Monadologia della solitudine

dic 14th, 2023 | Di | Categoria: Cultura e società

 

Monadologia della solitudine

di Salvatore Bravo

In questo momento storico le oligarchie stanno vincendo la lotta di classe con la “cultura dell’incuria” mascherata da cura/diritti individuali.

La pornografica indifferenza verso l’altro è divenuta la normalità nel tempo dell’integralismo liberista, è la forza titanica del capitale. La coscienza di classe ha la sua dinamica nella comunità solidale e nella cura, l’incuria promuove, invece, la reificazione aggressiva e irrazionale che addomestica i subalterni inoculando in essi il disprezzo narcisistico verso i propri pari. L’individualismo tracotante è separazione dall’altro e mistificazione sulla propria condizione. C si percepisce sempre come parte e mai come un intero. Senza dialettica non vi è progetto politico ma riproduzione meccanica del sistema.

La Monadologia delle solitudini è la vittoria di classe degli oligarchi, si dividono i subalterni, si inquina la capacità di pensare in senso olistico, si separa in nome della libertà d’impresa che promette l’Eden.

All’incuria bisogna contrapporre la cura, l’impegno gratuito liberato dalla gratificazione narcisistica ed economica. Nella cura vi è la cultura della prossimità senza la quale “la democrazia dei Signori”, secondo la definizione di Domenico Losurdo non può essere sconfitta.

La selezione meritocratica è la maschera del nuovo razzismo laico e a misura del dio “Pluto”. Razzismo non riconosciuto e vestito con lo splendore abbagliante delle parole-slogan dell’ideologia.

Il merito è il mezzo per colpevolizzare i subalterni della loro sorte. Al nastro di partenza le condizioni sono truccate ma di questo si tace, è il mezzo con cui sospingere alla lotta divisiva. Lotta senza quartiere secondo modalità zoologiche: donne conto uomini, omosessuali contro eterosessuali, vegetariani contro onnivori, lavoratori del pubblico impiego contro i lavoratori del privato ecc. Una nuova zoologia dell’essere umano viene trascritta e abilmente usata per l’accecamento generale.

Vince il più forte a carte truccate.

Il merito è la sciabola con cui colpevolizzare i sudditi. Si invoca il merito, ma sin dall’inizio la vittoria è data ai dominatori, in quanto il vantaggio non è iscritto nelle stelle ma nelle disparità sociali.

 

Uguaglianza/disuguaglianza

La solitudine delle monadi, sotto il capitalismo assoluto, è differente rispetto al passato. La sofferenza non conosce speranza, le monadi sono nel pulviscolo della storia, la solitudine è così naturalizzata, si curano i sintomi dl dolore sociale con farmaci e psicologi.

Vivere e morire sono solo eventi biologici, l’essere umano è eguale agli animali non umani. Non pone fini consapevoli, ma è solo un ruminante al pascolo del mercato, molto può vedere, poco può ottenere. La frustrazione è la normalità nel tempo del consumo assoluto. I fini sono eliminati, la natura è cancellata per “decreto oligarchico”, non resta che la memoria sempre più a breve tempo a caratterizzare l’essere umano. Senza fini e con la memoria storica demolita la prassi è resa sempre più improbabile, non resta che una disperata solitudine a inchiodare i subalterni. Le merci da acquistare sono i fiori sulle catene, ma appassiscono subitaneamente.

Il quotidiano ci offre una realtà malinconica e dolorosa, l’inclusione ha un prezzo: il denaro è il parametro che consente di accedere ai servizi, allo studio, ai beni di qualità. L’inclusione si paga con la disponibilità a rendersi omogeneo, a rinunciare alla differenziazione.

Si mette in atto un processo di reificazione, i fini del mercato ghermiscono l’incluso e lo inducono a scegliere fatalmente gli obiettivi del mercato. La resilienza è la virtù unica richiesta per sopravvivere. Per coloro che non possono o non vogliono essere inclusi l’artiglio del liberismo ha in “premio la marginalità” e, se si vuole si può accedere alla libera morte. In non poche nazioni la libera morte è disponibile ai malati incurabili, psichici e ai soggetti socialmente deboli. La reificazione quotidiana è la normalità dell’inclusione. La violenza è sistemica, ma si proclama la lotta senza quartiere alle violenze: bullismo e femminicidio sono le bandiere del liberismo. Il capitalismo produce relazioni competitive e irrazionali, e nello stesso tempo si professa contro la violenza. Le campagne contro abusi e violenze hanno una serie di imponenti risultati: si allontana l’ombra del vero responsabile delle violenze, i marchi che sostengono le campagne sono visibili e dunque pubblicizzano i loro prodotti. I grandi gruppi economici influenzano i costumi e si sostituiscono alla politica. La democrazia muore vampirizzata dalle multinazionali.

 

Capitalismo dell’indigenza

Cadute le ideologie che contenevano il liberismo, oggi domina la merce e gli individui sono apparizioni fugaci e interscambiabili. Emergono come categorie, stile manuale di zoologia, da studiare nei comportamenti e nei gusti a cui vendere l’ultima merce. Gusti e comportamenti sono prodotti nei laboratori mediatici, si verificano gli effetti sperimentali sotto la lente di statistiche e grafici, al fine di produrre nuovi mercati.

Il liberismo nel nostro tempo ha dispiegato totalmente la sua verità, è democrazia dei signori come Domenico Losurdo l’ha definita.

La democrazia dei signori è incuria generalizzata. Il soggetto umano è perennemente vilipeso, manipolato nel corpo e offeso nella mente. L’incuria è lo strumento massimo con cui dividere e impedire la coscienza dei subalterni.

La monadologia delle solitudini è sempre più estesa e solida. La consapevolezza progettuale di sé che si struttura nella temporalità politica-progettuale è sostituita da esseri “senza mondo e coscienza”. Disumanizzare rende l’egemonia liberista invincibile nella percezione dei sudditi. Non le possono opporre nulla, devono credere ai suoi slogan e inchinarsi con resilienza al padrone.

Per poter rompere il dominio i subalterni devono uscire dalle grammatiche del dominio. Trasgredire è possibile per far nascere un nuovo mondo, per diventare “ricchi di mondo”, ovvero risemantizzarlo con la cura.

 

Cura/Incuria

La cura è principio veritativo-bene che trascende la monadologia delle solitudini coltivata dall’efficientismo competitivo, per introdurre la qualità nei meccanismi fatali della quantità. La cura nelle sue declinazioni è l’inizio di una rivoluzione delle qualità relazionali, è l’integralismo della quantità pensato e concettualizzato che riapre la storia su nuovi scenari nel tempo presente. Il nostro presente fuori dall logica del nichilismo dei “signori” inizia in ogni momento, ciascuno è chiamato a essere “concetto” per abbattere la fosca nube che è penetrata ovunque e sembra minacciare il presente come il futuro. Riconquistare la propria umanità, porsi in ascolto di se stessi e delle alterità è vittoria contro l’indifferenziato. La coscienza è relazione, è comunismo dello spirito, che penetra nelle strutture ossificate della società dei soli affari privati per riportarli alla comunione materiale e del logos senza i quali non vi è nessun “nuovo inizio”. La cura inizia con lo sguardo che indugia sulla Croce della Terra come scrisse Franco Fortini:

Varsavia 1939

Noi non crediamo più alle vostre parole
Né a quelle che ci furono care una volta
Il nostro cuore l’ha roso la fame
Il sangue l’han bevuto le baionette.

Noi non crediamo più ai dolori alle gioie
Ch’eran solo nostre ed erano sterili
La nostra vita è in mano dei fratelli
E la speranza in chi possiamo amare.

Noi non crediamo più agli dèi lontani
Né agli idoli e agli spettri che ci abitano
La nostra fede è la croce della terra
Dov’è crocifisso il figliuolo dell’uomo.

Reimparare a guardare la “croce sulla terra” è il primo gesto per liberarsi dalle maglie d’acciaio del capitalismo dell’indicenza. Perché lo sguardo prepari le parole e i gesti della liberazione è necessario percipire-sentire-pensare la realtà storica nella sua verità. Uscire dalla sbornia dell’illusione della menzogna ed entrare nella storia significa fermarsi sul dolore e sull’umiliazione di coloro che portano nel corpo e nella psiche la verità del nostro tempo, è nell’ascolto del proprio dolore di “perdente”. La cura è l’eversione contro l’egemonia del niente dei “Signori e padroni della democrazia”. All’incuria bisogna opporre la cura per emanciparsi dall’egemonia della grammatica del dominio.

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