Brics+ o bric-à-brac?

set 5th, 2023 | Di | Categoria: Politica Internazionale

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Brics+ o bric-à-brac?

di Piero Pagliani

 

 

Il recente vertice BRICS tenutosi in Sud Africa a Johannesburg è stato valutato in modi molto differenti. Non si è trattato solo di una contrapposizione di vedute tra “antimperialisti” e “filoimperialisti”, ma in entrambi i due schieramenti, se così si possono definire, si sono espresse voci discordi tra loro [0].

Non sono in grado di aggiungere molto di nuovo nel merito, anche perché ciò che è emerso dal vertice in modo ufficiale o ufficioso è sicuramente molto meno di quanto è stato fatto e detto in ambiti riservati. Cose di cui vedremo solo più in là gli effetti.

Posso solo suggerire di cercare di traguardare questo vertice e i suoi risultati, per lo meno quelli che appaiono alla luce del sole, sotto un’angolatura che è poco considerata benché si suggerisca in modo evidente: il vertice di Johannesburg non poteva che riflettere i travagli dell’epoca corrente che è quella che vede il dispiegarsi del caos sistemico che ha sostituito l’ordine della Guerra Fredda e dell’egemonia incontrastata degli Stati Uniti che si è imposta per alcuni decenni alla fine del confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica, un’egemonia che si è dispiegata con la triade neoliberismo-globalizzazione-finanziarizzazione. Una triade che ha contraddistinto il modo in cui il sistema capitalistico occidentale ha cercato di contrastare la crisi sistemica generata dai venti (o per alcuni, trenta) “anni d’oro” di accumulazione capitalistica seguiti alla fine della Seconda Guerra Mondiale, cioè all’evento che pose termine alla crisi sistemica precedente.

Andrò per sommi capi, non necessariamente consequenziali.

1) A Johannesburg abbiamo visto un ulteriore rafforzamento della partnership tra Russia e Cina. Un’alleanza, informale si badi bene, a tutto campo e che tiene in debito conto gli interessi dei due partner, che posso non coincidere. Se vogliamo è uno dei vantaggi dell’informalità di questa alleanza, informalità che entrambe le due superpotenze sottolineano spesso aggiungendo però che la loro è un’amicizia più salda e ampia di quanto un trattato formale garantirebbe.

Lo si è visto all’opera nella mediazione operata da Sergej Lavrov tra il desiderio della Cina di ammettere 10 nuovi membri e quello dell’India di limitarsi a 3. Alla fine ne sono stati ammessi 6: Argentina, Etiopia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iran e Arabia Saudita [1].

2) Se l’ammissione degli ultimi tre Paesi fa complessivamente del BRICS+ il punto d’incontro del 41% della produzione di petrolio del mondo, in particolare l’ammissione di Iran e Arabia Saudita è stata il suggello dell’opera diplomatica cinese a favore del riavvicinamento di questi due Paesi, che ha del miracoloso se si pensa non solo alla differenza dei loro interessi e alla loro originaria collocazione geopolitica, ma anche al conflitto ideologico tra Riad, campionessa dell’Islam sunnita più intransigente, e Teheran, punto di riferimento dell’Islam sciita mondiale. Una dimostrazione davanti agli occhi del mondo che l’area BRICS è portatrice d’ordine laddove l’Occidente è ormai visto come l’impero del caos (e della menzogna).

3) Questo allargamento, mediato dal ministro degli Esteri russo, conferma come fantasioso e non pertinente ogni discorso riguardo l’isolamento della Russia. Lo ha capito anche il New York Times, al quale non sfugge un punto centrale, ovvero che a dispetto della consolante eterogeneità dei BRICS+ e della mancanza di una piattaforma politica comune è evidente il loro desiderio di «cambiare il sistema globale finanziario e di governo corrente, renderlo più aperto, più variegato e meno restrittivo – e meno soggetto alla politica americana e al potere del dollaro» [2].

Questo il pensiero del NYT.

Gli antimperialisti e in generale i sostenitori di un nuovo ordine multipolare non dovrebbero però solo accontentarsi, soddisfatti, del fatto che la comunità d’intenti dei BRICS+ sia riconosciuta obtorto collo anche dal NYT, ma dovrebbero soffermarsi anche su ciò che consola quest’organo dello schieramento neo-liberal-con, ovvero l’eterogeneità culturale, economica e politica dei Paesi che si pongono quegli obbiettivi condivisi.

In un articolo di giugno mi chiedevo proprio in che misura questa eterogeneità potesse essere un fattore di debolezza degli sfidanti dell’ordine monocentrico occidentale che è senz’altro più omogeneo grazie alla sua (travagliata) formazione storica e alla guida centralizzata statunitense [3].

Ovviamente possiamo anche chiederci fino a quando l’Occidente avrà obbiettivi geopolitici omogenei. Ma questo è un problema aggiuntivo che non cancella quello precedente.

La risposta a queste domande va elaborata sulla base di dati e ragionamenti il più possibile rigorosi, non suggerita da desideri o impazienza.

4) Se nel 1995 la quota di Pil globale di competenza dei G7 era il 44, 9% contro il 16,9% dei BRICS, oggi siamo al 29,9% per i G7 contro il 32,1% dei BRICS [4].

Se poi andiamo nei particolari noteremo che mentre alla fine della Seconda Guerra Mondiale la produzione industriale USA era il 50% di quella mondiale, oggi è il 15%.

Questo è lo sfondo economico dell’attuale Terza Guerra Mondiale (per ora condotta in tranches). I fattori, anche economici, del caos sistemico sono ovviamente molto più complessi, ma questo è uno dei pattern ricorrenti: la Prima Guerra Mondiale scoppiò quando gli UK persero il ruolo di “opificio del mondo” surclassati da Usa e Germania e dopo quella lunga fase di finanziarizzazione – circa 45 anni – che è passata sotto il nome di Belle Époque edoardiana (l’attuale belle époque reaganiano-thatcheriana sta per compiere 44 anni).

Non solo, ma le guerre moderne sono guerre industriali. Per dirla con una metafora elementare, la capacità di speculazione finanziaria, in una guerra è molto meno importante della produzione concreta di missili o carri armati.

In sintesi, non si può parlare di economia senza parlare di conflitti e non si può parlare di conflitti senza parlare di economia reale.

5) I media del mainstream hanno, chi più chi meno, esultato non solo per la sopra accennata eterogeneità dei BRICS e dei BRICS+, ma anche per le indecisioni e differenze di vedute riguardanti la de-dollarizzazione. Come abbiamo visto, il citato editoriale del NYT mette tuttavia in guardia: attenzione che la de-dollarizzazione è una volontà comune dei BRICS+ ed è una volontà non solo economica ma anche politica.

Ma cosa si intende per de-dollarizzazione? Qui bisogna evitare di lasciarsi andare a facili entusiasmi e ad analisi superficiali. De-dollarizzazione non significa solo che le transazioni commerciali vengono sempre più effettuate in valute locali trascurando il Dollaro, o cose simili.

La dollarizzazione è un intero sistema con una storia quasi ottantennale, che comprende non solo il Dollaro, ma anche la Banca Mondiale, il Fondo Monetario, banche di sviluppo e una rete di banche centrali, di istituti finanziari e di sistemi di pagamento. Un sistema complesso, ben organizzato e ramificato, sorretto da un apparato politico e militare internazionale.

De-dollarizzazione, quindi, vuol dire sostituzione di questo sistema. Cosa che può avvenire solo in anni e solo attraverso conflitti, di cui quelli in Medio Oriente, quello in Ucraina e i futuri confronti in Africa, nell’Artico e altrove sono esempi.

Comunque il processo di de-dollarizzazione, nel senso sommariamente descritto, è iniziato, è nella logica delle cose – il che non vuol dire che abbia un esito predefinito – e i pesi massimi del BRICS+ ne sono elementi trainanti, pur nella varietà di interessi e di rapporti bilaterali dei vari partecipanti.

In particolare si ricordi il filo doppio che dalla dichiarazione di inconvertibilità del Dollaro in oro lega la valuta statunitense e il suo “exorbitant privilege” (copyright Valéry Giscard d’Estaing) al petrolio e quindi all’energia. Bisogna tenerne conto per comprendere l’importanza della concentrazione di produttori di petrolio nel BRICS+ e per discernere il grano dal loglio quando si parla di transizione ecologica e annessi e connessi.

6) Il BRICS nasce dalla crisi sistemica, come particolare esito inintenzionale della globalizzazione. Ed è quindi partecipe delle dinamiche incerte di questa crisi. Non è un esperimento che nasce in un laboratorio asettico ma un complesso percorso che emerge dal denso magma dei rapporti sociali, politici, geopolitici, diplomatici, ideologici ed economici della crisi sistemica. E questo è un primo punto da tenere a mente.

In secondo luogo i BRICS (e i BRICS+) non seguono una nazione-leader (anche se qualche sciocco commentatore la identifica con la Cina). Il problema è proprio nella multipolarità, che è un obbiettivo e al contempo il mezzo per raggiungerlo.

Ciò fa sì che ogni componente abbia particolari interessi e quindi particolari controparti. Ad oggi solo la Russia ha come dichiarato e conclamato avversario l’Occidente. E Lavrov se ne rende ben conto quando da grande diplomatico qual è dichiara che la suddivisione dei G20 tra G7 e BRICS è empirica e in formazione: “the formal division of the G20 Group into G7+ and BRICS+ is taking a practical shape”.

Il BRICS+ non è antioccidentale. La questione deve essere posta in altri termini: il BRICS+ può essere tollerato dall’Occidente in crisi? Detto in altri termini, l’antioccidentalismo non è una posizione ideologica primigenia, ma nasce dallo svolgimento di un processo, paradossalmente (ma nemmeno tanto) innescato dall’Occidente stesso. La Russia di Putin non nasce antioccidentale. Anzi. Lo è diventata a viva forza. L’intolleranza nasce in Occidente. Non è un caso che Washington si stia scervellando e dannando per capire come fare la guerra alla Cina senza avere tra i piedi la Russia e senza che l’economia statunitense collassi “in the process” [5].

E non è un caso che il Sud del mondo veda nel BRICS+ una speranza di riscatto. È l’Occidente che crea dicotomie costringendo a scegliere “o con noi o contro di noi”, o più correttamente “o sotto di noi o contro di noi”. Il resto del mondo agisce in base a nuances, districandosi tra vari campi di attrazione, procede per approssimazioni successive. Un tipo di logica che nessun pensiero unico potrà mai comprendere.


Note
[0] In questo scritto parlerò, a seconda del contesto, di BRICS come organizzazione (“il BRICS”) o per riferirmi ai Paesi partecipanti (“i BRICS”).
[1] Pepe Escobar: “Come si è arrivati al BRICS 11 (e reso insignificante il G7)”. https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/26235-pepe-escobar-come-si-e-arrivati-al-brics-11-e-reso-insignificante-il-g7.html
[2] https://www.nytimes.com/2023/08/24/world/europe/brics-expansion-xi-lula.html
[3] https://www.sinistrainrete.info/geopolitica/23292-piero-pagliani-hic-sunt-leones.html?highlight=WyJwYWdsaWFuaSJd
[4] https://www.statista.com/chart/30638/brics-and-g7-share-of-global-gdp/
[5] Il motivo per cui l’Occidente è la fabbrica dell’antioccidentalismo io lo riconduco alle dinamiche di esclusione intrinseche al capitalismo e alla sua necessità di riprodurre differenziali di sviluppo.
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