Hegel dopo Losurdo: libertà e ontologia dell’essere sociale

nov 22nd, 2021 | Di | Categoria: Teoria e critica

 

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Hegel dopo Losurdo: libertà e ontologia

dell’essere sociale

di Giovanni Andreozzi (Università di Urbino)

 

 

1. Losurdo e Hegel

È possibile parlare, a proposito di Domenico Losurdo, di una filosofia della storia. Questa non è ovviamente intesa come una secolarizzazione della storia della provvidenza, o come spinta messianica dell’apocalissi e dell’apocatastasi, ma, in senso hegelo-marxiano, come un’interpretazione tesa a restituire la complessità del reale, nel leggere insieme piano storico e piano teoretico-culturale-politico.

Come nota giustamente Azzarà, «il retroterra delle produzioni sul liberalismo e sul nesso tra liberalismo e conservatorismo va rinvenuto negli studi che Losurdo aveva condotto per lunghi anni sulla filosofia classica tedesca»1. È nella lettura comparativistica della storia della filosofia, in ispecie della storia della filosofia del XVII e XVIII secolo, che Losurdo individua, da parte della filosofia classica tedesca, l’elaborazione di quelle categorie universali (in primis la libertà) volte alla comprensione della realtà e delle sue trasformazioni.

La lettura comparatistica non è una semplice prova di cultura storica; ancor meno un diletto che Losurdo troverebbe nelle sue innumerevoli digressioni, talvolta anche cronachistiche. Il metodo comparatistico, uno stile presente in tutte gli studi di Losurdo, indica piuttosto lo sforzo concreto di mettere in esame continuo i presupposti dell’analisi. Ciò non solo per evitare conclusioni frettolose ma anche per mostrare come ogni autore possa assumere atteggiamenti diversi nel corso della propria vita e come questi cambiamenti non siano semplici scelte soggettive ma vadano inquadrate anch’essi nella concreta situazione storica.

Uno tra i molti esempi è l’atteggiamento che Hegel assume nei confronti di Federico II. Per comprendere questo atteggiamento è necessario, seguendo il ragionamento di Losurdo, compiere qualche considerazione preliminare sulla concezione hegeliana della monarchia.

«L’affermazione della razionalità strategica del processo storico è intimamente connessa con una filosofia della storia in qualche modo democratica: progressivamente, è l’umanità nella sua totalità ad accedere al riconoscimento della propria umanità e libertà e a considerare questo riconoscimento come un dato immodificabile», né «revocabile dall’“arbitrio del principe” o da una qualsiasi individualità che si presume geniale»2.

In tal modo, Losurdo vuol criticare quella tradizione di pensiero reazionaria e conservatrice che pensa di assorbire per i propri intenti ideologici il pensiero hegeliano riguardo alla monarchia ereditaria. La giustificazione della monarchia ereditaria non è però una presa di posizione astratta da parte di Hegel, derivante da un presunta “divinizzazione dello Stato”, ma costituisce innanzitutto una strategia politica per criticare (e abbattere almeno in linea teorica) il dispotismo: contro il prevalere della «volontà particolare» subentra la «situazione di diritto, costituzionale»3, nel cui contesto se ad essere essenziale è ancora «la personalità [del monarca]», bisogna allora dedurne che «un tale Stato non è ben costruito»4. Compreso il significato che la monarchia ha nella concezione teoretico-politica di Hegel, possiamo tornare alla sua concezione dello Stato e alla valutazione della figura di Federico II.

La storiografia liberale denuncia l’involuzione di Hegel, che dalla critica allo Stato-macchina presente negli anni jenesi5 passerebbe alla celebrazione del re di Prussia negli anni di Berlino6. Questa presunta involuzione è il cavallo di battaglia utilizzato dalla storiografia liberale per giustificare l’equivalenza tra filosofia hegeliana e pensiero reazionario. Con grande competenza dei testi, Losurdo mostra la fallacia di quest’accusa, tra l’altro condivisa anche da un autore come Lukács (il quale pure non smette di problematizzare l’equivalenza tra filosofia hegeliana e ideologia reazionaria7). È infatti proprio in funzione della critica di quest’ultima che Hegel muta il proprio giudizio sullo Stato-macchina:

«La costituzione della Germania individua il ceto antimeccanico per eccellenza nella nobiltà […] l’apparato meccanico non è rifiutato nel suo complesso […]. Lo sviluppo di un apparato burocratico e amministrativo costituito da funzionari non legati alla nobiltà, con precise conoscenze tecniche e sottoposti a un controllo dall’alto, è un fatto che non si può più mettere in discussione»8.

È un esempio di come il paradigma metodologico del confronto diretto coi testi nasca dalla consapevolezza del contesto storico e dei rischi legati a qualsiasi anacronismo. Ciò vale per tutti gli autori esaminati da Losurdo. Prendiamo il caso di Kant. Ai suoi detrattori “liberali”, che vedono in Kant un amico della Restaurazione, Losurdo ricorda come, nel contesto storico in cui Kant visse, la negazione del diritto di resistenza al sovrano significava semmai «affermare l’irreversibilità della Rivoluzione francese» e, quindi, «condannare i tentativi di restaurazione»9. Ma questa critica al liberalismo presente in Kant, che è al contempo una difesa dello Stato moderno in fieri, non può esser compresa se si fa riferimento al pensiero liberale contemporaneo e bisogna invece considerare la costituzione reale del liberalismo di quel periodo storico. Ecco, dunque, che Losurdo mostra come, in realtà, fossero proprio gli esponenti del liberalismo nascente i veri fautori della reazione. Ne è esempio Burke, il quale considera lo Stato come un patto federativo, una mera aggregazione tra proprietà singole e inviolabili. In tale contesto, negare il diritto di resistenza significava – spiega Losurdo – affermare il diritto d’intervento dello Stato e quindi l’universalità della legge rispetto alla particolarità degli interessi privati.

Attraverso il confronto continuo con i testi Losurdo mostra come Kant – e lo stesso discorso vale anche per Hegel – traduca sul piano filosofico le conquiste della Rivoluzione francese10: la categoria dell’universalità (soprattutto il concetto universale di uomo) è il grande lascito della rivoluzione che la filosofia non può dimenticare, se non vuole abbandonare la modernità; a tal punto che – e qui lo storico della filosofia diventa anche teorico del presente – la storia della modernità può essere letta proprio attraverso le vicissitudini della categoria di universalità. Si potrebbe in questo senso parlare, a proposito di questo percorso di ricerca, di un movimento circolare tra elaborazione filosofica e prassi trasformatrice. Comprendere come le categorie filosofiche abbiano un radicamento storico-sociale, e non siano quindi semplici idee di individui seduti allo scrittoio (o di fronte al computer), significa comprendere il posizionamento storico degli autori del passato ma anche dei loro interpreti odierni. Ecco allora che termini come libertà, dialettica, universale – centrali nella filosofia hegeliana – possono dirci qualcosa anche sul mondo attuale e sui conflitti che abitano il presente storico. Solo muovendo da questa dialettica complessa tra trasformazione storica e filosofia11 è possibile fuoriuscire dalle deformazioni storiografiche di un liberalismo teso a riscrivere la storia secondo la propria apologetica, aprendo così alla filosofia la possibilità di «informare di sé il reale e di trasformare il mondo»12.

 

1.1 Dialettica e storia

Probabilmente il più grande insegnamento che Losurdo ha tratto da Hegel – il filosofo che più di ogni altro è stato oggetto dei suoi studi – è la dialettica di universalità e particolarità. Questa dialettica viene ripresa per analizzare tanto i processi politici del passato quanto quelli presenti. Ma tale dialettica è anche il guadagno fondamentale che permette a Losurdo di impegnarsi in una decostruzione della tradizione liberale, mostrandone i pregi ma al contempo i limiti strutturali. Innanzitutto, perciò, il contesto storico.

Quando Hegel matura le proprie riflessioni politiche13, la Francia non è più il baluardo della rivoluzione, accerchiata dalla coalizione feudale, ma un paese aggressore. Il sogno della pace perpetua dilegua sotto le spinte espansionistiche delle armate napoleoniche e in Germania sorgono movimenti indipendentisti che nel contesto dei Befreiungskriege saranno capaci di mettere insieme classi dirigenti e ampi settori della popolazione. Autori come Fichte, che al tempo aveva celebrato la Rivoluzione francese dichiarando di proseguirla, sul piano filosofico, con la sua Dottrina della scienza, si schierano ora a favore dell’indipendenza, contestando il tradimento della Francia14. Losurdo mostra come questi cambi repentini, che invero accadono spesso nella storia e ne mostrano le contraddizioni oggettive, siano anche una forma di “elaborazione del lutto”, una sorta di risoluzione della delusione che i protagonisti di quegli anni vivevano sulla propria pelle. È qui che la complessità storica non può esser ridotta a facili formule e rigidi schematismi: lo studioso dev’essere all’altezza di registrare esattamente quelle contraddizioni oggettive, descrivendone le differenze anche sul piano teoretico-filosofico. Il merito di Hegel consiste proprio in questa capacità di analisi che tiene conto delle contraddizioni reali senza scivolare in giudizi, o ancor peggio rifiuti, unilaterali – la Rivoluzione francese è così tanto una “splendida aurora” quanto la scaturigine del “terrore”.

L’eredità della Rivoluzione francese nella filosofia hegeliana è evidente, secondo Losurdo, in due punti: da un lato, l’affermazione e la deduzione del concetto universale di uomo e la considerazione della storia come sviluppo della libertà15; dall’altro, il rapporto gerarchico tra politica ed economia16, in base al quale la totale mancanza di diritti da parte dell’uomo che muore d’inedia comporta un bilanciamento del diritto di proprietà (bilanciamento a cui, secondo Hegel, deve provvedere lo Stato). Lo sforzo di Losurdo consiste dunque nel mettere in evidenza, nella concreta situazione storica (ma sempre in riferimento alle dinamiche del mondo contemporaneo), come la filosofia hegeliana conservi in tutte le sue evoluzioni un carattere progressivo:

«Hegel ha riflettuto in profondità sulla Rivoluzione francese considerata in tutto l’arco del suo sviluppo e se anche, in ogni caso nella maturità, non si è mai identificato con le posizioni giacobine e plebee, ha colto pienamente la messa in discussione che il processo di radicalizzazione della rivoluzione ha operato del rapporto, istituito dalla tradizione liberale, tra politica e economia»17.

Al tempo stesso, Hegel si impegna in una ricodificazione della storia moderna, per far emergere l’unità dello sviluppo della libertà, che coinvolge ugualmente paesi pur a quei tempi in forte conflitto come Francia e Germania. Lungi dal sostenere in modo unilaterale la superiorità di una parte sull’altra (sia essa la Francia rivoluzionaria o la Germania della resistenza alla nuova “barbarie” francese), Hegel mostra la dialettica di entrambe le parti e le diverse configurazioni che ne deriva. In tal modo, egli non intende assorbire le contraddizioni oggettive in una Weltanschauung onnicomprensiva dalle sembianze apocalittiche ma cogliere il nucleo essenziale della rivoluzione e la sua fondamentale essenza progressiva, come passo necessario per comprendere i limiti e le contraddizioni della sfera politica moderna e dei suoi rapporti di forza oggettivi.

Al tempo di Hegel la Germania si presentava nettamente più arretrata della Francia sul piano politico. In questo contesto il suo primo passo consiste nel sollecitare la formazione di una sfera pubblica che stimoli la partecipazione politica dei cittadini e favorisca una presa di coscienza della questione nazionale. È impossibile, in questo contesto, riassumere le analisi che Losurdo dedica alla situazione culturale della Germania negli anni successivi alla Rivoluzione francese, quando Hegel matura il proprio pensiero filosofico-politico. Ci interessa sottolineare però che anche in questo caso la concreta situazione storica è refrattaria a rigidi schematismi. Certo, Hegel vedeva come necessario il sorgere del movimento di liberazione tedesco, la cui finalità era quella di riconquistare l’indipendenza nazionale e ridurre l’egemonia politico-culturale della Francia come paese invasore; e tuttavia questa finalità non era mai da lui messa in contrasto con l’insegnamento della Rivoluzione, ma anzi ne traduceva le istanze universali nella particolarità della nazione tedesca.

«Lo sforzo di costruire una tradizione nazionale nella quale il popolo tedesco potesse riconoscersi e dalla quale potesse trarre alimento per sviluppare un processo di rinnovamento politico e culturale caratterizza il pensiero di Hegel in tutto l’arco della sua evoluzione. […] Sull’onda del movimento di liberazione si era sviluppata una gallofobia tendente a vedere una sorta di tradimento nazionale in ogni richiamo alla cultura illuministica e rivoluzionaria francese»18.

L’entusiasmo nazionale, risvegliato dai sentimenti di indipendenza e di rivalsa antifrancese, viene assunto da Hegel come punto di partenza per una riflessione più ampia sul presente storico e sulle sue contraddizioni. È chiaro che tale entusiasmo è mitigato dalla ragione e rifugge quindi dalle vuote esternazioni sentimentalistiche sul “sangue e suolo”. La prospettiva hegeliana dell’unificazione nazionale nel riconoscimento del processo storico concreto non è dunque utopismo, né è un richiamo nostalgico al grande impero: l’unificazione può essere concreta solo se capace di far proprie le istanze della modernità. E ciò, per Losurdo, ha un significato intrinsecamente progressivo: la modernità scalza le vecchie gerarchie feudali per offrire l’occasione di una democratizzazione della struttura economica e politica.

«Ma – scrive Losurdo – non bastava rifiutare la gallofobia. Per sconfiggerla realmente era necessario costruire una tradizione nazionale alternativa a quella propagandata dai teutomani. Era allora obbligato l’incontro con Lutero»19. È una frase sorprendente, che unisce lucidità di analisi e sottigliezza teoretica. La tradizione nazionale “alternativa” hegeliana era quella capace di tenere insieme le due parti, all’insegna di uno sviluppo storico la cui matrice è il progresso della libertà. In questo contesto si comprende l’attenzione, dal punto di vista teorico-politico, che Losurdo rivolge all’atteggiamento di Hegel nei confronti del protestantesimo: questo, secondo il filosofo di Stoccarda, non è proprietà della sola Germania ma anzi una tappa fondamentale dello sviluppo storico europeo e universale20:

«La preoccupazione di Hegel a questo punto è per un verso di dimostrare che la filosofia è profondamente radicata nella vita nazionale tedesca ed è un titolo d’onore per la Germania, che meno di ogni altro paese potrebbe farne a meno; per un altro verso di evitare ogni forma di chiusura sciovinista e di dimostrare che lo sviluppo della filosofia tedesca è strettamente intrecciato allo sviluppo storico moderno dell’Europa, e in particolare alle sue idee e ai suoi risultati più avanzati»21.

Il principio della soggettività trova il proprio inveramento nella Riforma protestante, che dunque è un momento dell’universalizzazione del concetto di uomo e non un momento privilegiato confinato nella dimensione religiosa o in quella nazionale. Ecco allora che, spiega Losurdo, il merito di Hegel sta nell’aver codificato in modo filosofico, e quindi universale e razionale, l’evento storico della traduzione in tedesco della Bibbia: lungi dal costituire un simbolo del rinvigorirsi del nazionalismo, essa è «il punto di partenza dello sviluppo culturale e politico moderno, lungo una linea di continuità con l’illu-
minismo e la stessa Rivoluzione francese»22.

L’elaborazione di categorie universali capaci di trasformare l’ontologia classica nella restituzione della ricchezza e della complessità della vita (in primis sociale-comunitaria23), la rivalutazione dell’autocoscienza e della sua inscindibile dimensione relazionale, la denuncia di qualsiasi dimensione eteronoma e la valorizzazione del piano immanente-politico: tutto ciò mostra il ruolo che l’idealismo tedesco ha svolto nel progresso della libertà. Il compito dello storico della filosofia non è allora semplicemente quello di registrare le evoluzioni concettuali dell’idealismo tedesco, quanto riproporne il ruolo critico-progressivo e accoglierne la denuncia dei sistemi ideologici di allora (il naturalismo e il positivismo) per mettere in discussione i sistemi ideologici di oggi (il neoliberismo, il darwinismo sociale, etc.).

A differenza di Burke e di tutto il fronte reazionario, Hegel afferma il ruolo progressivo della filosofia in quanto vede in essa l’autocoscienza (intrinsecamente intersoggettiva) del proprio tempo24. La comprensione del presente, in cui consiste il compito della filosofia, ha una valenza critica perché confuta i retaggi ideologici e reazionari secondo cui il moderno non sarebbe altro che allontanamento e decadenza. Ecco perché Losurdo parla, rispetto alla filosofia hegeliana ma in generale di tutta la filosofia classica tedesca, di una «rivoluzione filosofica»25. Non è superfluo, en passant, notare come Losurdo mostri che i presupposti politici siano decisivi anche per determinati orientamenti teoretici. È il caso dell’aristotelismo di Burke, impiegato per giustificare il suo “nominalismo antropologico”26, a fronte del distacco di Hegel nei confronti del filosofo greco, proprio in forza della legittimazione del moderno e dell’affermazione della categoria universale di uomo. «Per Hegel – scrive Losurdo – la costruzione della categoria “astratta” del concetto universale di uomo non solo rappresenta un gigantesco progresso, ma costituisce in ultima analisi il filo conduttore del processo storico in quanto sviluppo e estensione della libertà»27. Ma sarebbe un errore lasciare questa costruzione nell’ambito puramente soggettivo, nell’interiorità del Gewissen. Questa necessità del riconoscimento oggettivo, della costruzione di istituzioni etiche e politiche, distacca Hegel dalla tradizione aristotelica in favore di quella nuova tradizione filosofica nata dalla Rivoluzione francese.

Hegel si sforza di comprendere il proprio tempo e le dinamiche politicosociali non come un sociologo, ossia descrivendo la situazione di fatto, ma come filosofo, intercettandone le contraddizioni oggettive e portandole a una chiarificazione razionale-discorsiva. Losurdo mostra come la stessa dialettica non sia affatto un “metodo” analitico sovrapposto a un oggetto preso nella sua astrazione, quanto piuttosto il movimento oggettivo della realtà che Hegel formula attraverso il filtro delle altalenanti vicende e degli sconvolgimenti scaturiti dalla rivoluzione: lungi dall’essere un processo lineare, la rivoluzione mostra la coappartenenza di stasi ed accelerazione, progresso e reazione28, senza però che questo possa sminuirne il carattere di radicale trasformazione del contesto storico. Bisogna dunque decostruire l’immagine di un Hegel giustificazionista o alfiere del titanismo soggettivo: Hegel è innanzitutto un attento studioso del contesto storico, consapevole della complessità (spesso anche soverchiante) della realtà oggettiva nelle cui contraddizioni si muovono i soggetti stessi. La dialettica è movimento della realtà, lacerazione oggettiva. Non solo strumento di analisi quanto la restituzione della complessità del rapporto soggetto-oggetto (si potrebbe parlare di rapporto soggetto-oggetto-soggetto): da un lato Hegel «vuole chiarire la genesi, il significato e i problemi della Rivoluzione francese e del mondo da essa scaturito, [dall’altro egli è] impegnato altresì ad elaborare le categorie del discorso e dell’azione politica, le categorie che presiedono alla lettura e alla trasformazione della realtà politica»29.

La dialettica è il movimento del reale. Il filosofo ha il compito di intercettare questo movimento, di elaborarne la comprensione tramite categorie “individuali” (einzeln) nel senso hegeliano e quindi comprendere la realtà come mediazione di universalità e particolarità. L’universalità concreta, ciò che Hegel definisce individualità, è tale secondo Losurdo se riesce a conservare l’istanza della particolarità (la sua critica nei confronti dell’astrattezza semplicemente imposta) senza ridursi a nuova parzialità di fronte all’altra: «Alla filosofia, fondata sul principio dell’universalità della ragione, nemica del culto della “particolarità” che è proprio del mondo feudale, erede quindi dei motivi più validi della Rivoluzione francese, spetta un compito di rinnovamento e di rigenerazione politica»30. Questo movimento, come si vedrà nella seconda parte di questo lavoro, è codificato peculiarmente nella Dottrina dell’essenza. Non potendo dilungarci ora su ciò, si tenga presente il risultato del movimento dialettico, l’universalità concreta, così descritta da Azzarà: «quando invece, nel suo Aufheben, essa toglie e conserva insieme le particolarità, recuperando in se stessa ciò che di vero e legittimo era in esse presente, ecco che il pensiero dell’universalità è in grado di elevarsi alla forma superiore di un sapere speculativo che è ontologico e storico ad un tempo»31.

«L’interprete odierno», suggerisce Losurdo, «farebbe bene a guardarsi dall’assumere un atteggiamento da profeta, come se la verità, il significato autentico della filosofia di Hegel fosse rimasto a tutti nascosto e inaccessibile per oltre un secolo e mezzo»32. È un indizio metodologico che contiene una critica ante litteram al presupposto che tale interprete odierno rivela nella sua pretesa di “scoperta”: una concezione elitaria del sapere, che in ultima istanza non sarebbe universale e comunicabile ma apparterrebbe al guizzo immediato del ricercatore. Una concezione che Hegel ha rifiutato aspramente per tutta la sua vita. Losurdo contesta questo procedimento esaminando le posizioni di Ilting e D’Hondt sui Lineamenti di filosofia del diritto: se per il primo «i Lineamenti non sono autentici in quanto dettati dalla paura che la caccia ai demagoghi provoca in un uomo preoccupato di non esporsi e fondamentalmente pavido», per D’Hondt «il testo a stampa e persino quello acroamatico è meno autentico del comportamento di Hegel, e cioè dei suoi legami con gli ambienti dell’opposizione e della fronda»33. Questi giudizi tendono dunque a rendere indifferenti i diversi contesti storici34.

L’interpretazione del pensiero hegeliano deve invece comprendere il motivo delle diverse formulazioni, come pure dei cambiamenti sistematici. E ciò non alla ricerca di un “Hegel diverso” o un “Hegel segreto” ma per esser fedeli allo svolgimento concreto della maturazione del filosofo, sia sul piano teorico che su quello politico35. In tal senso Losurdo mostra anche che, seppur si potesse parlare di una tendenza esoterica nella filosofia hegeliana, «lo Hegel più progressivo emerge non dal lato esoterico che lo collegherebbe alla storia misteriosa della massoneria, ma dal suo lato essoterico, dalla sua polemica pubblica ed esplicita contro l’esoterismo della massoneria»36. Sarebbe invece ingeneroso parlare, riguardo a Hegel, di un compromesso teorico, o ancora peggio di servilismo nei confronti del governo prussiano. Per ogni autore, anche per Hegel bisogna distinguere tra “autocensura linguistica”, che riguarda la formulazione e la terminologia delle preposizioni, e “compromesso teorico”. Del resto, lo stesso Marx37 rifiuta qualsiasi critica che si fondi sullo smascheramento di un presunto compromesso da parte di Hegel, che motiverebbe i suoi cambiamenti di valutazione: se è possibile criticare Hegel, questo è perché nel suo pensiero è insita una contraddizione e non, come vuole la tradizione liberale, un’altalenante elaborazione in favore apologetica del potere dominante (prima la Francia, poi la Prussia).

L’assenza di confronto diretto coi testi del filosofo, come pure del contesto storico-sociale a lui contemporaneo, è presente anche nella domanda, viziosa ma emblematicamente significativa per Losurdo, che indaga la validità o meno dell’equivalenza della filosofia hegeliana alla tradizione liberale. Infatti, scrive Losurdo, “liberale” è «una categoria inadeguata per la comprensione della dialettica storica, incapace di farci cogliere, nella situazione di volta in volta concreta, il discrimine tra progresso e reazione». La pubblicazione della Filosofia del diritto segna perciò l’inizio di una «lotta»38 ideologica che si protrae fino ai giorni nostri.

Losurdo ha mostrato come, da un lato, le correnti politiche conservatrici, contemporanee a Hegel, considerassero il filosofo di Stoccarda un intellettuale filofrancese e rivoluzionario; dall’altro, come dopo il ’48 cominci quella «ritrascrizione»39 della vita culturale e politica tedesca per la quale Hegel viene considerato conservatore e reazionario dalla tradizione liberale di origine anglosassone. Un simile errore di anacronismo è rintracciato anche negli interpreti odierni, i quali giudicano Hegel in base ai presupposti del liberalismo democratico e del contrattualismo contemporaneo. Losurdo mostra come questi presupposti non siano solo contrari a quelli di Hegel ma trovino anzi nel filosofo tedesco una comprensione razionale. Si tenga conto, del resto, che «il contrattualismo proto-borghese ha poco o nulla a che fare col “contrattualismo” odierno (così come viene configurato da Bobbio)»40. Il bilanciamento dei poteri, l’esigenza dello Stato come organo mediatore delle istanze e dei bisogni particolari (le rivendicazioni della società civile), i principi dunque del contrattualismo contemporaneo, trovano semmai proprio in Hegel un precursore dello Stato moderno come agente universale41.

Contrario ad Hegel, quindi, non è il contrattualismo odierno, il quale si fa garante di istanze universalistiche, ma quello a lui coevo. Si prenda l’esempio di Locke. Il filosofo inglese, attraverso concetti desunti dal diritto privato, considerava lo Stato come un contratto in cui sono in gioco interessi particolari. Analoga considerazione era riservata ai diritti dell’uomo, che nel contrattualismo lockiano sono mere “proprietà” determinate dall’arbitrio e che, in contingenze più o meno particolari, possono anche esser oggetto di compravendita. Questa impostazione, in contrasto anche con il contrattualismo odierno, è avversata da Hegel, la cui concezione dell’universalità concreta non può che bandire la valenza particolaristica dei diritti, considerati come “proprietà”. I diritti dell’uomo sono inalienabili ma, a differenza del giusnaturalismo, tale inalienabilità non prescinde dalla storicità; i diritti sono anzi una conquista, mai definitoria, della seconda natura.

Losurdo mette in evidenza come questa polemica anticontrattualitica di Hegel non possa esser equiparata al passatismo di matrice romantica, che idealizza una natura incontaminata ponendola come meta per la salvezza42. Essa rientra invece nell’obiettivo di riforma sociale e istituzionale: Hegel «intende sottolineare l’assoluta inadeguatezza del contrattualismo come piattaforma teorica di un programma di rinnovamento politico-costituzionale»43. Losurdo mostra come la critica al contrattualismo sia cioè al contempo una difesa di quei diritti universali e beni inalienabili, che appunto non devono essere oggetto di compravendita, né di contratto: diritti universali e beni inalienabili non sono «sanciti da un contratto originario, [ma] sono il risultato di un lungo e tormentato processo storico». Si comprende come questo rifiuto non comporti anche il rifiuto del giusnaturalismo, quanto piuttosto una sua rielaborazione. A differenza di Bentham, il quale confuta l’idea di stato di natura, Hegel «individua un secondo e diverso significato del termine natura, che sta a significare la determinazione sostanziale e irrinunciabile dell’uomo»44. La determinazione dialettica della natura, unità di sedimentazione e storia, si ritrova palesemente nella società civile45. Losurdo mostra come nella bürgerliche Gesellschaft «c’è un residuo di stato di natura per il contrasto che continua a sussistere tra opulenza da una parte e disperata miseria dall’altra»46. Residuo di natura, d’altra parte, è la schiavitù, la cui affermazione è giustificabile in base a un “nominalismo antropologico” che Hegel condanna in quanto «resta al di qua di quel concetto universale di uomo elaborato dalla storia universale, col contributo decisivo della rivoluzione francese»47.

 

1.2 Progresso o reazione?

Losurdo ha mostrato come nel confronto con il pensiero hegeliano si sveli l’intreccio tra progresso e reazione nella storiografia liberale. La più grande differenza che distingue Hegel dal liberalismo è proprio la considerazione delle dinamiche e delle contraddizioni oggettive che caratterizzano la società moderna. Ancora una volta, il discrimine ricade nell’aggettivo – “oggettivo” –, dato che gli esponenti del liberalismo non negano certo le contraddizioni sociali, ma si affrettano a dedurle a partire dal merito o dalla responsabilità dei singoli individui, rifuggendo dalle differenze sociali oggettive. In Hegel, invece, il conflitto è il perno analitico attraverso cui si effettua non solo la descri- zione ma anche la critica dei sistemi sociali48.

Il fattore progressivo della filosofia hegeliana, osteggiato dalla tradizione liberale, consiste in questa presa in carico della questione sociale e nella sua attenta disamina49. Al lassez faire del liberalismo Hegel contrappone l’esigenza dell’intervento dello Stato, il quale, se vuol esser concreto e realizzare il proprio concetto, ha il compito di intervenire in modo attivo nell’ambito della società civile promuovendo i “diritti materiali” dei singoli e dei gruppi50: «con Hegel, i diritti inalienabili tendono ad assumere un contenuto materiale. La condizione dell’affamato viene assimilata a quella dello “schiavo”, ed ecco che s’impone un intervento pubblico che garantisca in concreto il diritto inalienabile alla libertà»51. Secondo Losurdo, gli interpreti liberali di Hegel non comprendono a fondo la teorizzazione da parte del filosofo del diritto del bisogno estremo. Tale diritto, lungi dall’essere un incitamento alla rivoluzione, è una critica nei confronti dell’assolutizzazione del diritto di proprietà: «se in Locke – scrive Losurdo – è la messa in discussione della sfera della proprietà privata, nella sua assolutezza e inviolabilità, a configurarsi come arbitrio e violenza, in Hegel a configurarsi come arbitrio e violenza è per l’appunto l’assolutizzazione della proprietà privata»52. Il delitto più grave non è quello che danneggia l’altra proprietà, ma quello che riduce l’uomo a oggetto di proprietà. Il Notrecht è quindi un altro discrimine tra Hegel e la tradizione liberale. Quest’ultima, infatti, non conoscendo alcuna questione sociale, rifiuta l’idea di un Notrecht, pur ammettendo, anche se non in modo univoco e uniforme, lo ius resistentiae e lo ius necessitatis. Come si spiega ciò? Losurdo mostra come in gioco sia, di nuovo, la considerazione della natura e dello stato di natura. A differenza dello ius resistentiae e dello ius necessitatis, entrambi rinvianti a circostanze eccezionali generalmente provocate da catastrofi naturali, il Notrecht rinvia a conflitti reali nei rapporti sociali esistenti, mettendo dunque al centro la storicità della questione sociale e delle sue contraddizioni.

Hegel individua perciò un vizio di fondo, comune alla tradizione liberale ma anche agli esponenti romantici, nel considerare la povertà una disgrazia, assimilandola a qualsiasi altra calamità naturale.

Anche Fichte – e ciò mostra come gli orientamenti ideologici possano spesso intrecciarsi – considera il Notrecht al pari di una calamità naturale, tanto che il suo radicalismo plebeo «assume talvolta accenti regressivi e sembra mettere in discussione la civiltà industriale, l’illimitata espansione dei consumi e dello scambio propria del mondo moderno»53. Tale messa in discussione è inaccettabile per Hegel, il quale compie una descrizione lucida della miseria della povertà (e della schiavitù) ma non rinuncia mai al riconoscimento della modernità come tappa della libertà. Una tappa importante, proprio perché la società civile moderna comporta «lo sviluppo autonomo della particolarità (selbständige Entwicklung der Besonderheit)»54.

Liberali e conservatori hanno sempre negato le contraddizioni che agitano in maniera strutturale la società moderna per ricondurre la genesi delle differenze sociali al merito e alla responsabilità individuale, oppure a una perenne e insuperabile divisione naturale tra ricchezza e povertà55. Al contrario, la società civile era per Hegel il luogo in cui si accumulano i conflitti tra le libertà individuali e dei gruppi sociali. Riprendendo i famosi passi della Filosofia del diritto sul «diritto di vivere»56, Losurdo scorge una duplice critica nella teorizzazione dei diritti materiali e nell’affermazione della loro superiorità rispetto al diritto della proprietà privata: tanto nei confronti della separazione, istituita dalla tradizione liberale, tra politica ed economia, quanto nei confronti di una concezione storica incentrata esclusivamente sul presente come approdo definitivo della modernità: è proprio la teorizzazione dei diritti materiali che permette di dire a Losurdo che «la filosofia hegeliana della storia, mentre legittima pienamente il moderno, non considera concluso, o consente comunque di non considerare concluso il processo di emancipazione che nel suo ambito si è sviluppato»57.

L’acquisizione maggiore che Losurdo trae dall’elaborazione hegeliana dei diritti materiali è a questo punto l’idea di un costitutivo “conflitto delle libertà”: il carattere progressivo della filosofia hegeliana risulta nella capacità di riconoscere la dialettica immanente dello sviluppo della libertà, che, lungi dall’essere garantito e univocamente direzionato, si rivela piuttosto esso stesso come luogo di conflitto, nell’unità complementare e sempre differita di (inter)soggettività e oggettività. «Si può dire», scrive Losurdo, «che Hegel ha reso più problematico e incerto il confine tra libertà e oppressione; e allora ben si comprende l’ossessione soprattutto dei neoliberisti a voler confinare questo grande interprete della libertà, positiva e negativa, nella storia del totalitarismo o, nella migliore delle ipotesi, della democrazia totalitaria»58.

 

2. Hegel e l’ontologia dell’essere sociale

Questa seconda parte del mio intervento si colloca su un piano più propriamente teoretico. Il luogo testuale di questo approccio è la Scienza della lo- gica. Parlare a questo proposito di ontologia dell’essere sociale potrebbe apparire bizzarro e tuttavia, come si è detto, bisogna riflettere su certi luoghi comuni, scavando in profondità la loro consistenza. Seguendo dunque l’intuizione presente fin dal titolo di un saggio di Losurdo – Hegel, Marx e l’ontologia dell’essere sociale59 –, si tratta di attraversare la Scienza della logica con le categorie centrali di Losurdo emerse nella prima parte (contraddizione oggettiva, dialettica tra universale e particolare, libertà), per mostrare in che modo il sistema delle categorie hegeliano dispieghi un’ontologia dell’essere sociale in nuce. Per far questo, però, c’è bisogno di un breve excursus su Lukács e sulla sua critica a Hegel. Ciò che intendo mostrare è che l’aspetto progressivo della filosofia hegeliana è costituto da un’elaborazione complessa, nella Scienza della logica, di un’“ontologia dell’essere sociale”: lungi dall’essere una sommatoria degli individui, la relazione intersoggettiva consiste nella configurazione di un nuovo tipo di soggettività a cui è coessenziale la differenza e la negatività.

In un paragrafo del suo libro, significativamente intitolato Lucs e gli ste- reotipi nazionali, Losurdo mostra come il filosofo ungherese, pur affermando l’importanza epocale della filosofia classica tedesca, ricada in alcuni stereotipi che gravano sulla comprensione delle problematiche descritte da Hegel. Merito di Lukács è, secondo Losurdo, l’aver insistito sulla «“ineguaglianza dello sviluppo nel campo delle ideologie”, in base al quale la Germania del Sette e Ottocento, nettamente arretrata sul piano politico-sociale rispetto ai paesi capitalistici avanzati, esprime tuttavia una filosofia all’avanguardia e gravida di futuro»60. In una celebre opera, pur tesa a evidenziare la “distruzione della ragione” a seguito dell’abbandono e del rifiuto della filosofia hegeliana, Lukács parla però, in riferimento al filosofo di Stoccarda, di un “sistema reazionario” (reaktionäres System)61. Si avverte qui l’eco della critica engelsiana, mirante a delineare due piani diversi nella filosofia hegeliana, uno propriamente progressivo (la dialettica) e l’altro regressivo (il sistema). Ma differentemente da Engels, nota Losurdo, per il filosofo ungherese «il “sistema” non solo smarrisce le sue componenti progressive o moderatamente progressive, ma diviene univocamente “reazionario” [finendo] col contraddire quella che è l’impostazione di fondo della sua lettura della filosofia classica tedesca, dando ragione a Zdanov, Stalin e Popper»62. Ancora una volta si comprende come i rigidi dualismi siano poco fruttuosi sul piano teoretico e anche fuorvianti63.

 

2.1 L’Ontologia dell’essere sociale e la critica a Hegel

È risaputo che il progetto dell’Ontologia dell’essere sociale nasca come introduzione per un’altra opera a cui Lukács intendeva dedicarsi una volta terminata la stesura dell’Estetica. L’opera in questione era un’etica materialistica, da Lukács intesa come filosofia dei valori umani e delle norme. Quest’opera resterà incompiuta proprio a causa del carattere poderoso di quell’“introduzione” – non semplicemente un’opera, ma un intero progetto filosofico che va sotto il nome di “ontologia dell’essere sociale”64 – attraverso la quale Lukács si proponeva di «filosofare al modo di Aristotele e di Hegel»65. Obiettivo di Lukács era cioè salvaguardare la dimensione etica da qualsiasi eteronomia, quella religiosa come pure quella intuitivo-sentimentale. L’etica è un prodotto storico e ciò, lungi dal relativizzare i valori, comporta un’assunzione radicale dell’impegno dell’uomo affinché un valore si dia. Ma per elaborare un’etica materialistica non si può eludere il piano materiale dell’esistente. Ecco perché Lukács si dedica all’elaborazione di un’ontologia. Questa circostanza è importante per il nostro studio, dato che il progetto lukácsiano si muove in un orizzonte etico volto a strutturare la relazionalità dell’uomo, il suo essere essenzialmente intersoggettivo: si tratta infatti di ipotizzare un ritorno a Hegel attraverso Losurdo, al fine di immaginare le possibili linee di sviluppo del progetto ontologico-sociale lukácsiano.

«Era un filosofo con un robusto e vasto senso della realtà, con una fame talmente intensa di realtà genuina quale forse dopo Aristotele non è riscontrabile in nessun altro pensatore»66: è interessante notare, en passant, che per Losurdo questa affermazione di Lukács «resta però un mistero», poiché è pure convinzione del filosofo ungherese quella secondo cui, in Hegel, l’oggetto sarebbe esclusivamente “alienazione del soggetto”. Simili paradossi – anch’essi, dovremmo dire, fait social e contraddizioni oggettive – si trovano sparsi in tutta l’Ontologia dell’essere sociale. Ciò nonostante, essi sono una spia indicativa del fatto che, in un certo senso, il progetto lukácsiano intende ripetere, capovolgendolo in senso materialistico, il gesto di Hegel: comprendere la realtà storico-sociale e cercare di configurarne i movimenti oggettivi in cui il piano ontologico si interseca (non coincidendo mai) con quello logico.

Lukács si confrontarsi in modo puntuale con il problema della dialettica e dell’ontologia in Hegel dedicando emblematicamente un intero capitolo della sua opera – il terzo – alla Scienza della logica. Questo perché – scrive egli stesso – la «coincidenza di idea realizzata e di presente storico è metodicamente fondata su una logica»67. Lungi dall’affermare una staticità della filosofia (e della logica) hegeliana, Lukács vuole evidenziare che il movimento che essa offre è in realtà apparente, dato che consiste di “spostamenti” all’interno di un sistema, il quale è incapace di effettive trasformazioni.

L’esposizione (Darstellung) dell’ontologia hegeliana, seguendo il metodo marxiano, procede parallelamente alla sua critica (Kritik). Ed è Lukács stesso a paventare questa duplicità con la frase programmatica secondo cui «occorre proseguire per la via imboccata dai classici del marxismo»68, intendendo con ciò il radicalizzare l’opposizione fra sistema e metodo69. Un’opposizione che non ha trovato conciliazione in Hegel, il quale ha voltato pagina rispetto al dover-essere a favore di una comprensione adeguata del proprio tempo storico ma per il quale l’ancoramento alla realtà oggettiva comporta potentemente una «supremazia ontologica dell’esser-proprio-così della realtà rispetto a tutte le altre categorie»70.

Da qui la contraddizione della filosofia hegeliana, che da un lato compie un’analisi delle trasformazioni ontologico-sociali e dall’altro, proprio perché immanentizza qualsiasi dover-essere nell’effettualità, giunge ad affermare che «nel presente la società è pervenuta ad adeguarsi all’idea, per cui la fuoriuscita dal suo principio ha finito per essere considerata una impossibilità logica»71. E così, se è merito di Hegel l’aver riconosciuto che la storia non è fatta solo di atti immediati, né essa è la mera sommatoria di intenzioni (individuali-collettive) precostituite, con la compiutezza del presente «la teoria hegeliana della storia approda dunque alle vecchie concezioni ontologiche del genere della teodicea»72.

La capacità di Hegel di intercettare le dinamiche storiche, e di provare a configurarne le relazioni ontologiche non è un fatto scontato, né condiviso dai filosofi a lui contemporanei. Infatti, scrive Lukács, «la reazione più semplice e diretta a questo nuovo stato di cose fu di negare in assoluto la rilevanza ontologica della ragione. La irratio […] cerca una via all’indietro […] ancora precontraddittoria»73. Il romanticismo, per Lukács, è consistito proprio in questo indietreggiare di fronte alla “contraddizione oggettiva” del presente74 mentre l’irrazionalismo non è altro che l’anelito di ricongiungersi con una (presunta) realtà perduta e più autentica. Il tentativo di Hegel assume, quindi, le caratteristiche di un baluardo: da un lato la sua insistenza sul carattere di passaggio dell’epoca storica comporta una concezione intrinsecamente dinamica e dunque trasformabile della storia stessa; dall’altro, in Hegel, «la contraddizione finisce per salire a categoria ontologico e logico-gnoseologica centrale»75. Ecco perché la filosofia di Hegel, o meglio il “gesto” che egli compie, assume una rilevanza decisiva per il progetto ontologico-sociale lukácsiano. In Hegel, per la prima volta, l’ontologia – intesa tradizionalmente come dottrina dell’ente e dell’immutabile – viene fluidificata e la sua costituzione non è data una volta per tutte ma è un processo imperniato sulla contraddizione oggettiva e sulla Verwirklichung della ragione: «il loro intrecciarsi fa sì che logica e ontologia concrescano in esso in una intimità e con una intensità finora sconosciute»76. Il tentativo hegeliano è perciò un passo in avanti, poiché la molteplicità del reale non viene assorbita in un principio statico quanto piuttosto ricompresa nella totalità spirituale. Un passo che è fondamentale anche per Lukács, per il quale la categoria di totalità resta un nucleo fondamentale e inaggirabile: alla totalità intesa come connessione dinamico-contraddittoria degli atti individuali, egli assegna un essere sui generis77.

La totalità è forse l’indice costante del riferimento lukácsiano alla filosofia di Hegel. Seppur con tutte le rielaborazioni – in cui gioca un ruolo anche il confronto con l’arte e in generale con la dimensione estetica –, una costante nella filosofia di Lukács è la valorizzazione della totalità, ancora più dinamizzata come “complesso di complessi”. Scrive: «l’intero di cui egli [Hegel] parla in maniera programmatica è una totalità che si costruisce con interrelazioni dinamiche di totalità relative, parziali, particolari»78. Il merito della dialettica hegeliana è dunque quello di aver mostrato come la totalità non sia chiusa, ma anzi è un insieme di totalità tra loro intrecciantesi. Ancora una volta, però, questo nocciolo dialettico, sintetizzato nella formula dell’identità di identità e non-identità, è in chiaro contrasto con la costruzione logico-gerarchica del sistema79. Il capovolgimento dialettico avviene, secondo il filosofo ungherese, proprio nel momento centrale dello svolgimento della logica hegeliana. Nella dottrina dell’essenza, l’ontologia hegeliana, imperniata sull’identità soggettooggetto, produce i «momenti deformanti decisivi»80. Ecco allora che la contraddizione sfocia nel paradosso e il pensatore che più di altri ha cercato di conservare e riflettere la dinamicità del reale giunge ad affermare una gerarchia categoriale, la cui intellegibilità è contemporaneamente fonte di pienezza ontologica rispetto alla quale l’interazione dei momenti precedenti all’Idea diventa una sorta «di sintesi statica di forze dinamiche»81.

Il problema sorge dall’inquadramento dell’orizzonte tematico a cui si riferiva un’intera stagione filosofica. Quest’orizzonte viene definito da Lukács come “tragicità storico-filosofica”, rispetto a cui la filosofia hegeliana, ma in generale tutta la filosofia classica tedesca, «nel tentativo di superare simultaneamente l’elemento meccanicistico del materialismo e quello trascendentesoggettivistico dell’idealismo kantiano, fu spinta a postulare l’identità di soggetto e oggetto»82. A questa tragicità, animata dalla contraddizione, Hegel non ha potuto far altro che rispondere in modo contraddittorio. Il filosofo di Stoccarda avrebbe da un lato elaborato una nuova logica, non limitata semplicemente alle leggi corrette e formali del pensiero ma appunto dialettica, capace di offrire un’esposizione delle categorie che tenesse conto della loro interconnessione; dall’altro egli ha però «sia sovraccaricato le categorie logiche di contenuti ontologici, inglobando in misura scorretta nelle loro relazioni rapporti ontologici, sia deformato in vario modo le importantissime nuove cognizioni ontologiche costringendole dentro forme logiche»83. In tal modo l’unità di pensiero ed essere proposta da Hegel non è altro che il reiterato impossessamento da parte del primo nei confronti del secondo, del soggetto nei confronti dell’oggetto: nella logica hegeliana ogni oggetto riceve un posizionamento specifico esclusivamente nella misura in cui il pensiero li ha “incorporati”.

Lukács non è il primo ad aver avanzato questa critica alla logica hegeliana. La peculiarità del filosofo ungherese sta piuttosto nel rintracciare la radice di questo incorporamento nella negazione, la quale mostra ancora una volta la contraddittorietà dell’impostazione hegeliana: la generalizzazione logica della negazione a principio di ogni processo dialettico (logico e storico dunque) comporta la perdita, se non addirittura la cancellazione della specificità dell’essere sociale. La specificità dell’essere sociale verrebbe dunque misconosciuta dal tentativo hegeliano di ricondurre l’eterogeneità dei fenomeni all’unicità del pensiero. Questo perché l’ordine gerarchico-sistematico offerto da Hegel è possibile solo se la logica funge da «medium omogeneo»84, ossia capace di riflettere sulla eterogeneità della realtà il suo principio unificatore, che invero è «un punto di vista connettivo totalmente estraneo»85. È proprio a questo livello che si mostrerebbe la contraddizione tra ontologia vera (dialettica) e ontologia falsa (sistema) di Hegel: se da un lato, in quest’ultimo, i nessi ontologici reali sono adeguatamente espressi nel pensiero attraverso le categorie logiche, dall’altro queste ultime non sono semplici determinazioni del pensiero quanto piuttosto «componenti dinamiche del movimento essenziale della realtà»86. L’ontologia vera, l’unica ontologia possibile per Lukács, è quella dialettica capace di mostrare la fluidità del reale, la sua continua possibilità di trasformazione. Falsa è invece quell’ontologia che assoggetta lo svolgimento dell’essere alla sistematicità categoriale.

 

2.2 La Scienza della logica e l’ontologia dell’essere sociale

Ma se la critica alla dialettica hegeliana è al contempo l’affermazione delle insufficienze dell’idealismo storico, bisogna riconoscere, con Losurdo, che «Hegel è per lo più ben lontano anche dall’idealismo storico»87. Contraddizione oggettiva, diritti materiali, persino la considerazione della geografia per comprendere il concreto sviluppo storico, non permettono di assimilare la dialettica hegeliana a una mera estrinsecazione coscienzialistica, né a un idealismo inteso come autoctisi del pensiero puro. Se, seguendo Losurdo, la dialettica hegeliana codifica e riconfigura il movimento reale e le contraddizioni oggettive all’interno di nessi di totalità88, bisogna allora ammettere che la Scienza della logica non costituisce semplicemente il primo “momento” dell’autocomprensione dello spirito assoluto, e quindi sciolto da qualsiasi cosa, ma è al contempo un tentativo di comprendere, in quei nessi di totalità, la realtà sociale e materiale. In questo senso essa espone, in modo critico, l’ontologia dell’essere sociale.

Da diversi autori e in diverse epoche la Scienza della logica è stata letta come paradigma di una teoria autoriflessiva e autoreferenziale del pensiero puro incentrato sul rapporto soggetto-oggetto. Questo presupposto, in parte, sembra condiviso anche da Lukács, secondo il quale «la coincidenza di idea e presente non significa dunque per Hegel negare senz’altro il movimento, ma semplicemente ridurlo a spostamenti entro un sistema che per sua natura non è più capace di trasformazioni decisive»89. In tal modo, l’esposizione hegeliana delle categorie, esposizione che tiene insieme piano logico e ontologico, viene interpretata come un movimento statico che giunge ad affermare ciò che “soggettivamente” è stato posto, senza quindi confrontarsi con ciò che – per Lukács – “resterebbe” esterno al pensiero: la realtà effettiva. Il condizionale è motivato dal fatto che proprio l’effettualità conserva le due determinazioni, o meglio conserva l’inscindibile relazione tra esse. «Sino alla fine – scrive Losurdo – Lukács rimprovera a Hegel di aver identificato l’”esteriorizzazione” con l’“oggettivazione” e persino con l’“oggettività”»90. Si tratterebbe di un timore, o riprendendo ancora Losurdo, di un’ipocondria nei confronti dell’oggettività, una riconduzione assoluta di essa al soggetto e alla sua potenza: in modo sorprendente «Lukács attribuisce a Hegel la malattia che questi diagnostica e denuncia con tanta forza»91.

In termini più contemporanei potremmo intendere la critica di Lukács come critica alla cieca circolarità del pensiero, che proprio per la sua chiusura non riesce a lasciar-essere l’alterità, ma piuttosto ingloba la sua irriducibilità nella schematizzazione categoriale. Tuttavia, come ha notato in modo attento Alessandro Bellan, «l’alterità può avere una genesi extra-logica, ma è solo nella logica che essa appare come alterità»92. Cosa significa parlare di alterità nella Scienza della logica? E soprattutto, qual è la relazione tra alterità e ontologia dell’essere sociale?

C’è bisogno di una precisazione metodologica. Interrogarsi sulla presenza dell’alterità nella Scienza della logica è il primo passo per comprendere il rapporto tra logica e ontologia, tra idea e realtà storico-sociale. Solo la presenza di una dimensione alteritaria può infatti rendere ragione della complessità dialettica dell’autoriflessività del movimento categoriale, il suo inesauribile generarsi tramite la negazione. In questo senso può assumere nuova luce l’affermazione di Hegel secondo cui: «la scienza pura presuppone perciò la liberazione dall’opposizione della coscienza […] Come scienza, la verità è la pura autocoscienza che si sviluppa, ed ha la forma del Sé»93. Liberazione e forma del Sé, dialettica tra universale e particolare, contraddizione oggettiva: ecco i nuclei tematici da analizzare per poter parlare di un’ontologia dell’essere sociale in Hegel94.

La Scienza della logica è composta da tre parti – dottrina dell’essere, dottrina dell’essenza e dottrina del concetto – che mostrano come l’autoreferenzialità del pensiero sia un processo attraverso cui «l’idea si affranca da se stessa»95, configurando una “compiuta immediatezza”. Basti sottolineare qui che il mantenimento di immediatezza e mediazione, come pure quello di particolarità e universalità, deriva dalla negazione auto-riferita, la quale non solo struttura una diversa relazione tra i termini, ma riconfigura il senso stesso della relazione.

In un importante testo – oggi molto trascurato – Michael Theunissen sosteneva che l’intera Scienza della logica può esser interpretata come il “cammino” verso una relazione intersoggettiva compiuta96, ossia verso la strutturazione di una ontologia relazionale che non fa riferimento solamente alla soggettività umana, ma che nondimeno proprio in essa conosce una figura fondamentale del suo apparire. La liberazione dell’ontologia relazionale può avvenire solo se l’esposizione delle categorie è capace di mostrare il movimento effettivo di esse, un movimento caratterizzato dalla transitività, dalla riflessività e dalla simmetria. Tali caratteristiche scandiscono la circolarità essere-essenza-concetto. Nella Dottrina dell’essere, la transitività è conferita dall’immediatezza delle determinazioni logiche, le quali lungi dal mostrare la ragione della propria interconnessione, non fanno altro che succedersi le une nelle altre, mostrando dunque l’indifferenza della relazione, quando essa è assunta come estrinseca al piano “ontologico”. All’ontologia non-relazionale della dottrina dell’essere, le cui uniche relazioni sono lo scorrere reciproco delle determinazioni, corrisponde un pensiero – astrattamente – autoreferenziale, che, in quanto «immediato riferimento a se stesso»97, presume un’oggettività estrinseca, in tal modo inficiandola. Tra pensiero e pensato la relazione è solamente estrinseca ed essa altro non è che l’auto-astrazione del pensiero da se stesso. Proprio l’indifferenza nei confronti della relazionalità ontologica delle determinazioni comporta il regresso senza fine tra una quantità e un’altra, comparate solo esteriormente: la mediazione non è ancora posta come tale e «la determinatezza […] è ancora come stato, cioè come un’esteriorità qualitativa che ha l’indifferenza per sostrato»98. Ogni determinatezza può esser pensata come qualità o come quantità ma essa è sempre indifferente (gleichgültig) verso l’altra.

L’essenza rappresenta il togliersi di questa immediatezza, in quanto «unità in se stessa immanentemente negativa e assoluta»99. L’ontologia relazionale comincia a configurarsi attraverso l’unità immanente e negativa dell’essenza, per la quale la determinazione diviene conseguenza della relazione ontologica con l’altra determinazione. L’immediatezza che caratterizza l’essere, però, non viene semplicemente superata dall’essenza ma anche conservata: ora è la relazione ad essere immediata. Ciò ha un’importante conseguenza. Infatti, se nella dottrina dell’essere l’immediatezza comporta il rivolgersi infinito di qualità in quantità, nella dottrina dell’essenza essa pone una delle due determinazioni come l’intera relazione. L’altra determinazione, a questo livello, è solo un momento funzionale alla autorelazione della “prima” determinazione. L’indifferenza in cui precipita la determinatezza della Dottrina dell’essere diventa l’immanenza della relazione sul piano ontologico nella Dottrina dell’essenza. Tuttavia, l’immediatezza di questa immanentizzazione della relazionalità non è ancora capace di articolare in modo dialettico i relata e la relazione (il particolare e l’universale) facendo scomparire la loro differenza100. Ogni determinazione contiene l’altra come proprio correlativo ma, proprio per questo, ognuna si pone come un intero che esplica il dominio (Herrschaft) sull’altra.

Nondimeno, in questa immediatezza della relazione, come nota Bellan «la Dottrina dell’essenza rende già possibile un concreto pensiero della totalità organica»101. Nella Wirklichkeit e nella Wechselwirkung, infatti, l’assolutezza della sostanza è contemporaneamente il riconoscimento della sua connessione agli effetti. L’assoluto porre della sostanza altro non è che il movimento di automediazione, la dialettica tra «il venir posto da un altro e il proprio divenire»102, dimodoché tale unità dialettica non è più sostanza, ma concetto103. Esso si presenta nella sua pura universalità, con determinazioni di assolutezza: è «l’assolutamente infinito», «libero». Esso però è tale grazie alla sua particolare genesi e non in virtù di un’autoposizione assoluta: lo svolgimento categoriale mostra come la transitività iniziale dell’essere – il divenir altro – divenga movimento riflessivo della determinazione – il riferirsi a sé. «Questo puro riferimento del concetto a sé (che è questo riferimento in quanto si pone mediante la negatività) è l’universalità del concetto»104.

L’unità della negatività con se stessa, che risulta dalla processualità dell’essenza, comincia a porre la differenza attraverso la riflessione, raggiungendo un nuovo statuto della negazione, ossia la negazione auto-riferita (selbstbezügliche Negativität das Negative seiner Selbst). L’universalità del concetto, così poco determinabile sul piano semantico, diviene piuttosto un “luogo del differimento” capace di contenere «la più alta differenza e determinatezza»105. L’ontologia relazionale, nella Dottrina del concetto, risiede in quella che Bellan ha definito la «congiunzione disgiuntiva»106, ossia l’autoscissione del concetto: il giudizio.

Non potendo dilungarci sulla Dottrina del concetto basti notare che il giudizio del concetto, l’ultimo della serie dei giudizi, è quello che consente di pensare la relazione come universalità compiuta la quale è definita da Hegel «identità concreta»107. Il sorgere dell’identità concreta è il tramontare della “forma del giudizio” proprio perché il pensiero e la cosa esprimono «il medesimo contenuto». L’autorelazione della cosa, il suo svolgimento è il suo concetto: «la cosa non semplicemente esiste, ma è sempre in un determinato rapporto col suo concetto, inteso come il suo dover essere, essa è sempre costituita in un modo o nell’altro»108. La trattazione del giudizio mostra la sua inadeguatezza nel restituire il concetto compiuto perché la relazione avviene per mezzo della copula, la quale segna immediatamente il trapasso del soggetto nel predicato e del predicato nel soggetto109.

Il pensiero oggettivo scorge dunque nel giudizio l’irriducibilità della cosa al pensiero. L’“idealismo” hegeliano trova qui la sua chiarificazione. Se la cosa fosse solo un pensato, il giudizio dovrebbe essere la forma compiuta del concetto. Ma ciò non accade proprio perché la logica dialettica è pensiero oggettivo e la cosa è sempre compresa nella relazione col proprio altro. La logica dialettica è appunto lo strutturarsi di questa comprensione concreta attraverso la differenza irriducibile della cosa che è al contempo condizione della sua determinazione. Il giudizio è la prima dimensione della “corrispondenza” tra cosa e concetto. Ciò che è interessante notare, nel contesto del nostro studio, è il fatto che tale corrispondenza non avvenga semplicemente nel soggetto che proferisce il giudizio, piuttosto esso corrisponde a una determinata forma dell’ontologia relazionale110. Ciò mostra come l’identità della cosa non sia la tautologia quanto piuttosto relazione ricorsivamente attuata dal differire di sé con sé. Come sintetizza Düsing: «questa identità non dev’essere una tautologia, ma deve conservare in sé la differenza»111.

L’ontologia dell’essere sociale si mostra attraverso quell’identità concreta a cui accennavamo poco sopra: identità concreta come unità dialettica di universalità e particolarità. Quel che si presenta immediatamente come identico (la particolarizzazione)112 è il negativo di se stesso, è altro da sé: «universalità riempita come forma» e «universalità oggettiva sviluppata»113. La configurazione “logico-speculativa” dell’ontologia dell’essere sociale assume la struttura definitiva nel sillogismo in quanto connessione concreta. In tutte le figure della Schlußlehre (della qualità, della riflessione, della necessità. A differenza del giudizio, non c’è un sillogismo del concetto), il sillogismo conserva la transitività dell’essere e la riflessività dell’essenza: «il sillogismo è mediazione, il concetto completo nel suo esser-posto. Il suo movimento è il togliere di questa media- zione nella quale nulla è in sé, ma ciascuno è solo per mezzo di un altro. Il risultato è quindi un’immediatezza che è posta per il togliere della mediazione, un essere che è insieme identico con la mediazione ed è il concetto, che ha ristabilito se stesso dal suo esser altro e nel suo esser altro. Questo essere è perciò una cosa (Sache) che è in sé e per sé, – l’oggettività»114. Concetto oggettivo significa allora determinazione (particolarità) della differenza (universalità). La negatività caratterizzante la logica dialettica fin dal suo “inizio” si mostra dunque come struttura oggettiva e relazionale dell’idea e ciò legittima l’interpretazione della Logica come ontologia dell’essere sociale.

 

3. Conclusioni provvisorie: Hegel dopo Losurdo

Interrogarsi, con Losurdo, su Hegel e l’ontologia relazionale115 significa innanzitutto criticare alcuni luoghi comuni della storiografia filosofica, la cui caratteristica principale è spesso l’astrazione e la lontananza dalla realtà e dalle problematiche politico-sociali. Ecco perché parlare di contraddizione oggettiva e libertà, nel contesto di un’ontologia dell’essere sociale, può apparire oggi arduo, quasi inattuale. In un contesto di iperspecializzazione scientifica, che corre parallelamente alla divisione atomistica del lavoro, termini come spirito (Geist) o, riprendendo Lukács, conformità al genere per sé (Gattungsmäßigkeit für-sich) destano un certo imbarazzo se non addirittura un rifiuto incondizionato. Rifiuto a cui si aggiunge una sorta di sarcasmo, come se quei termini fossero un epifenomeno della giovinezza, che deve dileguare al più presto nel fare i conti con la realtà.

Alla luce di tale contesto la strada indicata da Losurdo, che invita a continuare il progetto lukácsiano, assume una radicalità ancora più profonda. Lukács infatti, scrive Cesarale, «ha portato alla luce i tratti più essenziali di quella individualità borghese […] il cui esserci rende precisamente impensabile la nozione di totalità»116. La moderna società borghese, e l’individualità da essa preformata, sorge proprio dalla negazione della totalità e della sua rimozione dal tessuto sociale. Mai sarebbe potuta esplodere quella Sehnsucht, il male “borghese” per antonomasia, in una società realizzatasi concretamente come totalità. Le riprese moderne di una generalità, che solo impropriamente può esser chiamata totalità, sono del resto fallimentari dato che, proprio nel momento in cui la totalità non riesce a integrare le particolarità e anzi si oppone a quest’ultime, essa stessa diventa particolarità.

Tuttavia, è proprio in un’ottica di critica dell’esistente, di messa in discussione di quella realtà, che il pensiero deve confrontarsi con i tentativi di pensare insieme l’individuo e la società, il particolare e l’universale, senza che un termine si ponga come dominio nei confronti dell’altro. La totalità, sia per Hegel che per Lukács, è una categoria fondamentale per l’analisi (logico-epistemica-sociale) proprio perché non sopprime i “momenti”, ma esprime una concettualizzazione della loro relazione complessa. Sul piano strettamente sociale, gli individui non sono assorbiti passivamente in un’identità fissa, ma sono il risultato di un processo collettivo. In questo senso, la società capitalistica e la sua ideologia non conoscono totalità, ma solo totalizzazione. Totalizzazione significa che sia nelle sue forme di vita, che nelle stesse formulazioni ideologiche, permane la parvenza dell’autonomia degli individui. E però, ricorda Losurdo, «per Hegel la “parvenza” (Schein) ha una sua oggettività. […] “Parvenza” e “apparizione” sono esse stesse reali, ma, ovviamente, non hanno lo stesso grado di realtà del Wesen e della Wirklichkeit»117. Si tratta allora di comprendere la potenzialità di questa parvenza, nella sua concreta configurazione storica. Se infatti la parvenza non è la Wirklichkeit, essa ha comunque un effetto reale nella società. La parvenza dell’autonomia dell’individualità, ossia l’affermazione della particolarità sull’universalità, è il contraltare, in sede logica, di quel rifiuto delle contraddizioni oggettive, che qui si mostra come una propensione verso la particolarità a sua volta parvente, poiché il suo risultato non è altro che l’affermazione di una generalità astratta, nella quale non c’è posto per ciò che Hegel chiama personalità: «il concetto non è soltanto l’anima, ma è libero concetto soggettivo che è per sé ed ha quindi la personalità»118.

Proprio a questo livello della Scienza della logica l’ontologia relazionale è capace di giustificare e al contempo esporre il rapporto tra la dialettica universalità-particolarità – la totalità – e la libertà. L’idea assoluta, lungi dall’essere la massima astrazione eidetica, priva di contenuto, è la coappartenenza di conoscenza e prassi, ossia la vita concreta dell’essere sociale. La soggettività del concetto «non è in pari tempo individualità esclusiva, anzi è per sé universalità e conoscenza e nel suo altro ha per oggetto la sua propria oggettività»119. Il ritorno alla vita in cui consiste l’idea è la conquista di una nuova personalità, quella cioè del concetto che si nutre di libertà. Nell’idea assoluta, ciò che abbiamo definito “ontologia relazionale” trova la propria circolarità epistemica e vitale: la totalità è il movimento di mediazione tra conoscenza e prassi come pure della loro trasformazione reciproca. Il soggetto è totalità in quanto l’autoriferimento è una circolarità mediatizzante, attraverso cui si attua la liberazione: «Befreiung significa qui alleggerimento da una limitante oppressione, che coincide con la conquista di uno stato [nuovo] di libertà»120. La liberazione, però, non riguarda solamente le limitazioni esterne. L’ontologia relazionale di Hegel, di cui qui si è cercato di delineare una traccia, ha superato la dicotomia interno/esterno, mostrando la loro essenziale coappartenenza. La liberazione allora riguarda il soggetto in quanto totalità, unità dialettica di universale e particolare. Il soggetto libera e al contempo “aliena” la relazione nell’autoriferimento individuale121.

Forse possiamo concludere questo saggio con uno spunto di ricerca. Nel discorso sulla libertà e sull’ontologia dell’essere sociale ritorna una categoria fondamentale nelle riflessioni di Lukács e Hegel, categoria che Losurdo ci ha insegnato a comprendere nella sua dimensione oggettiva: l’alienazione. Non è forse l’alienazione una cifra dell’ontologia dell’essere sociale? Non è forse il rischio dell’alienazione, al di là delle facili e astratte conciliazioni, ad accompagnare la «dolorosa scoperta dell’oggettività dell’essere sociale»? È questa la domanda con cui dobbiamo confrontarci se, come Losurdo, vogliamo essere all’altezza del presente.


Note
1 AZZARÀ 2019, p. 129.
2 LOSURDO 2012, pp. 103-104.
3 HEGEL 2010, p. 223.
4 HEGEL 1974, vol. III, pp. 763, 765.
5 BIENENSTOCK 1992.
6 Per una critica di questa interpretazione v. LOSURDO, 1989; CANTILLO 1996.
7 Non potendo dilungarci su ciò, si rimanda a LOSURDO 1987, p. 161 e sgg.
8 Ivi, p. 180.
9 LOSURDO 1983, p. 37.
10 Cfr. LOSURDO 1993; RITTER 1977; Bodei 1989; WEISSER-LOHMANN —KÖHLER (A CURA DI), 2000.
11 Cfr. HOLZ — LABICA — LOSURDO — SANDKÜHLER (A CURA DI), 1990.
12 LOSURDO 1983, p. 161.
13 Cfr. WEISSER-LOHMANN 2006; JAMME 1983, p. 23 sgg.
14 Per una analisi più approfondita della maturazione filosofico-politica di Fichte si rimanda a LOSURDO 1991b.
15 Su ciò si veda CAFAGNA 1998.
16 Cfr. VER EECKE 1983; ELLMERS 2015.
17 LOSURDO 2012, p. 686.
18 LOSURDO 1987b, p. 25. Su ciò si veda EICHENHOFER — VIEWEG (A CURA DI) 2010.
19 LOSURDO 1987b, p. 41.
20 Come del resto spiega Losurdo: «Le Lezioni sulla filosofia della storia si chiedono come mai il principio della volontà e della libertà in un paese sia rimasto “pacata teoria” e nell’altro si sia invece cercato di tradurlo nella realtà; la risposta è quella che già conosciamo: la Riforma ha reso possibile una più profonda comprensione della realtà politica, innalzandola dalla degradazione cui vorrebbe ridurla la coscienza cattolica; e ciò ha prodotto un atteggiamento più pacato verso la realtà e, in ultima analisi, una trasformazione meno tumultuosa e priva di sconvolgimenti violenti» (ivi, p. 214).
21 Ivi, p. 210.
22 Ivi, p. 74. Ecco perché, discutendo del carattere teologico degli scritti giovanili di Hegel, Lukács parla di una «leggenda reazionaria». LUKÁCS 1960, vol. I, p. 26. Riguardo l’appartenenza alla cultura illuministica, Ripalda ha mostrato come essa non vada intesa in senso escludente. Ripalda 1973. Cfr. D’HONDT 2001. Si veda in particolare MASCAT, 2011, pp. 89-133.
23 Cfr. VOGEL 1983.
24 L’affermazione del ruolo progressivo della filosofia è anche una critica del nominalismo antropologico. Non a caso, questo nominalismo permette a Burke stesso di «giustificare la schiavitù nelle colonie o per lo meno di condannare, assieme ai “presunti diritti dell’uomo”, anche la tesi dell’“assoluta uguaglianza della razza umana”» (LOSURDO 1987b, p. 682). Losurdo, ancora una volta, mostra come le assunzioni teoretiche siano contemporaneamente azioni politiche, ed è per questo che nella critica hegeliana al nominalismo è implicita la critica della schiavitù: entrambi rifiutano quella “comune umanità” la cui difesa è, secondo Losurdo, il carattere distintivo della filosofia classica tedesca.
25 LOSURDO 1987b, p. 211. Sul ruolo rivoluzionario della filosofia hegeliana resta un punto di riferimento MARCUSE 1965.
26 Per una critica del nominalismo si veda LOSURDO 1988.
27 LOSURDO 2012, p. 534.
28 Sulle categorie di progresso e reazione si rimanda al saggio LOSURDO 1999.
29 LOSURDO 2001, p. 40. Non è questo il luogo per vedere come tale concezione della dialettica comporti un distanziamento e al contempo un approfondimento della tradizione marxista, spesso divisa proprio sulla questione della dialettica nel rapporto Hegel-Marx, o addirittura del rifiuto della dialettica stessa.
30 LOSURDO 1987b, p. 218.
31 AZZARÀ 2019, p. 159.
32 LOSURDO 2012, p. 79.
33 Ivi, p. 51.
34 Lo stesso discorso, nota Losurdo, vale anche per il paragone stabilito da Cesa tra Hegel e Gentile, paragone che «potrebbe avere un qualche senso solo a condizione di prescindere sia dai testi che dalla peculiarità delle due diverse situazioni» (ivi, p. 54).
35 Si condivide qui la prospettiva avanzata da BEYER 1971.
36 LOSURDO 2012, p. 64.
37 Cfr. M ARX 2016
38 LOSURDO 2012, p. 118.
39 LOSURDO 1987b, p. 579.
40 LOSURDO 2012, p. 165.
41 Per un approfondimento si rinvia a RODESCHINI 2005.
42 Sulla critica hegeliana all’idea romantica di libertà-natura d si veda l’interessante studio BRAUNE 2014.
43 LOSURDO 2012, p. 138.
44 Ivi, p. 147.
45 Cfr. SALVUCCI, 2000; FINELLI 1999; HORSTMANN 1974; Per una disamina delle problematiche connesse alla società civile si veda EHRENBERG 1999. Per un’analisi della società civile e il suo parallelismo con la Dottrina dell’essenza si veda CESARALE 2009, pp. 81-127.
46 LOSURDO 2012, p. 154.
47 Ivi, p. 157
48 Sulla stessa linea FLEISCHMANN 1979.
49 Si veda a tal proposito BOURDIN 2001.
50 Cfr. MEISTER 2014; SMITH 1991.
51 LOSURDO 2012, p. 169.
52 Ivi, p. 359.
53 IVI, p. 346.
54 HEGEL 2010, p. 223.
55 Cfr. FRASER 1996.
56 HEGEL 1993, p. 185.
57 LOSURDO 2012, p. 686. Sul rapporto tra processi di emancipazione e filosofia hegeliana si veda ALESSANDRONI 2016, pp. 73-79.
58 LOSURDO 2012, p. 695.
59 LOSURDO 2017.
60 LOSURDO 2012, p. 643.
61 LUKÁCS 2011, p. 584
62 LOSURDO 2012, p. 646.
63 Si pensi, infatti, come questa vicinanza con Zdanov, Stalin e Popper possa minare il tentativo lukácsiano di critica sociale e, cosa che qui ci interessa maggiormente, di una deduzione dell’ontologia dell’essere sociale.
64 Sulla stessa linea PREVE 2013.
65 LUKÁCS 1983, p. 27.
66 LUKÁCS 1976, p. 181
67 Ivi, p. 173.
68 Ivi, p. 166.
69 A questo proposito Losurdo scrive: «se la Filosofia del diritto è dominata, almeno nel momento in cui espone un concreto programma politico per la Germania del tempo, dalla categoria della gradualità, provocando con ciò la protesta e la critica di Marx, la Logica è dominata dalla categoria del salto qualitativo e pertanto suscita, a tale proposito, il consenso e l’entusiasmo di Lenin. Possiamo dire che il “metodo” riflette l’esperienza storica della Rivoluzione francese e dei grandi sconvolgimenti dell’epoca e riflette altresì le esigenze profonde della lotta teorica contro l’ideologia della reazione e della conservazione; il “sistema” rinvia a scelte politiche immediate» (LOSURDO 2012, p. 295).
70 LUKÁCS 1976, p. 172.
71 Ivi, p. 173
72 Ibidem.
73 Ivi, p. 165.
74 Cfr. LOSURDO 1987a.
75 LUKÁCS 1976, p. 166.
76 Ivi, p. 166.
77 Ivi, pp. 184-185.
78 Ivi, p. 220.
79 Sulla formula hegeliana e sulla configurazione della soggettività in una ontologia dell’essere sociale ci dedicheremo nell’ultima parte di questo articolo. Per ora bisogna insistere sul fatto che Lukács rintraccia nella logica hegeliana un contrasto ineliminabile, che fa perdere proprio ciò che Hegel propone, ovvero la deduzione dell’essere dall’essenza: «il passaggio ontologico dall’essere del tutto astratto, all’essenza assai più determinata e concreta resta una enigmatica, inesplicabile, dichiarazione idealistica» (ivi, p. 230).
80 Ivi, p. 239.
81 Ivi, p. 241.
82 Ivi, p. 188.
83 Ivi, p. 195.
84 Ivi, p. 203.
85 Ivi, p. 204.
86 Ivi, p. 181.
87 LOSURDO 2017, p. 28.
88 LOSURDO 1991a.
89 LUKÁCS 1976, p. 174.
90 LOSURDO 2017, p. 25.
91 Ivi, p. 26.
92 BELLAN 2002, p. 15
93 HEGEL 2008b, vol. I, p. 31.
94 Ci concentriamo sulla prima diade, in quanto la seconda è stata, seppur brevemente, esposta nella prima parte ripercorrendo alcuni spunti di Losurdo.
95 HEGEL 2008b, vol. II p. 957.
96 «Libertà comunicativa significa che l’uno fa esperienza dell’altro non come limite, ma come condizione di possibilità della propria autorealizzazione». THEUNISSEN 1979, p. 46.
97 HEGEL 2008b, vol. II, p. 803
98 HEGEL 2008b, vol. I, p. 418.
99 Ivi, p. 423.
100 La relazione non è né trascendente né immanente al fondato. Essa, dialetticamente, è sia trascendente, come differenza, sia immanente, come identità. A questa si riferisce Hegel quando parla di «adempimento della copula (Erfühllung der Kopula)» (Hegel 2008b, vol. II, p. 753). Ma questo passaggio non viene compiuto nell’Essenza, come risulta dal rapporto tra fondamento e fondato, che resta rapporto di sproporzione dell’uno rispetto all’altro.
101 BELLAN 2002, p. 168
102 HEGEL 2008b, vol. II, p. 642.
103 Sulla complessa tematica della Wechselwirkung in connessione al tema della libertà in Hegel si veda CESARALE 2017.
104 HEGEL 2008b, vol. II, p. 680.
105 Ibidem.
106 BELLAN 2002, p.169.
107 HEGEL 2008b, vol. II, p. 752.
108 MARCUSE 1969, p. 159.
109 Cfr. BRAITLING 1991, p. 198 sgg. Seppur per molti aspetti concordi, ci si discosta dall’interpretazione di Bellan secondo il quale la Urteilslehre hegeliana è una «teoria oggettiva delle proposizioni del giudizio» in quanto diretta a mostrare la contraddizione immanente al giudizio tra forma e contenuto. L’oggettività, tuttavia, può esser veramente tale – e non solo l’oggettività del pensiero – solo se il riferimento ad altro continua a sussistere come “altro del/dal pensiero” e ciò significa unità dialettica tra logico e ontologico.
110 L’essere della cosa – il soggetto della predicazione – consiste in una determinata relazione tra la molteplicità dei predicati. Sicché il soggetto passa nel suo predicato. Movimento analogo a quello della proposizione speculativa nella Fenomenologia. Sulla “proposizione speculativa” nella Fenomenologia vedi SURBER 1975. Per un’analisi del concetto hegeliano di “speculazione” si rimanda a WOHLFART 1981.
111 DÜSING 1986, p. 20.
112 HEGEL 2008b, vol. II, p. 797.
113 IBIDEM. Nella Fenomenologia Hegel parla di un «lavoro di trasformazione di sé (Ar- beit seiner Umgestaltung)». Hegel 2008a, vol. I, p. 8. Modificata.
114 HEGEL 2008b, vol. II, pp. 799-800.
115 L’ontologia relazionale che abbiamo certato di delineare in queste pagine serba molte affinità con il concetto di Tianxia descritto dal filosofo cinese Zhao Tingyang, il quale scrive: «il principio ontologico e il principio politico sono simmetrici. […] il principio di costruzione dell’ordine esistenziale del Tianxia dev’essere la coesistenzialità. Creare il Tianxia significa rendere un mondo di conflitti e divisioni un Tianxia compatibile e cioè realizzare l’inclusione del mondo» (ZHAO 2020, pp. 65-65). Per un’interessante disamina della filosofia del Tianxia e dei suoi risvolti etico-politici si veda AZZARÀ 2020, pp. 95-120).
116 CESARALE 2014, p. 1.
117 LOSURDO 2012, p. 98.
118 HEGEL 2008b, vol. II, p. 935.
119 Ibidem.
120 CESARALE 2014, p. 5.
121 Non potendo soffermarci, in questa sede, su questo importante e complesso passaggio, basti notare come la liberazione della soggettività sia esplicitamente connessa alla liberazione dell’idea. Cfr. HEGEL 2008, pp. 956-957.

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Materialismo Storico 

 

 

 

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