Giuseppe Prestipino ripensa Lukács

mar 20th, 2021 | Di | Categoria: Teoria e critica

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Rileggendo le riflessioni di un maestro sul proprio maestro

Giuseppe Prestipino ripensa Lukács

di Antonino Infranca

A pochi mesi dalla scomparsa di Prestipino un piccolo libro (Su Lukács. Frammenti di un discorso etico-politico) riporta la nostra attenzione sull’analisi che il filosofo italiano ha dedicato a Lukács, soprattutto a un aspetto centrale dell’ultimo Lukács: l’etica. Come è noto Lukács negli ultimi anni della sua vita, all’incirca negli ultimi venti anni, si dedicò alla stesura di un vero e proprio sistema filosofico. Prima l’Estetica, a cui sarebbe seguita un’Etica. Dopo aver terminato l’Estetica – almeno nella forma monumentale in cui la conosciamo, 1600 pagine, perché l’intenzione di Lukács era di scriverne un secondo volume – il filosofo ungherese si accingeva a scrivere questa Etica, ma si rese conto che avrebbe prima dovuto definire il soggetto di questa etica e, quindi, iniziò a scrivere l’Ontologia dell’essere sociale. Quest’opera era stata appena terminata, insieme alla sua versione più breve e più agile, i Prolegomeni all’Ontologia dell’essere sociale, quando la morte fermò l’opera sistematica di Lukács. Dell’Etica ci rimangono degli appunti, da cui con qualche difficoltà si può trarre qualche concetto.

Prestipino, però, riuscì soprattutto negli anni di fine secolo a rintracciare qualche concetto di natura etico-politica di Lukács e La Porta, il curatore del libro, è riuscito a sintetizzare questa ricerca nelle pagine di questo libretto, soprattutto è riuscito a sintetizzare l’attitudine di Lukács verso la grande questione della democrazia: «La democrazia è per Lukács essere con l’altro, o essere fra gli altri» (p. 12). Si nota che la democrazia, categoria della politica, ha un contenuto etico, un’apertura all’Altro e una convivenza con gli altri, in modo che l’individuo è un essere-in-comune con gli altri, l’individuo è in fondo una comunità di azioni reciproche.

Si tenga presente che in tedesco – che era la lingua in cui Lukács scriveva – “comunità” è Gemeinschaft che significa anche “azione reciproca. Personalmente ho sempre letto l’Ontologia di Lukács come una teoria dell’individuum, cioè di un essere non diviso tra una singolarità e una collettività, tra un uomo e la comunità in cui esso vive. Adesso ritrovo in Prestipino una lettura molto simile alla mia, come è ovvio per marxisti come noi.

Questo individuo, questo essere sociale, è “una possibilità non ancora realizzata” (p. 24), per dirla con Bloch – altro filosofo marxista molto caro a Prestipino – è un essere-non-ancora. Ciò che impedisce la realizzazione di questa possibilità è l’estraniazione che domina il mondo contemporaneo, – aggiungo io – in tutti i sistemi di produzione della ricchezza e in tutte le società esistenti, anzi l’estraniazione è il vero elemento globalizzante oggi. Prestipino sostiene che «il concetto di estraniazione […] subentra alla nozione di sfruttamento» (p. 43), io credo che l’estraniazione sia uno strumento più raffinato per completare l’azione dello sfruttamento e, in questo senso, utilizzo la concezione di “reificazione” che Lukács utilizzò in Storia e coscienza di classe, il suo primo capolavoro marxista. Nell’Ontologia dell’essere sociale l’estraniazione ritorna come fenomeno esteso all’intera sfera dell’essere sociale, come dicevo sopra, si può considerare un fenomeno globale, il fenomeno caratteristico della nostra epoca. La caratteristica epocale, che Prestipino rileva, è che estraniazione è una forma di sradicamento dell’individuo dal genere umano per richiuderlo nel proprio particolare, per farne un atomo isolato dalla relazione reciproca, dalla comunità, con gli altri. Parlo di sradicamento, perché l’isolamento nel particolare è anche l’annichilamento delle relazioni con la tradizione, con la storia, che formano la particolarità dell’essere sociale di ciascun essere umano. L’individuo particolare di oggi può trovare nuove identità nelle relazioni naturali con gli altri, come ad esempio il sesso, le etnie, le generazioni (cfr. p. 45), che sono forme di comunità rozze e ancestrali, da superare per avere una vita piena di senso. Le rivolte contro queste barriere naturali, cioè il femminismo o il movimento LGBT o il Black Lives Matter o la Rivoluzione bianca – che sarebbe il movimento di emancipazione degli anziani, di cui non si parla in un continente anziano come l’europeo, ma è di attualità in America Latina, un continente giovane – sono la manifestazione odierna della lotta contro le “barriere naturali”, a cui faceva riferimento Prestipino.

Siamo, quindi, alla soglia temporale di un cambio epocale. La situazione di estraniazione/sfruttamento a cui l’umanità è genericamente sottoposta non può durare in eterno, è nata con la sussunzione del lavoro al capitale e con il «condizionamento fondamentale esercitato sulla produzione ad opera della razionalità» (p. 24). L’estrema razionalizzazione rende impossibile una vita umana in queste condizioni di estraniazione e sfruttamento, che è diventato anche sfruttamento ambientale, con il rischio della fine della stessa vita biologica dell’essere sociale. Il marxismo può presentarsi come una nuova filosofia della storia che indaghi le possibilità future – l’essere-non-ancora di Bloch – perché queste appartengono alla genericità dell’essere sociale (cfr. p. 51). Non si devono costruire possibilità future dal nulla, ma si devono estrarre dall’essere sociale, dove sono occultate e oppresse dall’estraniazione. Sono potentiae – per dirla con Spinoza – che possono passare in actu, come conseguenza di un atto di liberazione della vera e autentica essenza umana. Ma si badi bene, questa liberazione è, innanzitutto, un atto di scelta: nella natura umana si può scegliere per il proprio particolare, per il gesto cattivo verso l’altro essere umano, ma si può scegliere per l’atto solidale, fraterno, verso l’altro essere sociale, superando ovviamente le barriere naturali, a cui ci si riferiva sopra. È una scelta per la vita dell’altro, come se fosse la propria. Si può scegliere la relazione reciproca, la comunità, e questa è la scelta per la crescita dell’essere umano, per la crescita dell’umanità. Questa è la sostanza del discorso di Prestipino, che ho ovviamente approfondito in direzione di una filosofia della liberazione, che non era affatto estranea al filosofo siciliano.

Prestipino non sposa in toto le posizioni di Lukács, ma riprende alcune delle caratteristiche accuse lanciate a Lukács dai suoi critici; innanzitutto la sua incomprensione delle avanguardie. Lukács, non comprendendo i nuovi indirizzi della scienza contemporanea, «non comprese che le avanguardie artistiche e letterarie perseguivano forse un “realismo” più adeguato ai percorsi sperimentali nel nostro secolo dal sapere in generale e dalla conoscenza scientifica in particolare. Combatté gli esponenti delle avanguardie perché, a suo giudizio, la loro “angoscia come affetto dominante”, lungi dal testimoniare, con strumenti nuovi di conoscenza, il “caos” regnante nella società contemporanea, sarebbe soltanto l’“espressione emotiva” di una “incapacità di scorgere le leggi e la direzione dello sviluppo sociale”, sottostanti al presunto “caos”» (p. 59). Il lettore delle “Pagine lukácsiane” sa che il giudizio di Lukács su almeno due dei maggiori esponenti dell’avanguardia novecentesca, Brecht e Kafka, non era così negativo. A Brecht Lukács, nell’elogio funebre del drammaturgo tedesco, – pubblicato in questa rubrica – riconosce il grande merito di avere causato crisi nella coscienza contemporanea, quindi quell’affetto dominante, quell’angoscia, ebbero un effetto di stimolo verso la liberazione dall’estraniazione. Nel caso di Kafka, seppure in una lettera privata al filosofo Konder, – anch’essa presente in questa rubrica – Lukács riconosce di avere errato il proprio giudizio negativo.

A mio giudizio, Prestipino non si è soffermato sul termine “realismo”. Lukács intendeva che il realismo delle avanguardie, seppure adeguato all’epoca in cui vivevano gli artisti, non riusciva a scendere in profondità alla scoperta del tipico dell’epoca e della società capitalistica, comune bersaglio polemico delle avanguardie e di Lukács. In pratica, Lukács rimproverava alle avanguardie la loro atipicità, cioè il non sapere rappresentare gli elementi tipici dell’epoca, se non in una forma superficiale e non essenziale. Però Lukács riconosceva in un autore coevo, come Thomas Mann, questa capacità di scendere in profondità nella rappresentazione dei temi epocali. Ad esempio, nel romanzo di Thomas Mann, Doktor Faust, lo scrittore tedesco tratta temi artistici avanguardistici, ma nel contempo rappresenta l’estraniazione dominante nella società tedesca tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Infatti per Thomas Mann, da autentico realista, il reale è l’essenza tipica, sintesi di singolarità e universalità (cfr. p. 75), non certo una singolarità che esprime sensibilmente una realtà soltanto propria, non riconoscibile dagli altri.

La critica all’incomprensione delle avanguardie fa da apripista ad un rendiconto delle tipiche accuse di stalinismo rivolta a Lukács: «A me pare che la peculiare “sfortuna” di Lukács derivi dal fatto che egli solo, tra i grandi della cultura occidentale, fu laudatore di Stalin e, insieme, “inattuale” pensatore “hegelo-marxista” (…); fu ossequiente allo stalinismo e insieme tenace avversario dell’“irrazionalismo” (…); fu “stalinista” e insieme antimodernista sul terreno estetico-artistico (…); infine nessun altro grande intellettuale fu quanto lui condizionato, nella vita e nel pensiero, dalla disciplina di partito» (p. 71). Si può notare che il tono è ironico, Prestipino non pare convinto che Lukács sia stato un effettivo stalinista, anche se alcuni atteggiamenti e prese di posizione teoriche non erano sufficientemente distanti dalle concezioni stalinista. Insomma Prestipino riconosce che Lukács è stato per molti suoi critici «un capro espiatorio dalle molte teste da recidere tutte insieme» (p. 72). Personalmente non credo allo stalinismo di Lukács, anzi riconosco che è stato più volte vittima dello stalinismo: fu arrestato dalla polizia stalinista nel luglio 1941 e liberato per intervento del leader della Terza Internazionale Dimitrov, solo per rapporti personali; fu espulso dall’Università di Budapest nel 1949 per le sue posizioni non ortodosse; fu deportato in Romania in quanto membro del governo rivoluzionario Nagy nel 1957. È stato per pochi anni membro del Partito Comunista Ungherese, perché le sue posizioni non erano ortodosse, quindi non era affatto fedele alle posizioni del partito, soprattutto nelle concezioni teoriche: se lo stalinismo esaltava il realismo socialista, Lukács esaltava il realismo borghese; se lo stalinismo sosteneva che non ci fosse alcun rapporto tra il pensiero hegeliano e Marx, Lukács scrisse un libro sul giovane Hegel, mettendo in rilievo filologicamente i debiti di Marx verso Hegel; se lo stalinismo condannava l’idealismo, Lukács condannava l‘irrazionalismo. Sono tutte le differenze tra lo stalinismo e il pensiero lukácsiano. Le citazioni “laudatorie” di Stalin? In tutti i suoi scritti autobiografici, Lukács ha sempre riconosciuto che le citazioni erano lo strumento per sfuggire al controllo della censura stalinista e potere pubblicare saggi non in linea con le direttive del partito. Si tratta di acrobazie intellettuali, ma i tempi e i luoghi in cui è vissuto Lukács non permettevano una lotta aperta al regime stalinista, Prestipino riconosce che lo stalinismo non permetteva mediazioni (cfr. p. 69). Però, Prestipino avrebbe potuto tenere presenti questi fatti.

Rimane, comunque, il riconoscimento da parte di Prestipino del suo debito a Lukács: «Il comunismo è una decisione, è una volontà razionale che deve affermarsi senza certezze preliminari! (p. 96). Prestipino e Lukács sono stati due intellettuali organici che quella scelta l’hanno fatta, una scelta che è innanzitutto etica. Lukács era definito da chiunque l’avesse conosciuto un “uomo buono”, altrettanto si può dire di Prestipino. Lukács ha rischiato di pagar caramente questa scelta, Prestipino, vissuto una generazione dopo il filosofo ungherese e in Italia, un paese democratico, non ha pagato nulla per la sua scelta, ma almeno ha saputo riconoscere che Lukács era un punto di riferimento teorico imprescindibile per chi volesse compiere quella scelta.

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