Appunti per un manifesto di Machina (2)

mar 2nd, 2021 | Di | Categoria: Dibattito Politico

Pietro Fortuna

Appunti per un manifesto di Machina (2)

Oltre la modernità, l’emancipazione della prassi: Istituzioni o agenzie?

Con questi secondi appunti – i primi sono stati pubblicati nella sezione «scatola nera» il 14 dicembre 2020 – Franco Piperno indica alcuni importanti percorsi di ricerca che Machina intende fare propri. A tal fine si sta ipotizzando anche la costruzione di un seminario sul tema marxiano dell’«individuo sociale».

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I). La rivoluzione politica e il soggetto Il potere costituente nella Francia e nella Russia all’epoca delle rivoluzioni. Il soggetto razionale e il progresso. La classe operaia l’ultimo soggetto con lo sguardo rivolto al futuro – l’esperienza sovietica e il marxismo scolastico. Uscire dall’economia e dalla sua critica. Il ’68 e l’irrompere del «General Intellect».

II). Nel tardo-capitalismo Nel tardo-capitalismo, la crisi e il confitto sociale non sono pericoli da evitare ma i segreti stessi della sua capacità di dominio: fin dall’inizio il succedersi delle crisi ha costituito l’occasione per trasformarsi e allargarsi assumendo via via forme diverse. L’immissione di sempre nuovi bisogni, finisce col «distrarre da sé» in misura insopportabile l’essere umano immunizzandolo dal reale – il divenire reale del capitale astratto. D’altro canto, caduto il muro di Berlino, è affiorata con bella evidenza la grettezza del socialismo reale, basato sul pubblico; i tratti alienanti di una società che giustifica l’oppressione burocratica con la promessa di una vita migliore, nella trascendenza del futuro. Si è passati dall’essere soggetto al l’essere assoggettato. Così, tardo capitalismo e socialismo reale sono «cattive astrazioni» – l’infatuazione per il generale e l’astratto è, del resto, ben presente nell’opera di Marx. La rivoluzione francese e quella russa puntano a migliorare la vita quotidiana nel futuro più o meno prossimo – sono rivoluzioni politiche nel senso moderno del termine, conquista del potere politico per realizzare, sia pure in modi diversi, l’emancipazione politica dei sudditi.

III). La grande trasformazione sociale o l’emancipazione umana La rivoluzione nel modo di vivere è il processo nel quale siamo immersi, anche se per lo più si svolge senza consapevolezza. Nella storia europea una simile trasformazione è avvenuta col cristianesimo nelle sue fasi ereticali; e, per l’Italia, col Rinascimento. Se una rivoluzione di questo tipo si realizza, la dimensione di massa si allarga continuamente. La prassi coinvolge nel movimento strati sempre più ampi di popolazione e la vita quotidiana delle persone subisce una trasformazione proprio in conseguenza del loro stesso coinvolgimento. Le passioni tristi, i bisogni alienati perché quantitativi – il denaro, la proprietà, il dominio ecc. – sembrano avviarsi al declino, almeno nel medio periodo. L’ideologia dei verdi è una risposta sbagliata a un bisogno vero.

IV). «La tecnica del sé» Alla mitologia del futuro, ai tentativi funesti di costruire una nuova umanità, subentra la cura della vita quotidiana, per dir cosi «la tecnica del sé» foucaultiana: emergono come dall’interiorità la più profonda, quella della specie appunto, i bisogni generalmente umani: il riposo, il gioco, l’amicizia, l’amore, l’attività simbolica, l’autorealizzazione tramite le strategie d’individuazione e così via. Questo affioramento dei bisogni specificamente umani, in quanto fenomeno reale, si svolge, può svolgersi solo nei «luoghi dell’abitare». I luoghi abitati da animali e piante, subentrano al soggetto rivoluzionario. Le comunità urbane – non le megalopoli, le moderne Babilonie, i nonluoghi – interpreti del «Genius Loci» riscoprono pressoché spontaneamente il «primitivo»; e ritornano all’origine, al comune, alla relazione di reciprocità propria del legame comunitario. Attraverso la singolarità dei luoghi si delinea nella mentalità comune una coscienza enorme all’altezza della specie, questa singolare caratteristica che fa, può fare dell’animale uomo un individuo sociale.

V). Democrazia procedurale e organizzazione comunarda La democrazia propria al tardo-capitalismo è procedurale, separa il sovrano e gli elettori dalla gestione del potere pubblico. Gli istituti referendari non sono una espressione di democrazia diretta, ma la colonizzazione della critica stessa da parte della rappresentanza; dirò così plebisciti. Infine, la rete garantisce certo la partecipazione ma quella virtuale, priva della presenza simultanea dei corpi. La forma di autogoverno appropriata alla pluralità e complessità dei luoghi è quella consiliare, che è anche la più antica. Ricordiamone i tratti essenziali: unità dei poteri nella assemblea, delega con mandati vincolanti e revocabili, la rotazione e il sorteggio delle cariche, l’istituto della dittatura provvisoria ecc.

VI). Conclusioni C’è da scommettere che l’Occidente, avendo unificato il mercato mondiale, stia toccando il limite, per dir così, sistemico – come aveva acutamente osservato Rosa Luxenburg, il sistema capitalistico, per assicurare la riproduzione allargata, ha bisogno o di invadere i mercati precapitalistici o d’innovazione continua del prodotto e delle tecnologie. In queste condizioni, la crescita economica non comporterà il riassorbimento della forza-lavoro espulsa dalla produzione a causa della crisi; e, d’altro canto, il lavoro umano, modulato dalla macchina, tende alla specializzazione idiota, all’accartocciarsi della facoltà di pensare. Per usare una macchina non occorre conoscerne le leggi fisiche che ne assicurano il funzionamento. La crisi ha comportato una significativa contrazione dell’occupazione; e a questo proposito occorre ricordare che il movimento operaio – o meglio il suo residuo – intrappolato nella ideologia del lavoro salariato, incanala, tenta d’incanalare, la richiesta di reddito verso la creazione di nuovi posti di lavoro, secondo il criterio: nessun reddito senza prestazione lavorativa; cosicché i sindacati avvertono l’innovazione nei suoi esiti ostili; e sfugge loro proprio l’aspetto destinale della tecnica, quella potenza che libera il corpo e la mente umana dalla brutale fatica del lavoro ripetitivo. Da qui il mutamento politico del movimento operaio che ha perduto ogni connotazione progressista e si colloca su posizioni grettamente conservatrici quando non propriamente reazionarie. Va da sé che questa collocazione non è un mero risultato di astuti calcoli politici ma si basa sul consenso operaio, perché ne interpreta il bisogno alienato, quello quantitativo. Come può giudicarsi altrimenti la determinazione, dirò così allucinata, del minatore del Sulcis o del precario del «call-center» a difendere il posto di lavoro? Dal punto di vista dei luoghi, attuali o potenziali che siano, la crisi è una straordinaria occasione per un esodo di massa dall’economia tardo-capitalistica, dal lavoro salariato – erogato senza scopo – all’attività scelta, alla realizzazione del proprio destino. Qui non conta tanto la rivendicazione di improbabili diritti, la richiesta ingenua di garanzie per il futuro; quanto la capacità di vivere, qui e ora, un’altra forma di vita – cosa che peraltro accade già, ma senza consapevolezza. In altri termini, non si tratta, valga come esempio, di battersi per il reddito garantito (da chi poi?) quanto, luogo per luogo, di assicurarsi un reddito svolgendo un’attività piacevole – o almeno liberamente scelta. A ben guardare, la domanda: si può fare la rivoluzione senza prendere il potere? non ha ancora ricevuto risposta.

Franco Piperno

Machina

Febbraio 2021  
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