Il concetto di filosofia di Preve

mar 6th, 2019 | Di | Categoria: Teoria e critica

 

 

Pierluigi Fagan

Giunto alla stretta finale del suo opus magnum (Una nuova storia alternativa della filosofia, Petit plaisance, 2013 ), C. Preve, riepiloga il suo modo di vedere la filosofia che vuole portare in direzione di un principio tripartito in: a) carattere dialogico comunitario; b) deduzione sociale delle categorie; c) ontologia dell’essere sociale di richiamo a Lukacs. Per direzionarlo verso questo esito, deve riscoprirne l’origine per dar senso continuo e coerente all’impresa.

Questa origine è vista come riscoperta del suo inizio greco che il piemontese deduce in punti: 1) il fare filosofia nasce con l’implicito ed a volte esplicito convincimento di poter convincere gli altri di qualcosa; 2) teso ad evitare la rovina dell’infinitezza e dell’indeterminato connessi intrinsecamente alle ricchezze; 3) centrato su tre concetti portanti che sono i) porre freno allo scatenamento cremastico; ii) l’affermazione dello strumento idoneo a frenarlo ovvero la razionalità dialogate (logos); iii) applicato al dare ordine alla realtà sociale. E’ in questi tre punti il significato originario della filosofia? Ognuno potrà dare la sua risposta, ovviamente, ed io in quanto pensante, sono stimolato a dare la mia.

Il primo punto mi pare ampiamente condivisibile e dimostrabile. L’oggetto della filosofia è una qualche forma di immagine di mondo. Preve poi stringerà questo concetto di “mondo” al mondo della polis, quindi alla comunità ed alla sua interrogazione etico-politica. Ma l’interrogazione filosofica Antico Greca aveva anche fini più ampi. Nata contro il dominio della religione e della mitologia, ebbe anche un suo fondo naturalistico ed auto-interrogante (logica, ontologia, gnoseologia). Mondo sociale quindi (etica e si ricordi che cronologicamente, i primi pensieri furono i decaloghi etici dei Sette Sapienti, politica, nomologia, ricerca della buona vita), mondo naturale, mondo mentale, le tre componenti basiche di ogni immagine di mondo. Altresì, è evidente che questa immagine di mondo che nasce sempre in una testa individuale, è essa stessa costruita in sintesi ed opposizione ad una qualche altra versione da cui riceve stimoli, nonché finalizzata alla condivisione od opposizione con/ad altri.

Preve nota che ciò si verificava in ambiente comunitario mentre oggi al massimo si dà ambiente sociale (che non è la stessa cosa) quando addirittura non in sistema disgregato in un insieme (l’insieme è una formazione pre o post sistemica, cioè non o debolmente interconnessa al suo interno). La comunità del tempo aveva quattro caratteristiche salienti: 1) l’omogeneità (tutti si conoscevano e risalivano a lignaggi famigliari comuni e di lunga data; 2) la dimensione contenuta (Atene che era decisamente fuori-standard, si stima avesse al suo apogeo 130.000 abitanti, solo la metà maschile adulta aveva dimensione politica riconosciuta, di questa solo la metà era propriamente la comunità essendo l’altra metà fatta da schiavi o meteci (stranieri). Parliamo quindi di scarsi 30.000 individui per altro divisi tra campagna, città e Pireo ed all’interno di questa tripartizione, in specifici demi e famiglie. Nell’Italia di oggi in cui tutti gli adulti hanno diritti politici sarebbe una comunità di 60.000 abitanti ovvero Fano od Olbia o Legnano o poco più.); 3) la piena sovranità essendo la città anche uno Stato. Infine, 4) il punto 1) era rinforzato da una funzione del 3) ovvero il prestare opera militare alla bisogna (difesa-offesa). A corona del tutto, c’è da notare una correlazione molto forte tra questo modo di intendere la filosofia ed il sistema politico democratico, l’altra grande della Grecia Antica, Sparta, a parte il suo legislatore fondatore (Licurgo), non ha mai prodotto alcun pensatore, né alcun fatto culturalmente rilevante.

Le poleis a regime democratico, erano immerse in un clima culturale in cui dialogo (logica, dialettica, dialogica, logos, retorica) era lo standard di sistema (agorà, isegoria, isonomia, pratiche legali, voto in assemblea, cariche turnarie dell’intero complesso statale che era molto vasto e complicato).
Pare dunque chiaro che oggi, in condizione di insiemi disgregati o al massimo società massive di decine di milioni di cittadini l’un con l’altro per lo più estranei, fortemente asimmetrici quanto a dotazione sociale e culturale, ordinati da verità indisputabili imposte da un ordinatore economico-finanziario e tecno-scientifico che è l’esatto opposto di uno politico-democratico, sub-ordinate da un ordine politico non altrimenti definibile se non palesemente oligarchico (da oligoi = pochi), prive di un forte senso comune di appartenenza e scopo, per nulla più sovrane di alcunché, laddove quindi l’ordine sociale è dato, fisso ed intrascendibile ed il pensare con la propria testa fortemente dis-incentivato, non vi siano vere condizioni di possibilità. Da cui la deriva scolastica, formale e solipsistica della filosofia contemporanea.

Preve poi era a modo suo marxiano (marxiano è un marxista dissidente che presuppone il richiamo alla fonte originaria del pensiero di Marx, sospendendo il richiamo alle sue prevalenti tradizioni interpretative dette “marxiste”) e quindi deduce da questo primo condiviso punto, un secondo ed un terzo a mio avviso un po’ forzati, non del tutto falsi, non completamente veri. Ma anche solo sul primo, ci sarebbe da riflettere a lungo. Oltre che per quanto notato, per il punto cieco che connota la visione marxiana-marxista, ovvero il fatto che l’ambito politico naturale di quanto di meglio ci è provenuto dall’Antica Grecia, era la democrazia pur imperfetta di quei lontani tempi.

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