Il mondo al contrario: uno scandalo per mondarsi la coscienza

set 12th, 2023 | Di | Categoria: Recensioni

 

Il mondo al contrario: uno scandalo per mondarsi la coscienza

 

 

Il record di vendite fatto segnare dal discusso saggio del generale Vannacci Il mondo al contrario conferma ciò che abbiamo già appreso dall’esperienza: a decretare il successo del prodotto-libro non sono la ricchezza e la qualità dei contenuti, bensì la popolarità acquisita dal suo autore e il battage pubblicitario che ne accompagna l’uscita. L’italiano medio è un lettore saltuario e di bocca buona: non avendo particolari interessi culturali si accosta alla “letteratura” come a qualsiasi altro bene di consumo e compra ciò di cui ha sentito parlare (e talvolta sparlare), che si tratti dell’ultima versione dello smartphone di marca o di un paio di scarpe da ginnastica poco cambia. Malgrado la sua brillante carriera militare e i prestigiosi incarichi ricoperti (e nonostante si sia meritoriamente esposto in passato sulla grave questione dell’uranio impoverito) fino all’altro ieri Roberto Vannacci era un illustre sconosciuto: può sconcertare, ma è un segno dei tempi in cui ci tocca vivere, che a regalargli una (forse) effimera notorietà sia stato un testo autopubblicato e scritto, immagino, nelle ore libere da un servizio oneroso. La scelta di un titolo d’impatto – che però, come vedremo, promette molto e mantiene poco – è una scorciatoia che sovente si perde nel nulla; sono state alcune estrapolazioni operate da giornalisti e politici e le reazioni suscitate dai brani a fare del pamphlet un caso editoriale. È innegabile che, da questo punto di vista, l’altissimo grado rivestito da Vannacci ha contribuito al diffondersi del clamore: se a scrivere Il mondo al contrario fosse stato un tranviere o un impiegato (oppure l’autore di questo articolo) le copie smerciate non avrebbero verosimilmente superato la quindicina.

Non so quanti abbiano letto l’opera per intero (sono 373 pagine, e ciascuna consta di una trentina di righe): io mi sono limitato a leggiucchiare i capitoli più “urticanti” e a scorrere gli altri, quindi posso condividere delle impressioni, più che un meditato giudizio critico. Il generale vanta tre lauree e un paio di master ma, ad onta di un patriottismo che presumo sincero, l’utilizzo da parte sua della lingua italiana è tutt’altro che impeccabile: saltano agli occhi le frequenti improprietà di linguaggio, le incertezze sintattiche e una certa sciatteria formale. Si tratta di difetti perdonabili, sia perché un racconto può avvincere indipendentemente dalla perizia stilistica del narratore (il caso Svevo è passato alla storia, se non altro letteraria) sia soprattutto perché l’opera, come detto, è autopubblicata, ed è mancata dunque un’attività di editing professionale.

Il mondo al contrario delude però più sotto l’aspetto sostanziale che formale: quella che ci viene presentata come una stroncatura del modello esistente è piuttosto un’accozzaglia di luoghi comuni, un potpourri che mischia invettive contro “minoranze” non meglio identificate e strizzatine d’occhio al sistema, che il generalissimo si guarda bene dal mettere alla berlina. La gestione del Covid? Nulla da eccepire (a parte un commento ironico sullo spiegamento di forze contro i podisti in spiaggia, a pag. 149), anzi: parte subito un ispirato peana ai vaccini salvifici. Il cambiamento climatico? È in atto ed è colpa dell’uomo (pare di capire: il ragionamento è per la verità un po’ confuso), ma a disturbare il nostro è l’attivismo sterile dei “gretini”, che proprio non sopporta. Le grandi opere? Vanno fatte a scatola chiusa, sia in Valsusa che altrove, perché il progresso è progresso, perbacco! La povertà? È colpa di chi poltrisce sul divano e non va in cerca di un lavoro, ecc. Le ricette di Vannacci, ispirate a un “buon senso” da bar sport, sono semplicistiche e rispettosamente suggerite a un governo, quello attuale, che a lui va a genio perché – argomenta – è espressione della volontà popolare, e gli astenuti (in continua crescita) piangano se stessi, potevano andare a votare: i malesseri che affliggono la società sono tutti curabili con un po’ di impegno individuale, e l’Occidente democratico resta il migliore dei mondi possibili. Più che un rivoluzionario J’accuse quella che ci ritroviamo fra le mani (o sullo schermo del pc) è una stizzita reprimenda reazionaria.

A ogni modo il quesito da porsi non è se lo scritto di Vannacci abbia dei pregi letterari (non ne ha, anche se infierire è ingeneroso: chi ci mette penna e faccia “alla cieca” merita un po’ di comprensione) e neppure se le quasi 400 pagine contengano spunti interessanti, ancorché destrorsi. Non che l’ex comandante del Col Moschin abbia torto su tutto: ha anzi gioco facile quando, toccando il tema della sicurezza, stigmatizza la ribalda ipocrisia di certa pseudo-sinistra, prontissima a ergersi a difesa della privacy di zingare (ma si potrà ancora far ricorso a questo sostantivo? Sul vocabolario lo trovo…) colte in flagranza e indifferente al turbamento di chi è stato da loro scippato, oppure allorché, discettando sul non sempre facile inserimento degli immigrati, rammenta che lui e i suoi uomini, di stanza in Iraq, evitavano accuratamente di urtare la sensibilità dei locali bevendo alcolici in pubblico o pretendendo a mensa salsicce e qualche fetta di (sospirato!) prosciutto crudo: la capacità di adattamento è un prerequisito per chi aspira a integrarsi in un contesto etnico-sociale differente da quello d’origine. Pure la vibrante polemica contro le metodiche follie della cancel culture e del genderismo – tendenze entrambe finalizzate a privare l’essere umano di un’identità che non sia quella del consumatore abulico – è a mio parere ampiamente giustificata, anche se nei termini proposti risulta insufficiente e monca. Su talune osservazioni si può insomma anche concordare, ma altre fanno cadere le braccia: è soltanto buffo che l’autore citi fra i sintomi di decadenza il vezzo (non proprio universalmente diffuso…) di portare a spasso un maialino al guinzaglio, ma che senso ha prendersela con l’atleta Paola Egonu, nata in Veneto, italofona e nostra concittadina, imputandole la “colpa” di discostarsi, in quanto nera di pelle, da un modello “riconoscibile” di italiano/a bianco/a? L’argomentazione, come suolsi dire in giuridichese, prova troppo: senza scomodare il passato romano, di cui il nostro va tanto fiero (un passato in cui fu un imperatore arabo di nascita a celebrare il millenario dell’Urbe!), è facile dimostrare che gli stereotipi sono un’arma a doppio taglio. Negli USA di fine XIX/inizio XX secolo i migranti italiani non erano nemmeno considerati “bianchi” dagli Wasp anglosassoni; anni fa, quando mi trovavo con un amico a Vienna, una coppia di austriaci attempati dichiarò di non credere alla nostra provenienza, perché gli italiani, secondo loro, erano tutti bassi, scuri di capelli e baffuti. In fondo, aggiungo scherzosamente, l’acclamatissimo tennista (sudtirolese) Sinner non sembra più italico della Egonu…

Altri sfondoni, meno personalizzati, suscitano una schietta risata: lamentando la dissoluzione della famiglia – realmente in atto, come ribadisce in un recente articolo F. Marchi – Vannacci addita come primo colpevole il Socialismo reale che, a suo dire, strappava i figli ai genitori per farli crescere dallo Stato… forse ha confuso Platone con Platonov! Scartabellando il testo un lettore ignaro rischia poi di persuadersi che una buona metà degli alloggi sia attualmente occupata da abusivi: nei confronti dei poveri l’atteggiamento del generale – non a caso contrarissimo all’imposta più equa e costituzionalmente orientata, quella di successione – è di sospetto, se non di ostilità preconcetta. Al pari dei politicanti di destra egli sembra credere che basti un po’ di buona volontà per emergere dalla miseria: chi corre i 100 metri senza scarpe né allenamento adeguato dovrebbe prendersela con se stesso se non ce la fa a star dietro a coloro che, dopati da ricchezza familiare e relazioni sociali, sono partiti a dieci o venti metri dal traguardo.

Percettori di RdC a parte, di chi sarebbe la responsabilità se il mondo gira “al contrario”? Vannacci non ha dubbi: sono le famigerate “minoranze” a condizionare con bizzarre ed egoistiche pretese l’operato dei governi e i diritti della maggioranza. Nullafacenti, gay, gruppuscoli di sinistra, “gretini”: sarebbero costoro, nei rispettivi campi, a dettare l’agenda alla politica e all’economia – non ovunque, s’intende, ma nell’Occidente troppo democratico, tollerante e “buonista”.

Da dove attingono questi superpoteri le lobby menzionate nel libro? Dal lassismo imperante, come con corriva disinvoltura suggerisce il generale? La spiegazione suona ancora una volta ingenua e, in fondo, conformista: non sempre apparenza e realtà coincidono, ed è imprudente accettare come oro colato ciò che un regime – qualsiasi regime – dice di sé (non domandare all’oste se il vino è buono, ammonisce la saggezza popolare).

Se le richieste (talora davvero spudorate) di gruppi di pressione ultraminoritari vengono accolte e addirittura incoraggiate dal sistema è perché quest’ultimo valuta il loro soddisfacimento strumentale ai propri scopi di progressiva disgregazione del corpo sociale. La presunta bonomia del liberalcapitalismo occidentale è infatti contraddetta non solo dall’intransigenza stabilmente mostrata nei riguardi delle istanze di salariati e classi subalterne, ma da episodi recenti e clamorosi, quali la gestione autoritaria (perlomeno in Italia  e soprattutto sotto la guida di Draghi) dell’emergenza pandemica, a lungo enfatizzata e d’improvviso scomparsa dai radar all’esaurimento della sua funzione educativa, e la posizione assunta sul conflitto russo-ucraino, propiziato dall’Alleanza atlantica e tradottosi, all’interno dei singoli paesi membri, in una forsennata caccia al dissenziente “putiniano”. Il fatto che parlamenti ed esecutivi, più o meno volentieri, si accodino al diffondersi di ideologie apparentemente assurde e demenziali non è indice dell’ignavia dei governanti, bensì del loro convinto asservimento alle esigenze di un’economia che ha ridotto la politica a teatro dei pupi. Ma tutto questo Vannacci non lo sa (oppure finge di non saperlo).
Il tema principale non è però tanto la fondatezza delle opinioni del militare-saggista quanto la loro legittimità, che molti contestano con asprezza: in quanto servitore dello Stato egli avrebbe dovuto tenere per sé le sue idee (giudicate) controcorrente.

Onde appurare se l’argomentazione sia condivisibile o meno tocca rifarsi al diritto positivo nazionale.

L’articolo 21 della Costituzione sancisce il sacrosanto diritto di ciascuno di esprimere liberamente il proprio pensiero a voce e in forma scritta. Gli unici limiti che incontra questa facoltà sono quelli fissati dalla legislazione penale, che vieta di recare offesa all’onore e alla reputazione altrui oltre che di attentare alla quiete sociale e alla saldezza delle istituzioni. In particolare l’articolo 414 c.p. sanziona l’apologia di delitto, vale a dire la condotta di chiunque pubblicamente istighi terzi alla commissione di uno specifico reato ovvero, dopo che esso è stato consumato, giustifichi l’azione criminale. Non occorre che l’invito sia accettato (altrimenti l’ispiratore risponderebbe di concorso morale), ma non bastano un generico incitamento o una condivisione manifestata a mezza voce: per consolidata giurisprudenza è necessaria la concreta idoneità dell’esternazione a promuovere o favorire determinate attività delittuose. Ripeto: non ho letto per intero Il mondo al contrario, ma fra decine di recriminazioni e rampogne stampate dal Vannacci non ho individuato alcuna frase che istighi più o meno velatamente alla violenza o ad azioni persecutorie nei confronti degli “obiettivi” – anche il discutibile diritto all’odio (pag. 281) che egli provocatoriamente rivendica ha tutta l’aria di un’iperbole (se non di un plagio di riflessioni, fra l’altro ben più profonde, messe nero su bianco da quel lucido e coerente contestatore che è Massimo Fini). L’assioma in base al quale i militari dovrebbero servir tacendo era spendibile in un passato precostituzionale (oggi peraltro esternano tutti…) e quanto alle prescrizioni dettate dai codici di condotta esse attengono al rispetto degli obblighi di servizio e non possono certo porre vincoli all’esercizio di un diritto fondamentale.

Lo scandalo massmediatico sembra allora montato ad arte, visto che affermazioni non meno sgradevoli e divisive di quelle firmate Vannacci vengono quotidianamente veicolate da esponenti della maggioranza di governo e – soprattutto – che le accuse al generale di ledere principi costituzionali stonano in bocca ad alti papaveri della politica e del giornalismo nostrani che hanno (rispettivamente) perpetrato e avallato la sfrontata violazione dell’articolo 11 della Carta, ripudiando la pace per compiacere i padroni americani e supportare l’aggressione alla Russia.

Il polverone sollevato intorno a un testo tutto sommato irrilevante e banale serve per occultare all’opinione pubblica responsabilità ben più gravi di quelle addossate a Vannacci e per mondarsi la coscienza spergiurando fedeltà a valori che chi esercita il potere non tiene più in nessun conto. Da questa operazione tutti traggono qualche vantaggio (compreso il signor generale, che rimpingua il suo conto in banca, spiattella bislacche “verità” su tutte le reti tv e forse si aggregherà ad altre comparse nel pleonastico parlamento di un’Europa fasulla), fuorché i semplici cittadini, ormai ridotti come ciechi “a brancicare attorno” da una propaganda cinica e fuorviante.

La partita è truccata, i giocatori nient’altro che figuranti.

http://www.linterferenza.info/attpol/mondo-al-contrario-uno-scandalo-mondarsi-la-coscienza/

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