978 al 2016 secondo le varie rilevazioni

Perché la riforma economica induce il coefficiente Gini ad aumentare passando da 0.288 (moderatamente equo) del 1981 allo 0.47 del 2001 fino all’attuale alto indice di 0,46? «È quasi assiomatico che durante i periodi di forte crescita, alcuni migliorano la loro situazione a un ritmo più alto di altri» ha scritto l’Asian Wall Street Journal (Citato da Sisci 2006) mettendo però in risalto i successi della lotta contro la povertà. Si può dire addirittura che queste diseguaglianze sono la dimostrazione del successo del modello cinese. Infatti dove il modello si sviluppato compiutamente ossia nelle città della costa, ha oscurato persino gli evidenti successi nelle campagne, ad esempio nella lotta contro la povertà. Oggi solo il 3 per cento dei poveri vive nelle città. Se analizziamo coloro che in Cina vivono con 2 dollari al giorno (60 dollari al mese), comunque una cifra molto bassa, le realizzazioni sono impressionanti. Il numero di persone che in Cina vivono con un reddito simile o minore è sceso da 972 milioni nel 1981, a 395 milioni nel 2008, a 362 milioni nel 2009. Il numero di gente che vive con un reddito di 60 dollari al mese o meno in Cina è sceso di 577 milioni entro il 2008, e 610 milioni entro il 2009. L’India è distante anni luce.

Il coefficiente di Gini in sé non racconta tutta la storia. La Cina ha sperimentato una rapida crescita nel coefficiente di Gini nel corso degli ultimi 30 anni. Ma la gente ha comunque aumentato i propri redditi. I residenti urbani hanno più soldi in tasca e hanno goduto di una vita migliore tra il 1988 e il 1995. L’ampliamento della differenza di reddito è stata largamente accettata. Tra il 1996 e il 2004 ci sono state proteste tra i gruppi urbani a basso reddito soprattutto quelli rimasti in condizioni relative di povertà con redditi stagnanti. Non c’era un forte problema sociale data la crescita dei guadagni anche nei gruppi più poveri.

Un metodo classico per ridurre le disparità è quello del riequilibrio dei redditi tramite la leva fiscale. Dopo il 2000 sono state messe in atto misure fiscali per l’alleviamento della povertà. Nel 2005, ad esempio, nel Guangdong che ha 90 milioni di abitanti, i redditi non imponibili sono passati da 1.260 a 1.600 yuan. Le autorità di Pechino, che ha 14 milioni di abitanti e quelle dello Jiangsu, 80 milioni, invece hanno portato l’imposta imponibile da 1.000 a 1.200 yuan. Quasi contemporaneamente venivano aumentate le imposte sulle multinazionali straniere che sono state portate dall’11 al 26 per cento come per le aziende nazionali. Inoltre esse avevano altri vantaggi fiscali. La risposta alle lamentele delle Corporation non si è fatta attendere per bocca del viceministro delle finanze che ha ribadito che un paese indipendente decide lui stesso il regime fiscale e che non è più a lungo ammissibile che le aziende straniere abbiano vantaggi del 15 per cento su quelle locali (Unify corporate 2005). Inoltre le tasse ai contadini artificialmente alte per finanziare l’industrializzazione nel periodo maoista e che in seguito si erano ridotte al 5 per cento, sono state abolite dal 2007. Insomma togliere ai ricchi per dare ai poveri (Unify corporate 2005). Nel 2006 la Cina ha innalzato il tetto minimo della tassa sul reddito individuale dalla quota di 800 yuan mensile a 1600 yuan, e intensificato la supervisione dell’imposta dei cittadini con alto reddito, al fine di regolare efficacemente la ridistribuzione del reddito. Il vice direttore dell’Amministrazione Statale delle Imposte Wang Li ha chiarito: «Secondo statistiche incomplete, dopo l’innalzamento del tetto minimo della riscossione delle imposte a partire da 1600 yuan mensili, nel paese sono diminuiti di oltre 20 milioni di contribuenti dell’imposta sul reddito individuale. Questo favorisce il mantenimento dell’eguaglianza sociale e la promozione della costituzione della società armoniosa».

Per quanto riguarda i redditi alti, il governo e le istituzioni cinesi hanno adottato anche alcune misure necessarie per limitare il rapido aumento delle loro entrate. Dai dati dell’Istituto Nazionale di Statistica cinese emerge che attualmente gli stipendi medi degli impiegati di alcuni settori monopolistici gestiti da imprese statali come l’energia elettrica e le telecomunicazioni risultano due o tre volte superiori a quelli degli altri settori. Se si aggiunge la differenza fra le entrate extra e i benefit, la differenza reale risulta ancora più alta. Nel maggio 2005 diverse imprese dell’energia elettrica hanno deciso la limitazione degli stipendi. Il direttore dell’Ufficio di ricerca sul consumo dell’Istituto economico della Commissione statale per lo sviluppo e la riforma, Chen Xinnian, ha affermato che questo è un ottimo inizio dell’impegno cinese per la riduzione del divario fra ricchi e poveri (Divario 2008). Il coefficiente Gini è maggiore nelle aziende private 0,49 contro lo 0,23 del settore statale che rimane dunque abbastanza egualitario al suo interno, anche se gli stipendi però tendono verso l’alto della gamma. La cosa paradossale è che gli stipendi delle aziende statali, molto “socialisti”, però anche molto alti rispetto alla media, squilibrano il coefficiente Gini cittadino.

Purtuttavia anche con il Coefficiente Gini molto grande, la Cina sembra molto più egualitaria dell’America Latina, dell’Africa e dell’India. Innanzitutto nei confronti di America Latina e Africa è effettivamente più egualitaria ma lo sarebbe anche dell’Europa se il Coefficiente fosse misurato per l’intero continente piuttosto che in paesi come l’Austria che hanno meno della popolazione di Shanghai. In effetti se si prendono i paesi più ricchi dell’Europa (Svizzera, Irlanda, Svezia ecc. fino ad arrivare ad un decimo della popolazione europea) e i più poveri (Bulgaria, Romania, Albania ecc. anche questi per un decimo) si vedrà che i più ricchi hanno un reddito pro capite superiore di circa dieci volte a quelli più poveri. Se prendiamo gli abitanti delle città in Cina hanno un reddito superiore di “solo” tre volte quello delle campagne. Occorre però anche tenere presente l’effetto di Bassla-Samuelson. La gente guadagna di più a Shanghai (che è paragonabile al Portogallo come standard di vita) che non nello Guangxi. La gente ha più soldi a Roma che a Shanghai. Ma questo surplus è compensato dal fatto che il costo della vita è più alto a Roma che nella città cinese come si è visto parlando degli stipendi. Se si fa il confronto a parità di costo della vita, le differenze sono molto minori di quelle che sembrano (Hermann-lath e Sheng Zhahan 2006). Il livello d’allarme per il coefficiente Gini sarebbe secondo l’ONU 0,4 che, come vedremo, non è presente né all’interno della stessa provincia né all’interno di realtà omogenee come la città e la campagna. Tuttavia la Cina si situa circa a metà strada per il coefficiente Gini nel mondo, al livello della Gran Bretagna e a un livello molto minore che l’America Latina e l’Africa. Il partito comunque insiste sulle diseguaglianze agendo per il loro ribilanciamento. Deng Xiaoping addirittura ne faceva una questione discriminante per vedere se la via seguita era quella socialista o capitalista. È indubbio che il PCC faccia bene a mettere in guardia dall’innalzare ulteriormente il coefficiente Gini che è passato dallo 0.33 del 1980, ad un anno dall’inizio delle riforme, allo 0,37 nel 1992, allo 0,4 nel 2003 sino all’odierno 0,46, dopo essere arrivato a 0,49 (almeno secondo una delle tante metodologie). Il compito di un Partito Comunista è quello di puntare al bilanciamento “armonico” dei redditi. È stato infatti lo Study Times organo della scuola quadri del PCC a rilevare che occorra prendere misure contro l’ampliamento delle differenze di reddito (Party school 2005).

andamento disuguaglianze


Figura 2: Andamento delle disugualinze in Cina, Come si vede gli indici stanno diminuenedo per il lungo periodo.



L’economista Pan Shengzhou in una lezione alla scuola di partito affermava: «Sforzi saranno fatti per aumentare il reddito delle categorie con redditi medi e bassi, ampliare la percentuale del gruppo a reddito medio, regolare i redditi eccessivamente alti e eliminare i redditi illegali in modo da stabilire una figura dei redditi tipo oliva. Nel frattempo, bisogna attivamente incoraggiare la popolazione ad adeguare la loro struttura di consumo. Inoltre si svilupperà il credito al consumo e si faranno sforzi per trasformare la formazione superiore, la casa, l’automobile, l’informazione ed il turismo nei nuovi punti caldi del consumo» (Pan Shengzhou 2006). La struttura ad oliva dei redditi significa che questi si concentrano nella parte centrale e mentre parti sempre minori vanno alle estremità e un numero sempre minore sarà molto più ricco o molto più povero della media della popolazione.

«Il segretario del Sindacato cinese cita le priorità del governo. I redditi dal 1980 al 2000 sono cresciuti di quattro volte in termini reali. Il nuovo piano preparato dal governo ipotizza ancora una crescita del reddito pro capite di 4 volte tra il 2000 e il 2020. Xu nota che il paese da le maggiori opportunità alla costruzione economica e allo sviluppo sostenibile diretto verso i bisogni della gente come è particolarmente sottolineato dal governo» (Pandhe 2004). L’ex segretario del partito Hu Jintao ha dato, a suo tempo, una serie di indicazioni relative alla costruzione di una «società socialista fondata sull’armonia sociale», che vanno nella prospettiva della costruzione di uno Stato sociale che garantisca giustizia, equità e riequilibrio nella distribuzione della ricchezza. Queste dichiarazioni sono basate sul programma annunciato già dal 2004 per combattere la diseguaglianza in Cina.

Il 18 gennaio del 2013 sono usciti i risultati del monitoraggio del coefficiente Gini per il decennio passato. Dal 2009 il coefficiente Gini è in costante ribasso: dal 2008 (0,491), 0.49 nel 2009, 0.481 nel 2010 e 0.477 nel 2011, uno dei risultati più bassi del decennio passato.
Nel febbraio del 2013 appena dopo che l’Istituto di Statistica aveva reso noto questi dati è stato annunciato il nuovo piano per ridurre le disuguaglianze di reddito. Il raddoppio dei livelli di reddito personale entro il 2020 è emerso come uno dei nuovi obiettivi della leadership. La crescita sarebbe maggiormente incentrata sul miglioramento standard di vita. Il piano per combattere la disuguaglianza del reddito, per ovvi motivi, si basa sulla crescita che punta però maggiormente sulla qualità che sulla quantità.

Sebbene le imprese statali (SOE) non siano il principale nodo delle disuguaglianza di reddito in Cina, il nuovo piano traccia una serie di linee guida per limitare gli eccessi salariali nel settore pubblico i cui lavoratori e manager hanno una serie di cospicui vantaggi non sempre trasparenti. Il piano richiede che le imprese statali aumentino i loro guadagni per trasferirli al bilancio dello Stato per la redistribuzione. Il piano fissa un obiettivo di un aumento dei ricavi di 5 punti percentuali per le imprese statali centrali da realizzare entro il termine del XII piano quinquennale.

Il piano prevede modifiche alla politica fiscale, programmi di sicurezza sociale, e trasferimenti per affrontare la disuguaglianza di reddito. Inoltre individua diverse riforme specifiche, tra cui l’aumento della partecipazione dei lavoratori migranti al sistema pensionistico, il miglioramento dei sistemi pensionistici urbane e rurali e l’accelerazione della creazione di un sistema sanitario nazionale universale. Si prevede inoltre un’espansione della tassa di proprietà sugli immobili attualmente limitata a poche città. Si tratta di un passo avanti verso la riduzione della speculazione nel mercato immobiliare.
Il piano sottolinea l’importanza di tutelare i diritti dei “proprietari” (forse sarebbe più corretto dire assegnatari) dei terreni rurali e migliorare il sistema di registrazione della terra come passo importante per incrementare i redditi rurali. Secondo il piano, la requisizione della terra dovrebbe essere basata su accordi volontari.
Se, come vedremo nel confronto con l’India e in seguito per quanto riguarda il divario regionale e quello tra città e campagna, la disparità di redditi non è poi così drammatica, come mai il Partito per primo ne sottolinea l’importanza? La cosa è abbastanza semplice: sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento affinché non si facciano strada atteggiamenti egoistici (tipo Lega nord in Italia ai tempi di Bossi) delle regioni più ricche e dei ceti benestanti verso coloro che avanzano più lentamente verso il benessere.

1 L’assunto di Simon Kuznets che nelle economie capitaliste sviluppate si vada inevitabilmente verso una crescente uguaglianza è in contrasto con la realtà, come del resto afferma lo stesso Piketty, anche se alcuni elementi della sua teoria possono essere utili.

2: Lo 0,4 per cento della popolazione,ovvero i figli dei dirigenti del partito, possiede il 70 per cento della ricchezza nazionale. Analisi di una fake news

La Cina sarebbe una sorta di Vulcano Sociale pronto ad esplodere. Un piccolo pugno di super ricchi e per il resto una desolante povertà. Ecco cosa scrivono due critici di “sinistra” della Cina. Naomi Klein in Shock Economy e Xulio Rios su Rebelion:

Secondo uno studio del 2006, il 90 per cento dei miliardari cinesi (calcolati in yuan) sono figli di funzionari del partito comunista. Circa 2900 di questi rampolli di partito – noti come ‘i principini’ – controllano 260 miliardi di dollari (Klein 2009).

Lo 0,4 per cento della popolazione accumula il 70 per cento della ricchezza, ha affermato lo scorso ottobre Xingdu Hu, professore di economia presso l’Istituto di Tecnologia di Pechino. La Cina è il paese con il maggior numero di miliardari dopo gli Stati Uniti, secondo la rivista Hurun (Rios 2010).

Ma cosa c’è di vero? Nulla! La storia la dice anche lunga sulla “censura” cinese! Rios scrive addirittura dopo che la storia era stata smentita dall’inchiesta che riportiamo qui sotto. Ecco la sintesi della storia vera in un’inchiesta del sito People’s Net del 6 Agosto 2009 dal titolo “Il 91 per cento di coloro con più di 100 milioni di yuan sono figli di quadri dirigenti: I dati sono stati truccati e poi diffusi” (Peng Xiaoyun 2009) ovvero come le fake news si diffondono su internet (anche in Cina).

People’s Net parte dalla constatazione che articoli e discussioni che trattano il problema del “91 per cento delle persone benestanti” che possiedono più di 100 milioni di yuan sarebbero figli di alti dirigenti e quadri superiori del Governo, si sono ampiamente diffusi su Internet. Il reporter investigativo hanno condotto l’inchiesta attraverso una ricerca su Baidu (il motore di ricerca cinese) che ha ottenuto più di 2810 risultati. Appena due giorni prima, il numero era di 2650. Allo stesso tempo, i media tradizionali cinesi hanno anche pubblicato commenti e opinioni sulla base di questa statistica, attirando l’attenzione del grande pubblico. Questo per chi crede che in Cina viga una censura onnipresente.

Allora, da dove provengono i dati? C’è stato un’autorevole dipartimento che ha pubblicato una ricerca del genere come sostengono coloro che l’hanno diffusa in modo virale su internet? Perché queste informazioni hanno un così alto livello di attenzione? Con queste domande in mente, un giornalista del Quotidiano del Popolo ha intervistato varie persone e organizzazioni al fine di scoprire la verità che sta dietro questi numeri.

Il 26 giugno, il Time Weekly ha pubblicato una relazione scritta dal giornalista Han Honggang. L’articolo afferma all’inizio: «In occasione della recente riunione del comitato permanente dell’XI Conferenza politica consultiva del Partito Comunista Cinese, è emerso che il ‘grado di concentrazione’ della ricchezza in Cina ha attirato l’attenzione dei membri della commissione permanente. Il membro del Comitato Cai Jiming ha detto: ‘Un rapporto di un autorevole dipartimento in Cina ha dimostrato che lo 0,4 per cento della popolazione possiede il 70 per cento della ricchezza. Questa concentrazione di ricchezza è superiore a quella degli Stati Uniti» (Peng Xiaoyun 2009).

Dopo diversi tentativi, il reporter si è finalmente messo in contatto il 31 luglio con il giornalista Han Honggang del Time Weekly. Egli ha ammesso che i dati non arrivano dal discorso del membro del comitato Cai. Piuttosto vengono da un saggio scritto da un certo economista cinese che è stato pubblicato su internet nel 2006.

In seguito il reporter ha contattato l’economista per la conferma. Questo studioso ha ammesso che i dati provengono semplicemente da internet. Egli ha detto: «Al momento, questi dati erano molto popolari su Internet». Quindi i dati sono frutto di una leggenda metropolitana nata in internet.

Cai Jiming, che sta nel vortice della tempesta nell’opinione pubblica, era molto infastidito per l’attenzione. Egli ha rilasciato una dichiarazione di chiarimento sul suo blog personale. Ma l’effetto è stato debole, perché i dati hanno continuato a essere diffusi e discussi.

In seguito Cai Jiming è stato intervistato dal giornalista di People’s Net. Egli ha detto che nel corso della riunione speciale della Conferenza Politica Consultiva del Partito Comunista Cinese, ha solo detto che “secondo la stima di un istituto di ricerca al di fuori della Cina, lo 0,4 per cento delle persone più ricche cinesi controlla il 70 per cento della ricchezza”. Non ha detto quale organizzazione di ricerca fosse e sicuramente non ha detto che si trattava di un rapporto di un autorevole dipartimento universitario cinese. Il Time Weekly ha redatto il rapporto senza intervistare Cai Jiming. L’articolo del Time Weekly non dice che i dati fossero basati su quello che ha detto. Ma quando gli altri media citano i dati del Time Weekly, lo fanno così: «Alla riunione della recente Conferenza Politica Consultiva del Partito Comunista Cinese, un membro del comitato, Cai Jiming, ha citato un rapporto di ricerca congiunta, dell’Ufficio Ricerche del Consiglio di Stato, dell’Ufficio di Ricerche della Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese, e di altri dipartimenti».

Cai Jiming ha sottolineato: «Sono fortemente infastidito del modo con cui i media hanno interpretato i dati fraintendendo l’intento di chi parla. La stampa deve essere obiettiva, veritiera e corretta e deve opporsi al gonfiamento dannoso delle notizie».

Al fine di rafforzare la cosiddetta credibilità di questi dati, alcuni media hanno sottolineato, ripetendolo più volte quando riportavamo i dati, che venivano da “dipartimenti autorevoli in Cina” e dalla ” Conferenza consultiva del Partito comunista cinese”. Non solo il membro del comitato Cai Jiming ora ha chiarito i fatti, ma anche tutti i dipartimenti autorevoli elencati nei “servizi” hanno smentito le voci dei giornalisti.

Il leader del Dipartimento Centrale di Propaganda ha dichiarato chiaramente: “Il nostro ufficio non ha mai condotto alcuna ricerca socio-economica in collaborazione con l’Ufficio Ricerche del Consiglio di Stato, l’Ufficio di Ricerche della Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese, l’Accademia Cinese delle Scienze sociali o altri dipartimenti. Il nostro ufficio non ha mai condotto alcuna ricerca su questo argomento. Non abbiamo redatto alcun rapporto di ricerca. Non abbiamo citato tali dati nei nostri rapporti di ricerca pubblicati”.

Alcuni media hanno sostenuto che questi dati fossero originati per primi dal progetto di ricerca sulla “Mobilità sociale contemporanea in Cina” dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali. Lu Xueyi, che è il ricercatore responsabile del progetto dell’Accademia, ha fermamente smentito e ha detto che le affermazioni sono assurde!

Egli ha dichiarato: «L’affermazione che il 91 per cento delle persone ricche con più di 100 milioni di yuan siano figli dei quadri superiori non è credibile perché non può essere stimata statisticamente, inoltre, è assurdo avere una accuratezza con questo livello di precisione. Per quanto riguarda l’affermazione che i dati provenissero dallo studio sulla ‘Mobilità sociale contemporanea in Cina’, è ancora più assurdo! Il nostro progetto è stato completato nel 2004, ma questi dati si dice siano del ‘marzo 2006′. Allora come è possibile?»

Le autorità competenti dell’Ufficio Ricerche del Consiglio di Stato e dell’Ufficio di Ricerche della Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese hanno detto al giornalista che non esiste tale relazione. I dati si dice siano stati falsificati e diffusi su internet un paio di anni fa, provenienti da certa stampa all’estero.

Il giornalista cercando su internet ha trovato il sito Sing Tao Global che dice il 19 ottobre 2006: “Relazione ufficiale: Oltre il 90 per cento di tutte le persone ricche che possiedono più di 100 milioni di yuan sono figli di alti funzionari”. L’articolo affermava: «Il rapporto delle organizzazioni di ricerca del governo ha mostrato che nei cinque settori della finanza, del commercio estero, sviluppo del territorio, costruzioni di grandi dimensioni e del mercato azionario, quelli che ricoprono le posizioni più importanti sono fondamentalmente figli di quadri di alto livello» e continua «Oltre il 90 per cento delle persone cinesi che hanno più di 100 milioni di yuan di ricchezza sono figli di quadri di alto livello. Più di 2.900 figli di quadri dirigenti sono in possesso di più di 2 miliardi di yuan. L’Ufficio Ricerche del Consiglio di Stato, la Scuola Centrale del Partito Comunista, l’Accademia Cinese delle Scienze sociali e altri dipartimenti hanno recentemente pubblicato un rapporto di ricerca sulle condizioni economiche della società, e registrato in dettaglio il reddito delle persone in diversi strati sociali». Non è noto se questa fosse la fonte primaria dei falsi resoconti, ma questo articolo è stato ripubblicato e citato con molta frequenza.

Il giornalista ha anche trovato un articolo sul quarto numero del 2007 della pubblicazione in lingua inglese Far East Economic Review. Cifre simili sono menzionate in questo saggio: «Studiare con attenzione i motivi economici potenziali per l’aumento delle disparità di reddito in Cina. Noi ignoriamo il fatto che dei 3.220 cittadini cinesi con un patrimonio personale di 100 milioni di yuan ($ 13 milioni) o più, 2.932 sono figli di quadri di alto livello». Il giornalista che conduceva l’inchiesta ha osservato che l’articolo non ha precisato la fonte o la data delle cifre fornite.

Quindi, questi dati che sono stati considerati falsi da parte delle istituzioni competenti e che sono comunque di dubbia provenienza sono stati citati da molti siti web e forum dentro e fuori della Cina, anche se le “versioni” non sono identiche.

La propagazione di questo insieme di dati falsi permette alla gente di valutare ancora una volta il potere di internet nel diffondere e amplificare le informazioni.

In realtà, il fenomeno di confondere dati statistici utilizzati dai media (soprattutto su internet) esiste da lungo tempo. I dati statistici provenienti da organizzazioni, studiosi ed esperti dentro e fuori la Cina così come altri dati che sono stati manipolati sono spesso citati e utilizzati a piacimento. «Quando i media e singole persone citano questi dati, raramente cercano di comprendere e interrogarsi sulla loro validità scientifica ed esattezza. Certo, è difficile per gli ordinari netizen condurre tali indagini. Ma i media, le organizzazioni professionali e gli operatori non dovrebbero ignorare i loro standard professionali di condotta, non dovrebbero utilizzare le informazioni per infiammare il malcontento pubblico e sicuramente non devono violare le leggi e i regolamenti» continua l’articolo di People’s Net. Spesso nemmeno i giornalisti sanno esaminare criticamente le statistiche come rilevava Patrick Mattimore sul caso dei suicidi alla Foxconn (Mattimore 2010, Cadoppi 2013). L’autenticità e la completezza di questo tipo di dati sono spesso impossibili da verificare.

Durante l’inchiesta, il giornalista ha anche osservato che, quando molti utenti della rete prestano attenzione o addirittura ripubblicano questi dati, essi non vi credano del tutto nella sostanza. Ma si può dire che l’ansia per il crescente divario di ricchezza tra ricchi e poveri il desiderio di sradicare la corruzione, l’insoddisfazione per le condizioni di vita e così via sono motivi che inducono la gente a prestare attenzione e discutere di questo tipo di informazioni.

Gli utenti cinesi di Internet sono vicino al miliardo. Un gruppo di queste dimensioni non è più virtuale. Gli uyenti ostano messaggi, iniziano blog e scrivono commenti per esprimere i loro bisogni e esternare i loro sentimenti. La citazione di dati per supportare il loro discorso è uno dei metodi più comuni di espressione.

Il professor Liu Xirui del National Administrative Sciences Academy è stato intervistato dal giornalista del People’s Net e ha spiegato il motivo che c’è dietro la diffusione di tali informazioni false: rappresenterebbero una catarsi emotiva dei cittadini della rete e sono il mezzo con cui vengono comunicati certi valori. Egli ritiene che, anche se le informazioni sono prive di fondamento, i sentimenti di insoddisfazione dietro la diffusione ampia di questo tipo di informazioni dovrebbero richiamare l’attenzione dei dipartimenti competenti. Liu Xirui suggerisce che i vari livelli di governo dovrebbero comunque prestare attenzione, analizzare e studiare questi fenomeni, le ragioni sottostanti, e adottare misure efficaci per risolvere i problemi.

Yu Guoming vice preside della Cinese Renmin University School of Journalism e direttore dell’Opinion Research Institute interpreta questo tipo di fenomeni attraverso un concetto della teoria della comunicazione: lo ”stereotipo”. I dati di incerta veridicità si diffondono ampiamente e sono accettati come veri come gli ”stereotipi” negli studi sulla comunicazione. Egli ritiene che la disuguaglianza di ricchezza sia un fattore importante che può influenzare la stabilità sociale. Nella vita reale, da un lato, molte persone sono in grado di sperperare soldi per acquistare beni di lusso per mostrare il proprio status. D’altra parte, ci sono ancora molte persone che vivono in condizioni difficili. In tali circostanze, i dati falsi possono facilmente sembrare logicamente veri per la gente. In realtà, questo è un avvertimento per la società. La gente ha bisogno di una piattaforma per sfogare le proprie emozioni.

Yu Guoming ha sottolineato che quando i media utilizzano i dati, devono verificarli. Se le informazioni non sono state verificate, dovrebbero essere segnalate come non verificate in modo che il lettore sadotti un atteggiamento scettico quando li legge.

Altro problema è la raccolta di dati di questo genere. É impossibile raccogliere tali informazioni. Negli Stati Uniti, in Italia e qualsiasi paese occidentale non esistono informazioni su come i figli e le figlie di capi di stato se la passano in termini di potere economico.

Come sarebbero stati raccolti questi i dati statistici? Se si conduce un sondaggio generale della popolazione, allora si ha a che fare con tassi di risposta differenziati. Troverete più facile intervistare persone di classe media con dimore regolari. Troverete l’impossibilità di trovare i sottoproletari che vivono in una baracca sotto un ponte della ferrovia, perché non vi è alcuna registrazione delle famiglie o dei dati ad un indirizzo fisico in quanto tale.

Se la vostra indagine sulla popolazione generale finisce con 1000 intervistati, la parte superiore allo 0,4 per cento è di 1.000 x 0,004 = 4 casi. Chiedete agli intervistati di indicare il valore dei loro redditi. Si aggiunge poi la somma dei loro beni patrimoniali. Siete voi a decidere che questi 4 casi ammontano al 70 per cento della somma totale delle attività di tutti i 1.000 intervistati. Quindi questa è la vostra risposta.

Beh, dovrebbe essere ovvio anche a qualsiasi dilettante che una stima basata su un campione di 4 persone è piuttosto inaffidabile. C’è bisogno di un campione più ampio. Si supponga di farlo su un campione nazionale con un campione enorme di 100mila partecipanti, poi la parte superiore dello 0,4 per cento è di 100.000 x 0,004 = 400. Ora il campione potrebbe essere abbastanza stabile, ma questa indagine sarà enormemente costosa (per un valore di diverse decine di milioni di euro o l’equivalente in yuan).

Diamo ora uno sguardo all’altra affermazione che “3220 persone cinesi dispongono di un patrimonio di oltre 100 milioni di yuan, di cui 2.932 sono figli di quadri di alto livello.” Da questo viene il dato del 91 per cento.

La Cina ha una popolazione di circa 1,4 miliardi di persone (= 1400000000). 3.220 persone su 1.400 milioni hanno un’incidenza di 100 x 3220/1400000000 = 0,00023 per cento. Se si esegue una ricerca con 100.000 partecipanti, il numero degli intervistati con un patrimonio di oltre 100 milioni di yuan è 100.000 x 3220/1400000000 = 0.23. Impossibile spiegare come si sia capito che 2932 su 3220 siano figli di quadri dirigenti sulla base di questa indagine già enorme. Un tale livello di precisione è impossobile. Anche se eseguiamo il rilievo su 10.000.000 (= 10000000) persone, troveranno solo 23 persone con un patrimonio di 100 milioni di yuan o più. Nessuno può permettersi di fare un sondaggio con un simile campione. I numeri riportati sono anche troppo precisi. 3.220 persone con un patrimonio di valore superiore a 100 milioni di yuan? 2932 con alti quadri come i genitori? Questi numeri non si sarebbe potuto ottenere tramite qualsiasi indagine campionaria. L’unico modo per arrivare a questo livello di precisione è che si disponga di un elenco completo dei dati del censimento. Non c’è nessuna procedura per arrivare a questo. Se questa procedura esistesse, molti dei problemi di corruzione sarebbero superati perché sarebbe possibile, ad esempio, riprodurre un elenco di funzionari governativi che hanno un patrimonio non in linea con gli stipendi percepiti.

Si potrebbe anche assumere che tale procedura esista. Ma ci vuole un altro corequisito da cui risulti che il tipo di lavoro dei genitori o altri parenti immediati (nonni, zii/zie, suoceri, ecc) in modo tale che essi possano essere classificati come “quadri dirigenti” o meno. Che cosa è dunque un “quadro dirigente” (un membro del Politburo? Un ministro? Un viceministro? Un governatore provinciale/segretario del partito? Il sindaco di una città? Il segretario del partito di una contea? …)? Inoltre, le famiglie dei leader di alto livello, sono un argomento di discussione altamente sensibile. Il problema non è nemmeno per il rango dei funzionari governativi. Con ogni probabilità, né Xi Jinping né Li Keqiang sono corrotti su larga scala, perché non gestiscono personalmente i soldi. Un vice direttore di un qualche Dipartimento periferico può effettivamente avere possibilità maggiori di auto-arricchimento illegale.

Le persone in posizioni giuste hanno accumulato ricchezze sproporzionatamente grandi? Sì, può essere. É logicamente possibile in Cina e in altre parti del mondo che questo avvenga. Invece è possibile che 2.932 su 3.220 persone cinesi con più di 100 milioni di yuan di patrimonio siano figli di quadri di altissimo livello? No, è decisamente falso! Eppure questa fake news dilaga anche fuori della Cina.

3: Confronto tra India e Cina

Der Spiegel, il maggiore settimanale tedesco, rilevava una differenza essenziale tra la Cina e altre realtà dei paesi in via di sviluppo: «I successi economici del Partito Comunista non sono il suo solo risultato impressionante. Le città cinesi sembrano più sicure di San Paolo e Bogotà, e sembrano più pulite e più ordinate delle baraccopoli di Nairobi o Soweto in Sud Africa. Pechino e Shanghai vantano una vivace scena culturale, e l’accesso alla banda larga di Internet è già attivo nelle principali città del paese. La ricezione del telefono cellulare è disponibile anche nei piccoli villaggi» (Lorenz e Wagner 2007).

Un noto liberale cinese che vive in America, Yasheng Huang, scrive: «I visitatori di Cina e India spesso riportano impressioni quasi opposte delle due nazioni. L’India aggredisce i sensi. Le persone vivono in un aperto squallore, nella mancanza di servizi igienici, in enormi baraccopoli in metropoli tentacolari come Bombai e Nuova Delhi che provocano facilmente l’impressione di una società molto povera e diseguale. La Cina induce la reazione opposta. Il territorio urbano è in gran parte esente dagli elementi più caratteristici della povertà obbrobriosa, come le baraccopoli di massa. Non è sorprendente che coloro che visitano la Cina lascino il paese con l’impressione che si tratti di uno dei paesi di maggior successo nella lotta contro le disuguaglianze di reddito e che l’India abbia fatto il contrario. La realtà è quasi esattamente l’opposto. La misura più utilizzata di disparità di reddito è l’indice di Gini, che varia da zero – perfetta parità – 100 – perfetta disuguaglianza. Nel 2001, l’indice di Gini della Cina era pari a 44,7, in India durante il periodo 1999-2000, l’indice di Gini era 32,5» (China Gini 2007).

I liberali sono diventati marxisti al punto tale da preoccuparsi per l’uguaglianza? A quanto pare sì, ma solo per quanto riguarda la Cina. Da anni si va avanti con la storia della polarizzazione tra ricchi e poveri, prima con le agitazioni rurali e poi con gli scioperi del 2010 che stavano per far cadere, a loro dire, il Partito comunista. Oddio ultimamente queste storie sono in ribasso. Ma i liberali non demordono e si inizia con un quadro generale che è la rivoluzione di classe, marxista, che ormai si avvicina in Cina, dopodiché si cerca di inserire le notizie in tale contesto. Non parliamo poi dei multitudinari negriani per cui persino le rivoluzioni colorate sponsorizzate dalla NATO, meglio se abbattono i monumenti di Lenin, sono l’avanguardia del proletariato.

Ma le cose stanno così? La Cina è a tutti gli effetti un “vulcano sociale”? Lo vedremo. L’Indice Gini, citato sopra, può servire a fare raffronti ma prima bisogna capire di cosa si parla. Un paese molto popolato dovrebbe, in generale, avere un indice Gini molto alto mentre un paese con una sola persona ha un indice zero, ovviamente. Bisogna confrontare paesi che siano tra loro abbastanza vicini come popolazione. I paesi scandinavi che sono delle parrocchie rispetto alla Cina è naturale che abbiano un indice basso. Shanghai ha una popolazione maggiore di tutti i paesi scandinavi. Bisognerebbe confrontare l’indice Gini della Svezia con quello di una parrocchia di Shanghai (20 milioni di abitanti) e si avrebbe magari la sorpresa che l’indice cinese è minore. Che il Gini della Cina sia uguale a quello USA che ha una popolazione di quasi un un quinto significa che la Cina è molto più egualitaria degli USA.

Altro elemento è la vastità del territorio. Il coefficiente di Gini misurato per paesi geograficamente molto grandi risulta generalmente molto più alto rispetto aI coefficienti calcolati per ogni regione. In generale più il paese è vasto più è possibile che vi sia uno sviluppo differenziato da zona a zona. Per questa ragione i valori calcolati per ogni paese europeo sono difficilmente comparabili con il dato complessivo della Cina. Bisogna dunque paragonare paesi di simile grandezza, tipo l’India. È chiaro che a San Marino c’è un Gini molto basso.

Poi bisogna vedere il tasso di sviluppo. Nei paesi ricchi ma stagnanti (0-2 per cento di crescita) ma che hanno completamente percorso il processo verso l’industrializzazione e poi verso la terziarizzazione, la variazione del Gini può essere significativa, se si verifica. I paesi poverissimi e stagnati hanno quasi sempre indici Gini bassi. I paesi dinamici (+6/10 per cento) tendono ad avere indici Gini più differenziati anche se dovrebbero tendere con il tempo ad equilibrarsi (curva di Kuznets). Inoltre bisogna vedere se è stato completato il passaggio dalla campagna alla città. Inutile confrontare la Cina che ha un indice di urbanizzazione abbastanza scarso (e comunque recente) ma con alto dinamismo, con un paese avanzato con un indice di urbanizzazione alto. La campagna, soprattutto se sovrappopolata, offre sempre redditi bassi. Quindi si devono confrontare paesi con indici di urbanizzazione simili. Alcuni paesi danno benefici monetari, mentre altri (come la Cina) offrono buoni spesa o buoni pasto, che non possono essere tenuti in conto come reddito nella Curva di Lorenz1 e quindi non sono presi in considerazione nel calcolo del coefficiente di Gini. Inoltre l’indice Gini non ha ancora uno standard uniforme. Alcuni lo calcolano secondo i redditi altri secondo la spesa delle famiglie; in molti casi i dati vengono raccolti in modi diversi rendendo difficile il confronto, ad esempio lungo tutto l’anno come in Cina (dove l’indice dovrebbe essere più accurato) oppure in un determinato mese.

differenze cina india


Figura 3: Differenze di qualità della vita tra India e Cina.


Siccome la Cina è il paese più popoloso del mondo ed anche uno dei più vasti, non ha ancora completato la transizione verso l’urbanizzazione, l’industrializzazione e la terziarizzazione ed ha uno dei più alti tassi di sviluppo del mondo. Dovrebbe di conseguenza avere di gran lunga l’indice Gini più alto del mondo, ma così non è.In Cina i processi di urbanizzazione e di industrializzazione sono lontano dall’essere terminati e l’urbanizzazione è più indietro dell’industrializzazione. Il test di verifica della disuguaglianza che viene applicato alle economie che hanno terminato tali processi non può funzionare bene anche per paesi come la Cina. Teoricamente, l’industrializzazione ed il processo di urbanizzazione determinano un flusso di lavoro e di capitale verso le aree urbane ed i settori industrializzati, che a loro volta avvantaggiano maggiormente, nella distribuzione del reddito, i residenti urbani ed i proprietari di capitali e fanno aumentare il divario del reddito. Una volta che l’urbanizzazione e il processo di industrializzazione è giunto a maturità, il capitale si indirizzerà verso il settore agricolo diminuendo le diseguaglianze di reddito con un andamento a curva ad U rovesciata.

Apparentemente se c’è un conflitto fra i numeri (coefficiente Gini) e quello che si vede (gli slum), scientificamente si dovrebbe credere ai numeri e dimenticare ciò che si vede. Ma se lanciamo uno sguardo un poco più profondo troveremo che il conflitto è apparente. Le disuguaglianze della Cina sono in gran parte un fenomeno regionale. Il coefficiente di Gini per una singola provincia è piuttosto basso, mentre è grande se si confrontano tra loro le province più ricche con quelle più povere. Bassi coefficienti Gini sono presenti in piccoli stati europei (paragonabili ad una parrocchia di Shanghai). Inoltre è il coefficiente è grande se si guarda al dislivello tra città e campagna. È piccolo se si guarda a zone omogenee come città tra loro oppure campagne. Nelle città era dello 0.23 nel 1988 ed è aumentato a 0.319 nel 2002. Nelle campagne ad esempio era dello 0.303 nel 1988 e dello 0.366 nel 2002.

Per illustrare questo con un esempio recente, l’Annuario Statistico ESCAP per l’Asia e il Pacifico 2009 ha riferito che il coefficiente di Gini per la distribuzione del reddito nelle zone rurali dell’India (0,30) era inferiore al coefficiente corrispondente per la Cina rurale (0,36).Ma come vedremo è la manipolazione di dati che porta a alte differenze tra le provincie che in realtà non corrispondono al vero. Non solo ma l’indice Gini di India e Cina viene calcolato in modo diverso. In realtà l’indice Gini della Cina normalizzato su quello dell’India sarebbe di 0,38! Molto basso per un paese come la Cina.

periodo indice gini 700


Figura 4: Nel periodo in cui l’Indice Gini era al massimo in Cina, nei centri urbani era inferiore a quello italiano

Nell’interno della singola città è poi ancora minore. Il Guardian ha pubblicato un articolo (Vidal, 2008) basato su uno studio condotto dalle Nazioni Unite dal titolo “Wealth Gap Creating a Social Time Bomb”. L’articolo cita una ricerca che mostrava secondo cui Pechino è il posto più egualitario al mondo, ma poi affermava che c’era una grande disuguaglianza in Cina. Come possono due punti di vista contraddittori coesistere nello stesso articolo? In realtà, non sono contraddittori. Le disuguaglianze in Cina sono dovute in gran parte alla disuguaglianza interregionale e intergruppo, come quella tra Pechino e le altre città o quella tra la popolazione rurale e la popolazione urbana. All’interno di una singola città, ad esempio Pechino, la disuguaglianza tra i residenti è inferiore a quella di altre metropoli come New York o Londra. Relativamente parlando, molte altre città hanno livelli più elevati di disuguaglianza. Quindi, questi due punti di vista apparentemente contraddittori ci dicono che la disparità regionale è responsabile di gran parte della disuguaglianza in Cina.

Il rapporto suggeriva che Pechino fosse ora la città più egualitaria del mondo, appena davanti a città come Giacarta in Indonesia e Dire Dawa in Etiopia.

L’India ha un coefficiente Gini apparentemente più basso ma ha un numero di poveri molte volte maggiore di quelli della Cina pur con una popolazione minore. Solo il 3 per cento di coloro che risultano poveri risiede in città in Cina. Questa è la ragione per cui si vedono gli slum in India, ma non in Cina. Ma ce ne sono altre.

Nei saggi economici sull’India (che è l’unico paese paragonabile alla Cina) è normale descrivere la disuguaglianza economica indiana come relativamente bassa. A supporto vengono solitamente citati i dati sui consumi del NSS (National Sample Survey). Questo coefficiente Gini nel 2004-2005 era 0,325, ed è anzi inferiore rispetto a molti paesi in via di sviluppo, compresa la Cina, come ripetuto costantemente, sia nei documenti nazionali e internazionali che della stampa finanziaria, tanto da diventare parte del folklore sulle disuguaglianze in India.

Scrivono due ricercatori indiani:

Nella recente letteratura internazionale sulla disuguaglianza del reddito, l’India è raffigurata come un paese a bassa disuguaglianza (Palma 2006; ESCAP 2010 Noi sosteniamo che tali confronti sono sbagliati e fuorvianti, in quanto i calcoli sono basati su dati dei redditi famigliari per gli altri paesi, mentre per l’India sulla spesa dei consumatori. Infatti, tutti i database internazionali sui redditi, tra cui la Banca Mondiale e il più ampio World Income Inequality Database (WIID), utilizzano i dati di spesa delle famiglie al posto dei dati sul reddito delle famiglie per l’India. Di conseguenza, tutti gli studi comparativi internazionali della disuguaglianza di reddito soffrono della stessa inesattezza (Swaminathan e Vikas 2011).

Un’altra agenzia indiana, il NCAER, raccoglie di tanto in tanto i dati sui redditi, e in base ai dati raccolti in un sondaggio sui nuclei famigliari del 2004-2005, il coefficiente di Gini della disuguaglianza di reddito arriva, in India, a 0,535.

In contrasto con la cifra corrispondente per la Cina, 0,387 – vedi la stima globale di Lin, Zhuang, Yarcia e Lin (Lin 2008). Sia il dato dell’India che le stime cinesi sono corrette per la variazione spaziale dei prezzi tra aree rurali e urbane, che non vengono di solito citate nelle stime dei coefficienti di Gini. Non solo la disuguaglianza di reddito è di gran lunga superiore a quello della Cina ma è nel range dei paesi latinoamericani, che notoriamente hanno un indice Gini tra i più alti del mondo.

Eticamente e socialmente si tende ad interessarsi maggiormente alle disparità di opportunità piuttosto che al risultato che viene rilevato dal reddito. Dopo tutto, con la stessa opportunità due persone possono alla fine avere anche redditi diversi, semplicemente perché uno è più ambizioso e laborioso rispetto all’altro, e in generale la gente non si preoccupa troppo fino a quando le opportunità sono uguali. Per l’America Latina sono ora stati fatti alcuni tentativi per misurare la disuguaglianza di opportunità, ma molto poco ancora in India.
In un paese come l’India la disparità di opportunità sicuramente dipenderà dalla distribuzione della terra, dall’istruzione e dall’identità sociale. Un bambino nato in una famiglia rurale senza terra, con scarse possibilità di accedere alll’istruzione sarà gravemente svantaggiato nelle sue opportunità di vita, non per colpa sua. La distribuzione della terra in India è molto più diseguale rispetto, ad esempio, alla Cina. Il coefficiente di Gini della disuguaglianza della distribuzione delle terre nelle zone rurali dell’India era 0,62 nel 2002; la cifra corrispondente in Cina era 0,49 nello stesso anno. Questo deriva in parte dal fatto che l’India ha una popolazione senza terra molto più grande, mentre con la riforma in Cina si è distribuita la terra in modo tendenzialmente egualitario. La distribuzione della terra va corretta però con le caratteristiche dei terreni e del territorio (ad esempio terra semiarida o particolarmente fertile). La qualità del terreno è parzialmente presa in considerazione in India quando la terra è inclusa nell’indagine del NSS sul patrimonio famigliare. Con questi dati, il coefficiente di Gini della proprietà di distribuzione era 0,63 nel 2002 nell’India rurale, mentre il dato corrispondente per la Cina era 0,39 nello stesso anno. È una delle peggiori al mondo: secondo le stime della Banca Mondiale, il coefficiente di Gini della distribuzione di anni di scolarizzazione degli adulti nella popolazione, una misura grezza della disuguaglianza educativa, era 0,56 in India nel 1998/2000, che non è solo superiore allo 0,37 della Cina nel 2000, ma anche superiore a quasi tutti i paesi dell’America latina (nel Brasile: 0.39) a causa della grande quantità di analfabeti.

In prospettiva è più importante la mobilità intergenerazionale che la disuguaglianza vista in modo statico come nell’indice Gini. Su questo argomento, il lavoro empirico quantitativo è piuttosto scarso. Alcune stime preliminari suggeriscono che tale mobilità sociale è molto maggiore in Cina che in India, in parte senza dubbio a causa del lascito, nel secondo paese, del sistema oppressivo e discriminatorio delle caste (Bardhan 2009).

Ostacoli incontrati dai poveri nei mercati fondiari e dei capitali, per l’acquisizione di abilità e nel far fronte ai rischi riducono notevolmente il potenziale della società per gli investimenti produttivi, innovazione e sviluppo delle risorse umane.

I sistemi socialisti nei paesi in via di sviluppo spesso portano alla creazione di diritti di proprietà socialmente più efficienti (per esempio, alcune riforme agrarie per migliorare sia l’equità che la produttività). La disuguaglianza che mantiene la forza lavoro nell’ignoranza non può essere vantaggiosa per le imprese e l’economia, a parte la criminalità e i problemi legati all’ordine pubblico e i conflitti a cui può portare una società altamente polarizzata.

Scrive un visitatore indiano della Cina: «Alla metà del XIX secolo, Shanghai era il principale centro commerciale e finanziario di potenze coloniali europee in Estremo Oriente. Gli inglesi avevano poi descritto Shanghai come la “Calcutta dell’Estremo Oriente”. Guardando a Shanghai oggi, ciò è davvero ironico. Oggi, la provincia di Shanghai è una delle aree più dinamiche ed economicamente avanzate del mondo. Ha una popolazione di circa 17 milioni di abitanti. Con un (nel 2005) di 114 miliardi di dollari, e ha uno dei più alti tassi di crescita in Cina – 11,1 per cento» (Yechury 2006). Ironico dunque paragonare una “città dolente” indiana ad una delle più moderne metropoli del mondo.

4: Diseguaglianze città-campagna (1): I contadini cinesi sono più poveri ora che 20 anni fa?

 

Nel 1952 il PIL per abitante era inferiore a quello del 1890. Alla fine del XIX secolo il reddito dei cinesi era ancora nella media mondiale, nel 1949 era poco più della metà di quello indiano. Nel 1952 la produzione industriale non era più elevata di quella del 1900. La quantità di cereali per abitante era circa quella del 1800 mentre il reddito per abitante non si era alzato negli ultimi 130 anni. Nel 1930 una famiglia media di agricoltori americani possedeva 67 ettari di terra ovvero quaranta volte quella di un cinese. In Cina tra il 1890 e il 1935 il PIL per abitante era aumentato dello 0,16 all’anno. Praticamente stagnante (Franssen 2007).

La riforma agraria messa in atto in Cina nel 1949 non aveva reso i contadini tutti uguali. I contadini poveri possedevano 0.8 ettari, quelli medi 1,1 e quelli ricchi 2,1. I contadini poveri e medi avevano un capo di bestiame ogni due famiglie, quelli ricchi due. Allo stesso tempo tra il 1949 e il 1952 i salari degli operai erano aumentati del 143 per cento e quelli dei contadini del 69 per cento. Questo perché, ovviamente, lo sviluppo dell’industria era molto più veloce di quello dell’agricoltura. Dunque aumentava la differenza tra città e campagna. D’altra parte con la fuga volontaristica del maoismo degli anni Sessanta gli stipendi cessano di crescere sebbene continuasse a crescere il dislivello tra città campagna soprattutto per l’aumento dell’impiego nella burocrazia statale che faceva lievitare il reddito urbano.

rapporto redditi rurali cina


Figura 5: Il grafico mostra il calo avvenuto negli ultimi anni del rapporto tra redditi rurali e urbani. Sia i redditi urbani che quelli rurali sono continuamente aumentati mentre il loro rapporto ha cominciato a discendere.



Bisogna tener conto da dove si veniva. All’indomani della Rivoluzione la terra era stata distribuita ai contadini e ciò aveva rimesso in moto l’economia ma poi si passò troppo velocemente alle cooperative di tipo inferiore e poi a quelle di tipo superiore, fino ad un egualitarismo spinto che aveva fatto perdere ai contadini gli stimoli per la produzione. Ma tuttavia, l’errore stava nel considerare l’esperienza del passaggio al socialismo come completabile in un periodo breve. Era stata eliminata in gran parte la produzione privata e si era passati ad un sistema relativamente egualitario nel lavoro e nella ripartizione dei redditi, sebbene non si potesse parlare di egualitarismo assoluto.
I contadini cinesi furono i protagonisti del rovesciamento di quasi tutte le dinastie cinesi e da ultimo della rivoluzione maoista. C’è chi sostiene che le riforme economiche furono il principale fattore del mancato successo della rivolta di Piazza Tienanmen nel giugno del 1989 che portò i contadini a non simpatizzare con gli studenti liberali. Il PCC si è sempre basato sulla sua solida base contadina:

… nel definire la propria base sociale, il Partito comunista cinese privilegiava i contadini rispetto al proletariato urbano, che era invece la classe rivoluzionaria di Marx e Lenin. Come aveva dimostrato il massacro dei lavoratori insorti sotto la guida dei comunisti operato dal Kuomintang a Shanghai nel 1927, le regioni costiere in cui era concentrato il nerbo del proletariato urbano rappresentavano un terreno troppo infido perché da lì si potesse lanciare la sfida all’occupazione straniera e all’egemonia esercitata dal Kuomintang sulla borghesia cinese. Cacciati sempre più lontano dalle aree dell’espansione capitalistica a opera dell’esercito del Kuomintang addestrato ed equipaggiato dalle potenze occidentali, al Partito comunista cinese e all’armata rossa non restavano altre alternative che mettere radici fra i contadini delle aree più povere e remote. Il risultato, per usare le parole di Mark Selden, fu “un processo di socializzazione a due vie”, in cui l’esercito-partito fuse gli strati subalterni della società rurale cinese in una poderosa forza rivoluzionaria, venendo a sua volta conformato dai valori e dalle aspirazioni di quegli stessi strati. La combinazione di queste due caratteristiche con la spinta modernista del marxismo-leninismo ha costituito le fondamenta della tradizione rivoluzionaria cinese ed è di aiuto nello spiegare alcuni aspetti chiave del percorso di sviluppo cinese prima e dopo le riforme, così come i recenti cambiamenti di linea politica che hanno avuto luogo sotto Hu. Aiuta a spiegare innanzitutto perché nella Cina di Mao, in stridente contrasto con l’Unione Sovietica di Stalin, la modernizzazione sia stata perseguita non attraverso la distruzione, ma attraverso l’elevazione culturale ed economica dei contadini (Arrighi 2008: 410- 411).

Lo sviluppo economico della Cina dopo il 1978 si è basato ancora una volta sui contadini. La Cina era un paese agricolo con la maggior popolazione mondiale. Il 70 per cento dei cinesi viveva nelle regioni rurali. Nelle campagne le 55mila comuni popolari vennero sostituite da 96mila comuni rurali, rendendo così più efficace questo livello amministrativo di base data la minor quantità di popolazione di cui esso doveva occuparsi (Cheek 2007: 65). Nel 1983 non esistevano più le comuni e il 98 per cento dei nuclei famigliari contrattava personalmente con i funzionari del circondario o della provincia la quantità delle forniture di cibo. La teoria del socialismo con i colori cinesi si basa appunto sullo sviluppo “naturale” dell’economia. Ossia si inizia sviluppando l’agricoltura che fornisce le basi per lo sviluppo dell’industria leggera (agro-industria, tessile ecc.) e gli stimoli per lo sviluppo della meccanica agricola e dei macchinari che preparano il terreno per l’industria pesante vera e propria (produzione di acciaio ecc.). La dissoluzione delle Comuni ha comportato la responsabilizzazione del nucleo familiare, collegando la produzione al reddito, che ha visto nel diritto a gestire le terre, una garanzia sociale molto importante per gente che non era mai andata oltre una economia di sussistenza. La responsabilizzazione ha aumentato gli stimoli per la produttività dei contadini. La terra in quanto mezzo di produzione è rimasta proprietà della collettività, tuttavia i coltivatori hanno diritti a lungo termine per l’utilizzo delle terre. L’usufrutto della terra veniva privatizzato e le famiglie contrattavano l’uso della terra per un periodo prefissato: 15 anni per le coltivazioni annuali e 50 per la silvicultura. Si facevano contratti per specifici raccolti per lo stato e la produzione eccedente che poteva essere venduta a prezzi di mercato. La politica agricola ha risolto il problema di nutrire e vestire un miliardo di persone e corrispondeva allo stato di sviluppo della forze produttive del paese tenendo conto anche della scarsità delle risorse: “La strategia di sviluppo proposta 20 anni fa ha portato a superare positivamente i gravi problemi della Cina – che ha il 22 per cento della popolazione mondiale e solo il 6 per cento delle risorse idriche e il 7 per cento della terra arabile del pianeta – ha migliorato l’approvvigionamento di cibo e abbigliamento del suo popolo, ridotto la povertà e comincia a dare a tutti una vita modesta, ma sicura, con valori a cui il sistema capitalista non può arrivare” (Jabbour 2006).

urban rural cina gap


Figura 6: Figura 6: Da notare che il reddito rurale è pressoché raddoppiato in 5 anni

Nel 1988 il governo legalizzò le imprese private e quelle molto piccole crebbero rapidamente. Nel 1986 c’erano 500mila imprese industriali, delle quali 420mila erano di medie o piccole dimensioni. L’espansione dei servizi al consumo fu altrettanto rapida. Nel 1977-88 la forza lavoro totale crebbe del 35 per cento, ma l’occupazione nei ristoranti crebbe del 327 per cento, nella distribuzione del 380 per cento e negli altri servizi del 750 per cento. L’occupazione in questi tre tipi di servizi che assorbivano manodopera poco qualificata di origine contadina, crebbe da 6 milioni a 30 milioni portando ad un enorme crescita della qualità della vita in Cina (Lessons 1996).La cosa singolare è che fu la Rivoluzione Culturale a porre le basi per il successo della riforma:

…per quanto abbia rappresentato un’esperienza dolorosa per gli intellettuali e i funzionari di estrazione cittadina, la Rivoluzione culturale ha rafforzato le radici contadine della Rivoluzione cinese e gettato le fondamenta per il successo delle riforme economiche. Basti ricordare che, in parte come risultato delle politiche seguite, e in parte come effetto della distruzione dell’industria urbana nelle lotte di frazione, i prodotti delle imprese rurali erano molto ricercati, generando quella grande espansione delle imprese gestite dalle comuni e dalle brigate da cui sarebbero poi nate in seguito molte delle imprese di municipalità e villaggio (Arrighi 2008: 411).

Nelle fasi iniziali della collettivizzazione si era tenuto in parte conto dell’esperienza sovietica della “collettivizzazione forzata” dalla quale lo stesso Stalin arretrò riprendendo dalla cooperativa di grado inferiore: l’Artel. Proprio come per l’Artel, che in URSS fu generalizzato dopo il viaggio di Stalin in Siberia, anche il nuovo sistema fu creato dai contadini della provincia di Anhui. Deng Xiaoping infatti lo definì come una iniziativa dovuta alla creatività dei contadini stessi. È, in ultima analisi, la “linea di massa” maoista. Hutton così descrive questo movimento spontaneo delle masse popolari:

“Tutto era iniziato prima ancora del terzo plenum del partito nel 1978, allorché un gruppo di comuni del circondario di Fenyang, nella provincia di Anhui, aveva convinto i funzionari locali ad accettare che fossero le singole tenute, anziché le comuni, a contrattare la fornitura delle quote di cereali, il che assicurava al governo provinciale una maggiore disponibilità di prodotti. Fu il segnale di una rivoluzione dal basso, un’esplosione in puro stile cinese. La notizia dell’accordo di Fenyang percorse le campagne del paese come un uragano sociale: i contadini si lasciarono semplicemente alle spalle il sistema delle comuni e si misero a lavorare i poderi di loro spettanza – nella quasi totalità dei casi gli stessi degli avi di famiglia” (Hutton 2007: 89).

Nel nuovo sistema è la collettività che firma dei contratti con le famiglie fornendogli i diritti di sfruttamento della terra per numerosi anni. Dopo il pagamento dell’imposta agricola (che è stata in seguito soppressa) le famiglie danno alla collettività una certa quantità di prodotti come fondi comuni e dispongono liberamente degli altri.

Quindi per tutta la prima fase cioè il 1978-83 le riforme sono incentrate sull’agricoltura con eccellenti risultati: “I prezzi di acquisto delle principali colture salirono rapidamente e furono incrementati i sussidi per proteggere il consumo ed inoltre fu favorita la diversificazione delle produzioni agricole e la specializzazione in attività collaterali. Il risultato fu di far uscire l’agricoltura cinese dalla stagnazione in cui si trovava e ottenere alti tassi di sviluppo dei prodotti agricoli (mediamente dell’8 per cento annuo per il periodo 1978-84 rispetto al 2 per cento a cui si era arrivati negli anni precedenti) (Bedon 1994). Cheek sostiene che: «il primo e più spettacolare risultato della riforma economica, all’inizio degli anni Ottanta, fu il boom dei redditi della popolazione rurale» (Cheek 2007: 78).

Arrighi ritiene anche che la base contadina del PCC abbia influito nella specifica via scelta per le modernizzazioni, infatti ciò «aiuta a spiegare perché, prima e dopo le riforme, la modernizzazione cinese non si sia fondata semplicemente su un’adesione acritica alla Rivoluzione industriale di stampo occidentale, ma sul recupero di molte caratteristiche della indigena Rivoluzione industriosa e della sua base rurale. Essa aiuta anche a spiegare perché sotto Mao la tendenza all’emergere di una borghesia urbana di funzionari statali e di partito e di intellettuali sia stata combattuta ricorrendo alla ‘rieducazione’ di costoro nelle aree rurali. E infine aiuta a spiegare perché le riforme di Deng siano state lanciate prima nel settore dell’agricoltura e perché il nuovo corso di Hu si sia concentrato sullo sviluppo dell’istruzione, dei servizi sanitari e del benessere nelle aree rurali sotto la bandiera di un ‘nuovo socialismo delle campagne’» (Arrighi 2008: 411).

È noto che la povertà assoluta in Cina è scesa drasticamente. Ad esempio, Ravallion e Chen (2007) riportano che la percentuale di famiglie che erano sotto la soglia di povertà assoluta ufficiale è diminuita dal 53 per cento nel 1980 al 18 per cento nel 1988 e all’8 per cento nel 2001. In ogni anno, la stragrande maggioranza dei poveri erano nelle zone rurali. Complessivamente le ultime stime parlano di oltre 850 milioni di persone sottratte alla povertà.

Arrighi pone il problema dei problemi, ossia l’unico confronto possibile con la Cina lo si può fare con l’India o con interi continenti: «Alla base di questa tradizione si trova il fondamentale problema di come si possa governare e portare allo sviluppo una nazione che ha una popolazione rurale maggiore dell’intera popolazione dell’Africa o dell’America Latina o dell’Europa. Nessun altro paese, con l’eccezione dell’India, si è mai trovato ad affrontare un problema anche lontanamente simile» (Arrighi 2008: 411). Eppure c’è un campo che è quello delle diseguaglianze in cui tutti fanno finta che la Cina non sia differente dalla Svezia e quindi vada confrontata non con l’India ma con i paesi scandinavi.

Il nuovo corso di Deng è partito come abbiamo visto dalle campagne e si può dire che sino al 1984 si è concentrato sullo sviluppo della agricoltura aiutando i contadini ad uscire dalla miseria. I redditi dei contadini hanno avuto un aumento straordinario fino al 1984 – l’età d’oro della campagne come venne chiamata – e hanno subito un forte rallentamento negli anni Novanta. Naturalmente secondo le deboli menti della sinistra radicale i primi anni Ottanta erano gli anni in cui veniva restaurato il capitalismo. Ottima cosa dato che ha prodotto più eguaglianza. È comprensibile, volere mangiare più di una volta al giorno è segno della presenza demoniaca del capitalismo. Comunque nei primi dieci anni i redditi rurali sono aumentati più rapidamente che nelle città. Tra il 1978 e il 1988 i redditi medi delle famiglie contadine sono cresciuti al netto del costo della vita del 192 per cento. Tra il 1990 e il 2006 al netto dell’aumento dei prezzi i redditi dei contadini sono aumentati del 4,8 per cento all’anno mentre nelle città dell’8,1 per cento (Franssen 2007). Tra il 1988 e il 1995 il reddito pro capite è cresciuto due volte più in fretta per gli abitanti delle città che per quelli delle campagne. Nel 1999, il reddito medio dei cittadini di Shanghai era di oltre 8000 yuan (circa 1000 dollari americani), mentre ancora 5 anni dopo nella provincia rurale del Gansu era di appena 1400 yuan (circa 175 dollari). Nonostante che, come abbiamo detto, in un primo tempo la riforma favorì principalmente i contadini intervennero nuovi fattori a modificare il rush iniziale: il prezzo del riso diminuì fortemente, così come quello di altri alimenti base, e per le comunità rurali, che prima avevano assistito a un’esplosione di ricchezza con il boom di costruzioni edilizie e iniziò un periodo di crescita molto lenta. Furono introdotte nuove quote di produzione per i cereali a prezzi bassi (quelli che lo stato si poteva permettere). Molti contadini, soprattutto i giovani, si incamminarono verso le città in cerca di un lavoro (Cheek 2007: 86-87).

Con la riforma ad ogni famiglia contadina fu assegnato un piccolo appezzamento in usufrutto. Ma la terra non fu privatizzata e vennero imposte limitazioni alle cessioni dei titoli di usufrutto. La concorrenza tra piccoli proprietari contadini ebbe necessariamente il risultato di una crescente differenziazione sociale nei villaggi rurali con l’emersione di una classe di contadini relativamente agiata. Ma la struttura agraria cinese resta fondamentalmente diversa ad esempio da quella dell’India, dove più di cento milioni di braccianti senza terra lavorano i grandi latifondi di ricchi proprietari terrieri (Sconfiggere 2004).

La Cina di Mao in realtà era meno egualitaria di quanto sembrasse. La divaricazione socioeconomica tra Cina rurale e urbana non inizia con le riforme orientate al mercato di Deng Xiaoping. Era già pronunciata negli ultimi anni dell’era di Mao. Tra il 1952 e il 1975, la media del consumo della popolazione non-agricola crebbe dell’81 per cento comparata con il 41 per cento per i residenti rurali (Riskin 1987). Nel 1980 (all’inizio dell’era delle riforme), i residenti cittadini consumavano il 60 per cento più grano pro capite e almeno due volte e mezzo la carne che consumavano i membri delle comuni rurali. La differenza nel possesso di beni di consumo manufatti (orologi, macchine da cucire, radio ecc.) era ancora più grande. Nel complesso, il consumo medio nella Cina urbana era due o tre volte quello delle campagne. Paradossalmente l’URSS che era indicata dai “maoisti” come potenza revisionista e socialimperialista era in realtà più egualitaria della Cina. Infatti durante in Unione Sovietica negli anni Sessanta e Settanta c’è stato un apprezzabile restringimento del gap tra lo standard di vita della popolazione rurale e urbana. Una larga frazione delle aziende agricole collettive si erano trasformate in aziende statali i cui lavoratori ricevevano stipendi uniformi e benefici non dipendenti dalle fluttuanti vendite agricole e dai prezzi garantiti dal governo. Nei primi anni Ottanta, i guadagni dei contadini nell’URSS stavano crescendo a un livello maggiore di quelli dell’industria e dei servizi. Il grande grado di egualitarismo era possibile per il fatto che l’Unione Sovietica era arrivata ad un livello produttivo molto maggiore di quello della Cina (Market Reform 2006). Oggi però si tende a criticare la trasformazioni delle aziende collettive in aziende statali dato che il risultato fu la diminuzione della produttività. Dimenticarsi delle leggi economiche è sempre stato devastante per il socialismo.

Anche prima della riforma la differenza tra i lavoratori delle aziende statali cittadine e della campagna era forte. I lavoratori cinesi avevano un impiego e benefici (la cosiddetta ciotola di ferro) garantiti per tutta la vita. Questa era una delle maggiori conquiste sociali della rivoluzione del 1949. Comunque un paese povero ed economicamente arretrato come la Cina ovviamente non poteva assicurare a centinaia di milioni di agricoltori un lavoro nelle imprese industriali statali garantito a vita, con un livello di stipendio pari a due o tre volte il reddito di un membro delle comuni rurali.

Già l’epoca maoista la Cina è stata caratterizzata da un divario rurale-urbano importante. Nel 1964 era 2,2, nel 1978 era del 2,6. La povertà in Cina e la disuguaglianza sono diminuite drasticamente nel 1978-1985 durante gli anni della riforma rurale, quando l’agricoltura è stato decollettivizzata e si è dato spazio alla produzione familiare. All’inizio delle riforme il reddito agrario pro capite era il 42 per cento di quello urbano. In India nello stesso periodo era il 71 per cento, in Thailandia il 45 per cento, in Brasile il 43 per cento. L’India infatti è arretrata nello sviluppo industriale dunque il rapporto più egualitario potrebbe anche marcare una arretratezza proprio nello sviluppo. In realtà abbiamo visto che le diseguaglianze in India sono più marcate della Cina come risulta semplicemente cambiando il sistema di rilevamento.

Il margine città-campagna si è ristretto nelle prime fasi delle riforme, nel periodo d’oro dello sviluppo delle campagne, il reddito della campagne arrivò a rappresentare, il 55 per cento di quello delle città, per poi riabbassarsi nel periodo seguente quando si sono fatti sentire maggiormente i risultati dello sviluppo urbano.

Ma il divario era già del 2,7 nel 1995, 2,8 nel 2000 e del 3,2 nel 2006. Nel 2007 era 4,10 secondo il sondaggio CHIP (China Household Income Project) diventato 2,91 dopo l’aggiustamento per le differenze territoriali del costo della vita. I corrispondenti indici CHIP nel 2002 erano 3,35 e 2,28 (Li et al. 2013). Se si considerano i vari sussidi occulti (per la sanità, l’istruzione e contributi pensionistici), i rapporti del 2002 erano 4,35 e 3,10, rispettivamente (Li e Luo 2010: 119). Dal 1999 al 2001 c’è stato un aumento dell’8,5 per cento nei redditi dei cittadini e del 2 per cento in quelli dei contadini. Il reddito medio di Shanghai è tra le sette e le dieci volte le provincie rurali più arretrate. La provincia più ricca è quella di Zhejiang dove un cittadino ha un reddito superiore di 2,5 volte quello di un contadino. Poi ci sono anche differenza nell’istruzione e sanità (Franssen 2007). Il gap tra città e campagna è dunque aumentato, nel senso che i contadini stanno indubbiamente molto meglio che 20 anni fa, ma ad esempio gli operai stanno molto ma molto meglio dei contadini. Ovvero tutti i cinesi sono diventati più ricchi ma non con la stessa velocità. C’è da dire che nel mentre è aumentata la popolazione delle città. Ovvero è aumentato il numero di coloro che stanno bene. La spesa per i residenti nelle città è stata trenta volte quella per la campagna. La cosa è del tutto comprensibile. La Cina doveva concentrare le poche forze disponibili là dove avrebbero reso di più. Ossia costruendo infrastrutture nelle città della costa più vicino allo sbocco finale dei prodotti d’esportazione.

Il coefficiente di Gini all’interno dello stesso mondo rurale è aumentato rapidamente dai primi anni Ottanta al 1990, mostrando un aumento della disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Questo fenomeno è dovuto anche ai redditi più alti delle aziende rurali non strettamente agricole e questo può essere associato a una crescita più veloce delle zone in precedenza più favorite dallo sviluppo che hanno potuto potenziare un settore agricolo non strettamente basato sulla coltivazione.

È possibile avere una serie piuttosto consistente di coefficienti Gini dalle indagini 1988-2007 del CHIP. Nel 1988, il Gini urbano (0,24) era molto basso rispetto agli standard internazionali, il Gini rurale (0.33) riflette le disparità regionali di reddito, e il Gini nazionale (0,38) era superiore sia quello urbano che quello rurale, a causa dell’elevato rapporto tra reddito urbano e quello rurale. Il Gini nazionale è stato di 0,45 sia nel 1995 che nel 2002. Sebbene nel 2007, il Gini urbano fosse 0,34, e quello rurale era 0,36, il Gini nazionale rettificato per le differenze di costo della vita regionale era 0,43 nel 2007 rispetto allo 0,40 nel 2002 (Li et al. 2013).

I dati forniti dal CHIP nella sua indagine nazionale periodica sulle famiglie, suggeriscono che le disparità tra città e campagna nel 2007 non fosse superiore a quella del 1995. La spiegazione di questa discrepanza con i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica è probabile che si trovi nella definizione del reddito. Il dato è in contrasto con quello dell’INS perché la definizione del reddito del CHIP comprende varie sovvenzioni ricevute dai residenti con hukou urbani, in particolare i sussidi per la casa. La graduale abolizione dei sussidi in questo periodo e nel contempo i maggiori sussidi per la campagna (scuola gratis, sanità ecc.) potrebbe aver ridotto la disuguaglianza rispetto al reddito urbano.

Secondo le statistiche, il reddito netto pro capite dei residenti rurali è passato dai 134 yuan del 1978 ai 3255 del 2002, con un aumento medio annuo del 7,4 per cento; il reddito disponibile pro capite dei residenti urbani è aumentato da 343 yuan a 10493, con una crescita annua del 7,2 per cento.

Anno Reddito annuale
pro capite dei residenti rurali
Reddito annuale pro capite dei residenti urbani Proporzione tra il reddito pro capite dei cittadini e dei residenti in campagna (residenti rurali=1)
Cifra assoluta

(yuan)

Indice

(anno precedente
=100)

Cifra assoluta

(yuan)

Indice

(anno precedente
=100)

1978 133.6 343.4 2.57
1979 160.2 119.2 405.0 115.7 2.53
1980 191.3 116.6 477.6 109.7 2.50
1981 223.4 115.4 500.4 102.2 2.24
1982 270.1 119.9 535.3 104.9 1.98
1983 309.8 114.2 564.6 103.9 1.82
1984 355.3 113.6 652.1 112.2 1.84
1985 397.6 107.8 739.1 101.1 1.86
1986 423.8 103.2 900.9 113.9 2.13
1987 462.6 105.2 1002.1 102.2 2.17
1988 544.9 106.4 1180.2 97.6 2.17
1989 601.5 98.4 1373.9 100.1 2.28
1990 686.3 101.8 1510.2 108.5 2.20
1991 708.6 102.0 1700.6 107.1 2.4
1992 784.0 105.9 2026.6 109.7 2.5
1993 921.6 103.2 2577.4 109.5 2.80
1994 1221.0 105.0 3496.2 108.5 2.86
1995 1577.7 105.3 4283.0 104.9 2.7
1996 1926.1 109.0 4838.9 103.8 2.51
1997 2090.1 104.6 5160.3 103.4 2.47
1998 2162.0 104.3 5425.1 105.8 2.5
1999 2210.3 103.8 5854.0 109.3 2.6
2000 2253.4 102.1 6280.0 106.4 2.7
2001 2366.4 104.2 6859.6 108.5 2.9
2002 2475.6 104.8 7702.8 113.4 3.11
2003 2622.2 104.3 8472.2 109.0 3.23
2004 2936.4 106.8 9421.6 107.7 3.21
2005 3254.9 106.2 10493.0 109.6 3.22
Fonte: Il reddito pro capite dei residenti urbani e rurali è calcolato sui dati di p.108 del China Summary Statistics 2006 compilato dal National Bureau of Statistics.

Nota: La cifre assolute sono calcolate sui prezzi del 2006 mentre gli indici non sono stati calcolati a prezzi comparabili.

Reddito annuale pro capite dei residenti urbani = reddito totale –tasse pagate –contributi per la sicurezza sociale.

Reddito annuale pro capite dei residenti urbani = reddito totale –tasse pagate –contributi per la sicurezza –ammortamento delle immobilizzazioni -contributi ai parenti al di fuori del villaggio.
Il reddito pro capite degli abitanti rurali è raddoppiato dopo i primi quattro anni, poi di nuovo dopo sei anni, poi ancora dopo sei anni e ancora dopo dieci anni. Nella figura seguente scopriremo che è raddoppiato nei seguenti 5 anni. Praticamente in una trentina d’anni il reddito rurale è raddoppiato di più di cinque volte successivamente dalla riforma fino al 2011. Aumentando di quasi cinquanta volte.

In generale i paesi che hanno terminato i processi di urbanizzazione e industrializzazione hanno un indice Gini tra lo 0,3 e lo 0,4. Coloro che lo superano hanno economie lente e sono a rischio di gravi problemi sociali. I processi di industrializzazione e di urbanizzazione portano un afflusso di lavoro e di capitali verso le città e le zone disposte meglio per poi ritornare verso le zone rurali e le zone meno sviluppate una volta che il processo è terminato, per cui il coefficiente Gini dimostra maggiore validità per i paesi maturi piuttosto che per i paesi a crescita tumultuosa. In realtà in Cina le differenze sociali non sono poi molto sentite proprio per questa ragione. Tra il 1996 e il 2004 si sono fatte sentire proteste soprattutto nelle città, e in particolare nelle città più sviluppate cioè relativamente nelle zone più ricche del paese, magari erano poi lavoratori delle imprese statali che perdevano il lavoro dovendo poi andarlo a cercare dai privati. In Cina i lavoratori preferiscono le imprese statali che in generale pagano meglio, in particolare quelle dei settori semi-monopolistici, di quelle private.

La causa principale del maggiore coefficiente di Gini sia nelle aree rurali e urbane è la differenza nella qualità e nel valore delle abitazioni, che, ha rappresentato i due terzi della disuguaglianza della ricchezza netta. Gli abitanti delle città che hanno acquisito la proprietà delle case che avevano occupato (pur pagando canoni nominali) hanno fatto enormi plusvalenze, le sovvenzioni per la casa venivano semplicemente capitalizzate. In altre parole lo stato ha ceduto ad un costo nominale le case possedute. Una misura dopotutto molto popolare e socialista, ma le case in città e soprattutto in certe zone della città sul mercato hanno assunto un valore maggiore di quelle in periferia o in campagna. Gran parte delle diseguaglianze si devono imputare a ciò, quindi ad una misura tutto sommato socialista. I contadini non possono commercializzare le terre che lavorano a differenza dei cittadini con le abitazioni. L’accesso a prestiti a basso costo da banche di proprietà statale ha fornito maggiori opportunità per l’accumulazione di capitale. Più in generale, l’acquisizione di beni dello Stato che inevitabilmente hanno aumentato il loro valore nel caso, ad esempio, di aziende date in gestione non solo ai privati ma anche ai lavoratori ha finito per essere un elemento di diversificazione del reddito (Xi 2017: 26-7).

Purtuttavia la differenza tra città e campagna è uno dei principali elementi che fa alzare il coefficiente Gini. È normale per i paesi in fase di urbanizzazione e l’industrializzazione abbiano un Gini superiore a coloro che hanno completato il processo. I criteri di allarme sul coefficiente Gini ossia quando supera lo 0,4, dovrebbero essere attenuati quando si tratta di economie in cui l’urbanizzazione e l’industrializzazione è ancora in corso. Anche se la Cina ha un coefficiente Gini superiore a 0,4, che indica un forte divario di reddito, l’impatto non si riversa in modo così negativo come è mostrato dallo scarsa influenza sull’economia. Esso non ha ostacolato il processo di industrializzazione e urbanizzazione. Ciò significa che il divario di reddito non ha un impatto allarmante. L’allarme ci potrebbe essere se gli strati più poveri si impoverissero ulteriormente. Se invece si arricchiscono, seppur con una velocità minore, non c’è alcuna conseguenza negativa per la domanda interna in termini economici generali e di allarme sociale. Chi ci guadagna, in generale, non è portato a protestare.

Tra il 2002 e il 2004, tutti e cinque i sottogruppi di reddito tra i residenti rurali hanno avuto miglioramenti del reddito. Dunque le differenze sono ancora accettabili. Lo sviluppo economico ha portato un divario di reddito aumentando però il reddito di tutti, non importa se residenti nelle aree urbane o in quelle rurali. Lo stesso coefficiente Gini, per esempio 0,4, può presentarsi in due tipi di strutture sociali. Nella struttura duale rurale-urbana, come in Cina, oppure all’interno delle singole aree urbana e rurale. Il divario di reddito all’interno dell’area urbana o in quella rurale è piccolo, ma lo spazio tra le due aree è grande. Mentre lo spazio complessivo è di un coefficiente Gini di 0,4. In una società urbanizzata, dove il divario tra aree urbane e rurali è molto piccolo, il coefficiente di Gini può anche essere 0,4. La Cina, la struttura duale urbano-rurale influisce fortemente sul coefficiente Gini. I dati dell’Istituto Nazionale di Statistica mostrano che il Gini nelle aree urbane era solo 0,23 nel 1988 e ha raggiunto 0,319 nel 2002, ben al di sotto dello 0,4. Il coefficiente di Gini era 0,303 nel 1988 e 0,366 nel 2002 per le zone rurali, sempre inferiore allo 0,4. Questo significava che i residenti non si sono sentiti molto colpiti dal divario di reddito, la separazione dovuta all’hukou tra residenti rurali e urbani nel sistema si fa appena sentire nella differenza di reddito. Il migrante nella città fa un balzo nel proprio reddito rispetto alla campagna soprattutto ora che c’è scarsità di manodopera poco qualificata e che può rivendicare salari maggiori. I salari per i nuovi assunti si aggirano attorno ai 575 dollari al netto dei contributi. Circa otto volte quelli di 10 anni fa. Ancora di più considerando i benefit. Gli stipendi sono ora tre volte quelli dell’Indonesia, quattro volte quelli del Vietnam, cinque volte quelli della Cambogia e dieci volte quelli del Bangladesh. In questo caso, anche coloro che risiedono in città non sono particolarmente interessati al divario di reddito. Anche un alto coefficiente di Gini è per loro accettabile. Ma il problema che alla fine si pone è se nella complessa struttura urbano-rurale complicata dall’hukou le statistiche siano lette correttamente. Come abbiamo visto per il confronto tra India e Cina e come vedremo ancor più nel confronto inter-regionale è possibile che le statistiche stesse, guardate in modo meccanico falsino i dati veri.

Concludiamo con l’opinione di un profondo conoscitore della realtà cinese: «Queste (le campagne) oggi sono più ricche che nei tempi di Mao, sono più ricche rispetto a qualunque altra epoca prima della precedente da almeno duecento anni» (Cammelli 2006: 223-24).

5: Disuguaglianze città-campagna (2): Lo sviluppo della Cina ha dunque sacrificato i contadini?

 

In Cina il reddito dei contadini è stato sempre inferiore a quello dei cittadini, costituendo il problema più comune. L’occupazione non agricola è importante per il reddito delle famiglie rurali e la sua distribuzione. Mediamente il reddito marginale è più alto nelle attività locali non agricole o per i migranti che non in agricoltura. La quota dei salari nel reddito rurale è salita bruscamente quando l’industria rurale prosperava e progredivano i processi migratori. I molteplici effetti si vedevano sia nei villaggi industrializzati sia in quelli in cui prevaleva la migrazione. Il reddito da salari aveva l’effetto anche di aumentare la differenziazione dei redditi. Il suo contributo alla disuguaglianza del reddito rurale era del 21 per cento nel 1988, del 40 per cento nel 1995, ma era poco di più 41 per cento anche nel 2007, rimanendo sostanzialmente stabile. Il rallentamento è stato dovuto alla riduzione disparità di reddito tra le zone rurali della Cina per le maggiori opportunità di avere un lavoro sia in campagna che in città che si sono diffuse più ampiamente tra le varie province e contee. In linea di principio, la migrazione può aumentare o diminuire le disuguaglianze a seconda che le famiglie povere, che sono maggiormente incentivate ad inviare i propri componenti in città, abbiano la possibilità di farlo. L’analisi delle conseguenze del fenomeno dei migranti sul reddito delle famiglie rurali utilizzando l’indagine CHIP del 2007 ha mostrato che questo ha ridotto la povertà rurale e, di conseguenza, la disuguaglianza (Luo e Yue 2010). Uno studio ha analizzato la disuguaglianza del reddito rurale utilizzando il sondaggio annuale del Ministero dell’Agricoltura in 100 villaggi (Benjamin et al. 2005). Tra il 1987 e il 1999, il coefficiente Gini (spazialmente a prezzi uguali) è salito da 0,29 a 0,35. La maggior parte di questo aumento è stato a livello locale. Considerando che in questo periodo il lavoro non agricolo locale ha fatto, com’è naturale, aumentare la disuguaglianza, mentre il lavoro migrante temporaneo (tanto deprecato dai giornalini della sinistra radicale) l’ha fatta diminuire.

L’industrializzazione ha ovviamente favorito gli abitanti delle città e il controllo della migrazione ha impedito la formazione di ceti poveri urbani (Knight 2013). Il contributo alla disuguaglianza globale data dalla differenza media dei redditi rurali e urbani è passato dal 37 per cento nel 1988 al 54 per cento nel 2007. Con l’adeguamento alle differenze dei prezzi a livello territoriale, porta il dato del 2007 al 41 per cento (Li et al. 2013 ), dato che è superiore, in generale, a quello di molti altri paesi in via di sviluppo ed è dovuto in gran parte al successo clamoroso dell’economia cinese oltre al fatto che la campagna cinese è particolarmente sfavorita nella ripartizione delle risorse (quantità di terra per agricoltore). Tralasciando il fatto che la Cina è fondamentalmente incommensurabile con qualsiasi altro paese al mondo tranne l’India (dove come abbiamo visto gli indici di diseguaglianza sono in gran parte superiori a quelli cinesi).

Distribuzione pro capite delle risorse della terra
Tipo di terreno Media mondiale (Ettari) Cina (Ettari)
Coltivabile 0.29 0.12
Foreste 0.74 0.12
Pascoli 0.65 0.25
Totale 2.47 0.84
Fonte: FAO (Li Xiaoyun 1997)

Come si è visto, sia Mao e poi Deng e i suoi successori hanno messo al centro della loro attenzione i contadini. Le stratificazioni sociali in Cina sono più orizzontali che verticali. Ossia c’è spesso un abisso tra quello che guadagna un lavoratore di Shanghai e un contadino del Guangxi, sia per il gap città e campagna che per quello regionale (che come vedremo si sta però riducendo o forse non è mai stato troppo alto).

Sulla base delle statistiche ufficiali per il 2010, possiamo illustrare l’importanza della variazione di reddito per regione geografica. Nella figura sotto possiamo osservare l’importanza della variazione regionale del reddito e allo stesso tempo, la disparità tra aree rurali e urbane è grande. I modelli mostrati in questo grafico statistico mostrano che il reddito medio pro capite è alto a Shanghai e nel Guangdong, ma basso nelle regioni occidentali come il Gansu; le popolazioni urbane godono di redditi più elevati rispetto alle loro controparti rurali (Xie e Zhou 2014).

Prima di parlare delle disuguaglianze tra città e campagna bisogna premettere alcuni fatti. La terra non è come l’industria dove si può aumentare la produzione a piacimento con il solo limite della sovra-produzione. In agricoltura quando si è arrivati al limite dello sfruttamento del terreno ci si deve fermare, la terra più di tanto non da, altrimenti il terreno inaridisce ed è a rischio desertificazione. L’agricoltura, per ragioni facilmente comprensibili, cresce molto più lentamente dell’industria, elemento che allarga il divario tra città e campagna e questo porta con se il processo di migrazione interna dalle aree rurali a quelle urbane, processo tipico di ogni paese in crescita. Il divario di produttività tra l’agricoltura e il resto dell’economia, infatti, ha continuato ad allargarsi, con conseguente aumento rurale-urbano disparità di reddito. La Cina ha un territorio non particolarmente felice per le produzioni agricole. Grandi deserti, montagne e scarse riserve idriche. Pur estendendosi su un territorio paragonabile ad un continente la percentuale di terra coltivata è solo del 10 per cento della quale però il 45 per cento è irrigata (ad esempio in India è rispettivamente 23 per cento e 57 per cento). Ciò che hanno fatto i cinesi sinora è un autentico miracolo. Dalla rivoluzione la Cina è riuscita a espandere la produzione alimentare in modo impressionante: produceva 90 milioni di tonnellate di cereali nel 1950, ne ha raccolti 392 milioni di tonnellate nel 1998. A metà degli anni Novanta ha raggiunto l’autosufficienza alimentare: si pensi che quasi mezzo secolo fa, alla fine degli anni Cinquanta, la Cina poteva ancora soffrire di carestie.

Confronto USA-Cina nel 2007 al massimo del coefficiente Gini per la Cina
Paese

 

Popolazione dedita all’agricoltura

 

% sull’intera forza lavoro Terra irrigata km2 Disponibilità di terra irrigabile in km2 per agricoltore
USA 916.000 0,6% 223.850 0,24
Cina 345.419.000 43% 545.960 0,001

L’agricoltura cinese ha una redditività per ettaro piuttosto alta oggi. Superiore del 54 per cento alla redditività media dell’agricoltura mondiale secondo la FAO (Egido 2008). La Cina possiede solo il 75 per cento delle terre coltivabili degli Stati Uniti, tuttavia ha una produzione agricola del 30 per cento superiore a quest’ultimo paese.

L’agricoltura è in gran parte meccanizzata, nel 2007 la produzione di trattori è stata in testa alla produzione industriale. Il problema contadino rimane perché la Cina ha ancora il 27 per cento di impiegati nell’agricoltura (erano il 70 per cento nel 1978), nei paesi avanzati gli addetti al settore agricolo sono dall’1 al 4 per cento, e una concentrazione di contadini per ettaro coltivabile tra le più grandi del mondo.

La produttività media di riso nei villaggi era di 800 kg al mu. Questo è probabilmente uno dei tassi di rendimento più alti del mondo. Sebbene la Cina abbia una superficie decisamente più grande dell’India, ha meno terreni coltivabili come abbiamo visto, date le sue condizioni geografiche (104.2 milioni di ettari nel 2005 rispetto ai 120,2 all’India nel 2004-05). Tuttavia, la produzione agricola della Cina è molto più elevata: 484 milioni di tonnellate (2005) rispetto ai 204,6 dell’India (2004-05).

Quest’anno, l’improvviso scoppio dell’epidemia di coronavirus, le gravi inondazioni nel bacino del fiume Yangtze e i numerosi tifoni hanno messo a dura prova la produzione agricola in tutto il Paese. Per quanto riguarda la situazione internazionale, le agenzie delle Nazioni Unite prevedono che almeno 25 Paesi affronteranno quest’anno il rischio di una grave carestia – con la più acuta crisi alimentare degli ultimi 50 anni – provocata sia dall’avanzata del Covid-19 che dall’invasione delle locuste. In questo contesto, il generoso raccolto di cereali della Cina, è di grande importanza per il mantenimento della sicurezza alimentare mondiale.

confronto tra province


Figura 7: Confronto tra province del reddito pro capite separatamente per i residenti urbani/rurali, 2010. Fonte: China Statistical Information Network (2011)


Si è provato a misurare “l’indice di felicità” nelle campagne cinesi per stabilire non tanto la ricchezza quanto il benessere delle persone. Nella Cina rurale, dove il punteggio felicità varia da 0 a 4 con una media di 2,7, coloro che dichiarano di avere un reddito “molto basso” rispetto al reddito medio del paese hanno un punteggio di felicità che è 1.06 sotto chi denuncia di avere un reddito “molto al di sopra” della media (Knight e Gunatilaka 2010). Agli intervistati è stato chiesto con chi si sono messi a confronto, nella Cina rurale. Due terzi degli intervistati hanno affermato di confrontarsi con altri che vivono all’interno del villaggio. Questo dimostra che i gruppi di riferimento sono ristretti. Nella Cina rurale, coloro con cui confrontarsi sono le famiglie dello stesso villaggio mentre nella Cina urbana sono le famiglie della stessa città. Nelle città, dove un raddoppio del reddito aumenta il punteggio felicità di 0,10 unità, la felicità degli intervistati le cui famiglie sono nel quarto di reddito pro capite più basso della città è di 0,81 punti inferiore a quelli del quarto più alto (Knight e Gunatilaka 2010). È la disuguaglianza a livello locale e non quella nazionale o regionale (tanto meno quella con le nazioni ricche) che conta per la gente. E ciò è anche naturale. Nessuno nei villaggi interni va a confrontarsi con la Svezia, ammesso che sappiano dove sia. Whyte ha trovato che gli agricoltori, pur essendo il gruppo più povero, erano anche i meno scontenti (Whyte 2010). I cinesi, secondo Whyte, sono più tolleranti di crescenti livelli di disuguaglianza perché sono stati accompagnati da un aumento degli standard di vita. Il settanta per cento dei cinesi intervistati prevede che la loro qualità di vita migliorerà nel corso dei prossimi cinque anni. Secondo l’indagine di Whyte: «I cinesi si sentono in generale ottimisti circa le loro possibilità di migliorare la loro vita». D’altra parte avendo aumentato di 50 volte il proprio reddito dal 1978 non hanno ragione di lamentarsi.

Il coefficiente di Gini non riflette comunque la struttura dei redditi. Se si va a vedere l’evoluzione dei redditi nel corso degli anni, le quattro fasce di reddito più basse sono composte esclusivamente da agricoltori. C’è stata una rapida evoluzione delle ineguaglianze in Cina tra il 1988 e il 1995 ossia un aumento del 20 per cento del coefficiente Gini, calcolato sull’equivalente reddito per adulto. Ciò conferma una pronunciata crescita delle ineguaglianze sia nelle aree rurali che urbane ossia del 30 per cento e del 21 per cento rispettivamente. L’analisi del rapporto tra il reddito rurale e quello complessivo è che il loro reddito annuo è passato da 394,37 yuan nel 1988 a 1.711,5 nel 1999. Ma la disuguaglianza è dominata dall’aumento della divaricazione tra redditi urbani e rurali anche se viene mostrata una tendenza al calo tra il 1995 il 1998 che però ha comportato una crescita delle diseguaglianze all’interno della città e soprattutto della campagna. Tuttavia, la quota del reddito rurale su quello nazionale è scesa da 26,42 per cento nel 1988 al 20,25 per cento nel 1999 anche per effetto della diminuzione del numero dei contadini (ora è a poco più del 10 per cento).

L’aumento delle diseguaglianze tra città e campagna però è concomitante con il fenomeno della migrazione di massa. Bisogna anche tenere conto della distorsione statistica denunciata da Cai Feng. Come vedremo meglio in seguito, riguarda l’attendibilità delle statistiche che per varie ragioni tendono ad accentuare le differenze di reddito:

In termini di distribuzione del reddito, l’aumento dei salari per i lavoratori migranti ha portato ad una riduzione del divario di lunga data del reddito tra aree rurali e urbane. Naturalmente, a causa delle carenze dei sistemi statistici, i redditi guadagnati dalle famiglie migranti e dei membri delle famiglie rurali che hanno lasciato la casa per la città per più di sei mesi sono, in modo significativo, omessi dalle indagini ufficiali. Un sondaggio condotto dall’Istituto della Popolazione e dell’Economia del Lavoro presso l’Accademia Cinese delle Scienze Sociali ha rilevato che tale reddito non dichiarato costituiva circa il 40 per cento del totale. Prendendo in considerazione questo reddito mancante, il livello di reddito effettivo delle famiglie rurali è in realtà molto più alto di quanto risulterebbe, e il divario di reddito tra le famiglie rurali e urbane è più modesto, di quello che viene riportato ufficialmente. Attraverso la scomposizione dei vari indici di disuguaglianza delle varie indagini risulta che il divario del reddito rurale-urbano ha contribuito per il 40-60 per cento della disuguaglianza globale tra famiglie cinesi. Il riallineamento del reddito rurale-urbano a seguito di aumenti salariali per i lavoratori migranti non qualificati tende a ridurre la disuguaglianza complessiva. Di conseguenza il consumo interno diventerà una fonte più importante di crescita economica nel prossimo piano quinquennale e al di là di quanto non fosse in passato (Cai Fang 2011).

Cai Fang è ricercatore presso l’Istituto di ricerca sull’economia del lavoro e sulla popolazione dell’Accademia di Scienze Sociali e tra i maggiori esperti di questioni demografiche, economiche e del lavoro.

Forse un tempo essendo i residenti urbani avvantaggiati nel ricevere contributi non monetari come sanità e sicurezza sociale il rapporto coi redditi rurali poteva essere anche assai alto (Vishnu 2008), ma a cominciare dal 2004-2005 sono i residenti rurali che ricevono maggiori benefici mentre quelli dei cittadini si vanno restringendo. Il reddito pro capite dei contadini cinesi era 3.587 yuan (471 dollari) nel 2006, con un aumento di oltre il 10 per cento rispetto al 2005. Mentre il reddito pro capite dei cittadini era 11.759 yuan, circa 3,2 volte quello dei contadini secondo una relazione pubblicata dalla Accademia delle Scienze Sociali (China strikes 2007). Da allora i redditi dei contadini sono aumentati di pari passo con quelli dei cittadini superandoli negli ultimi anni. I redditi sono aumentati più velocemente in campagna che in città per il terzo anno consecutivo nel 2012. I lavoratori migranti hanno incrementato il loro stipendio e il governo ha aumentato i prezzi minimi di acquisto dei cereali e rafforzato la rete di sicurezza sociale aumentando in particolare i sussidi per la sanità. Il reddito netto rurale pro-capite è aumentato del 10,7 per cento, rispetto al 9,6 per cento delle aree urbane. I redditi dei residenti rurali da pagamenti di benefit sono aumentati del 21,9 per cento, quasi il doppio di quelli urbani. La capacità di spesa rurale si è innalzata a causa dei salari guadagnati dai contadini che lavorano nelle città. L’aumento dei consumi aiuta a sostenere la crescita e riduce la dipendenza dalle esportazioni riequilibrando l’economia. Le vendite al dettaglio nelle regioni rurali sono aumentate del 14,5 per cento nel 2012, superando, per la prima volta in tre anni, quella delle aree urbane. Nel 2011 la crescita dei consumi urbani era stata del 17,2 per cento e del 16,7 per cento per gli abitanti delle campagne (Life et altri 2013).

Al fine di attenuare la differenza di reddito fra città e campagna, a partire dal 2004 il governo cinese ha coperto sempre più con finanziamenti pubblici le zone rurali, aiutando i contadini a comprare sementi di alta qualità, macchine e impianti più avanzati al fine di aiutarli ad incrementare il reddito. Inoltre ha aumentato i prezzi minimi di acquisto dei cereali. Attualmente le misure hanno ottenuto buoni risultati. A partire dal 2008 le zone rurali sono state esonerate da tutte le tasse scolastiche per gli alunni della scuola dell’obbligo diffondendo nell’intero paese il nuovo sistema di assistenza medica cooperativa delle zone rurali. Queste misure hanno diminuito di molto le uscite quotidiane dei contadini, apportando loro sempre maggiori vantaggi. Nei cinque anni prima del 2007 in cui la diseguaglianza avrebbe raggiunto in Cina il suo apice 6.667 milioni di ettari sono stati raggiunti dall’irrigazione, il gas metano è stato reso disponibile per 16.5 milioni di famiglie e sono stati costruiti 1,3 milioni di chilometri di strade rurali. I risultati complessivi della agricoltura sono davvero incredibili:

Prodotti agricoli, produzione per abitante (in chili)
 

Prodotto

1978 1988 1988 2004 Incremento

1978- 2004

(in%)

Cereali 318 357 412 362 + 13,8
Cotone 2,2 3,8 3,6 5 + 127
Piante oleoginose 5,4 12 18 23 + 326
Barbabietola da zucchero 25 56 79 74 + 198
0,3 0,5 0,5 0,6 + 100
Frutta 6,9 15 44 118 + 1.610
Carne (maiale, manzo, montone) 37 45
Prodotti della pesca 4,9 9,6 31 38 + 675
Franssen 2007

 

Le tabelle qui riportate sopra danno il segno di quanto sia completamente fuori posto la drammatizzazione della situazione sociale cinese quando venga arbitrariamente omessa la crescita del benessere tra la popolazione rurale, proprio nel periodo in cui si stava allargando la forbice tra campagna e città.

Beni di consumo nelle zone rurali (per 100 famiglie)
Prodotti 2000 2003 2004
Motociclette 22 32 36
Lavatrici 28 34 37
Frigoriferi 12 16 18
TV colori 48 76 75
TV bianco e nero 53 43 38
Condizionatori 1,3 3,5 4,7
Cellulari 4,3 24 35
Telefoni fissi 29 49 54
Franssen 2007

Oltre alla differenza di reddito fra cittadini e contadini, quella fra gli stessi cittadini urbani non può essere trascurata. Anche nelle città, vi sono poveri ma ricevono un minimo vitale. In genere ricevono piccole somme in denaro e altri trattamenti preferenziali. Questi trattamenti riguardano il rimborso delle spese di riscaldamento e di affitto e la gratuità delle cure ospedaliere (Divario 2008).

Il problema comunque è anche accentuato dal controllo delle nascite: “La politica familiare adottata dal governo (un figlio per coppia) e attuata severamente nelle città ma non rispettata nelle campagne sta ribaltando il rapporto demografico tra aree del benessere e aree del disagio, cosi come in Francia sviluppo demografico delle periferie e quello più debole dei francesi sta ribaltando i rapporti etnici. Come in Francia, cosi nella società cinese i figli del benessere si riducono mentre quelli dell’emarginazione e del disagio si moltiplicano: dunque si riducono coloro che traggono giovamento dalla politica di progresso avviata, e aumentano invece quelli che avvertono di essere posti ai margini della società, quelli che hanno bisogno di tutto, cibo e alimenti inclusi” (Cammelli 2007: 225). L’allentamento del controllo delle nascite deciso dal plenum del 2013, potrebbe portare un ribilanciamento in questo senso.

Le ricerche recenti contraddicono quasi totalmente i critici di sinistra delle diseguaglianze in Cina. La disuguaglianza è cresciuta, ma non in modo lineare e con grandi differenze a livello locale. La diseguaglianza è maggiore nelle campagne. La cosa è significativa. La diseguaglianza non è dove dovrebbe essere per effetto del “turbocapitalismo” delle città. Però proprio nelle campagna si sono avuti i maggiori progressi nella lotta alla povertà! Ovvero l’elemento decisivo non è la diseguaglianza ma la progressiva diminuzione della povertà. I maggiori successi nella riduzione della povertà si sono registrati grazie ai miglioramenti avvenuti nel settore agricolo; minori sono stati gli effetti positivi causati dall’industria e dal terziario (Zanier 2011).

I contadini sono la parte più povera della popolazione, ma questo vuol dire che sono sfruttati? Se sì da chi? Non ci sono più latifondisti, i contadini sono liberi imprenditori in Cina. Hanno il loro pezzo di terra che non possono vendere, dato che non si vuole ricreare una casta di proprietari fondiari o di grandi latifondisti. Scrive il comunista indiano Yerchury dopo una visita in un villaggio:

Siamo stati informati che c’erano varie imposte agricole. Sono state tutte abolite. Allo stesso modo, non ci sono tasse per l’irrigazione. I prestiti vengono forniti agli agricoltori da parte delle istituzioni cooperative locali e le banche ad un tasso annuo di interesse di 0,55 per cento. Le spese di energia elettrica sono 0,43 yuan per unità. Da quello che abbiamo potuto vedere la maggior parte dell’uso di fertilizzanti è organico. I piccoli quantitativi di concimi chimici inorganici vengono acquistati da singoli agricoltori. Non abbiamo trovato lavoro salariato impiegato dalle famiglie. In media abbiamo trovato che il reddito annuo da agricoltura si aggira sui 9000 yuan pro capite. La commercializzazione dei loro prodotti è fatta da cooperative i cui rappresentanti vengono in ogni villaggio per raccogliere i prodotti. Da quello che abbiamo potuto vedere, c’è un margine minimo o nullo in tutte queste operazioni. Per esempio, il prezzo ricevuto dall’agricoltore quando il riso viene prelevato dal rappresentante della cooperativa è stato di 1,6 yuan per chilogrammo. Se è venduto in forma di riso dopo il processo di macina (ogni gruppo di quattro villaggi ha una macina) è venduto dall’agricoltore è di 2,5 yuan al kg. Nei negozi locali gestiti da cooperative nel villaggio del prezzo del riso per 3 yuan al kg. Ogni villaggio ha una clinica con 2-3 medici. La struttura ospedaliera non è mai oltre una distanza di dieci chilometri. In tutta la Cina vi è l’istruzione gratuita e obbligatoria per nove anni, ossia fino alla fase secondaria. I bambini entrano nella scuola all’età di 6 e fino all’età di 15 i costi sono sostenuti dallo Stato. Tutti i villaggi hanno sia la scuola primaria che secondaria (Yechury 2006).

I contadini non sono sfruttati dai latifondisti che non esistono, né da proprietari capitalisti che non ci sono non essendoci nemmeno lavoro salariato, non c’è sfruttamento finanziario da parte delle banche dato che i crediti cooperativi prestano ad un tasso assai basso. Trattori, mulini, irrigazione sono gestiti a livello collettivo.

Alberto Gabriele dice giustamente che i contadini non sono ricaduti nello sfruttamento capitalistico nel senso classico marxiano, dato che non hanno padroni, e le riforme hanno avuto indubbi meriti:

Le riforme che hanno fondato il socialismo di mercato sono scaturite da una giustificata reazione contro gli eccessi arbitrari e irrazionali del precedente modello di socialismo egualitaristico centralmente pianificato. Hanno interpretato una profonda aspirazione dei contadini, quella di sentirsi in una certa misura padroni della terra per cui avevano fatto la rivoluzione. Le riforme hanno così potuto creare rapporti sociali di produzione adeguati alla fase storica che Cina e Vietnam stavano attraversando una trentina di anni fa. Per usare una terminologia vecchia ma ancora efficace, hanno rappresentato una corretta reazione “di destra” ad eccessi egualitaristici, volontaristici e “di sinistra” che stavano mettendo a rischio la sopravvivenza stessa del potere del partito e l’indipendenza nazionale, il cui unico possibile esito sarebbe stato il ritorno della dominazione neocoloniale imperialista (a parte il rischio concreto di spaventose carestie) (Gabriele 2006).

Dice Jean-Louis Rocca che non è certo tenero con la Cina: «Né il ritorno alla piccola azienda familiare, né l’entrata nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) hanno portato alla comparsa di nuove forme di sfruttamento del lavoro. Il mantenimento della proprietà collettiva delle terre, anche se rimessa in questione dalla comparsa di un mercato dei «diritti di gestione». La terra rimane proprietà collettiva, ma i contadini sono proprietari dei diritti d’uso e possono de facto affittare le loro terre, basta a mettere in evidenza l’ambizione «conservatrice» tipica dell’autorità pubblica”» (Rocca 2007).

In Cina i prezzi agricoli non sono del tutto liberalizzati, questo ovviamente per aiutare i contadini. La Cina punta ad essere autosufficiente nella produzione di grano e per ciò sussidia i contadini anche attraverso l’acquisto di grano che tenga alto e comunque remunerativo il prezzo. Oltre alla sovvenzione diretta data ai coltivatori di grano, il prezzo minimo protetto si applica a riso ed al frumento. Sovvenzioni vengono date inoltre per le varietà superiori del raccolto, per sementi migliori, per l’acquisto di macchinario ed attrezzi agricoli ai villaggi con difficoltà finanziarie gravi. L’investimento nell’agricoltura e nelle zone rurali è stato notevolmente aumentato. Inoltre a partire dal 2005, l’imposta agricola è stata, come abbiamo già detto, eliminata.

La verità è che i contadini cinesi sono sfruttati dalla terra! In USA i contadini sono circa l’uno per cento della popolazione lavorativa e producono l’uno per cento del PIL, in Cina erano, al tempo del picco del coefficiente Gini, il 43 per cento producendo l’11,7 per cento del PIL. Inoltre in USA c’è più superficie lavorabile che in Cina. Vuol dire che all’incirca un agricoltore USA lavora una superficie che in Cina da sostentamento a decine e decine di contadini. La Cina ha il 7 per cento dei terreni coltivabili del mondo con il 22 per cento della popolazione mondiale.

Se volessimo istituire un rapporto tra l’agricoltore americano e quello cinese il risultato sarebbe questo: un agricoltore americano ha a disposizione mediamente una quantità di terre irrigabili pari quelle di 2440 agricoltori cinesi.

L’urbanizzazione è il fattore chiave nella riduzione delle disparità di reddito rurale-urbano. Accelerare l’urbanizzazione contribuirà poi a diminuire la disparità di reddito in Cina (Jiandong Chenal. 2010). Certo che per il mainstream anticinese (compresa la sinistra radicale) in Cina siamo in presenza di una urbanizzazione selvaggia. Tanto più che per risparmiare il terreno per l’agricoltura la popolazione dovrebbe necessariamente concentrarsi in città con edifici sviluppati in altezza piuttosto che in estensione.
È molto difficile rompere la struttura duale sociale urbano-rurale se viene considerata solo la questione dell’aumento del reddito rurale. Le risoluzioni del XVII Comitato centrale, hanno sottolineato la necessità di rompere struttura duale portando ad una nuova era di sviluppo economico e sociale uniforme per le aree urbane e rurali. In altre parole, la chiave per rompere questa struttura è promuovere il processo di urbanizzazione del paese.
Il governo spinge per la costruzione di agglomerati cittadini nelle città occidentali, in particolare, Chengdu-Chongqing. Il distretto occidentale detiene surplus di manodopera rurale che può essere assorbita nella costruzione di grandi città. La pressione della richiesta di lavoro dovuta al trasferimento su larga scala della forza lavoro rurale può essere assorbita nella costruzione delle infrastrutture di conglomerati cittadini e in piccole e medie città.

In termini di sviluppo industriale, l’industria ad alta intensità di lavoro, in particolare il settore dei servizi dovrebbe essere sostenuta, dal momento che ci saranno alcune difficoltà ed ostacoli nel trasferimento del lavoro rurale, con un’istruzione e qualificazione limitata, direttamente nei settori moderni nelle città. Al contrario, con una soglia di ingresso basso, il terziario può assorbire un gran numero di lavoratori rurali (Jiandong Chen et al. 2010).

Vi è, inoltre, un altro modo efficace per abbassare la disparità di reddito urbano-rurale, trasferendo cioè il lavoro rurale da zone remote, meno sviluppate, alle parti centrali e occidentali della Cina, alle città di medio-piccole dimensioni o alle aree economicamente sviluppate. Questa strategia permetterà di migliorare non solo il processo di urbanizzazione, ma anche il reddito medio dei residenti rurali. Con il declino della popolazione rurale povera, il reddito medio delle campagne aumenterà e il divario di reddito pro capite urbano-rurale diminuirà.

Certo, il trasferimento del surplus di lavoro rurale si basa sulla capacità di creare maggiori opportunità di occupazione che, ovviamente, derivano dallo sviluppo economico. Sicuramente la crescita economica non può risolvere automaticamente in Cina le disuguaglianze di reddito, ma le disparità di reddito sono difficilmente migliorabili senza di essa (Jiandong Chen et al. 2010).

influenza urbanizzazione

La Figura 8 (a sinistra), riportata sopra, mostra la percentuale della popolazione urbana che aumenta dal cinque per cento al 90 per cento, il coefficiente di Gini nazionale sale fino a 0,4230-0,4755 e poi scende a 0,3613, mentre il coefficiente di Gini tra aree urbane e rurali sale da 0,0951 a 0,2846 e poi scende a 0,0667. Con l’urbanizzazione, la disparità di reddito sale e poi scende. La percentuale di popolazione urbana corrispondente al più alto coefficiente di Gini nazionale è di circa il 26 per cento, e la percentuale della popolazione urbana nel 2005 ha raggiunto il 43 per cento, il che significa che un ulteriore urbanizzazione contribuirà alla parità di reddito nazionale. Infatti oggi che è il 60,6 per cento l’indice Gini sta scendendo (Xinhua 2020). Secondo la teoria economica duale di Lewis (1954), durante il periodo iniziale dell’industrializzazione, i settori industriali urbani raggiungono i maggiori profitti all’interno della società. Come risultato, aumenta la disuguaglianza di reddito tra settori industriali urbani e i settori tradizionali rurali. Più la popolazione delle campagne si trasferisce verso le aree urbane, più diminuisce il surplus di lavoro rurale. Di conseguenza, il reddito rurale si avvicinerà al reddito medio della società, portando necessariamente alla diminuzione della disuguaglianza del reddito urbano-rurale. Basandosi sul modello del settore duale di Lewis, Simon Kuznets (1955), esaminando i progressi economici dei paesi sviluppati, sostiene che la disparità di reddito si evolve con un modello ad U rovesciato, cioè, prima aumenta e poi decresce. Pertanto, l’urbanizzazione esercita un effetto cruciale sulla disuguaglianza del reddito nazionale (Jiandong Chen et al. 2010).

curva kuznets
Alberto Gabriele, economista delle Nazioni Unite, scrive: «nel 2011, per la prima volta nella storia della Cina, la popolazione urbana ha superato in numero – secondo fonti ufficiali – quella rurale. Il processo di urbanizzazione è destinato a continuare a ritmi sempre più intensi. Come dimostrato dall’esperienza di molti altri paesi (tra cui l’Italia) e dalle stesse leggi dell’aritmetica, questa tendenza (in parte spontanea, in parte promossa e pianificata dallo Stato) contribuisce fortemente alla eliminazione tendenziale della povertà rurale e delle diseguaglianze di reddito tra città e campagna» (Gabriele 2012).

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1La curva di Lorenz è una rappresentazione grafica della distribuzione del reddito o della ricchezza. È stata sviluppato da Max O. Lorenz nel 1905 per rappresentare la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza.

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