Politica-Struttura e Socializzazione delle perdite

mag 16th, 2020 | Di | Categoria: Capitale e lavoro

 Politica-Struttura e Socializzazione delle perdite

 

Nel capitalismo di Stato contemporaneo assume ormai un ruolo sempre più importante la praxis e la regola antiliberista della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite a favore dei grandi monopoli privati. Si tratta di un segmento della sfera politica borghese nella quale emerge con particolar evidenza, a partire dal 1929, la funzione concreta assai rilevante svolta da quest’ultima in qualità di “espressione concentrata dell’economia” (Lenin, 1921) e della politica-struttura, intesa come l’insieme delle azioni materiali degli apparati statali che modificano e influenzano in prima persona, in modo più o meno costante e con effetti sensibili, proprio il processo di produzione delle variegate formazioni economico-sociali di matrice capitalista.

A tal proposito l’inizio del 2020 ha mostrato una vera e propria orgia di aiuti statali e parastatali (quali le banche centrali degli USA, dell’Europa e del Giappone) a favore delle grandi imprese private, dei “too big to fail” delle metropoli imperialistiche, demolendo e ridicolizzando – come durante la gravissima crisi economica e finanziaria del 2007-2009 – per l’ennesima volta la logora favoletta relativa alle presunte virtù taumaturgiche del libero mercato e della sua presunta “mano invisibile”. Molto visibile e concreta, viceversa, si è rilevata la “mano” e la pratica politico-economica dell’amministrazione Trump, a favore della finanza e dei grandi trust statunitensi.

– NEGLI USA

Secondo Fabio Scacciavillani, professore di economia e commercio alla Luiss di Roma, il ruolo della banca centrale negli USA è di «garantire i profitti della Borsa», piuttosto che di «assicurare la stabilità dei prezzi». Scrivendo il 15 aprile segnala l’immissione nei mercati di circa 1,6 trilioni di dollari fino a quella data, una cifra destinata a raggiungere e probabilmente superare i 2 trilioni. La parte più furba della borghesia ne ha approfittato per inserire una serie di obbligazioni spazzatura per alleviare i propri conti. In pratica la Fed partecipa al salvataggio delle aziende in crisi con denaro pubblico. Quanto era stato preconizzato in maniera celata qualche settimana prima, candidamente perfino in un sito come Wallstreet.it («l’impressione è che è più probabile che, messi alle strette dalla situazione di breve, politici e banchieri centrali facciano troppo, piuttosto che troppo poco»)1, diventa così realtà empirica. Altro che impedire che le piccole aziende chiudano… Si è parlato del «più grande bailout della storia». Per Scacciavillani «è il vecchio schema di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite», di cui approfittano in particolar modo le compagnie petrolifere, già favorite da una «politica monetaria dissennata» tesa a garantire «l’indipendenza energetica americana».2

Nel calderone dei regali di Stato non potevano infatti non rientrare le big companies del petrolio. Ha aperto le danze la richiesta pubblica fatta alla CNN da Mike Sommers, CEO della più grande lobby americana del settore, la American Petroleum Institute. Sommers ha auspicato che anche le industrie dell’Oil & Gas «abbiano accesso alla liquidità di cui hanno bisogno per sopravvivere alla crisi». Trump non si è tirato indietro, terrorizzato dai dati che parlano di 533 compagnie che rischiano di fallire di qui ad un anno. Il Segretario dell’Energia Dan Brouillette e il collega del Tesoro Steven Mnuchin erano in realtà già al lavoro da tempo sul progetto di includere le lobby del petrolio nel programma di prestiti CARES, valutando ulteriori supporti futuri.3

Per quanto notevoli in riferimento ai numeri europei, si perdono come gocce nel mare i 19 miliardi di dollari annunciati in aiuto al settore agricolo, che a inizio maggio aveva già perso un valore di 5 miliardi di dollari per frutta e verdura fresca invenduta.4 Essi appaiono una misura ad hoc per prevenire il malcontento delle campagne, per quanto si possa immaginare che i maggiori beneficiari saranno le “multinazionali del cibo”.

Ad essere “salvati” sono anche i colossi dei trasporti aerei, evidentemente strategici per ragioni militari. Il segretario di Stato Steven Mnuchin riesce perfino a ringraziare i «dieci colossi americani» che hanno accettato denaro pubblico. Alle multinazionali vengono posti vincoli sociali propedeutici a mantenere «l’importanza strategica dell’industria aerea»: «i fondi a disposizione devono essere usati per pagare i dipendenti e alle compagnie che li accettano è vietato effettuare forti tagli dell’occupazione o dei salari fino a settembre. American Airlines dovrebbe ricevere 5,8 miliardi di dollari mentre la SouthWest 3,2 miliardi».5 Il complesso di aiuti per il settore ammonterebbe per ora a circa 25 miliardi di dollari, il 30% dei quali sotto forma di prestiti a tasso agevolato, il che lascia pensare che la quota maggiore consista di sussidi a fondo perduto, nonostante il Sole 24 Ore paventi la possibilità di una partecipazione del governo nel capitale attraverso la vendita obbligata di pacchetti azionari, a titolo di “garanzia”.6

– IN EUROPA

Anche in Europa il grande ritorno sulla scena dello Stato, violando ogni sorta di precetto del liberismo, si concretizza spesso e volentieri in una serie di regali alle multinazionali. In Francia si stanziano 7 miliardi di euro alla compagnia aerea Air France, ma quasi la metà (3 miliardi) sono «di sovvenzioni pubbliche dirette», mentre i restanti 4 sono «prestiti bancari garantiti dallo Stato». Non si parla per ora di un corrispettivo aumento nella quota societaria della proprietà statale, nonostante Air France faccia parte del gruppo Air France-KLM, di cui lo stato francese e quello olandese possiedono ciascuno una quota del 14%. Nell’aiutare Renault con 5 miliardi il ministro dell’economia Bruno Le Maire ha escluso categoricamente la possibilità di una nazionalizzazione. Lufthansa, la grande compagnia tedesca, è una multinazionale in realtà «impegnata in trattative serrate con i governi dei Paesi principali in cui ha sede (Germania, Austria, Svizzera e Belgio) per ottenere un supporto finanziario che assicuri la solvibilità del gruppo nel breve termine». Tutto ciò avviene con il pronto benestare dell’Unione Europea, in passato strenua oppositrice degli “aiuti di Stato”.7

– IN ITALIA

E in Italia? Le misure in progetto non vertono solo sugli aiuti alle aziende ma, come è sotto gli occhi di tutti, l’accelerazione sulla fase 2 e sulla prossima riapertura di tutte le attività è dovuta alle pressioni di Confindustria e delle varie organizzazioni padronali e commerciali. Diverse analisi hanno già messo in luce il pericolo di speculazioni da parte di banche e grandi imprese. Tale ad esempio la disamina delle parole di Carlo Messina, CEO della banca Intesa-Sanpaolo8, che tra le priorità pone la necessità di evitare un cambio strutturale di sistema, con un’invadenza eccessiva del “pubblico”, ossia dello Stato, nella partecipazione diretta delle attività economiche. Il ministro dell’Economia Gualtieri (area PD) ha risposto prontamente, mettendo sul piatto «750 miliardi di garanzie», per alcuni dei quali si parla di «trasferimenti a fondo perduto alle imprese».

Gualtieri nega ogni possibile intromissione dello Stato: «non c’è nessuna intenzione di nazionalizzare le pmi [piccole e medie imprese, ndr] o intervenire nella loro governance».9

-CONCLUSIONI

I tempi che stiamo vivendo sono inediti nella storia dell’Italia repubblicana, accomunabili forse, per il livello di crisi economica, politica e sociale, solo al secondo dopoguerra, quando il popolo italiano, non senza grosse interferenze straniere, ha fatto in maggioranza la sua scelta di campo aderendo al sistema capitalistico, all’integrazione della propria economia in quella dell’Europa occidentale e all’adesione del blocco nord-atlantico della NATO. La maggior parte del popolo italiano ha cioè accettato, più o meno consapevolmente, per tutto il periodo repubblicano successivo al 1947, di entrare a far parte come alleato subalterno, con pesanti limitazioni della sovranità nazionale, all’imperialismo occidentale. Seppur modificandosi nel tempo su aspetti marginali, questi capisaldi strutturali della strategia nazionale sono rimasti intatti.

L’Italia ha saputo cioè trovare un proprio posto a livello internazionale, sfruttando gli spazi offerti anzitutto dai cosiddetti “30 gloriosi”, il grande boom industriale del trentennio 1945-73, all’insegna di un compromesso sociale sempre più avanzato nei propri territori interni (il famoso “accordo” tra Capitale e Lavoro sulla base delle costituzioni antifasciste), che mantiene in essere una posizione neocolonialista nella sua propensione internazionale (si veda come esempio l’azione svolta dall’Agip in Angola).10 Un social-imperialismo in piena regola…

Un modello peraltro che si riscontra anche nel resto dell’Occidente, che condivide negli anni ’70 il timore per i primi segni di cedimento della propria influenza mondiale. A risultare ostacoli sempre più pericolosi sono gli sviluppi della decolonizzazione mondiale, sostenuta dall’URSS e dal blocco socialista e la conseguente costruzione di un vasto campo avverso all’imperialismo. Il passaggio al neoliberismo che avviene in tutto l’Occidente si coniuga con un rilancio della guerra fredda nei confronti dell’URSS, verso cui è intensificata un’offensiva totale. La finanziarizzazione estrema della società, che ha portato alla rottura degli accordi tra Capitale e Lavoro, è stata una fase dell’offensiva finale dell’imperialismo, che posto di fronte al rischio di soccombere ha messo in campo tutte le sue armi, attuando le premesse di una possibile rinnovata gestione autoritaria della crisi.

L’improvvisa caduta dell’URSS, avvenuta per decisive degenerazioni interne, ha consentito la nascita di un polo imperialista europeo (1992, UE, Maastricht) a guida sempre più germano-centrica, che intende ritagliarsi un suo posto da protagonista sui mercati mondiali, rimanendo politicamente ancorata agli alleati USA. Senza poter ricostruire l’evoluzione delle relazioni internazionali degli ultimi 30 anni, ci si può chiedere quale sia diventato il ruolo dell’Italia nel “sistema-mondo”. Da 5^ potenza economica mondiale ancora negli anni ’80, essa vive ancora progressi economici negli anni ’90, seppur sempre più marginali, per finire in una condizione di stagnazione negli ultimi 20 anni, durante la quale sono stati consegnati in tutto l’Occidente migliaia di miliardi di soldi pubblici alle banche. Chi era ricco è diventato ancora più ricco. Chi lavora per un padrone si è mediamente impoverito, a favore di una piccola élite di miliardari, un 5% che controlla peraltro la principale parte della struttura industriale, finanziaria e culturale (si pensi a chi possiede i giornali e le televisioni). Il fatto che questo impoverimento sia avvenuto in coincidenza con il passaggio all’euro è uno dei motivi che hanno accelerato il processo, ma non è quello essenziale. Il dato più importante è capire che quel 5% è riuscito a convincere milioni di lavoratori che l’impresa capitalistica sia l’unico modello possibile, naturale, ideale, quello più razionale e funzionante.

Il fatto che oggi il primato economico mondiale sia ormai assunto chiaramente dalla Repubblica Popolare Cinese, ossia da un paese guidato da un Partito Comunista che asserisce di stare costruendo un “socialismo dalle caratteristiche cinesi”, ci deve far pensare forse che a garantire un sistema più razionale di sviluppo sociale, oltre che di progresso economico, sia un sistema alternativo all’imperialismo selvaggio che ha portato al dominio delle multinazionali e delle banche.

Il regime capitalistico sta perdendo sullo scenario globale. I lavoratori italiani devono capire che il sistema capitalistico è la vera causa del degrado morale, culturale e sociale di questo Paese, e che un’alternativa completa è possibile: l’alternativa del socialismo, dell’organizzazione, della pianificazione, del passaggio ad un modello in cui l’economia è davvero al servizio dell’uomo, e non viceversa. Il modello cinese, vincente, non è che una variante di un principio di fondo che deve tornare a circolare nella mente dei lavoratori: è più efficiente un sistema che non si fondi sul profitto di un privato, ma di tutta la collettività. Le aziende devono appartenere allo Stato o quanto meno (soluzione attualmente in uso in Cina) lo Stato controllato dall’avanguardia politica dei lavoratori deve avere un controllo macro-economico in grado di attuare una vera e propria “politica industriale”. Certamente è essenziale che le grandi aziende e gli istituti finanziari strategici siano controllati subito per la soddisfazione dei bisogni primari del popolo. L’Italia è un paese ricco, dotato di un imponente tessuto industriale, tecnologico, finanziario, sociale e culturale. Se oggi le cose vanno male, è perché quel 5% che dirige il sistema, la borghesia, non sta più spartendo la torta. Di fronte alla nave che affonda, non esita a farsi conti off-shore all’estero e salvare il proprio interesse particolare, disinteressandosi totalmente della collettività. Il borghese di fronte alla situazione di crisi non si chiede come può aiutare, ma come può guadagnarci sopra.

A noi lavoratori non può interessare che ora, nel momento in cui i padroni sono in crisi, sia garantito denaro liquido “a fondo perduto”. Abbiamo visto su tutti i tg come questi “imprenditori” siano risultati completamente incapaci di offrire rapidamente una risposta alle necessità sanitarie del paese; così come si è visto il lavoro professionale ed il supporto svolto dalla sanità privata…

Signore e signori, la crisi del Covid-19 ha mostrato tutti i limiti di questo sistema. Il capitalismo ha fallito. Questa crisi è il secondo segnale d’allarme dopo quello del 2007-2008. Il terzo segnale, a fronte di una malattia più mortale, potrebbe essere fatale a noi e ai nostri cari. Invece di 130 mila morti (che cresceranno), potrebbero diventare milioni, se non ci saremo assicurati nel frattempo un sistema più capace di intervenire e risolvere la crisi. Deve essere chiaro che un partito diverso al potere non avrebbe potuto fare granché di diverso nella situazione data, sottostante cioè alla struttura attuale del paese e ai vincoli cui si è imposto. Occorre indirizzare un cambio di sistema in direzione della profonda razionalità e convenienza del socialismo.

Nel frattempo, anche senza essere comunisti, si può riflettere se sia giusto che vengano dati contributi a fondo perduto a questi sfruttatori e incapaci. A chi ha rischiato scegliendo nella vita di fare l’imprenditore, ossia il padrone non solo di se stesso ma anche di altri, si può dare anche il massimo supporto economico possibile al fine di salvaguardare i posti di lavoro e l’integrità dell’azienda, ma lo Stato, e i lavoratori stessi, devono pretendere di partecipare di una quota di proprietà della società, e magari all’amministrazione della stessa, anche solo per controllarne le attività. Questa rivendicazione deve costituire una tappa indispensabile in un programma minimo per chi dovrà tornare a lavorare sotto un padrone, sia quest’ultimo piccolo, medio o grande.

Il programma massimo è costruire uno Stato italiano socialista. Una società in cui le principali aziende e banche siano controllate dal “pubblico”, da un ceto politico che sia diretta e genuina espressione del popolo e della classe lavoratrice più consapevole del proprio ruolo e delle proprie responsabilità storiche. Evidentemente non ci sono al momento le condizioni soggettive per richiedere tanto.

Oltre un terzo degli italiani ha ormai capito che all’Italia converrebbe approfondire le proprie relazioni con la Cina e la Russia, mettendo da parte l’alleanza con gli USA. Oltre la metà è stata gravemente delusa dal comportamento dell’Europa e nutre tuttora incertezza su strumenti come il MES e il “Recovery Fund”, parole i cui veri significati sono a molti ignoti. Sono primi passi importanti su cui occorre innestare motivi nuovi. La crisi economica verrà fatta pagare a qualcuno.

Occorre ricordare che il sistema capitalistico utilizza le sue crisi periodiche per rafforzarsi, o meglio: i fenomeni di concentrazione del grande capitale industriale e finanziario si accresceranno ancora di più, ed è estremamente probabile che la crisi sarà fatta pagare ai lavoratori. La cricca del 5% borghese vede già la crisi come una possibilità per arricchirsi ulteriormente, come peraltro espresso candidamente perfino da Cairo, patron di La7. La “politica”, cioè il governo borghese attuale, è evidentemente insufficiente per attuare una politica improntata verso il socialismo. Il movimento comunista può risorgere se i suoi dirigenti sapranno muoversi in maniera intelligente, ma sicuramente poco potrà cambiare se prima non si muoveranno i lavoratori.

Ai lavoratori sta la responsabilità di attivarsi, protestare anzi tutto dentro se stessi e chiedersi: è giusto che vengano usati soldi pubblici, cioè anche miei, per salvare delle aziende private senza nulla in cambio? No, non è giusto. È solo introiezione del punto di vista borghese.

Una volta risolto il problema con noi stessi, potremo provare a convincere gli altri della bontà dei nostri ragionamenti. Fino a quel momento tanto atteso, aspettiamoci la solita socializzazione delle perdite, accompagnata dalla permanente privatizzazione dei profit

Mag 14, 2020 |   Alessandro Pascale & Roberto Sidoli

Post scriptum: mi sembra utile per l’occasione ricordare la seguente poesia di Bertolt Brecht:

A chi esita

«Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua».

NOTE

1M. Tessa, Anthilia: “Fed sfodera l’atomica, a questo punto il rischio è che si faccia troppo”Wallstreetitalia.com, 24 marzo 2020.

2F. Scacciavillani, La Fed fa Indigestione di Obbligazioni SpazzaturaImmoderati.it, 15 aprile 2020.

3M. Orloles, Tutti i piani allo studio di Trump per non far affondare l’industria Usa del petrolioStartmag.it, 22 aprile 2020.

4Redazione Agricolae.it, USA, filiera in crisi. Agricoltori gettano latte, frutta e verdura, soppressi suini e polli. Trump: pronti aiuti per 19 mldAgricolae.it, 4 maggio 2020.

5Redazione La Stampa, Coronavirus, così Trump salva le principali compagnie aeree americane, La Stampa (web), 15 aprile 2020.

6Redazione Lagenziadiviaggi.it, Usa, il super fondo di Trump salva 10 compagnie aereeLagenziadiviaggi.it, 16 aprile 2020.

7M. Tropeano, Coronavirus, da Parigi 12 miliardi di aiuti per salvare Renault e Air France, La Stampa (web), 25 aprile 2020; Redazione Il Post, L’Unione Europea ha autorizzato aiuti di stato per 7 miliardi dal governo francese ad Air FranceIlpost.it, 4 maggio 2020.

8Ex OPG Napoli, Farsi commissariare dalla Troika. Il sogno dei banchieri italianiSinistrainrete.info, 30 aprile 2020.

9Redazione Rainews, Coronavirus, Gualtieri: “Per il Dl imprese sul tavolo 750 miliardi di garanzie”Rainews.it, 5 maggio 2020.

10Su questo e altri aspetti storici, si rimanda ai contenuti di A. Pascale (a cura di), Storia del ComunismoIntellettualecollettivo.it-La Città del Sole, 2019.

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