L’eredità intellettuale di Louis Althusser (1918-1990) e le contraddizioni teoriche e politiche dell’althus

dic 26th, 2014 | Di | Categoria: Teoria e critica

Costanzo Preve

1. L’insegnamento di Louis Althusser è stato un fenomeno culturale molto importante negli anni Sessanta e Settanta. Oggi è quasi dimenticato, insieme con l’impressionante decadenza del dibattito teorico marxista. Sopravvive in modo clandestino un althusserismo universitario, nascosto in qualche sottoscala di alcune facoltà di filosofia. Eppure, l’althusserismo è stato forse l’ultimo “ismo” veramente rilevante del dibattito marxista novecentesco. Nulla di simile, o di paragonabile, per Della Volpe o Colletti, Sartre o Lukács, Bloch o Geymonat. Tutto questo non è avvenuto per caso. Non si è trattato assolutamente di una moda parigina. L’althusserismo è stata una cosa molto seria. L’ambizione di questo breve testo è far capire il perché di questo fenomeno in un momento storico in cui il dibattito teorico sembra essersi esaurito negli anatemi contro Berlusconi, nelle lamentele su come Bin Laden abbia sciaguratamente sostituito il ben più serio e moderno movimento operaio, ed infine nelle invocazioni a creare un altro mondo possibile contro quello vincente della globalizzazione neoliberista.

2. Permettendomi qui un breve riferimento personale (ma ormai ho l’età per poterlo fare senza che questo suoni troppo osceno), credo di potermi occupare criticamente di Althusser, perché il suo insegnamento ha contato molto nella mia vita di studioso di marxismo. L’althusserismo è stata la prima corrente filosofica coerente e sistematica cui ho aderito in gioventù, dopo una prima fase puramente emozionale e ribellistica di adesione generica al comunismo ed al marxismo. In un secondo momento, ma ci è voluta molta fatica, ho riscoperto il valore della filosofia classica e particolarmente di Hegel (che prima liquidavo con indegna ignoranza come “borghese”, e quindi per principio inaffidabile – ma purtroppo ognuno di noi ha dovuto sacrificare agli estremismi della propria generazione), e quindi mi sono accostato con vera gratitudine all’ontologia dell’essere sociale dell’ultimo Lukács, che ho studiato nel modo più approfondito possibile negli anni Ottanta, ritenendola sostanzialmente la proposta risolutiva per la crisi della filosofia marxista. Solo oggi, in un terzo momento, sono giunto alla conclusione che Lukács si era bensì mosso sulla strada giusta, che era appunto quella dell’ontologia dell’essere sociale (distinto cioè dalle cosiddette leggi unificate della natura e della storia del materialismo dialettico di Engels e di Stalin), ma si era per così dire fermato a metà strada, perché il riconoscimento del carattere ontologico della realtà non era ancora sufficiente, se non si arriva anche al principio dell’unità dialettica di logica e di ontologia, cioè di struttura veritativa logico-ontologica della realtà. È questa la via di gran parte della tradizione filosofica classica, da Platone ad Aristotele, da Spinoza ad Hegel. Ma Lukács non poteva giungere a tanto, ed allora da un lato approvò l’ontologia, dall’altro criticò il cosiddetto “logicismo”, che poi non era altro che la corretta unità di logica e di ontologia. Ma una ontologia senza logica non è una vera ontologia, ma una forma di storicismo ragionevole, battezzato “materialismo” per pure ragioni di correttezza terminologica marxista. Ho fatto questa breve “deviazione” personale perché ritengo che il filosofo debba sempre mettere in tavola le proprie carte, e chiarire al lettore i propri presupposti. Possiamo ora passare a parlare direttamente di Louis Althusser a dell’althusserismo di ieri e di oggi.
3. Per chiarezza dividerò la mia esposizione in tre parti. In primo luogo, cercherò di “ambientare” storicamente il fenomeno, sulla base di un ritorno al clima ideologico e filosofico della congiuntura storica 1956-1968. Senza questa “ambientazione” la genesi del successo di Althusser è semplicemente incomprensibile. In secondo luogo, esporrò quelli che a mio avviso sono stati i tre distinti momenti successivi del paradigma teorico di Althusser (la filosofia come epistemologia, la filosofia come ideologia, ed infine la filosofia come materialismo aleatorio). In terzo luogo, parlerò dell’eredità di Althusser in questi inizi di XXI secolo, ovviamente dandone la mia valutazione di tipo critico.

4. Prima di definire i caratteri specifici del periodo storico che si apre dopo il 1956 (destalinizzazione e XX congresso del PCUS), almeno per quanto riguarda la filosofia marxista, ricordo brevemente la periodizzazione (analizzata più dettagliatamente in altra sede) che propongo per situare le congiunture dei dibattiti.
In estrema sintesi, ritengo che il dibattito filosofico marxista possa essere analizzato in cinque fasi storiche distinte. Siamo oggi, dopo il 1991, in una sua quinta fase, assolutamente nuova e con caratteri del tutto inediti, in cui la discontinuità più radicale è diventata una necessità. Il pensiero di Marx non fa parte della storia del marxismo, ma ne è un presupposto, perché Marx non sistematizzò e concretizzò le sue teorie, mentre il marxismo è appunto una sistematizzazione ed una coerentizzazione. La prima fase della storia del marxismo va dal 1875 al 1914. Si tratta della sua fase costitutiva, caratterizzata dal modello di Engels ulteriormente semplificato da Kautsky. Una seconda fase si apre dal 1917 in poi, e termina nel 1931. In questa seconda fase la nuova corrente comunista cerca di elaborare una sua filosofia di riferimento, ed opta poi per una vera e propria ideologia, il materialismo dialettico. Il materialismo dialettico si impone, all’interno dell’URSS, contro le correnti rivali del cosiddetto materialismo volgare e del cosiddetto idealismo di Deborin, ed all’esterno dell’URSS contro il cosiddetto marxismo occidentale (Lukács, Korsch, eccetera). Una terza fase va dal 1931 al 1956, e vede la predominanza schiacciante del solo materialismo dialettico codificato da Stalin, mentre tutte le altre posizioni si manifestano solo in modo sotterraneo. Una quarta fase (ed è appunto quella che ci interessa, in cui Althusser gioca un ruolo essenziale) va dal 1956 al 1991, e vede l’ultimo ampio dibattito storico fra filosofi marxisti (oggi per il momento del tutto congelato).

5. Il XX congresso del PCUS vede la delegittimazione di Stalin non da parte dei suoi oppositori storici (menscevichi, populisti, liberali, socialdemocratici, trotzkisti, eccetera), ma da parte dei suoi sacerdoti. Essi detronizzano simbolicamente il tiranno che li aveva innalzati al potere proprio per poter stabilizzare meglio il dominio collettivo della loro classe, quella dei burocrati comunisti di partito. Una simile detronizzazione non poteva però liquidare le basi ideologiche di questo potere (che dovevano ovviamente rimanere le stesse), ma deve limitarsi ad una demonologia personalizzata, la teoria tautologica del cosiddetto “culto della personalità”. È allora normale che in assenza del gatto i topi comincino a ballare, e si apra il vaso di Pandora del cosiddetto “dibattito marxista”. Si tratta appunto del quarto periodo di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente. Se non si fa chiarezza sui parametri storici ed ideologici fondamentali di questo quarto periodo diventa del tutto impossibile la stessa valutazione di Althusser e dell’althusserismo, come pure di Sartre, Bloch, Lukács, la riscoperta del marxismo occidentale degli anni Venti, eccetera. È allora bene cominciare dal cosiddetto “umanesimo marxista”.

6. A proposito del cosiddetto “umanesimo marxista”, e del se ed in che misura il marxismo sia un umanesimo o un anti-umanesimo (teorico), vi sono tante e tali confusioni da costringere ad un chiarimento preliminare. Bisogna infatti distinguere fra l’umanesimo filosofico, l’umanesimo ideologico ed infine l’umanesimo epistemologico (o teorico). Si tratta di tre questioni in via di principio distinte.
Da un punto di vista filosofico generale, quello di Marx e del marxismo è indubbiamente un umanesimo, e più esattamente un umanesimo storicistico. E questo per il semplice fatto che avendo Marx ed i suoi successori rifiutato la concezione della filosofia come sorgente di conoscenza specifica del mondo (distinta cioè dalla quotidianità, dalla scienza e dall’arte), e dunque la via maestra della struttura logico-ontologica della realtà, ne consegue necessariamente e per esclusione che non resta come fondamento altro che l’agire umano costruttore e creatore dentro il tempo storico. Si tratta di una conseguenza del tutto ovvia.
Da un punto di vista ideologico congiunturale, e cioè nel quarto periodo di cui parliamo apertosi dopo il 1956, l’umanesimo marxista è un’ideologia anti-staliniana e post-staliniana la quale, in coppia con la parola d’ordine economicistica della cosiddetta rivoluzione tecnico-scientifica, reagisce all’operaismo ed alla proletarizzazione esasperata del periodo precedente 1945-1956. Si tratta dell’ideologia di vecchi e nuovi ceti medi, insofferenti della retorica proletaria, della politicizzazione esasperata di tutti gli ambiti di vita attuata dalle burocrazie comuniste della stato-partito, ed anche più terra terra della penalizzazione salariale subita da tecnici, insegnanti, professionisti ed impiegati rispetto agli operai di fabbrica. Nei paesi dell’Est il principale esponente di questa tendenza è il polacco Adam Schaff. Ad Ovest, ed in Francia soprattutto, esponente di questa tendenza è stato Roger Garaudy. In Italia, data la ghettizzazione degli intellettuali comunisti in uno zoo-parco togliattiano protetto, il dibattito fu meno acceso, e fra gli esponenti dell’umanesimo marxista possiamo annoverare soprattutto esponenti del dialogo con i cattolici, come Lucio Lombardo Radice.
Da un punto di vista epistemologico (e cioè teorico), Althusser ha ovviamente assolutamente ragione a dire che il marxismo non è un umanesimo, in quanto la categoria teorica fondamentale per comprendere la struttura e la dinamica del modo di produzione non è certamente un inesistente Uomo (nella Storia), ma è il complesso dei rapporti sociali classisti di produzione. Questo è assolutamente sacrosanto. Per capire meglio questo punto essenziale, è bene fare una breve serie di osservazioni.

7. In primo luogo, la polemica di Althusser contro l’umanesimo marxista non avrebbe trovato un apparato argomentativo sufficientemente sviluppato, se non avesse “incontrato” e non avesse utilizzato una autonoma corrente detta anti-umanistica che nelle figure di Lacan, Foucault e Lévi-Strauss stava per conto suo (e con sovrana e totale indifferenza verso il problema della riforma filosofica del marxismo) effettuando una triplice riforma strutturale della psicoanalisi, della storiografia e della antropologia. A mio avviso, questi tre grandi intellettuali percepivano, ciascuno a modo loro, che si stava passando da uno stadio di capitalismo borghese, e perciò in qualche modo “umanistico”, ad uno stadio di capitalismo post-borghese, e perciò strutturalistico, cioè impersonale. Verso le stesse conclusioni stava arrivando per conto proprio anche la scuola detta situazionistica di Guy Debord. Althusser non fece altro che usare genialmente le conclusioni di questa corrente contro l’ideologia umanistica di Schaff e di Garaudy.

8. In secondo luogo, bisogna chiarire cha la questione della cosiddetta “rottura epistemologica” del giovane Marx nel 1845, per cui Marx sarebbe passato da un precedente pensiero idealistico, hegeliano-feuerbachiano, ad un pensiero autonomo e maturo anti-umanistico, resta per molti aspetti un mito althusseriano del tutto privo di consistenza filologica. Nei Grundrisse del 1858 Marx propone un’antropologia della “libera individualità”, che è certamente umanistica, perché gli unici individui non-umani sono quelli che sogna Negri in Impero, ontologicamente eguali agli animali ed agli organismi cibernetici. Come si è già ripetutamente detto, Marx rifiuta di dichiarare di avere una filosofia esplicita, e dunque implicitamente non può che avere una filosofia umanistico-storicistica, perché nella modernità chi vuole rinunciare alla religione, cioè a Dio, ed alla via filosofica di Spinoza e di Hegel, cioè alla struttura logico-ontologica della verità, non può che avere come fondamento la Prassi dell’Uomo nella Storia. E cioè appunto umanesimo e storicismo.

9. In terzo luogo, l’aspetto più importante della critica di Althusser all’umanesimo (teorico-epistemologico) fu però la sua “ricaduta a cascata” sui due aspetti successivi dell’economicismo e dello storicismo. Di per sé, la critica al solo umanesimo scopre solo l’acqua calda, perché bastano cinque minuti per capire che nella teoria dei modi di produzione Marx non mette al centro un fantomatico Uomo in Generale, angosciato e/o prometeico a seconda dei suoi stati d’animo e soprattutto della sua cartella clinica, ma i rapporti sociali di produzione fra le classi. Ma la critica all’umanesimo fa solo da antipasto al vero piatto forte teorico, che è la critica all’economicismo ed allo storicismo. Critica all’economicismo, perché è agevole mostrare che Marx non mette al centro lo sviluppo neutrale dello sviluppo delle forze produttive, cioè della produttività dell’uomo e delle macchine (questo è invece Adam Smith o se vogliamo il marxismo di tipo smithiano), ma la lotta di classe nei rapporti sociali di produzione. Critica allo storicismo, perché l’oggetto teorico chiamato modo di produzione è titolare di una sua temporalità specifica, e non è inserito, in forma ad un tempo stadiale e teleologica, in una sorta di continuum temporale omogeneo chiamato “storia” di cui non sarebbe altro che l’anello di una catena dotata di un’Origine e di una Fine. Questa critica di Althusser allo storicismo, in un ben altro contesto storico, sarebbe poi stata utilizzata da Lyotard per criticare le cosiddette “grandi narrazioni” e per fondare genialmente la filosofia post-moderna.

10. In quarto luogo, la triplice critica di Althusser all’umanesimo, all’economicismo ed allo storicismo sarebbe servita per edificare la struttura teorica fondamentale di quello che definirei “maoismo occidentale”. Maoismo occidentale per distinguerlo da quello cinese vero e proprio, ed il cui svolgimento accompagna gli ultimi venti anni della vita di Mao (1956-1976). Sul piano teorico, sistematizzato da Chang Chun Chiao (il più dotato della cosiddetta “banda dei quattro”), anche il maoismo cinese si basava sulla critica all’umanesimo (cioè a Confucio) ed all’economicismo (cioè alla cosiddetta teoria “reazionaria” delle forze produttive). Non ci poteva essere ovviamente la critica allo storicismo, perché nessuna burocrazia al potere, sia pure di “estrema sinistra”, può rinunciare alla rassicurante e religiosa certezza di un lieto fine della grande narrazione storica.
Il maoismo occidentale può essere ulteriormente diviso in maoismo militante, ideologia identitaria di organizzazione delle piccole formazioni politiche marxiste-leniniste, ed in maoismo universitario, cioè in marxismo althusseriano sofisticato. In Francia, i suoi esponenti più importanti furono Charles Bettelheim e Bernard Chavance. In Italia, il suo esponente di gran lunga più importante è stato Gianfranco La Grassa. Nei paesi anglosassoni, sulla scorta delle ottime traduzioni di Grahame Lock, esso si fuse con la critica decostruzionistica di Derrida, diventando così un’altra cosa. In Grecia, unico paese occidentale in cui per ragioni storiche aveva sempre dominato un marxismo di tipo sovietico, l’althusserismo diventò addirittura l’ideologia dominante fra gli studiosi marxisti, e di fatto spesso una via politica non verso il maoismo occidentale ma verso l’eurocomunismo (e cito qui solo Nikos Poulantzas, Anghelos Elefantis, Jannis Milios). In America Latina, attraverso il lavoro di mediazione di Marta Harnecker, l’althusserismo diventò la forma di marxismo dominante nei gruppi intellettuali marxisti degli anni Settanta (poi in buona parte sterminati da generali fascisti locali, Kissinger e preti compiacenti e silenziosi). E si potrebbe continuare a lungo. Solo nei paesi dell’Est ed in URSS l’althusserismo non attecchì, perché lì dopo il 1968 i gruppi intellettuali erano passati all’anticomunismo radicale ed alla smania di distruggere l’intero baraccone, mentre i pochi marxisti rimasti (ad esempio Evald Ilienkov) erano maggiormente tentati da Hegel e dalla tradizione filosofica.

11. In quinto luogo, e per finire su questo punto, la rivoluzione althusseriana finì con l’essere l’evento teorico più importante della quarta fase di cui abbiamo parlato di storia della filosofia marxista (1956-1991). È possibile fare un’affermazione tanto impegnativa con una certa sicurezza storiografica. Galvano Della Volpe in Italia e Manuel Sacristan in Spagna non possono assolutamente essere messi a confronto. La rivitalizzazione del marxismo occidentale degli anni Venti fu un fenomeno effimero, già esaurito verso la metà degli anni Settanta. L’ontologia dell’essere sociale di Lukács, concepita con grandi ambizioni, non trovò nessun destinatario sociale. L’althusserismo, invece, presentava aspetti di rigore sistematico, di coerenza teorica, di trasmissibilità facile e chiara, eccetera, che lo fecero darwinianamente emergere in modo irresistibile nel panorama delle tendenze teoriche di quegli anni.

12. Tentiamo una prima sintesi concisa. Il primo Althusser accetta la distinzione (affermatasi nella terza fase staliniana 1931-1956 della storia della filosofia marxista) fra materialismo storico, o scienza marxista della storia dei modi di produzione sociali, e materialismo dialettico, o spazio della filosofia marxista. Per quanto riguarda il materialismo storico, la sua triplice critica all’umanesimo, all’economicismo ed allo storicismo effettivamente “ripulisce” e restaura un metodo marxista liberato dalle incrostazioni metafisiche precedenti. Per quanto riguarda il materialismo dialettico, ne propone un integrale cambiamento di significato, per cui non è più (come nella terza fase prima ricordata) un racconto materialistico e cosmologico della lunga evoluzione umana dal protozoo primitivo all’ultimo meraviglioso piano quinquennale di proletari festanti, ma diventa una sorta di “teoria della teoria”, di teoria degli insiemi teorici, e dunque una epistemologia dei concetti del materialismo storico.
Lo spazio autonomo della conoscenza filosofica è così completamente cancellato. Si tratta di una scelta già fatta molte volte nella precedente storia della filosofia occidentale e dello stesso marxismo. Gli empiristi inglesi, e Locke in testa a tutti, lo avevano già fatto, ma allora questo aveva un senso di classe ben preciso, perché si trattava di sostituire la “sostanza” stabile (metafora filosofica della fissità e del conservatorismo delle società signorili, feudali ed assolutistiche) con una nuova sostanza flessibilizzata adatta alla variabilità del mondo del capitale e delle merci. Il positivista Comte lo aveva già fatto, riducendo lo spazio filosofico a riflessione di secondo grado sull’evoluzione dei concetti scientifici. Engels, il fondatore di quello che abbiamo definito il primo stadio storico del marxismo filosofico, aveva pienamente recepito la concezione di Comte (nel frattempo resa più sofisticata dai positivisti di lingua tedesca), limitando la filosofia a studio delle leggi della conoscenza umana, il cui studio avrebbe dovuto portare ad una concezione scientifica e materialistica del mondo.
Come si vede, Althusser è un innovatore nel campo dell’uso dei concetti del materialismo storico, mentre è un conservatore totale sia rispetto ad Engels sia rispetto all’anti-filosofia del marxismo tradizionale. Lo spazio filosofico, infatti, non si riduce a spazio gnoseologico o epistemologico. Qui sta la semplice soluzione del problema.

13. Questo primo Althusser provocò grandi entusiasmi e grandi scandali. Degli entusiasmi abbiamo già detto, e ricordiamo ora gli scandali. Gruppi di confusionari cominciarono a scandalizzarsi per il suo “anti-umanesimo”, come se Althusser avesse proposto il cannibalismo e la saponificazione degli organismi viventi, e come se l’anti-umanesimo teorico non fosse perfettamente conciliabile con un forte umanesimo pratico (cosa che invece capirono benissimo molti teologi althusseriani della liberazione sudamericani). Lo storico inglese E. P. Thompson accusò Althusser di stalinismo, laddove invece era ovvio che Althusser remava in senso contrario. Ma è noto il fatto che spesso gli storici, anche i migliori, non capiscono nulla di teoria filosofica, e se ne vantano pure come se fosse un merito. Un allievo di Althusser, Rancière, cominciò ad accusare il maestro di essere troppo teorico, ed allora si buttò nello studio “materiale” alla Braudel della classe operaia francese dell’Ottocento. Mille gelosie si accesero. Soprattutto, si alzò l’accusa di “teoricismo”.
Apro una parentesi. Per me accusare un teorico di teoricismo è come accusare un radiologo di radiologismo. Da un radiologo, ovviamente, vogliamo che usi ed interpreti sempre meglio le lastre, le ecografie, le TAC e le risonanze magnetiche, non vogliamo che si immedesimi emozionalmente con le angosce dei suoi malati. Se poi riesce a fare anche questo, tanto meglio, purché non interferisca nelle sue capacità radiologiche. Solo un cretino non capirebbe questo. Ma tutto ciò non è alla portata del militante medio, del burocrate comunista novecentesco e soprattutto dell’intellettuale roso dai complessi di colpa, l’equivalente ateo della “superbia” del credente. Fare teoria in modo spregiudicato (giusta o sbagliata che sia, ovviamente) è assimilato ad un peccato di superbia piccolo-borghese. Questo meccanismo di colpevolizzazione, ovviamente, è funzionale al rapporto di “complicità” fra dirigenti di vertice e militanti di base. I dirigenti di vertice non vogliono far sapere, mentre i militanti non vogliono sapere. In mezzo, i teorici innovatori vengono stritolati e triturati. Ovviamente, questo fu anche il caso di Althusser, che era già ampiamente nevrotico per conto suo, come la sua autobiografia e la biografia di Yann Moulier Boutang testimoniano ampiamente. Ed allora il povero Althusser fece la sua brava autocritica, e si discolpò del suo peccato di “teoricismo”. Si discolpò, ovviamente, di avere realizzato una delle più geniali riforme della teoria marxista del Novecento.

14. Il secondo Althusser (intorno al 1972) passò dunque da una concezione della filosofia come epistemologia ad una concezione della filosofia come ideologia. Dalla padella alla brace. Un inutile peggioramento evidente. La sua definizione dello spazio filosofico come spazio della “lotta di classe” nella teoria propone infatti un’equazione fra spazio filosofico e spazio ideologico. Si tratta, a mio avviso, di una vecchia posizione sbagliata, già sostenuta da Lenin, e che rappresenta il punto debole a mio avviso dell’eredità leninista. Nel contesto storico 1969-1976, caratterizzato dalle lotte di classe in Cina e dal periodo più acuto delle lotte operaie e studentesche in Europa, lo sbandamento di Althusser è pienamente comprensibile. È difficile resistere alle fortissime pressioni dell’ambiente esterno, e questo vale sia per i girotondi anticraxiani ed antiberlusconiani sia per il rarefatto mondo della teoria. Ma questo è un errore, per almeno due ragioni di fondo che ora qui ricorderò.

15. In primo luogo, e questo è il punto di fondo, lo spazio filosofico non coincide assolutamente con lo spazio ideologico. Lo spazio filosofico è lo spazio di un particolare tipo di conoscenza, diversa e distinta da quella quotidiana, scientifica ed artistica. Lo spazio ideologico, invece, non è mai uno spazio veramente conoscitivo, ma è lo spazio di quella “concezione del mondo” che razionalizza parzialmente ed imperfettamente le domande di senso che scaturiscono dal rispecchiamento quotidiano dell’esperienza prefilosofica e prescientifica. Marx, che su questo punto a mio avviso ha ragione, identifica lo spazio ideologico con la falsa coscienza, che a sua volta può essere spontanea o organizzata. Lenin utilizza invece una nozione positiva di ideologia come concezione organica e coerente del mondo (l’ideologia proletaria sistematizzata dal partito), ma in questo modo non risolve il problema posto da Marx, ma semplicemente lo esorcizza, come documenta ampiamente la storia del marxismo del Novecento. Lo spazio ideologico non può essere costruito, perché si costruisce da solo sulla base di proiezioni religiose imperfettamente laicizzate e secolarizzate, ma può essere solo decostruito, per dare luogo geneticamente allo spazio filosofico e scientifico. Del resto, la filosofia antica nacque decostruendo il patrimonio mitico, e la filosofia moderna si origina decostruendo l’eredità ideologica, che è la forma impoverita del mito stesso. Ma è sempre la stessa storia. Althusser riesce a fare critica dell’ideologia criticando gli apparati ideologici borghesi di stato, anche se non capisce assolutamente che lo stesso capitalismo intende liquidare lui stesso sia la famiglia che la scuola, e dunque non c’è nessun bisogno di dargli anche una mano, ma non riesce a criticare l’ideologia di sé stesso, cioè di un pensiero che si ferma a mezza strada.

16. In secondo luogo, e questo è il punto più importante, la concezione ideologica della filosofia come lotta di classe nella teoria pone immediatamente il problema di quali siano i soggetti antagonistici fondamentali di questa lotta di classe. La risposta di Althusser è ovviamente quella tradizionale e classica del marxismo: i soggetti antagonistici fondamentali sono la Borghesia ed il Proletariato.
Ma è veramente così? Personalmente, non lo credo affatto. Il modo di produzione capitalistico è nato storicamente, cioè genealogicamente, con la costituzione progressiva di un soggetto sociale “borghese”, l’imprenditoria prima commerciale e poi industriale, che a sua volta con il processo dell’accumulazione primitiva costituì il “proletariato”, l’insieme di coloro che dovevano vendere la loro forza-lavoro per sopravvivere. Tutto ciò è innegabile, ma il punto sta altrove. La borghesia ed il proletariato non sono soggetti permanenti, ma solo soggetti provvisori ed iniziali del modo di produzione capitalistico. Ovviamente, restano soggetti permanenti e strutturali di questo modo di produzione i soggetti collettivi attivi e passivi della produzione capitalistica, che deve sempre riprodurre queste due polarità. Ma il termine marxiano “agenti attivi e passivi della produzione capitalistica” non coincide affatto con i due termini di Borghesia e Proletariato, che non sono semplici portatori di ruoli economici (alcuni estorcono, e ad altri viene estorto il plusvalore sotto l’apparenza dello scambio economico fra eguali), ma sono complesse soggettività non solo economiche, ma anche politiche, religiose, culturali, artistiche, eccetera. Ridotta a riproduzione dei ruoli economici, la dicotomia Borghesia/Proletariato è puro economicismo. E questo economicismo, lo si ricordi sempre bene, non si limita alla vecchia enfatizzazione dello sviluppo delle forze produttive e della cosiddetta rivoluzione tecnico-scientifica, ma si nutre con la centralità della teoria del valore rispetto alla ben più importante centralità del modo di produzione. E questo l’althusseriano italiano La Grassa lo ha capito da tempo nell’indifferenza generale dei “marxisti”.

17. Il 1976 è un vero anno di svolta. Muore Mao Tse Tung, ed appena un mese dopo la sua morte un colpo di stato abbatte la cosiddetta “banda dei quattro”, che era poi quanto restava della dirigenza maoista della rivoluzione culturale cinese. Nel 1975 erano diventati “comunisti” il Vietnam, la Cambogia ed il Laos, cioè l’intera Indocina, realizzando così l’unica vera sconfitta militare strategica degli USA nel Novecento. Nello stesso anno erano diventati di fatto “comunisti” anche gli stati africani dell’Angola e del Mozambico, e la rivoluzione comunista in Etiopia era in pieno svolgimento. In Portogallo per alcuni mesi sembrò addirittura che un regime comunista fosse possibile. In Spagna ed in Grecia caddero i precedenti regimi fascisti o quasi-fascisti. In Italia premeva il “compromesso storico” di Enrico Berlinguer, e più in generale in Europa il cosiddetto “eurocomunismo” sembrava una prospettiva storica realistica.
Si trattò di un’illusione storica. Ciò che sembrò l’inizio di un processo di svolta a sinistra su scala mondiale si rivelò essere solo l’ultimo colpo di coda del vecchio ciclo storico. Iniziava invece la controffensiva capitalistica strategica. Non si tratta soltanto di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan, cioè della cosiddetta controffensiva liberista. Questa non è che la sovrastruttura politico-ideologica. Si trattava di una vera e propria terza rivoluzione industriale capitalistica, dopo quelle di fine Settecento e di fine Ottocento. Non si tratta solo di un nuovo ciclo merceologico di innovazioni di prodotto, perché se così fosse potremmo affermare che i computer non sono così importanti come i prodotti tessili, i treni o l’automobile. Si tratta di una “grande trasformazione” (prendo a prestito il termine da Polanyi) non solo nelle innovazioni tecnologiche di processo e di prodotto, ma anche nella più generale riproduzione finanziaria e soprattutto culturale. Solo questa terza rivoluzione industriale, tuttora in corso, dà veramente luogo ad un capitalismo globale e totalitario, al di là delle precedenti fasi della protoborghesia e del protoproletariato.
Nel 1976 comincia in Argentina lo sterminio fisico degli oppositori, i cosiddetti desaparecidos. Un segnale importante, storicamente sempre sottovalutato. Nel 1977 vengono lanciati in Europa i cosiddetti “nuovi filosofi” francesi, che per la prima volta fanno dell’anticomunismo una vera e propria piattaforma filosofica esplicita. I “nuovi filosofi” sono vecchi sessantottini pentiti, parlano ad una generazione sbandata e senza prospettive con il suo linguaggio, e così il “pentitismo”, prima di diventare una modalità di sconfitta della lotta armata italiana, diventa una categoria filosofica. I “nuovi filosofi” vengono anche lanciati con una campagna pubblicitaria promozionale in cui i media si impegnano in modo coordinato, e questa interessante novità non viene percepita in modo adeguato. Dalla vecchia sottomissione “formale” si passa ad una nuova sottomissione “reale” del dibattito filosofico al ceto giornalistico di servizio. Nel 1980 si ha anche una forte sconfitta sindacale e sociale della classe operaia FIAT di Torino. Un avvenimento su scala mondiale del tutto secondario, ma comunque significativo e simbolico, per chi aveva disinvoltamente caricato la povera classe operaia di fabbrica di un ruolo messianico.

18. Cambia il vento, inizia il “piano inclinato” che porterà al 1991, ed il sismografo filosofico di Althusser lo registra. Dal 1976 alla morte gli restano quattordici anni, con in mezzo l’assassinio della moglie in un accesso della sua malattia nervosa. Non verrà messo in prigione, verrà riconosciuto incapace di intendere e di volere, e verrà sequestrato in casa. Gli resta un filo diretto con alcuni amici, e soprattutto con alcuni filosofi che continuano a sollecitarlo ed ad intervistarlo. È questo il terzo periodo di Althusser. Dopo le due riduzioni dello spazio filosofico marxista prima ad epistemologia e poi ad ideologia giunge finalmente la prima vera e propria formulazione filosofica di Althusser, il cosiddetto “materialismo aleatorio”, che merita certamente una riflessione apposita.

19. Per l’ultimo Althusser il materialismo aleatorio rappresenta la vera corrente marxista in filosofia. Si tratta di rintracciare una linea genealogica di posizioni, da Epicuro a Marx attraverso Machiavelli, in cui vengono espresse nel modo migliore delle posizioni (e per Althusser la filosofia è sempre un insieme di “posizioni”) opposte a quelle idealistiche. Come si vede, siamo sempre alla vecchia dicotomia fra materialismo ed idealismo proposta da Engels negli anni Ottanta dell’Ottocento. La dicotomia però non è più di tipo gnoseologico (sostenitori del rispecchiamento dell’essere materiale nel pensiero contro sostenitori dell’identità logica fra essere e pensiero), e neppure di tipo per così dire metafisico (sostenitori dell’unicità della materia contro sostenitori della dualità di materia e di spirito). Questa volta il criterio è l’insistenza sul tema della casualità, dell’aleatorietà e della pura possibilità dell’Origine e comunque di ogni Evento, storico e/o naturale. Si ha chiaramente una radicalizzazione ma anche una opportuna sistematizzazione della vecchia critica althusseriana al triplice mito dell’Origine, del Soggetto e del Fine. Apparentemente, niente di veramente nuovo. Eppure il nuovo c’è, e sta proprio nella esplicita dichiarazione della Aleatorietà come nuovo Fondamento Metafisico del Marxismo. Tutto questo richiede un insieme di riflessioni, per poterne cogliere realmente la portata.

20. Non bisogna ovviamente che ci sfugga l’aspetto principale della questione. Ed esso sta in ciò, che ponendo l’aleatorietà (cioè la casualità assoluta) come nuovo fondamento metafisico della filosofia marxista Althusser non fa che registrare nel mondo rarefatto dei concetti teorici la fine dell’idea della “necessità” storica del passaggio dal capitalismo al comunismo. Questa idea non era già più credibile da molto tempo, e continuava ad essere agitata in perfetta malafede dagli apparati ideologici e scolastici degli stati socialisti, e ad essere creduta in perfetta buonafede da militanti desiderosi di farsi raccontare delle storie per fortificare la propria fede. Il terzo Althusser semplicemente la registra, e la trasforma in metafisica dell’aleatorietà. Non c’è a mio avviso rottura con il primo Althusser, ma unicamente radicalizzazione e coerentizzazione della propria proposta teorica. Credo infatti che se si portano veramente alle estreme conseguenze le tre critiche all’umanesimo, all’economicismo ed allo storicismo non ne può che risultare alla fine una quarta conseguenza, e cioè l’assoluta aleatorietà del passaggio fra il capitalismo ed il comunismo.

21. Il principio della aleatorietà, ovviamente, ha soprattutto un carattere storico retroattivo, che riguarda sia le scienze naturali che le scienze sociali ed il marxismo. Per quanto riguarda le scienze naturali, esso ribadisce il carattere completamente casuale ed aleatorio della nascita della vita sulla terra, contro ogni tipo di Principio Antropico difeso con l’uso di statistiche, per cui le probabilità di origine casuale della vita sarebbero minime, se non inesistenti, dato l’intreccio di condizioni che la rendono possibile, con l’implicita conseguenza della rilegittimazione di un demiurgo creatore. Il Principio Antropico, al di là dell’uso sofisticato delle ultime frontiere della fisica contemporanea, è in realtà una riproposizione sofisticata delle tesi del Timeo di Platone. Con questo non intendo certo dire che bisogna condannarle senza esaminarle. E tuttavia, una volta esaminate, mi sembrano più convincenti le tesi aleatorie di quelle antropiche, che sono in realtà antropocentriche.
Per quanto riguarda le scienze sociali ed il marxismo, il materialismo aleatorio di Althusser è confermato dalle recenti tesi di Robert Brenner sul carattere completamente casuale ed aleatorio della nascita del capitalismo in Inghilterra. Il capitalismo avrebbe anche potuto tranquillamente non nascere, e non era assolutamente lo sbocco inevitabile di uno sviluppo irresistibile delle forze produttive e della tecnologia. Chi crede in questo sviluppo inevitabile, e pensa di essere allievo di Marx, lo è piuttosto di Adam Smith. Del resto, sarebbe stato perfettamente possibile che popoli di nomadi avessero precocemente distrutto le prime civiltà idrauliche del Nilo e della Mesopotamia, ed allora non saremmo neppure qui a giocare con il computer. Annibale avrebbe potuto entrare a Roma e distruggerla, ed allora l’Europa sarebbe oggi un mosaico di celti, germani, etruschi e baschi, non avremmo avuto probabilmente nessun cristianesimo ma altre forme imprevedibili di politeismo e di monoteismo, eccetera. In America non si parlerebbe inglese e spagnolo, ma maya, quechua, aymarà ed irochese. Infine, nessuno sarebbe ancora andato a rompere le scatole agli aborigeni australiani.
Quanto dico può sembrare solo una parentesi scherzosa. Non lo è affatto. I marxisti hanno infatti sempre secolarizzato la teoria della provvidenza di Agostino di Ippona, per cui i greci ed i romani erano certamente cattivi, perché pagani ed idolatri, ma erano stati provvidenziali nel fare il loro impero pagano, perché poi quest’ultimo era diventato l’involucro geografico, politico e linguistico della nuova città di Dio cristiana. L’ultimo esempio di questa secolarizzazione imperiale provvidenziale è il libro Impero di Hardt e Negri, pubblicato in lingua italiana nel 2002.
Contro ogni tipo di provvidenzialismo, e contro ogni grande narrazione storicistica, il materialismo aleatorio dell’ultimo Althusser non è poi così cattivo. Esso vorrebbe essere l’antidoto definitivo verso ogni possibile filosofia della storia. In realtà si tratta della filosofia della storia di chi non crede nella filosofia della storia, neppure in quelle varianti assolutamente non teleologiche e non necessitate a cui a suo tempo Kant, Hegel e Marx hanno prudentemente aderito. E questo è il punto su cui portare la nostra attenzione.

22. Il principio della aleatorietà sembra inaugurare una nuova stagione del marxismo della possibilità contrapposta alla vecchia stagione del marxismo della necessità. Il vecchio marxismo della necessità aveva saputo fondere insieme in modo catastrofico il determinismo e la teleologia, riuscendo nell’impresa di unire due difetti diversi. Del resto, già Antonio Gramsci aveva perfettamente capito che il determinismo economico è la religione delle classi subalterne. Ma personalmente ho forti dubbi sul fatto che il terzo Althusser sia la risposta migliore possibile a questa nuova stagione del marxismo della possibilità. Lo studioso francese Michel Vadée, in quello che resta forse il migliore studio recente sul rapporto fra Marx e la possibilità, ricorda che nel vecchio significato di Arstotele il “possibile” prendeva le due varianti distinte del katà to dynatòn, ciò che è semplicemente possibile nel senso appunto di contingente, non necessario, aleatorio, e del dynamei o n, ciò che è essente-in-possibilità, e porta dentro di sé la potenzialità di sviluppo ontologicamente accertata. Si tratta di principi filosofici diversi. Althusser sceglie semplicemente il katà to dynatòn, in un significato di piena contingenza, e questo a mio avviso dà luogo ad una possibile metafisica dogmatica della casualità.

23. L’aspetto principale della questione, tuttavia, sta nel fatto che Althusser ha ragione nell’essenziale contro i deterministi ed i sacerdoti di una inesistente necessità. Si riprende così la tradizione di Epicuro, e non quella degli stoici antichi. Il comunismo può così essere pensato come “libera deviazione” (clinamen, parekklisis) della riproduzione capitalistica, e non più come “necessità” (ananke) di questa stessa riproduzione. La possibilità torna ad essere una “occasione” (tyche), e questo spiega l’apologia sistematica che fa Althusser di Machiavelli. Questo tipo di impostazione va nella stessa direzione della valorizzazione delle cosiddette “categorie modali” (ad esempio la possibilità) fatta dall’ultimo Lukács nell’ontologia dell’essere sociale. La convergenza fra Althusser e Lukács, ovviamente negata dai dogmatici e dai “tifosi” di entrambi gli schieramenti, è palese al di là del loro rapporto con Hegel e con la dialettica. Ma qui ciò che conta non è la propria genealogia filosofica di riferimento, unico interesse di coloro che definirei esperti di “araldica filosofica”, ma il fatto di dover rispondere razionalmente agli stessi problemi, in questo caso la crisi irreversibile del vecchio modello di marxismo.

24. Possiamo ora chiudere questo breve saggio con alcune riflessioni sul presente e sul prossimo futuro dell’althusserismo. La massima cautela è ovviamente necessaria, perché ogni previsione resta per forza di cose incerta e discutibile.
In primo luogo, il marxismo che si ispira ad Althusser resta tuttora un prodotto teorico per molti aspetti superiore a quanto offre il mercato delle idee. Pensiamo solo alla genericità disarmante della cultura del movimento anti-globalizzazione, che considera il motto “un altro mondo è possibile” come il sostituto di un’analisi marxista seria del capitalismo contemporaneo. Pensiamo ancora alla recente sintesi di Hardt e Negri intitolata Impero, in cui il problema della rivoluzione è virtualmente risolto con l’evocazione di moltitudini biopolitiche disobbedienti in cui non vi è più nessuna differenza di principio fra umani, animali ed organismi cibernetici. Il modello interpretativo proposto da Althusser, nonostante l’eccessivo ruolo dato alla politica ed all’ideologia, è comunque pur sempre mille volte superiore rispetto a queste genericità.
In secondo luogo, voglio qui ripetere quanto già ampiamente ricordato nei paragrafi precedenti (e svolto più dettagliatamente in altra sede), per cui il modello teorico di Althusser, insieme con l’ontologia dell’essere sociale di Lukács, resta il punto più alto della teoria di ispirazione marxista prodotta nel quarto periodo della storia della filosofia marxista (1956-1991). Ma questo punto più alto nel frattempo è stato sorpassato da una nuova fase storica apertasi dopo il 1991. In questa fase storica occorre a mio avviso essere molto più radicali di prima, anche perché ormai non esiste più nessun collegio di cardinali marxisti sostenuto e legittimato (e dotato del braccio secolare di una inquisizione poliziesca armata) da gruppi di burocrati. Questa quinta fase assomiglia per molti aspetti alla prima (1875-1914), nel senso di essere costitutiva di un paradigma completamente nuovo. Non parlo qui della politica e dell’economia. Ma per quanto riguarda la filosofia sono convinto che non ci si possa più fermare a mezza strada in compromessi e mezze misure. Occorre credere nella filosofia, tornare alla grande impostazione filosofica classica, e non vergognarsi più di parlare di fondamento logico-ontologico della verità e della realtà. Ma Althusser non credeva in questo, non voleva questo, e per quanto ha potuto si era sempre opposto a simili sviluppi. Questo è oggi, in breve, il problema.

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