L’AUTUNNO OCCIDENTALE. (Punto di vista: macro).

giu 21st, 2019 | Di | Categoria: Storia

 

Pierluigi Fagan

L’AUTUNNO OCCIDENTALE. (Punto di vista: macro).

L’era moderna inizia lentamente in dissolvenza incrociata con il Medioevo, tra XVI e XVII secolo. Giunge al suo picco nel XIX secolo, quando i britannici portano a compimento una estensione planetaria che inaugura l’era globale. Lì non termina la modernità ma inizia il suo trapasso come era avvenuto con il Medioevo a lungo perdurante quando già il Moderno faceva primi passi.

Una data per l’intensificazione del trapasso, può esser rivenuta da qualche parte all’inizio della seconda metà del secolo scorso. Culturalmente, il post-moderno ed altri fenomeni secondari come il “relativismo”, assomigliano molto ad analoghi fenomeni del XVI secolo quando un’ondata di “pirronismo” stese un velo di profonda perplessità sull’immagine di mondo allora in uso, aprendo la strada alla costruzione di una nuova. Noi siamo qui, al culmine dell’inizio della fine di un’epoca storica, ma non lo sappiamo e sul piano culturale siamo in piena “stagione arida” del pensiero. Ma di che tipo di passaggio si tratta? Verso cosa stiamo andando?

Si potrebbe e dovrebbe inquadrare il fenomeno in molti modi. Noi qui però ne scegliamo uno per fare il punto su un certo tipo di situazione. Il Pil mondiale cresceva del 6.6% nel 1964. Da allora e fino al crollo del 2009 (-1.7%), ma anche dopo, l’andamento è stato altalenante comunque mai superando il limite del +4.3% negli ultimi venti anni. Si potrebbe dire che l’economia mondiale si stia assestando verso una crescita moderata, tant’è che dal 2011 ha oscillato intorno al 3%, 3,3% previsto 2019 da IMF (-0.3% su 2018). Ma questo dato aggregato è solo la sintesi statistica di un gran rivolgimento interno all’economia-mondo. Dal 1950 ad oggi, infatti, si sono aggiunti 5 miliardi di individui, 130 nuovi stati, l’accesso alle forme dell’economia moderna di produzione e scambio con supporto banco-finanziario, tecnica e scienza, da parte di interi continenti (Asia) che prima ne erano fuori. La crescita mondiale quindi, è la risultante media di due dinamiche incrociate: l’ascesa del “the Rest” e la discesa del “the West”. Perché “the West” non cresce più come una volta?

A grana fine si potrebbe aggiungere che la crescita degli ultimi decenni nell’area occidentale è stata in effetti drogata dalla svolta finanziaria, senza quell’ipertrofico valore fittizio sarebbe stata ancor minore. Si potrebbe convocare in giudizio il neo-liberismo che ha depresso le domande interne ed oltretutto favorito l’espatrio economico di molte produzioni e capitali o l’austerity europea che ha congelato alcuni economie nazionali prima brillanti, elementi tutti senz’altro incidenti. Sta di fatto che negli ultimi venti anni, i Paesi OCSE-OECD, viaggiano su una stentata media di +1.85% anno. Si pensa che una riviviscenza di keynesismo, piuttosto che la re-industrializzazione, oppure anche la rivoluzione digitale, piuttosto che la generale riconversione green (magari la conversione green con la reindustrializzazione pone qualche problema logico, ma tanto chi pensa le cose tutte assieme?), potrebbero migliorare le cose. Ma di quanto e quanto a lungo?

C’è un dato macroscopico qualitativo da tener presente. Se le economie non OCSE-OECD sono all’inizio del loro ciclo espansivo, noi forse siamo alla sua fine? L’economia moderna ha inventato e fatto un sacco di cose che prima non c’erano. Ma poi c’erano e lo spazio per farne di nuove s’è ristretto. Già negli anni ’60, abbiamo assistito alla programmazione della morte dei prodotti per tenere in piedi il ciclo di produzione ed in più una enorme spinta al consumo nevrotico, ben oltre la normale “utilità”. S’è abbassata l’età del consumo e si sono importate le donne che prima erano ai margini, di produzione e consumo. S’è venduto a credito che è poi debito. S’è esportato ai terzi ma poi i terzi hanno cominciato a produrre da par loro e sono finiti ad esportare loro e noi ad importare. L’esplosione dei servizi ha dato una mano ai limiti ormai raggiunti dell’industria. Ma il tasso di innovazione reale, quello del tipo Rivoluzione industriale, chimica, elettrica, atomica, meccanica, più invenzioni che semplici innovazioni, non ha avuto seguito nel digitale o nel biotecnologico. E se fossimo alla fine di un ciclo?

L’economia moderna può esser vista in due modi. Come sistema eterno o storico. In natura, non s’è mai visto alcun sistema eterno, difficile immaginare che un sistema economico formato dalle interazioni tra uomini e natura che sono domini termodinamici, abbia in sé le potenzialità dell’eternità. L’economia moderna, in primis, è servita a fare cose, ma le cose da poter fare non sono infinite, questo è quello che sembra aggiungendo la storia qualitativa dei fatti ai dati quantitativi statistici. The West è entrato da decenni nella fase discendente della curva a campana che connota praticamente ogni fenomeno di crescita.

Questo è punto che cambia una epoca. Va benissimo pensare a riconvocare Keynes, le tecnologie disruptive, la green economy e quant’altro vi pare, le epoche non cambiano come cambiamo un abito. Un soft landing è senz’altro meglio di un hard landing. Ma toccherebbe anche cominciare a pensare a quale altra forma di organizzazione della vita associata, potremmo passare. Una forma al cui interno c’è ovviamente l’economia moderna ma non come asse centrale intorno a cui tutto ruota, semplicemente perché quell’asse è destinato a non dare più ordine ma se tenuto ancora centrale, disordine. Dal conflitto geopolitico a quello ambientale, passando per il sociale che sta in mezzo.

Nessuna forma di civiltà fino ad oggi ha mostrato la capacità di sopravvivere al cambio del suo paradigma fondante. Ci sono molte teorie sulle varie fine delle varie civiltà. Alcune sono crollate, altre si sono spente con un lungo vagito. Ma la costante è che nessuna è riuscita a cambiare per tempo l’immagine di mondo che promanava dalla forma del proprio sistema adattivo che ad un certo punto, non era più adattivo. A vedere la qualità della nostra auto-comprensione culturale dei tempi, dei sistemi e dei fenomeni, e parlo dell’Occidente nel suo complesso, non sembrerebbe si sia noi i destinati a questa epocale svolta cognitiva. Dispiace.

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