Lo spettacolo della guerra

giu 9th, 2022 | Di | Categoria: Cultura e società

Lo spettacolo della guerra

 

GIOVANNA  CRECCO

   

Debord e McLuhan per capire dove siamo: ben oltre la propaganda, la costruzione di un mondo e di una nuova modalità                             di vita che dobbiamo consumare

“‘Seppellite il mio cuore a Wounded Knee”, che vuol dire? / Wounded Knee è dove morì il generale Custer con tutti i suoi. /

Sì, ma che aveva combinato per finire così? / Beh, esattamente io… / Aveva trucidato migliaia di indiani.

Quindi lei conosce il personaggio ma non ha una visione globale della vicenda. E sa perché? / Perché? /

Per i film che ha visto. Ecco perché siamo qui. / Capisco. / Le faccio altri esempi: la bambina vietnamita; la V di vittoria;

i cinque marines che innalzano la bandiera sul monte Suribachi. Fra cinquant’anni anni avrà scordato quelle guerre ma non quelle immagini.

/ Vero. / Guerra del Golfo: un missile intelligente si infila in un camino. 2.500 missioni al giorno per oltre 100 giorni:

sono bastate le immagini di una sola bomba e gli americani hanno accettato quella guerra. La guerra è spettacolo.    Ecco perché siamo qui.”

Wag the dog, regia di Barry Levinson, 1997

 

“Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini divengono degli esseri reali,

e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico.”

Guy Debord, La società dello spettacolo

 

“Il medium è il messaggio perché è il medium che controlla e plasma le proporzioni

e la forma dell’associazione e dell’azione umana.”

Marshall McLuhan, Capire i media. Gli strumenti del comunicare

 

Raccontata dai principali media italiani (carta stampata, televisione e radio), la guerra in Ucraina è – fin dai primi giorni – massacri, pioggia incessante di bombe e stragi di civili; a margine, andando a cercare soprattutto in rete, si riescono a trovare analisi differenti. Il 22 marzo Newsweek – una testata che non può certo essere accusata di ‘simpatie putiniane’ – pubblica un articolo dai toni molto diversi (1).

“Dallo scorso fine settimana, in 24 giorni di conflitto, la Russia ha fatto circa 1.400 missioni di volo e lanciato quasi 1.000 missili (per contrasto, gli Stati Uniti hanno fatto più missioni e bombardato di più nel primo giorno della guerra in Iraq del 2003)” scrive William M.Arkin intervistando – sotto garanzia di anonimato – analisti della Defense Intelligence Agency (DIA) statunitense. “Una parte di questi attacchi ha danneggiato e distrutto strutture civili e ucciso e ferito civili innocenti, ma il livello di morte e distruzione è basso rispetto alla capacità della Russia” continua l’articolo. E ancora: “Il cuore di Kiev è stato appena toccato. E quasi tutti gli attacchi a lungo raggio sono stati mirati a obiettivi militari” afferma una fonte della Difesa USA, “le autorità cittadine di Kiev dicono che circa 55 edifici sono stati danneggiati e che 222 persone sono morte dal 24 febbraio. È una città di 2,8 milioni di persone”. “Se ci limitiamo a convincerci che la Russia sta bombardando indiscriminatamente, o che non riesce a infliggere più danni perché il suo personale non è all’altezza del compito o perché è tecnicamente inetto, allora non stiamo vedendo il vero conflitto”, conclude l’analista della DIA.

A novembre scorso l’Onu stima a 377 mila le vittime della guerra in Yemen, in sette anni: il 60% a causa di effetti indiretti del conflitto, come scarsità di acqua, cibo e cure. Sempre l’Onu, il 4 aprile, riporta 1.417 vittime civili in Ucraina in 40 giorni e 2.038 feriti (2). La guerra di invasione dell’Iraq del 2003, lanciata da Stati Uniti e Gran Bretagna sulla base di quella che la storia ci ha consegnato come una deliberata menzogna – la presenza di armi chimiche di distruzione di massa – ha prodotto 209 mila morti tra i civili (marzo 2003-febbraio 2017) secondo Iraq Body Count (3), e non rappresenta la stima più pessimistica. In occasione della “lotta al terrorismo”, dell’“esportazione della democrazia” e delle “missioni di pace”, le nostre coalizioni occidentali, nei loro vertici politici e militari, ci hanno redarguito sul fatto che un civile armato è un “insorto” ed equivale a un soldato e come tale i militari occidentali lo trattano, e che i cittadini che non rispettano il coprifuoco in una zona di guerra lo fanno a proprio rischio e pericolo. L’esperienza ci ha inoltre insegnato che un civile si può armare solo là dove c’è abbondanza di armi distribuite tra la popolazione: come è avvenuto in Ucraina fin dai primi giorni del conflitto.

La guerra è morte e distruzione. Non è un concetto complicato da recepire. E non si tratta di voler fare una ben macabra conta, di voler ‘pesare’ i morti; ma è proprio ciò che sta facendo l’informazione italiana dallo scoppio della guerra in Ucraina. Nessun conflitto ha monopolizzato le prime pagine, i telegiornali e i programmi televisivi per settimane, prima di oggi; nessuna guerra è stata raccontata, gestita politicamente e mediaticamente in questo modo. Probabile che non tutti i cittadini italiani sappiano dove sia lo Yemen, ma ora tutti sanno esattamente dov’è l’Ucraina. Cosa sta accadendo?

La società dello spettacolo

La realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale.”

Il 24 febbraio, poco dopo le 6 di mattina, Zelensky appare alla televisione ucraina: giacca e camicia bianca, dichiara che le forze militari russe sono entrate nel Paese. Alle 8:30 la CNN rilancia un nuovo video-messaggio nel quale il presidente ucraino, in giacca, camicia bianca e cravatta, chiama Mosca al dialogo: “Prima o poi la Russia dovrà parlare con noi per porre fine a questa operazione militare, a questa invasione, e prima inizia questo colloquio e minori saranno le perdite per la Russia stessa”. Nel giro di poche ore seguono diverse dichiarazioni di apertura all’avvio di un negoziato con Mosca e di disponibilità ucraina verso lo status neutrale del Paese, e la Russia risponde di essere pronta a inviare a Minsk una delegazione per trattare. Per due giorni il negoziato è sul tavolo. Nel frattempo Stati Uniti, Gran Bretagna e Paesi europei si scatenano: l’invasione è inaccettabile, Putin è un pazzo criminale da fermare, si devono avviare sanzioni economiche contro la Russia e l’Ucraina è da sostenere inviando armamenti. Inizia il giro di telefonate: Zelensky parla con Biden, con Boris Johnson e con esponenti politici europei. Nel tardo pomeriggio del 25 febbraio, pubblica sui social un video di appena 30 secondi: per strada, luce notturna, circondato da esponenti del governo, dichiara: “Siamo qui. Siamo a Kiev. Difendiamo l’Ucraina”. Indossa maglietta e felpa, entrambe verde militare. Il video diventa virale. L’indomani, alle 7 del mattino, l’Associated Press riporta che fonti dell’intelligence statunitense riferiscono che Zelensky ha rifiutato l’offerta americana di lasciare Kiev: “La battaglia è qui. Mi servono munizioni, non un passaggio”. Una frase a effetto che diventa anch’essa virale. Nasce l’immagine del presidente-resistente, eroico e coraggioso. La trattativa viene relegata ai margini, si combatte. Zelensky non lascerà più quella maglietta verde militare, diventerà il suo ‘costume di scena’: da quel momento, inizia lo ‘spettacolo’ della guerra.

Il testo di Guy Debord del 1967 è complesso e articolato: agganciandosi ad alcuni dei punti centrali del pensiero di Marx, tocca diversi aspetti, che qui tralasciamo perché fuori focus. Ciò che ci interessa è il concetto espresso nel titolo del saggio: La società dello spettacolo (4). Semplificando, possiamo dire che riprendendo i temi ‘valore d’uso/valore di scambio’, ‘alienazione’ e ‘carattere di feticcio della merce’, Debord amplia la riflessione marxiana slittando dalla sfera della produzione a quella del consumo. Nell’attuale società a capitalismo avanzato della produzione di massa, scrive il pensatore francese, i beni (e i servizi) vengono acquistati e consumati non per l’utilità del loro uso ma per il loro valore simbolico, astratto, feticistico: un valore che sta, di fatto, in un’immagine, la quale ci viene consegnata da uno ‘spettacolo’. Non si tratta solo dei media, ma dell’intera società: Debord non parla di una ‘società dell’apparire’ in cui lo spettacolo diventa merce, e nemmeno della ‘spettacolarizzazione’ di ogni cosa: va ben oltre. Parla di una società in cui la merce è uno spettacolo. L’altra faccia della produzione capitalistica è infatti il consumo, e dunque l’intera società diviene spettacolo, perché senza spettacolo la merce non acquisirebbe quel valore simbolico e feticistico per il quale viene acquistata: lo spettacolo rappresenta la struttura della società dei consumi. “Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine” e “lo spettacolo è la principale produzione della società attuale” scrive Debord.

In tale realtà, l’alienazione si duplica: non è più solo nell’ambito della produzione ma anche in quello del consumo. L’Uomo è alienato, perduto a se stesso, estraniato dalla propria essenza, non solo in quanto lavoratore in un sistema capitalistico ma anche in quanto consumatore di merce: ossia di spettacolo. Vero/falso, bisogni (valore d’uso)/falsi bisogni (valore di scambio), coscienza vera/falsa coscienza: uno spettacolo totalizzante che si spaccia per realtà, o meglio: diviene la realtà. Scrive Debord nei successivi Commentari sulla società dello spettacolo del 1988: “[…] in definitiva il senso dello spettacolo integrato è che si è integrato nella realtà stessa man mano che ne parlava; e che la ricostruiva come ne parlava. Così adesso questa realtà non gli sta più di fronte come qualcosa di estraneo. […] Lo spettacolo si è mischiato a ogni realtà, irradiandola. […] il divenir-mondo della falsificazione era anche un divenir-falsificazione del mondo”. Da rappresentazione, lo spettacolo è divenuto reale; e in quanto reale, è vero. Lì, sta la Verità.

Potremmo derubricare a propaganda – più o meno ben fatta – il racconto di guerra che la classe dirigente – politica, economica e culturale – ci sta consegnando sul conflitto in Ucraina, ma sarebbe riduttivo. È molto di più. È la costruzione di un mondo, di un immaginario e di nuovi valori, di un’ideologia, di una nuova modalità di vita che dobbiamo consumare.

Conosciamo ormai tutti i trascorsi di Zelensky: produttore e attore della serie televisiva Servant of the people – andata in onda in Ucraina dal 2015 al 2019 – fonda nel 2018 un partito che prende il nome dalla fiction tv e nel 2019 diventa presidente del Paese, replicando nella realtà ciò che già era avvenuto nello spettacolo televisivo. Porta con sé, in politica, gran parte della squadra che ha così ben funzionato nella fiction: Yuriy Kostyuk su tutti, sceneggiatore della serie che oggi scrive i discorsi che Zelensky-presidente pronuncia nei video-messaggi in maglietta verde militare. Video-messaggi che rappresentano indubbiamente la novità comunicativa di questa guerra: si pongono infatti al centro dei media, che diffondendoli li contrassegnano con il bollino ‘Verità’, ma contemporaneamente li travalicano, occupando direttamente spazi politici – i Parlamenti dei diversi Paesi – e culturali – i Grammy, per esempio. Ogni discorso è un piccolo capolavoro di spettacolo emozionale: al Congresso USA richiama l’11 settembre, alla Camera britannica cita Churchill, al Bundestag il Muro di Berlino, alla Knesset l’olocausto – e qui fa il suo primo e per ora unico scivolone: gli ebrei, giustamente, trovano fuori luogo il parallelismo – ai Grammy tira fuori “i musicisti [ucraini che] mettono il giubbotto antiproiettile invece dello smoking, cantano per i feriti, negli ospedali…” per concludere: “Sulla nostra terra combattiamo la Russia che ha portato un orribile silenzio con le sue bombe, riempite il silenzio con la vostra musica”. E, puntuale, al video-messaggio segue lo spettacolo musicale, con artiste ucraine vestite con i colori della bandiera nazionale.

Urbano Cairo, editore del Corriere della Sera e dell’emittente La7, acquista i diritti della fiction di Zelesky e la manda in onda, in esclusiva per l’Italia, a partire dal 4 aprile: le prime tre puntate, a seguire Zelensky the story, un docufilm che la rete televisiva presenta, sul proprio sito, con queste parole: “Dai suoi inizi come attore di programmi tv alla sua campagna spettacolare, alla sua elezione e alla sua rivalità con il presidente della Russia… Ecco la storia di un viaggio incredibile e di un eroe indiscusso”. Mentre il Corsera, il 24 marzo, allega in omaggio al quotidiano la “spilla giallo-blu” della bandiera ucraina: la guerra diventa gadget per una ipotetica tifoseria, neanche fosse una partita di calcio. (5).

Lo spettacolo è in grado di costruire un mondo solo se è pervasivo e totalizzante: deve occupare l’intera società, non solo l’ambito dei media. Ed è ciò che sta accadendo. Con la fiction Servant of the people, i Grammy, il minuto di silenzio agli Oscar, ma anche con università che sospendono corsi sulla letteratura russa, social media che autorizzano post che incitano alla violenza nei confronti di Putin e dei russi, servizi finanziari che lanciano campagne di raccolta fondi “Dona per le attività di soccorso all’Ucraina”, catene di supermercati che stampano sullo scontrino “Sosteniamo la pace. Aggiungi un euro alla spesa per dare il tuo contributo alla Croce rossa italiana” (6); con il Parlamento che approva all’unanimità un emendamento a favore dell’acquisto di materiali di autodifesa per i giornalisti inviati sul campo in Ucraina – gli inviati nelle altre guerre, si arrangino un po’ come possono –; con il Consiglio di sicurezza nazionale statunitense e l’addetto stampa della Casa Bianca che chiamano a sé, in un incontro su Zoom, i trenta maggiori influencer di TikTok, per fornire loro informazioni sulla guerra e sugli obiettivi strategici degli Stati Uniti, di modo che possano diffonderli nel social e contrastare le fake news (!). Quest’ultima, fino a poco tempo fa, si sarebbe semplicemente chiamata ‘propaganda’. Il fatto che non sia percepita né denunciata come tale, mostra quanto il “divenir-falsificazione del mondo” si sia già compiuto. I TikToker, infatti, seguono allo spettacolo della guerra già prodotto dai governi e dai principali media: non percepiscono la propaganda perché per loro lo spettacolo è già divenuto realtà, e lì si situa la Verità. Perché per quanto sempre più pervasivi, la capacità di convertire lo spettacolo da prodotto mediatico a prodotto sociale non appartiene ai social, ma è ancora appannaggio dei media tradizionali: stampa, televisione, radio.

Dal 24 febbraio, le prime pagine dei quotidiani sono state monopolizzate dalla guerra in Ucraina. Fotografie cariche di pathos, nelle quali si alternano volti umani, cadaveri ed edifici distrutti (spesso la fotografia è la medesima su diverse testate occidentali, italiane e straniere); immagini dai colori elaborati grazie a un’abile post produzione (il francese Liberation ha una chiara predilezione per lo sfondo nero caravaggesco); titoli assertivi e drammatici, enfasi – Maruiopol è una “città martire” –, racconti epici che si susseguono a dipingere una resistenza eroica, iniziata con donne e bambini che preparano molotov e Lolite con leccalecca in bocca e fucile imbracciato (vedi box Titoli di prima pagina, quotidiani italiani, pag. 13). La televisione ha prodotto febbricitanti maratone h24, censurato le voci critiche, creato un telegiornale quotidiano “in lingua ucraina per i profughi ucraini” (RaiNews 24). La radio ha seguito a ruota. È l’informazione della paura, della lacrima, dei buoni e dei cattivi e una netta linea di demarcazione tracciata tra le due ‘categorie’. Scioccare, indignare e radicalizzare le parole d’ordine. Una ‘macchina da guerra’ – è il caso di dirlo – che non si è fatta rallentare nemmeno dalle fake news in cui è palesemente incappata, come la dichiarazione di Enrico Mentana sul battaglione Azov l’11 marzo, durante la sua quotidiana ‘maratona’ su La7 (7) o la fotografia in prima pagina de La Stampa il 16 marzo (8).

Tuttavia, non sono tanto le specifiche false notizie a segnare il passo, quanto l’aria che si respira: univoca, compatta, schierata. Al punto che un insieme di “Organizzazioni mediatiche ucraine, reporter, fotografi, manager dei media e professionisti della comunicazione” ritiene di poter consegnare all’informazione straniera una “lettera aperta” nella quale sono suggerite le parole da utilizzare e quelle da evitare nella narrazione della guerra (9).

Nella società dello spettacolo le immagini divengono degli esseri reali e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico, scrive Debord: dall’apparire della maglietta verde di Zelensky il 25 febbraio, lo spettacolo della guerra è andato in scena e, invadendo ogni spazio sociale, ha manipolato coscienze e indotto reazioni collettive. “L’intenzione originaria del dominio spettacolare” scrive Debord nei Commentari, “era far sparire la conoscenza storica in generale; e in primo luogo quasi tutte le informazioni e tutti i commenti ragionevoli sul passato più recente. […] Lo spettacolo organizza magistralmente l’ignoranza di ciò che succede e, subito dopo, l’oblio di ciò che siamo riusciti ugualmente a sapere”.

Il medium è il messaggio

Gli effetti della tecnologia non si verificano al livello delle opinioni o dei concetti ma alterano costantemente, e senza incontrare resistenza, le reazioni sensoriali o le forme di percezione.”

Secondo Marshall McLuhan, tutti i media amplificano i nostri corpi e i nostri sensi: sono “semplici estensioni dei sensi umani” (10). Partendo da questo presupposto, “per quanto riguarda le sue conseguenze pratiche, il medium è il messaggio”, perché ciò che McLuhan intende esaminare sono le “conseguenze psichiche e sociali”: ogni media “non soltanto porta, ma traduce e trasforma il mittente, il ricevente e il messaggio”, ossia modifica la realtà individuale e collettiva, “la forma dell’associazione e dell’azione umana”. In questo senso il medium è il messaggio, perché “il messaggio di un medium o di una tecnologia è nel mutamento di proporzioni, di ritmo o di schemi che introduce nei rapporti umani […] indipendentemente dal carico, cioè dal contenuto, del medium”.

Anche in questo caso, il testo del 1964 di McLuhan è ben più articolato di quanto ne utilizziamo qui e tocca i media più svariati, dalla parola all’automobile. Agganciandosi al mito di Narciso, che associa all’etimo narcosis, che traduce con torpore, McLuhan afferma che gli esseri umani sono soggetti al fascino di ogni estensione di loro stessi, riprodotta in un materiale diverso da quello in cui sono fatti: dunque, nella sua analisi, sono soggetti al fascino dei media. Tuttavia, la sempre maggiore estensione, dovuta a nuove tecnologie, porta a uno “stress dell’accelerazione del ritmo o dell’aumento del carico”, che produce una reazione difensiva: “il sistema nervoso riesce a sopportarlo solo nel torpore o bloccando la percezione”. Lo stimolo dei media che accogliamo, insomma, perché ne siamo attratti, ci intorpidisce. “Per contemplare, utilizzare o percepire qualsiasi estensione di noi stessi in forma tecnologica è necessario riceverla. Ascoltare la radio o leggere la pagina stampata significa accogliere nel nostro sistema queste estensioni di noi stessi e subire quella ‘chiusura’ o spostamento della percezione che automaticamente ne consegue. È l’ininterrotta ricezione della nostra tecnologia nell’uso quotidiano che, nel rapporto con queste immagini di noi stessi, ci pone nella posizione narcisistica della coscienza subliminale e del torpore.”

Dal 24 febbraio, lo spettacolo della guerra in Ucraina ci invade da ogni media d’informazione: carta stampata, radio, televisione, social, podcast, internet. Lo consumiamo h24 grazie allo smartphone, estensione del nostro corpo e dei nostri sensi come nessun altro media fino a oggi. Il martellamento è incessante, registra “accelerazione del ritmo” nell’uso del medium e “aumento del carico” nel messaggio, sempre il medesimo: guerra, Putin, criminale, Ucraina, resistenza, eroi, armi. Innesca shock iniziale per poi lasciar spazio al terapeutico torpore. “Dobbiamo intorpidire il nostro sistema nervoso centrale ogni volta che viene esteso e scoperto; altrimenti moriremmo” scrive McLuhan. E nel nostro torpore, ci ritroviamo passivi: spossati, apatici, distratti, privi dell’energia di formulare un pensiero critico, assimiliamo; anche se annusiamo la propaganda, lo spettacolo entra in noi come sensazione e percezione, lo facciamo nostro. Perché non spegniamo lo smartphone, o la televisione, o non evitiamo la rassegna stampa alla radio? “La necessità di usare i sensi disponibili è persistente quanto il respiro,” riflette McLuhan (che non ha visto l’epoca dello smartphone) “ed è questo fatto che ci induce a tenere quasi continuamente in funzione radio e tv. Questo impulso a un uso continuo è abbastanza indipendente dal ‘contenuto’ dei programmi o dalla vita sensoriale dell’individuo, essendo piuttosto una testimonianza del fatto che la tecnologia è parte dei nostri corpi. […] Una volta che abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi, le orecchie e i nervi, in realtà non abbiamo più diritti”.

Verso dove?

“Sono frustrato dalla narrativa attuale” conclude una fonte dell’aviazione americana citata nell’articolo di Newsweek, “secondo la quale la Russia sta intenzionalmente prendendo di mira i civili, sta demolendo le città, e a Putin non importa. Una visione così distorta impedisce di trovare una fine prima che il vero disastro colpisca o che la guerra si estenda al resto d’Europa”.

Non occorre certo appoggiarsi a un analista della DIA per riconoscere la mancanza di volontà di far cessare questo conflitto: è evidente nell’accoppiata Biden-Zelensky – a cui Draghi fa da spalla entusiasta, battendo in zelo molti altri politici europei – che alza i toni appena la possibilità di un negoziato si palesa, lanciando accuse di utilizzo di armi chimiche e di stragi da parte dell’esercito russo prima che un’indagine un minimo indipendente possa accertare i fatti. Tuttavia la citazione mostra quanto all’interno dell’Amministrazione USA questa consapevolezza sia ben presente, accanto a ciò che comporta (11).

È evidente che Stati Uniti ed Europa stiano utilizzando il conflitto per cercare di disegnare un nuovo ordine globale, ripristinando la spaccatura occidente/oriente e rilanciando la corsa agli armamenti con l’aumento delle spese militari. Altrettanto chiaro quanto l’industria statunitense ed europea del settore Difesa festeggi – il titolo dell’italiana Leonardo ha per ora battuto il record: +43,9% ad azione dal 23 febbraio al 6 aprile – accanto a quella del gas liquefatto made in USA – che i Paesi europei pagheranno più del gas russo.

Siamo all’alba di un nuovo mondo. Politici e giornalisti da salotto sembrano pervasi da un febbricitante entusiasmo, come avessero finalmente trovato una missione in grado di assegnare loro un’identità. Non era stato così con il Covid, se non parzialmente, perché l’aleatorietà della situazione si prestava a troppe e continue contraddizioni da cercare faticosamente di sanare; la guerra, al contrario, può diventare un monolite, davanti al quale ergersi impettiti battendosi il petto e rivendicando la battaglia della democrazia contro la dittatura, dei valori occidentali contro la barbarie… e retoriche similari.

La società civile è esausta, ma nel complesso ancora tiene: non mancano le voci critiche, ma non riesce a crearsi un’opposizione significativa. Siamo transitati da un’emergenza (pandemia) all’altra (guerra) senza passare dal via, come si direbbe a Monopoli: nel giro di una notte. Dalla merce-pandemia alla merce-guerra, lo spettacolo sta chiaramente funzionando: onnipresenza, martellamento, delegittimazione delle voci critiche, creazione del ‘nemico’ e di capri espiatori, perno sulle emozioni, radicalizzazione. Sull’onda del nuovo mondo così creato, abbiamo modificato il nostro modo di vivere – distanziamento sociale, Green Pass, obbligo vaccinale, discriminazioni – e lo modificheremo nuovamente a breve – razionamento energetico, e vedremo cos’altro. Dobbiamo abbassare il riscaldamento “un po’ come tagliamo il consumo dell’acqua quando c’è la siccità, o esattamente come ci mettiamo una mascherina per poter fare fronte al virus” ha dichiarato il 9 marzo Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri: “Quello che abbiamo fatto contro il Covid-19 dobbiamo farlo in favore dell’Ucraina. Deve essere una mobilitazione degli spiriti, dei comportamenti individuali, con un impegno collettivo per cercare di fare fronte a un compito che sicuramente ha una portata storica”. Mobilitazione degli spiriti: a questo serve lo spettacolo. A creare quella che Marcuse chiama “falsa coscienza”, quel processo di mimesi che va ben oltre l’adattamento e porta l’individuo a una identificazione immediata con la sua società, che è quella del capitalismo avanzato e della produzione/consumo di massa. E tra convinzione o passività e apatia, a seconda che abbia preso il sopravvento la capacità di coinvolgimento dello spettacolo o il torpore causato dall’accelerazione del medium e del messaggio, la gran parte dei cittadini ha accolto il nuovo mondo.

McLuhan sottolinea come, in quest’epoca storica, “la massima parte dei trasporti consista nello spostamento di informazioni”, e Debord ci ricorda che alla base dello spettacolo c’è l’economia: c’è il sistema produttivo capitalistico. Con le sue crisi e le sue necessità, gli sviluppi tecnologici e i mercati delle materie prime fondamentali. È lì che dobbiamo andare a indagare per capire davvero cosa sta accadendo e quale realtà stanno progettando.

Titoli di prima pagina, quotidiani italiani
La guerra nel cuore d’Europa (Il Messaggero, 25 febbraio) Putin sfodera l’atomica (Repubblica, 28 febbraio) Diluvio di fuoco sulle città (Repubblica, 1° marzo) 
Pioggia di missili sulle città (Corriere della sera, 2 marzo) Martirio ucraino (Repubblica, 2 marzo) Il massacro di Putin (Il Giorno, 2 marzo) 
La resistenza di un popolo (Repubblica, 3 marzo – fotografia di tre uomini che lanciano molotov, immagine pag. 14) 
Putin fa a pezzi la civiltà (La Stampa, 3 marzo) Guerra ai civili (il Manifesto, 3 marzo) Strage senza fine (La Stampa, 7 marzo) 
Bombe sui bambini (La Stampa, 10 marzo) La resistenza di Kiev (La Stampa, 13 marzo – fotografia di una adolescente con in bocca un leccalecca e in braccio un fucile, immagine pag. 16) 
La carneficina (La Stampa, 16 marzo) Armi contro il criminale di guerra (Il Foglio, 17 marzo) 
Orrore nel teatro di Mariupol (Corriere della sera, 17 marzo), Teatro di sangue (La Stampa, 17 marzo) 
Missili sui civili (Il Messaggero, 17 marzo) Le trattative con il criminale (Il Foglio, 18 marzo) 
Stallo di sangue (Repubblica, 18 marzo) Massacro continuo (La Stampa, 18 marzo) Il grande dittatore (La Stampa, 19 marzo) 
I missili della morte (La Stampa, 20 marzo) Occupazione spietata (la Repubblica, 21 marzo) L’Ucraina stuprata (Il Mattino, 21 marzo) 
10 milioni di profughi (Repubblica, 22 marzo) Zelensky all’Italia: aiutateci (Corriere della sera, 23 marzo) 
Deportati duemila bambini (La Stampa, 23 marzo) Lo spettro delle armi chimiche (Corriere della sera, 24 marzo) 
Biden e la Ue: più armi a Kiev (Corriere della sera, 25 marzo) Uniti contro Putin (Repubblica, 25 marzo) 
“In gioco la democrazia” (La Stampa, 26 marzo) “Russi, cacciate il tiranno” (Repubblica, 27 marzo) 
Biden: “Putin macellaio” (La Stampa, 27 marzo) Fratelli d’Europa (Repubblica, 28 marzo) 
L’offensiva contro il macellaio (Il Foglio, 29 marzo) “Sostegno dall’Italia” (Il Messaggero, 29 marzo) 
Con Putin si parla con le armi (Il Foglio, 31 marzo) I dannati della terra (La Stampa, 1 aprile) 
Il terrore delle mine (Repubblica, 3 aprile) “Il peggio deve ancora venire” (Corriere della sera, 3 aprile) 
La grande resistenza al dittatore (Il Foglio, 3 aprile) Civili uccisi, orrore e condanna (Corriere della sera, 4 aprile) 
Fermiamo questo orrore (La Stampa, 4 aprile) Macelleria russa (Il Tempo, 4 aprile) Non possiamo restare indifferenti al genocidio (Domani, 4 aprile) 
Mattatoio Putin (Repubblica, 5 aprile) I martiri di Bucha (La Stampa, 5 aprile) Se questo è un uomo (Il Resto del carlino, 5 aprile) 
Stragi, torture: orrore senza fine (Corriere della sera, 6 aprile) “Bambini torturati” (La Stampa, 6 aprile).

1) William M.Arkin, Putin’s Bombers Could Devastate Ukraine But He’s Holding Back. Here’s Why, Newsweek, 22 marzo 2022, https://www.newsweek.com/putins-bombers-could-devastate-ukraine-hes-holding-back-heres-why-1690494

2) Cfr. https://unric.org/it/ucraina-aggiornamento-sulle-vittime-civili-4-aprile-2022/

3) Cfr. https://www.iraqbodycount.org/database/

4) I virgolettati contenuti nell’articolo sono tratti da Guy Debord, La società dello spettacolo, Baldini Castoldi Dalai Editore

5) D’altra parte, ricordiamoci che Cairo è quell’uomo che a marzo 2020, a pandemia appena esplosa, lockdown e ospedali in emergenza, sprigionava elettricità da ogni cellula spronando i venditori del suo gruppo editoriale: in un video-messaggio, in piedi – che solo i perditempo siedono, immaginiamo – snocciolava gli aumenti di centinaia di migliaia di euro di investimenti pubblicitari appena strappati agli inserzionisti, concludendo: “Abbiamo una grande opportunità: se tutti noi operiamo con questa energia vedrete che quest’anno faremo meglio dello scorso anno”. Il video qui https://www.youtube.com/watch?v=xo87Jevb4tI

6) Rispettivamente: l’Università Milano-Biccoca (poco importa se poi, sommersa da critiche, abbia fatto un passo indietro), Facebook e Instagram, Paypal, Conad

7) Mentana ha dichiarato: “Il battaglione Azov non è un battaglione neonazista, è una parte delle forze armate dell’Ucraina”. Due dati che non si escludono a vicenda: Azov è infatti parte dell’esercito ucraino, ed è dichiaratamente neonazista

8) La fotografia in prima pagina de La Stampa il 16 marzo rappresenta un uomo in strada che si copre il volto circondato da cadaveri, nessuna didascalia, titolo “La carneficina”, due articoli a lato su Leopoli e Kiev che richiamano un’inevitabile associazione con l’immagine, attribuendo dunque la strage all’esercito russo; la foto era invece stata scatta a Donetsk, nel Donbass. Espressione indignata, “i soliti miserabili del web che amplificano e lo considerano un caso di disinformazione: dov’è la disinformazione?” replicherà il direttore Massimo Giannini a Otto e mezzo, su La7, il giorno dopo (!). A margine, ricordiamo gli interessi degli Elkann, editori de La Stampa e del gruppo Gedi (Repubblica, Radio Deejay, Radio Capital e altre testate) nel settore degli armamenti, tramite la partecipazione in Iveco Defence Vehicle, Iveco Oto Melara (in collaborazione con Leonardo) e in Rolls-Royce

9) AdnKronos, 25 marzo 2022, qui https://www.adnkronos.com/resources/0273-14bfafedc502-308061b15aa3-1000/lettera_media_internazionali_25032022.pdf

10) Le citazioni contenute nell’articolo sono tratte da Marshall McLuhan, Capire i media. Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore

11) È fuori focus rispetto a questo articolo l’analisi delle motivazioni del conflitto, ma è chiaro che non si può ragionare escludendo il contesto nel quale è esploso, ossia l’allargamento della Nato nell’Est Europa e gli investimenti USA per armare l’Ucraina. Il 3 marzo il Dipartimento di Stato americano ha pubblicato i dati aggiornati: dal 2014 gli Stati Uniti hanno inviato 5,6 miliardi di dollari per armi, assistenza e attività di training, di cui 3 miliardi per equipaggiamenti e per rendere le forze armate ucraine interoperabili con la Nato. Secondo i dati Sipri, l’Ucraina ha progressivamente incrementato le spese militari, portandole dal 2,2% del Pil nel 2014 al 4,1% nel 2020. Volente o nolente, la geopolitica esiste così come gli equilibri mondiali: non viviamo nell’iperuranio di Platone

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